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Via Rasella
L'altra faccia delle Fosse Ardeatine
INCONTRO CON
ARTHUR ATZ
UNO DEI SOLDATI SOPRAVISSUTI DEL "BOZEN"
 

LE INTERVISTE
di Enzo Cicchino

DOPO MEZZO SECOLO
L'INCONTRO
CON
I PROTAGONISTI
(1994)


Adattamento ed elaborazione dall'intervista originale realizzata dal regista Enzo Cicchino nel corso della sua inchiesta sull'azione partigiana di Via Rasella e andata in onda per il programma della RAI TV- MIXER di Giovanni Minoli.

    Non ricordo come sono entrato in contatto con Arthur Atz, mi pare grazie alla cortesia di Cristoff Franceschini, giornalista presso la redazione Der Profile, noto settimanale dell'Alto Adige.
    Quando giunsi, quel mattino della primavera del 93 a Kaltern (Caldaro) in Alto Adige, incontrai il vecchio Arthur nel suo campo di mele, dietro casa sua, sulla scoscesa crina del monte. Un pò allampanato, gli occhi immalinconiti ancora, acuti per quell'italiano mezzo smozzicato che a fatica gli emergeva sulle labbra. La testa bianca, il viso magro allungato, il corpo fine ed asciutto. Aveva un grembiule vagamente blu che gli pendeva sporco sulle gambe come fosse una donna meridionale sorpresa nel lavoro casalingo, invece, pur così conciato, lui era fra alberi di mele.
    Fu gentile, accogliente, disponendosi alla mia volontà quasi come un uomo che si lasciasse trascinare dagli eventi, ma con lo sgurdo lontano, quasi anch'io in quell'istante provenissi dal passato.
    M'informai sui luoghi ove registrare la chiacchierata televisiva. V'erano alcune soluzioni, dall'alto sul fondovalle, in un piccolo cimitero di campagna, lungo le rive d'un lago alpino nella valle. Le utilizzai tutte e tre.
    Umanamente si sentiva ancora una vittima dell'episodio di Via Rasella, mostrava intatto come allora quel vivo risentimento rancoroso contro i partigiani, ceh hanno tutte le vittime di ogni tempo e di ogni luogo. Che dirgli!? di fronte a queste persone non si può che manifestargli sincera solidarietà per il dramma in sé; ognuno poi ha il suo punto di vista riguardo alle cose e non è detto che la verità sia tutta da una parte, in genere ciascun uomo ne possiede una briciola ed è alquanto difficile stabilire con precisione dove essa sia. Non resta che affidarci alla nostra buona fede, all'onestà intellettuale. Quanto propongo in questa trascrizione, essendovi estrema difficoltà -dato il suo pessimo italiano- nel tradurre in pieno le intenzione del testimone, ho lasciato le parole così come erano, con tutte le ripetizioni.
    Come potrà notare il lettore, alcune verità trapelano appunto dal non detto, dal discorso sospeso, dalla mezza frase smozzicata. Ognuno si faccia la sua opinione. Anch'io ne ho una, ma è troppo personale e poi influenzerebbe senza esservene ragione chi invece una idea propria deve ancora farsela.
    Quel giorno di maggio, lì, sul lago di Kaltern, si fece abbastanza tardi, l'intervista si protrasse fino al pomeriggio e tutti saltammo il pranzo. Verso sera riaccompagnai Arthur Atz nel suo campo di mele, che avevano perso già i petali e mostravano sui rami tanti piccoli capezzoli rosa da cui forse a fine estate sarebbero sorti i succosi frutti del Tirolo che ben conosciamo. Mele di cui a volte, addentandone la polpa, dovremmo sorprenderci a riflettere che di Via Rasella e Fosse Ardeatine esse possiedono ancora tracce di sangue.


D.: Come ti chiami?

R.: Atz Arthur.
 

D.: Qual è la tua nazionalità?

R.: Italiana.
 

D.: Con quale esercito hai combattuto nella Seconda Guerra Mondiale?

R.: ... Polizei..... italiana... Polizia....
 

D.: Tu hai combattuto anche in Sardegna?

