racconti - stories

 
Ricordi afghani
di Antonio Carella
(1997)

PREMESSA

Ho scritto questo articolo nell'agosto 1997, di ritorno da un viaggio a Kabul, dove con una troupe televisiva ho realizzato un reportage per RAI 3. La trasmissione per cui ho lavorato era FILM VERO, che dedicò una serata al problema delle mine anti-uomo. L'Afganistan è uno dei paesi più colpiti al mondo da questa presenza devastante.
I dieci giorni trascorsi in quel paese hanno lasciato un ricordo forte e indelebile dentro di me.
Sono rimasto talmente colpito da ciò che avevo visto che sentii il dovere morale, appena tornato in Italia, di scrivere alcuni articoli che proposi a quotidiani e riviste. Nessuno mi diede risposta, nonostante facessi presente la gravità delle condizioni in cui vivevano gli abitanti di Kabul. Non c'è stato giornale, all'epoca, che ritenesse degno di attenzione un paese lontano da noi come l'Afganistan.

Ho accettato di pubblicare questi articoli per L'ARCHIVIO perchè mi auguro possano contribuire ad una più approfondita riflessione sulle condizioni terribili in cui da più di vent'anni è costretto a vivere questo popolo che sta subendo una violenza dietro l'altra, prima dai sovietici, poi dai talebani,  ora dai seguaci di Bin Laden e dagli americani. Quando, il popolo afgano potrà ritrovare un poco di pace?

