racconti - stories

 

LE  MANI
di Antonio Carella

 
 


E’ il gesto della mano tesa ad essergli diventato impossibile.

Un tempo, quanti anni dalla prima volta? non è stato  così. Superata la vergogna,  non era   diverso che usarla per qualsiasi altro bisogno, accendersi  una sigaretta, afferrare un cartone, un pezzo di pane, scansare qualcuno per  strada.
Ma ora  la sente estranea al resto del corpo, una protesi meccanica appartenente ad un altro che non è lui.

Quel palmo spalancato come una bocca affamata, era  l’ unico legame concreto con il mondo. L’ ultima risorsa  per continuare ad essere un uomo vivo. Nonostante tutto

Un giorno non ce l’ha più fatta. La mano  si è  rifiutata di porgersi in quel movimento meccanico di carità. Un urlo che resta strozzato in gola.
Da quel momento ha capito che non avrebbe più chiesto l’elemosina.
Un’illuminazione, sì un’illuminazione, come quella che doveva avere vissuto Paolo di Tarso sulla strada di Damasco.

Non ha importanza chiedersi come sia giunto a quella conclusione: da tempo non cerca risposte ai quesiti che di solito travagliano tutti, il senso della vita, della morte, le ingiustizie, la crudeltà degli uomini. Non sono argomenti che occupano i suoi pensieri. E di notte ha altro cui pensare che arrovellarsi nella ricerca di una spiegazione accettabile sulla presenza del male del mondo.
Preferisce scaldarsi l’anima e lo stomaco con un cartoccio di vino e aspettare che il sonno scivoli sul suo corpo.

Ha  dimenticato nome ed età.
Alla mensa dei poveri, la prima volta che ci era capitato,  la suora, una suora giovane in jeans e pullover, l’aveva chiamato Batiste. Non  s’era mai chiesto perché. Da quel giorno l’ ha scelto come suo nome. Batiste o Giovanni che cosa cambiava per lui?
Dimenticarsi del proprio nome, degli anni che si ha, è come sottoporsi ad un nuovo battesimo. Quello della strada. Era tutto ciò che sapeva. Riguardo agli anni, chi lo incontrava poteva considerarlo vecchio, 60, 70 anni, ma in realtà da tempo non si poneva  il problema.
Avere 40 o 60 anni non significa  niente quando è la strada l’unico destino che ti attende e  la cosa più importante è trovare il modo di non avere freddo di notte.

Ogni tanto nei suoi ricordi annebbiati compaiono immagini ingiallite  di una gioventù che forse ha vissuto, di donne un tempo amate. Volti sfocati. Schegge di memoria.  Ma questo appartiene ad un’altra vita, ad un altro sogno.

Qualcosa ora è cambiato.
Dal momento che le mani avevano preso quella decisione, nulla è stato  come prima.

L’inverno, quell’anno è freddo, più freddo del solito. Ha nevicato e le strade sono  trappole pericolose per chi non ha  le gambe robuste che aderiscono con forza alla terra.

Per prima cosa  ha dovuto rinunciare al luogo di lavoro sul sagrato del duomo della città. Vi sostava nel corso del giorno per racimolare le poche lire che gli servivano per procurarsi da mangiare e soprattutto da bere.  Come si può pretendere di ricevere qualche soldo senza nemmeno protrarre la mano in quel gesto simbolico che la gente si aspetta? E’ questione di dignità: bisogna pur far qualcosa per meritarsi la carità del prossimo.
A dire il vero, da un po’ di tempo, s’era stancato di quell’attività. Era diventata  routine. Conosceva ad uno ad uno  i suoi benefattori: donnette anziane che non perdevano una sola messa del mattino, qualche ragazzo in crisi,  e soprattutto gli stranieri, giovani donne, coppie di sposi, che non  potevano fare a meno di mettere nella sua mano annerita dalla strada, un  bigliettone da cinque o dieci mila.
Diverso era quando capitavano in visita le comitive di turisti:  nella loro furia di entrare,  veniva travolto da piedi, corpi scomposti, macchine fotografiche. Era meglio rifugiarsi in chiesa, sedersi su una panca, e attendere che ritornasse la calma.
In quella semioscurità ,  nel brusio impercettibile dei fedeli, il suo sguardo si  attardava sulla figura del Cristo in croce, sull’altare. Sugli occhi socchiusi in una smorfia, sui palmi inchiodati, sul ventre scavato. Quanti Cristi, più belli e più brutti di quello, riempiono chiese e altari del mondo a richiamare folle di fedeli sull’importanza dell’amore e del perdono? E ciò nonostante il mondo continua a camminare come sempre: i forti  a dettare  le regole e i deboli a subirle in silenzio. Forse la presenza  di tutti quei Cristi  vuole solo  ricordarci che nulla è mai  mutato nella vita degli uomini.
E’ questo che  pensava. Poi  socchiudeva gli occhi e attendeva che la calma ritornasse sulle scale del duomo.