R.: No, in Sardegna no, ma vi ho fatto il soldato.
 

D.: La tua campagna di guerra dove l'hai fatta?

R.: Siamo stati dietro ai partigiani da noi in Italia, siamo stati sempre in Italia.
 

D.: Che significa dietro ai partigiani?

R.: Siamo stati a combattere contro i partigiani, no?
 

D.: Dove?

R.: In Piemonte, dalle parti di Susa.
 

D.: Da che anno a quale anno?

R.: Nel 1944.
 

D.: Quando è che sei stato arruolato nell'Esercito Tedesco?

R.: Nel '43.
 

D.: In quale corpo?

R.: Polizia tedesca. Polizia.
 

D.: Lei non è stato arruolato dall'Esercito Italiano?

R.: Sì, una volta, nel 1939 ho fatto il soldato italiano, in Sardegna.
 

D.: Tu sei italiano, o tedesco?

R.: Noi siamo... parliamo tedesco e siamo italiani, perché siamo sotto l'Italia. Parliamo tedesco a casa.
 

D.: Il soldato lo hai fatto con l'Esercito Italiano o con l'Esercito Tedesco?

R.: Con l'Esercito Italiano e Tedesco.
 

D.: Quando è che sei stato arruolato nell'Esercito Tedesco?

R.: Nel '43, in ottobre.
 

D.: Perché?

R.: Perché noi abbiamo votato per la Germania...tirolesi, e abbiamo dovuto andare nuovamente a fare il soldato in Germania.
 

D.: Allora, Arthur, qual è la tua storia?

R.: Mi chiamo Atz Arturo di Cadaro, sono contadino, cittadino italiano, e ho fatto il militare nel '39 in Italia, in Sardegna. Dopo sono ritornato a casa. Nel '43 ho dovuto andare a fare il soldato tedesco, e siamo andati a Bolzano, siamo stati in caserma, dopo siamo andati a Roma, lì eravamo tre mesi, e avevamo l'attentato il 23 marzo '44, e dopo siamo andati in Piemonte. Abbiamo dovuto fare sempre le guardie, perché erano tutti partigiani sulle montagne. Quando la guerra era finita sono andato in prigionia sotto gli Americani, mi hanno preso e sono stato lì in mezzo sei mesi in prigionia, e dopo sono tornato a casa.
 

D.: Come mai sei stato arruolato nell'Esercito Tedesco?

R.: Nel 43 c'è stato un referendum. Tutti noi abbiamo optato per la Germania.
Quando abbiamo votato per la Germania abbiamo dovuto fare il soldato in Germania... perché noi abbiamo votato per il tedesco, no?
 

D.: In che anno?

R.: 1943 - '44, '43, in ottobre ci hanno richiamato i Tedeschi e ho dovuto andare a fare la Polizia nel Battaglione Reggimento di Bolzano, e dopo da lì siamo andati a Roma a fare Polizia in città, perché era una città aperta Roma, e dopo abbiamo fatto istruzioni ancora giù.... e ci è capitato quell'attentato, ci hanno buttato la bomba e sono morti 33 tirolesi.
 

D.: In quale corpo sei stato arruolato dai Tedeschi?

R.: Polizia.
 

D.: E i tuoi compagni che storia militare avevano?

R.: Erano tutti uguali, erano tutti sotto la Polizia Tedesca.
 

D.: Ma erano tutti sud-tirolesi?

R.: Sì, tutti. Qui erano tutti, tutto il reggimento era tirolese.
 

D.: Quanti battaglioni eravate?

R.: Tre battaglioni.
 

D.: Tu conosci l'attività militare di questi tre battaglioni?

R.: Un battaglione è venuto a Roma, un battaglione veniva a Belluno e il terzo battaglione era dalle parti di Merano, lassù.
 

D.: E' vero che a questi battaglioni è stato impartito un addestramento alla guerriglia anti-partigiana?

R.: Noi abbiamo avuto soltanto... fatto dei... sulle montagne, sui ponti... erano sempre bombardati, e proprio non abbiamo combattuto contro i partigiani, abbiamo sempre... sempre in guardia sui ponti e sulle ferrovie che non facevano qualche... distruggevano sempre i ponti e le ferrovie, siamo stati sempre in guardia, fino a che la guerra era finita.
 