Foto Afganistan

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L'aeroporto di Kabul è un aeroporto fantasma. Intorno all'unico tratto di pista d'atterraggio risparmiato dai bombardamenti,  su cui arrivano i piccoli aerei della Croce Rossa, è un fiorire di carcasse di carri armati sovietici e di resti di velivoli dell'Aerflot.
Sul piccolo bimotore della CRI, che in poco più di 40 minuti ci ha portati dal caldo umido di Pessawar, in Pakistan,  alle montagne che incoronano Kabul, Thomas Gunther, uno svizzero alto e grosso di 47 anni, responsabile della delegazione della Croce Rossa a Kabul, in un ottimo italiano ci tranquillizza: "Con l'arrivo dei Taliban nel 1994, Kabul ora è più tranquilla... anche se continua a sparare di notte, soprattutto la contraerea... La guerra contro Massud non è finita..."
Il controllo alla dogana avviene in un cupo stanzone senza vetri, uno dei pochi locali del vecchio aeroporto, rimasto integro. I miei bagagli, insieme a quelli dei pochi altri passeggeri che hanno viaggiato con me, sono sottoposti ad un rigido controllo, da parte di 6 o 7 taliban, vestiti di nero, con turbanti e folte barbe. Sembrano tutti uguali ed hanno un'aria decisamente inquietante. Quasi tutti imbracciano il kalatznikov. Uno di loro scopre nel mio zaino alcune cassette audio, musica di Vivaldi, Mozart e Vangelis, che ho ascoltato con il  walkmen, durante il viaggio in aereo. Lo vedo irrigidarsi e rivolgersi a me bruscamente. Non riesco a capire. Interviene mister Gunther, che risolve con diplomazia la situazione. E' così che vengo a sapere che in Afghanistan musica e video sono vietati, insieme a tutta la stampa occidentale. Quello che più mi colpisce, appena fuori dell'aereoporto, è la sensazione chiara e precisa di essere tornato indietro nel tempo. Come se, per un sortilegio, stessi iniziando un viaggio nel passato. Sono stato precipitato nel medioevo.
A guidarci in città è Amir, un taxista hazara dall'aria sveglia. "Da quando ci sono i taliban se non è finita la guerra almeno non si corre più il rischio di essere derubati. Prima era impossibile viaggiare per le strade: si poteva essere fermati e derubati dell'auto da bande di gente armata. Ai giornalisti rubavano la macchina fotografica, le telecamere... oggi almeno non si corre più questo rischio... anche se..." ed emette un significativo sospiro, facendo un gesto con la mano.
Amir ha 38 anni e 6 figli. Orfano di entrambi i genitori, a 18 anni è andato a guidare autobus a Teheran; quando i sovietici hanno preso Kabul ha aperto una sala di biliardo in città. Dal 1988 si è messo a guidare taxi. "Quando c'era la guerra contro i sovietici, qui arrivavano giornalisti da ogni parte del mondo. Ho accompagnato con il mio taxi tutti i più grandi inviati di guerra, John Burns, Peter Arnett, Patrick Saint- Expury, Ettore Mo... ora ne vengono pochi... sono preoccupato per questa guerra che sembra non dover più finire... ho paura soprattutto per i miei figli... è diventato davvero difficile procurare loro da mangiare tutti i giorni. Continuo a pregare il Signore: - Mio Dio dà la pace al nostro paese! In questi ultimi  anni,  la mia barba è diventata bianca ed io ho solo 38 anni!..."
Man mano che ci avviciniamo a Kabul i segni della guerra si fanno sempre più evidenti: interi quartieri sono completamente distrutti, i tre quarti della città sono ridotti a macerie, sulle strade si circola a fatica a causa delle buche provocate dalle bombe. A ridurla in questo stato non sono stati i sovietici, ma gli scontri senza tregua fra le varie fazioni di mujaidin che si sono succeduti dopo la ritirata sovietica..
Non c'è un solo palazzo dell'antico potere che sia stato risparmiato dalle bombe: il Palazzo Reale, il Centro delle Telecomunicazioni, l' Università, le Moschee.
Kabul è una città che esiste solo sulla cartina geografica. Non c'è un'ambasciata che non sia stata bombardata. Le uniche  che funzionano e mantengono qui i loro funzionari, sono quella pakistana e indonesiana.
Per le strade del centro,  dove si concentrano le poche attività commerciali tipiche di un'economia di guerra, la gente si aggira frettolosa tra la bancarelle, che espongono spezie e poca frutta, accanto a ruote di auto e resti di armi, proiettli, attrezzi meccanici di vario genere, vecchi televisori, che non si sa a che cosa possano servire, visto che la televisione non esiste più.
Lungo le strade spuntano qua e là come totem, palia cui sono appesi arrotolati metri e metri di nastri magnetici, di cassette betacam, quelle che normalmente utilizzano le telecamere. Il popolo afgano vive isolato dal resto del mondo. L'unica musica che viene trasmessa per radio è quella islamica.
Sono soprattutto uomini e anziani che si vedono girare per le srtade, insieme ad una marea di bambini, che ti avvicinano pronunciando la parola magica: "bakhshish", che significa"regalo". Molti di loro hanno una età compresa fra i sei e i dodici anni: sotto braccio hanno una scatola di metallo e fra le mani una spazzola, pronti per lucidare le scarpe solo di occidentali, visto che gli afgani usano sandali. Altri si aggirano per le strade reggendo sulle spalle dei grandi recipienti ricolmi d'acqua, che rivendono a chi ha sete. I bambini sono una delle presenza più inquietanti di Kabul: molti sono orfani, altri sono amputati. I loro sguardi sono un atto di accusa a cui è difficile sfuggire. Non sanno cosa sia la pace,  in un paese dove su 14 milioni di abitanti, più di un milione sono i morti dopo vent'anni di guerra.
L'Afghanistan ha la più alta mortalità infantile del mondo. 500 mila sono i feriti di guerra, 350 mila gli amputati, 4 milioni i rifugiati in Iran, Pakistan, Arabia, 600 i feriti o uccisi ogni mese a causa della guerra.
Oltre ad anziani e a bambini a spadroneggiare per le strade sono i taliban, con le loro divise e turbanti neri, armati di kalatznikov : camminano in gruppo o a bordo di potenti fuoristrada, per lo più Toyota, su cui sono installati mitragliatrici o missili terra-aria. La loro presenza è vissuta da tutti, ma soprattutto dagli  occidentali, come una  continua minaccia. Si può essere fermati, perquisiti e per un nonnulla  venire trattenuti. A volte dipende tutto da uno sguardo, da un sorriso, o dall' umore di chi ti ferma.