D.: Ma si è detto che i battaglioni del Bozen sono stati usati in azioni repressive antipartigiane.

R.: Io non capisco...
 

D.: I battaglioni del Bozen sono stati usati per uccidere... per rastrellare i partigiani...

R.: No, quello no, quello no, noi non abbiamo avuto mai... gli altri battaglioni non so cosa hanno fatto, no? Noi eravamo a Roma e non abbiamo fatto altro che le guardie su in Vaticano, che non succeda niente in Vaticano, abbiamo fatto quello.
 

D.: Ma facevate anche la guardia ai Ministeri oppure che altro?

R.: No, ai Ministeri no, soltanto sempre ai posti che erano utili, perché noi siamo stati a Roma soltanto per aiutare che non succeda niente a Roma, perché Roma era una città aperta, ed erano dentro soltanto i Tedeschi, soltanto noi poliziotti abbiamo avuto il diritto di star dentro, e noi non abbiamo fatto mai danni, assolutamente.
 

D.: Chi era il vostro Comandante?

R.: Il Comandante era il Maggiore Dobrick, il Maggiore del battaglione Dobrick.
 

D.: E che rapporto c'era tra voi ed il vostro Comandante?

R.: Si può dire... era un uomo molto serio e noi l'abbiamo visto poche volte, perché non abbiamo avuto niente a che fare con lui.
 

D.: Arthur, che atmosfera si respirava a Roma in quel marzo del '44?

R.: L'atmosfera era molto pesante, l'atmosfera, perché uccidendo così tante persone, no, non era un'atmosfera bene, no? Perché...
 

D.: Che si diceva fra i soldati di Roma e della gente di Roma in quel marzo del '44, prima dell'attentato?

R.: Si... noi ci piaceva molto Roma, non si parlava mai con la gente privata. Noi ci piaceva, molto bella, proprio la città era anche grande, bella, l'atmosfera, niente da dire.
 

D.: Avevate mai avuto rapporti con i cittadini romani?

R.: No, non abbiamo mai avuto contatti con loro, mai. Noi non abbiamo fatto niente, a nessuno niente.
 

D.: Avevate mai sentito parlare di Kappler?

R.: Non abbiamo conosciuto Kappler, perché lui non si vedeva mai, Kappler. Kappler era un uomo molto... non era cattivo, era un uomo... un buon uomo, non aveva mai fatto male a nessuno.
 

D.: Mai avevate partecipato ad azioni antipartigiane?

R.: A Roma no, mai, mai.
 

 D.: Di quali armi eravate equipaggiati, e in quanti eravate quel giorno, lì a Via Rasella?

R.: Eravamo un 150 uomini, soldati, 150, io non mi posso più ricordare, così, ma erano così, 150, e 33 erano morti e 56 erano feriti.
 

D.: Quel giorno a Via Rasella non foste puntuali. Invece che passare alle 14.00, come accadeva tutti i giorni, siete passati con un'ora e mezzo di ritardo, come mai?

R.: Sì, perché noi siamo stati al campo per sparare, al poligono per sparare, e poi abbiamo avuto un'ora di più, per quello abbiamo ritardato un'ora.
 

D.: Mi fai una cronaca dettagliata dell'attentato? Cosa accadde quel giorno?

R.: Ma, niente, noi siamo marciati per la Via Rasella una volta scoppiata quella bomba e di più non possiamo dire.
 

D.: Ma aveste il sospetto che in Via Rasella si stesse preparando qualcosa di strano?

R.: No, no. Perché era in una cassetta, era dentro nel carretto... la bomba, noi non abbiamo visto niente... una volta buttato per aria tutto quanto... perché volevano ammazzare tutti.
 

D.: Cosa accadde quel 23 marzo?

R.: Il 23 marzo, quel giorno, quando siamo stati al poligono a sparare abbiamo avuto un'ora di ritardo, e dopo siamo entrati nella Via Rasella. Quando siamo andati su è esplosa una bomba e noi abbiamo creduto che era una bomba di aereo e abbiamo subito visto che quello non era vero e in quel momento anche i partigiani ci hanno sparato addosso. Noi abbiamo... c'erano così tanti feriti e morti, non abbiamo più saputo che cosa fare, e così tutta la storia è finita, credo, di quel giorno.
 

D.: Quanti compagni morirono?

R.: Erano 33, 32 i compagni, uno moriva di notte e gli altri morivano subito. 56 erano feriti, che sono stati per la strada.
 

D.: Tu come sei riuscito a salvarti?

R.: Io sono stato il primo nella fila, il primo davanti era... non mi capitava più niente, io ero proprio venuto salvo fuori.
 

D.: Sparaste contro le finestra lì a Via Rasella?

R.: Sì, noi abbiamo sparato in giro, perché abbiamo dovuto... perché questi feriti abbiamo dovuto prenderli e metterli in ospedale. Abbiamo sparato così, dietro, perché i partigiani ci sparavano sempre ancora. Non li abbiamo visti, se erano sui tetti o dov'erano, e così la storia era finita credo.
 

D.: Allora, subito dopo l'esplosione della bomba che cosa accadde?

R.: Dopo la... Quando la bomba esplodeva ho visto che anche due bambini sono stati morti, due piccoli bambini che erano vicino ad un portone, avevamo anche preso fuori civili che erano in casa e li abbiamo portati fuori in strada e dovevano stare lì fino a quando era tutto finito, con le mani in alto, e dopo li hanno presi dentro in caserma e la mattina ho visto che li hanno lasciati andare a casa.
 

D.: Ma una parte dei civili furono portati alle Fosse Ardeatine.

R.: Quello... Di quello non posso dire, non ho visto niente, perché noi non li abbiamo... con quello non abbiamo fatto... non abbiamo da fare...
 

D.: E se...

R.: ... quello erano tutti ufficiali che erano con... quello lo potrei dire che erano portati fuori... la maggior parte erano andati a casa.
 

D.: Quando passavate lungo Via Rasella, con quali armi era equipaggiato il vostro plotone?

R.: Con i fucili, normali fucili e una mitraglia. Non abbiamo avuto niente altro. Noi abbiamo mai caricato i fucili, non erano mai caricati, sempre...
 

D.: Cosa vi aspettavate che sarebbe successo dopo l'esplosione della bomba?

R.: Non abbiamo pensato a niente, perché eravamo così finiti che non avevamo il tempo di pensare che cosa è successo, perché questa era una terribile cosa che si vedeva così, quasi cento perso... cento soldati per terra che gridavano l'uno all'altro aiuto, e mamma mia, non so, era un poco brutto.
 

D.: Prevedevate che ne sarebbe seguita una rappresaglia?

R.: No, mai, mai pensato che potrebbe... sarebbe successo qualche cosa così, perché noi non avevamo fatto a nessuno niente, no? Eravamo soldato soldati al fronte, ma non lì in città, perché questo non...
 

D.: Quando veniste a conoscenza con certezza che la rappresaglia ci sarebbe stata?

R.: Ah, quello abbiamo già sentito l'altro... il giorno dopo, perché quello... avevano già saputo che se uccidono un soldato tedesco devono morire dieci italiani, quello hanno saputo tutta Roma, perché succedeva tante volte che hanno ammazzato un tedesco, no, quello hanno saputo anche le sentinelle che devono morire dieci per uno.
 

D.: Vi fu chiesto di partecipare alla rappresaglia?

R.: No, no, quello non hanno chiesto a noi, no, perché noi non siamo stati capaci di fare una roba così... perché anche il Maggiore ha detto: quei soldati non sono capaci di fare... perché sono troppo cattolici, perché non avevamo ammazzato nemmeno... tutta la Compagnia nemmeno uno in tutta la guerra, nemmeno loro. Sono liberi quei...
 

D.: Subito dopo lo scoppio della bomba vi fecero richiesta di partecipare alla rappresaglia, oppure cosa accadde?