Di donne  se ne vedono pochissime  e quelle poche, che si avventurano per le strade,  indossano lunghe burhka dai colori vivaci che ne ricoprono l'intera figura da capo a piedi. Il loro contatto con il mondo esterno avviene attraverso una reticella che lascia scoperta la parte superiore del volto. Le si vede camminare frettolose, quasi temessero di essere scrutate, sorvegliate da tanti sguardi indiscreti, che possono rivelarsi pericolosi.
Per le donne, in Afghanistan è impossibile vivere fuori dalle mura di casa:  i taliban hanno vietato loro ogni attività sociale ed ogni presenza in quel che resta della vita civile.  E se capita loro di ammalarsi,  di essere ferite da una bomba?
"Presto costrueremo ospedali dove saranno ricoverate solo donne e dove i medici sarano altre donne... per il  momento di loro si occupa il nostro personale femminile  e quello delle organizzazioni di volontariato occidentali presenti sul nostro paese." Ci ha detto il Vice Primo Ministro della Sanità Abdul Ranof. "Abbiamo circa 1000 fra medici-donne e infermiere  che lavorano nei nostri ospedali, ma in futuro, con la fine della guerra, questo settore sarà potenziato, insieme ad altre attività svolte solo da donne."
Un altro terribile problema  che si trova ad affronatere l'Afghanistan è quello delle mine. La Croce Rossa Internazionale, ha denunciato la presenza su tutto il territorio di circa 10 milioni di mine, molte di fabbricazione italiana. Questi dati sono contestati  dal dott. Farid Homayoun responsabile  della Halo Trust, un'organizzazione che da anni, grazie agli aiuti di inglesi, americani e comunità europea, sta avviando un'intensa attività di sminamento del territorio, oltre che ad un'organica mappatura del suolo. "Abbiamo iniziato a lavorare nel 1995 - ci dice - ...C'è chi parla di 5, chi di 10 milioni mine in Afghanistan...secondo le nostre stime, invece,  non dovrebbero superare il milione e pensiamo che a Kabul nel giro di due o tre anni, non dovrebbero più essercene, anche perchè i taliban non usano questo tipo di armi".
Ciò non impedisce che ogni giorno in città ci siano tre o quattro vittime di queste armi micidiali: per lo più sono bambini, come ci ha confermato il dott. Sukhi Shaf, primario dell'ospedale Kartesè di Kabul: " Di feriti di questo tipo ne arrivano tutti i giorni... sono in massima parte bambini, che si imbattono in qualche mina nascosta nei campi, dove vanno a  giocare, o, nei boschi, dove  raccolgono legna da bruciare..."
I taliban controllano Kabul da due anni, ma la situazione può mutare da un momento all'altro. Gli oppositori guidati da Ahmad Massoud, uno dei signori della guerra, eroe della resistenza contro i sovietici è arrivato con le sue truppe a 20 km da Kabul.
" I taliban controllano l'80% del paese - ci ha detto Tim Johnston giornalista della Reuter che da anni segue le vicende di questo paese - ...però tutto potrebbe cambiare. Gli oppositori sono ancora forti, soprattutto al nord... la guerra ormai è diventata guerra civile e il rischio più grosso è che accada qui quel che è già accaduto nella ex- Jugoslavia."
In effetti l'Afghanistan da secoli è un coacervo di etnie: il 60% sono pashtun, la vecchia borghesia dominante, che hanno appoggiato fin dal primo momento i taliban, poi ci sono i tazichi, gli hazara, gli uzbechi, i turkmeni, gli arabi, i mongoli. Unificare e pacificare queste etnie non è facile. I taliban che sono arrivati a Kabul dalle scuole coraniche del Pakistan, stanno facendo i loro tentativi imponendo a tutti la rigida applicazione della legge islamica. Le diverse etnie possono, però, mutare con facilità il proprio schieramento, il più delle volte seguendo calcoli di convenienza.
Quel che è certo è che questa parte dell'Asia fa gola a molti: all'Iran innanzitutto, che è il principale oppositore straniero dei Taliban. "Non passa giorno - ci ha confidato il dott. Sh. Amizai funzionario del ministero degli Esteri che ha vissuto per 18 anni in Italia - senza che  Radio-Teheran non dedichi alcune ore di trasmissione a minacciare il governo dei taliban,  dando notizie false sull'andamento della guerra. "
L'Iran ha mire espansionistice in questa zona dell'Asia. La Russia, a sua volta, vede con timore l'avanzata islamica verso le sue frontiere: per questa ragione è il principale alleato dei mujaidin che lottano contro il regime dei taliban. Il Pakistan, invece,  appoggia apertamente il nuovo regime afghano: da questo paese, infatti, il nucleo storico dei taliban, composto di una sessantina di studenti ha  iniziata la  marcia per conquistare il controllo dell'Afghanistan,.
"Una cosa è certa - ci dice Amir, il nostro amico taxista - da quando c'è la guerra in Afghanistan non esistono più ricchi e poveri, siamo diventati tutti poveri..."
In effetti  ci vogliono 23000 soldi afgani per avere un dollaro; lo stipendio mensile di un alto funzionario ministeriale è di circa 200 mila afgani, quello di un facchino è di 100 mila afgani. Ci vogliono 10 mila afgani per un kg. di pane.
La prima notte che ho trascorso nell'unico hotel di Kabul, il Continental, un mastodontico edificio di una quindicina di piani di architettura sovietica, posto su una delle colline della città che sembra sfidare la guerra, sono stato svegliato dai colpi della contraerea talibana che illuminavano il cielo a giorno. Mi sono venute immediatamente in mente le immagini dei bombardamenti americani durante la guerra del golfo. La situazione era pressoché identica.
Per un istante non ho potuto fare a meno di pensare al dialogo avuto durante la cena con l'unico cliente presente nell'albergo, oltre a me e la troupe. Era  uno studente di Tokio, di 23 anni. Studiava cinema. Da un anno stava vagabondando attraverso l'Asia a piedi. Era a Kabul da poche ore e sarebbe ripartito il mattino dopo. Voleva arrivare fino a Istanbul e di là rientrare a Tokio in aereo. Non aveva limiti di tempo. Parlando del cinema di Fellini, di Ozu, ad un certo punto mi sono sentito raggelare dinanzi ad un sua domanda: "perchè? in Afghanistan c'è la guerra?!  io proprio non lo sapevo... Si, mi ha colpito tutta questa gente che gira armata, però pensavo che la guerra fosse finita da un bel po'..."
Quanti europei, o occidentali pensano allo stesso modo a proposito dell'Afganistan?

 
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