R.: No, noi non siamo domandati mai... non ci hanno domandato mai di fare... uccidere quelli, perché non abbiamo mai fatto... C'erano... Avremmo anche dovuto farlo, e dopo non abbiamo sentito più niente, perché il Maggiore Dobrick lo ha anche detto che quegli uomini non sono capaci di fare questa roba, lo poteva anche fare lui, dopo lo hanno domandato di fare alla Gestapo, e quelli lo hanno fatto allora, la Gestapo, li hanno ammazzati, e non ne abbiamo saputo proprio niente come, quando, abbiamo soltanto sentito alcuni giorni dopo che hanno... che sono morti 335, non so più...
 

D.: Perché voi dell'XI° Compagnia rifiutaste di partecipare alla rappresaglia se eravate le vittime?

    R.: No, perché noi abbiamo detto noi non facciamo mai... non siamo stati domandati noi, mai siamo stati domandati. Forse il Maggiore, e lui ha detto: no, questo non lo facciamo noi. Anche il Maggiore ha detto che lui non fa una roba così, perché è sempre una cosa, no, ammazzare così tanta gente.
 

D.: Ma Kappler che vi disse, cosa disse Kappler al Maggiore Dobrick quando lui si rifiutò?

R.: Ah, quello con Kappler, non sappiamo niente cosa hanno parlato con Dobrick, quello non so niente, perché Kappler non parlava con i soldati semplici. Era un...  Hauptsturm... come si dice, non so, un Colonnello era.
 

D.: Prova risentimento per i partigiani che hanno messo la bomba?

R.: ... No, il sentimento non era tanto buono, no, che hanno fatto una roba così...
 

D.: Voi detestavate i partigiani, visto che erano così pericolosi.

R.: Amati non li abbiamo...
 

D.: Non li avete amati?

R.: No.
 

D.: Voi del Bozen quando avete saputo che c'era stata la rappresaglia come avete reagito?

R.: Noi abbiamo saputo due o tre giorni dopo che hanno fatto una rappresaglia, non so cosa abbiamo... non è giusto così, perché anche i partigiani se non avrebbero fatto quella roba lì non li avrebbero fucilati nella rappresaglia. Abbiamo pensato poco, perché abbiamo ancora... pieno dei morti, dei nostri compagni, abbiamo sempre ancora... eravamo, come si dice, faccia a terra, si può dire, non abbiamo avuto più tanta voglia...
 

 D.: Ma secondo voi sud-tirolesi era possibile condurre una guerra anti-partigiana in modo diverso?

R.: Noi non abbiamo... contro i partigiani non abbiamo avuto niente, soltanto che abbiamo fatto sevizio per i ponti, per le strade e per le ferrovie, che non rovinavano, perché poi dovevano passare i Tedeschi, no, i soldati, perché durante la guerra andava sempre qualche cosa.
 

D.: Voi cosa pensavate dei partigiani?

R.: Era il nemico, il nostro nemico, perché loro anche avevano ammazzato di più che noi, che i Tedeschi, i partigiani. I partigiani erano un gran nemico.
 

D.: Era possibile fare una guerra di liberazione in modo diverso?

R.: Non capisco come... Cosa significa questo.
 

D.: Secondo te era possibile fare la Resistenza ai Tedeschi senza mettere le bombe?

R.: Possibile era tutto. Noi eravamo sempre contenti che non succeda niente, perché noi non abbiamo fatto ai partigiani niente, neanche loro ci hanno fatto niente, perché noi non eravamo soldati come i Tedeschi proprio, insomma.
 

D.: Voi eravate delle SS?

R.: No, no.
 

D.: Facevate parte delle SS?

R.: Non abbiamo fatto parte delle SS, quella era una pura bugia che hanno detto, eravamo sempre poliziotti, mai delle SS, credevano soltanto loro che eravamo delle SS.
 

D.: E come mai hanno detto sempre questa cosa?

R.: Non lo so, erano tutte storie soltanto, perché questo può dire ognuno che non eravamo delle SS. Ognuno può dire a tutti quello. Questa è soltanto una bugia.
 

D.: Voi chi eravate di preciso?

R.: Cosa eravamo? Tutti contadini. Non siamo stati mica soldati, la maggior parte aveva già quarant'anni, trentacinque, quarant'anni, io ero il più giovane di tutto il battaglione, con venticinque anni. Ma posso capire che possano dire questi grandi che eravamo SS, perché quello è... non si può...
 

D.: Chi erano i vostri ufficiali?

R.: Tutti Tedeschi. Erano tutti Tedeschi, ma anche delle SS, tutti poliziotti. Erano tutti poliziotti...
 

D.: Vi aspettavate degli attentati dai partigiani?

R.: No, no, non abbiamo pensato mai ad un attentato, perché eravamo così tranquilli, eravamo... non abbiamo creduto che succede una roba così, noi eravamo impazziti, l'hanno fatto a soldati che non erano nemmeno soldati, si può dire, eravamo due mesi soldati. Di più non posso dire.
 

D.: Sapevate che cos'erano i G.A.P.?

R.: No, quello non so cos'era, mai sentito.
 

D.: Che c'era un movimento partigiano a Roma...

R.: No, mai sentito, mai, non abbiamo sentito... proprio niente abbiamo saputo di cosa succedeva a Roma.
 

 D.: I partigiani rimproveravano al Bozen di aver partecipato ad azioni di rappresaglia in Piemonte.

R.: Ah, quello sì, quello erano anche tutti... Ma noi no, noi poliziotti no, eravamo sempre a far la guardia, soltanto abbiamo fatto la guardia che non succeda che buttano giù questo ponte o quella via, mai contro i partigiani, non ci siamo incontrati mai.
 

D.: Poco prima però, mi hai detto che i tre battaglioni del Bozen erano stati impiegati nella lotta antipartigiana in Piemonte.

R.: Sì, impiegati, soltanto abbiamo fatto le guardie, soltanto guardie, non avevamo fatto mai ancora con il fucile tutto il tempo, perché i partigiani non andavano più quando noi eravamo sul ponte a far la guardia che non succeda niente al ponte, perché quei ponti lassù e quelle strade erano tutti fatti saltare in aria, che non potevano più passare, coi partigiani non abbiamo proprio... non li abbiamo incontrati mai.
 

D.: Quando scoppiò la bomba che hai provato? Pensasti a qualcosa?

R.: Abbiamo pensato che buttavano delle... era per aria le bombe, come era... non era una cosa nuova, hanno bombardato tutti i giorni in qualche modo, qualche parte, e abbiamo pensato era una bomba degli aerei.
 

D.: La bomba è stata messa il 23 marzo...

R.: Sì, esatto.
 

D.: ... nell'anniversario della fondazione dei Fasci. Come mai per quel giorno non vi aspettavate qualcosa di grave a vostro danno?

R.: Non abbiamo pensato più che abbiamo... perché era tutto tranquillo, non era mica in... linea...
 

D.:  Cosa ti ha dato più rammarico in tutta questa storia?

Io sono Arturo e non ho niente rabbia per gli italiani. Posso soltanto dire che quello... si parla sempre e soltanto dei... quelli che hanno fucilato, e mai di quei tirolesi che hanno anche perduto così tante vittime, e così tante vedove che erano a casa, io conosco due che venivano in ospedale, come si dice, hanno perduto il cervello, e avevano già bambini grandi, tre o quattro bambini, e sempre e soltanto si parla di quello che hanno fatto, non si parla mai... perché quello per me è un grande... un grande... come si dice, non si può nemmeno dire una parola di che cosa è lui, perché questa è una fesseria che ha fatto, chi potrebbe andare... poteva andare...
 

D.: Vuoi dire quello che ha messo la bomba?

R.: Sì, quello che ha messo la bomba, il Signor Rosario Bentivegna, perché a quel nome si diede la medaglia d'oro, e questo qui fa rabbia a tutti i tirolesi che hanno ancora partecipato a quella tragedia, è soltanto sempre lui... io mi vergognerei di stare ancora vivo, perché io dico se non pensa mai quando deve morire a che cosa ha combinato, perché quelle tre o quattrocento persone le ha sempre lui sulla coscienza, aveva sempre fatto lui quel grande errore. Soltanto questa rabbia c'è ancora dentro di noi, perché affari così non si fanno...
 

D.: Che reazione ci fu qui, nel Tirolo, quando hanno saputo che c'era stato un attentato a Roma che aveva procurato tanti morti?

R.: Era terribile, perché lì...
 

D.: E quando poi le famiglie hanno saputo della rappresaglia che c'era stata, cosa hanno detto?.

R.: Non so che cosa hanno pensato, noi eravamo...
 

D.: ... che cosa si pensava in quei giorni?

R.: Io non posso dire che cosa pensavano, perché noi eravamo ancora soldati. Io credo non tanto bene hanno pensato che i loro figli e i loro... non vivevano più, sarà stato sicuro un grande... Si può ben pensare che se trentatré muoiono soldati avevano anche pensato male.
 

D.: Arthur, tu quel giorno, quel 23 marzo del '44 ti sei sentito colpito come italiano o come tedesco?

R.: No, noi non abbiamo avuto rabbia per gli italiani, perché a noi non hanno fatto niente... noi siamo stati... giovani, non abbiamo pensato che cosa succedeva, cosa viene fuori da tutto questo odio...
 

D.: Trascorso molto tempo dall'attentato, mai ne riparlavate fra commilitoni...

R.: Sì, abbiamo parlato giorni e giorni, sempre, perché questo non si dimentica per tutta la vita ormai, una cosa simile, così, per niente, siamo stati al fronte e abbiamo combattuto, altra cosa, ma così in una città libera e così tranquilla com'era Roma non si pensava mai nemmeno... Anche gli italiani giù a Roma hanno detto che hanno fatto male, che come abbiamo sentito noi questo era un colpo grosso e senza... fare qualcosa a questi trenta soldati, la guerra non finisce nemmeno un minuto prima, questo non era... un errore questo, si può dire che era un errore che si dà la medaglia d'oro per una roba così.
 

D.: Ma secondo te perché l'hanno fatto?

R.: Perché lui voleva distruggere i soldati, perché lui ha detto: questa era una cosa di guerra, perché gli Alleati avevano detto di distruggere i Tedeschi che sono nelle città con i partigiani, distruggere, distruggere perché la guerra finisce prima.
 

D.: Ma allora gli italiani non avrebbero dovuto fare la Resistenza?

R.: Quello... La guerra è guerra, quello non si può... La resistenza la fa ogni... anche i Tedeschi l'hanno fatta, tutti la fanno in quel momento, sempre, la guerra è guerra.
 

D.: Sì, ma per liberare l'Italia dai nazisti, come avrebbero dovuto fare?

R.: Erano ormai capaci di farlo. Ormai erano capaci perché erano sulle montagne i partigiani... sempre... perché i Tedeschi avevano adoperato ancora tanti uomini per farli stare dietro, erano tutti... erano migliaia sulle montagne, non facevano niente lassù, soltanto che come qua erano distrutte strade, ponti e tutto quello che stava per fare la guerra.
 

D.: Sì, ma c'è stata anche una guerra partigiana fatta nelle città.

 R.: Quello non so, noi sappiamo sempre che erano sulle montagne, anche di notte abbiamo visto le luci, non è che... abbiamo segnalato insieme, a noi non hanno fatto niente i partigiani.
 

D.: Ma a Roma, per esempio, di attacchi partigiani ce n'erano stati parecchi!

R.: No, quello... io non so quello, non so niente di Roma, perché noi siamo stati soltanto un mese a Roma, di tutto quello noi non abbiamo saputo niente. Forse gli ufficiali l'avrebbero visto, ma il soldato non sa niente, ... niente.
 

D.: Dopo che c'è stata la bomba a Via Rasella che vi è accaduto a voi del Bozen?

R.: Eravamo tutti completamente distrutti, eravamo veramente... pensavamo che... non era giusto quello che hanno fatto secondo me, perché noi non eravamo guerrieri, eravamo soldati tranquilli.
Siamo stati sempre in quella Via Rasella, trenta volte al mese, ogni giorno siamo passati lì nella Via Rasella, ogni giorno, perché siamo stati fuori del campo in piazza d'armi a fare l'istruzione e siamo passati sempre nella Via Rasella, ogni giorno, trenta volte. L'ultima volta hanno fatto quell'attentato, è successo quello.
 

D.: Ma tu sei... Tu sei italiano o tedesco?

R.: Noi siamo cittadini italiani ma parliamo tedesco, perché noi appartenevamo una volta all'Austria. Nella guerra 1914-'18, la Prima Guerra Mondiale, l'Austria ha perso il Südtirol e l'ha vinto l'Italia, e dal Brenta fin lì eravamo sempre italiani... ma la lingua parliamo sempre tedesco, dal Brennero fino a Salorno.
 

D.: Senti, ma i soldati che formavano il battaglione Bozen erano italiani o tedeschi?

R.: Tutti tedeschi, tutti tirolesi. Soltanto gli ufficiali erano tedeschi.
I soldati erano tirolesi, ma noi diciamo tedeschi perché parliamo tedesco. Eravamo tutti italiani noi, come nazionalità eravamo italiani, ma io ho detto che quelli che erano dei battaglioni... però parlavamo tutti tedesco, non siamo mica tedeschi, soltanto la lingua parliamo.
 

D.: So che tu e gli altri commilitoni del Bozen siete stati soldati dell'Esercito Italiano!? Che storia militare avevano i tuoi commilitoni?

R.: Tutti tedeschi, noi eravamo tutti tirolesi.
 

D.: Sì, ma tu mi dicevi che avevate fatto il soldato nell'Esercito Italiano.

R.: Sì, tutti che eravamo nel... tutto il movimento ha fatto il soldato italiano.
 

D.: Su quale fronte?

R.: Non fronte, soldati di vent'anni, normali soldati.
 

D.: Tu dove avevi fatto il soldato?

R.: In Sardegna, in Italia, in Sardegna, in Fanteria, nella Fanteria, tutti dovevano andare a fare il soldato ancora come oggi. Oggi devono anche fare il soldato, anche i tirolesi, tutti in Italia, e così c'era quella volta.
 

D.: Dunque i soldati del Bozen avevano già fatto il militare nell'Esercito Italiano?

R.: Sì, tutti, perché siamo entrati tutti come caporali, perché avevamo fatto il soldato italiano, eravamo tutti caporali già dall'inizio.
 

D.: Tu che grado avevi nel Bozen?

R.: Caporal maggiore.
 

D.: E a che compagnia appartenevi?

R.: L'XI° Compagnia.
 

D.: A Via Rasella quale compagnia fu colpita?

R.: L'XI° Compagnia.
 

D.: Come eravate armati?

R.: Con fucile e mitraglia.
 

D.: Dopo che subiste l'attentato avete reagito anche con le vostre armi contro i partigiani?

R.: Sì, noi abbiamo sparato in giro, perché ci siamo... di dentro, in mezzo, gli altri hanno sparato e abbiamo sparato anche noi, ma quello è naturale, no? Perché noi... Perché tutti quei feriti li abbiamo portati via, erano 56, gravemente feriti anche.
 

D.: Ma tu Arthur come sei riuscito a salvarti dalla bomba?

R.: Non mi ha colpito la bomba, io ero già avanti 20 metri. Io ero davanti nella prima fila a destra, e dietro a me la colonna era a 50 metri, perché era il I° battaglione e il II° battaglione, batteria, e proprio in mezzo alla compagnia esplodeva la bomba, è andata la bomba, proprio quando la compagnia era per metà dentro. Io ero davanti e non mi ha fatto niente. A tre-quattro metri tutti erano già feriti, tutti.
 

D.: Tu li conoscevi i commilitoni che erano morti?

R.: Sì, tre erano di Caldaro, miei amici, tre di Caldaro erano morti, proprio amici che hanno casa sopra, tre erano...
 

 D.: Come si chiamavano?

R.: Uno si chiamava Dissertori Josef, uno Amagassen Karl e l'altro si chiamava... come si chiamava l'altro? Sian  Arthur, Sian Arthur. Poi erano... poi io anche... via casa... di qui.


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