Da quando la sua mano si rifiuta di compiere il gesto, l’unica  risorsa è diventata la mensa dei poveri. Fortuna che in  quegli anni ha avuto modo di farsi un paio di amici che lo riforniscono, di tanto in tanto, di qualche sigaretta o di un cartoccio di vino. Sono più giovani di lui.
Luigi  ha ancora tutti i capelli neri e la barba. E’ un montanaro, con le spalle larghe e le mani di chi con la terra non ci ha mai giocato. Gli piace bere più che parlare. Non ti fa domande.  Questo ha la sua importanza.  Ogni tanto gli capita di condividere con lui il posto dove era solito dormire, in un cantiere in costruzione e, d’estate, sotto i punti del fiume.  E’ simpatico Luigi. Ce l’ha con le donne: non gli ha mai chiesto perché. Una, in particolare lo ossessiona, Loreta. Le sue sono incazzature allegre che si concludono sempre con un’ affermazione: “Le donne sono tutte puttane”. Quello è il segnale che i loro discorsi sono conclusi e possono dormire.
Luigi batte un’altra zona della città, vicino alla stazione. Forse traffica con gli extracomunitari senza permesso di soggiorno. Ha sempre qualche soldo in tasca. Potrebbe permettersi un letto da qualche parte, ma ha scelto di vivere sulla strada. Ho chiuso con quella gente, i normali, intendeva dire, guardali! sono tutti finti. Ognuno si porta in giro  la sua bella maschera, come a carnevale. Questa è la vita. Preferisco tenermi le mie incazzature e non averci nulla a che fare. La nostra è una società di merda.
Una scelta di principio la sua. Anche se, quando si è saltato  il fosso, pensa Batiste, è meglio non avere troppo principi. La legge della strada azzera ogni cosa. A parte questo, Luigi è uno dei pochi  che, se può, ti aiuta. Non ti dice mai di no e in cambio non ti chiede nulla. E’ solo incazzato con tutto e con tutti. Questo alla lunga  rende pesante la sua compagnia. Ma ,di tanto in tanto, passare una giornata  con lui è  illuminante.
Mattia, invece, è  un ometto, sui 50 anni, magro e sottile come una carta velina. Ha perso il lavoro e per la vergogna ha lasciato la moglie e la casa, da cui nel giro di pochi mesi erano stati sfrattati. I primi tempi aveva trovato in Batiste rifugio e consigli per evitare di soccombere nel difficile mestiere di sopravvivere sulla strada.
L’ha conosciuto alla mensa dei poveri.
Faceva la fila da un’ora e continuava a venire scavalcato da qualcuno più furbo di lui. Batiste era appena uscito e stava finendo il suo cartoccio di vino  seduto sul marciapiede. Alla fine si era scocciato di vederlo incapace di reagire e s’ era messo a fare la fila per lui. Da allora sono diventati amici.

Nulla è così difficile come riuscire a cavarsela sulla strada.
Oltre alla pioggia, la neve, il modo per procurarsi da mangiare, bisogna continuamente tenere gli occhi aperti.
Le sorprese ti possono arrivare all’improvviso, da chi meno te l’aspetti. A parte polizia e carabinieri che ogni tanto, non si sa bene perché, ti portano via per accertamenti, diffidandoti di farti trovare di nuovo per strada, sono i ragazzi e le persone cosiddette per bene  che, a volte, ti procurano i guai più seri.
A lui un paio di volte era successo di essere aggredito da un gruppo di otto-dieci individui vestiti normalmente che si definivano le ronde della notte. Era d’estate.  Stava dormendo su una panchina, vicino alla stazione. Mentre lo pestavano di santa ragione, continuavano a urlargli, vergognati! trovati un lavoro! E altre cose del genere. Per non parlare dei ragazzi che vanno in giro  in cerca di avventure  strane e di diverse,  impasticcati di ecstasi e gasati di superalcolici. Robe da non crederci. Da “Arancia meccanica”.
Mattia sembrava una vittima destinata a questo tipo di fine. Glielo ha  detto tante volte,devi essere più cattivo! se no, un giorno  o l’altro, finisci male. Ma ognuno è quello che è. Se si è pecora non si può fingere di essere leoni.

Mattia e Luigi non gli hanno chiesto come mai non poteva più chiedere l’elemosina, né Batiste aveva loro confessato la  ragione del suo impedimento.
Ha ripreso a frequentare la mensa dei poveri più assiduamente accettando senza troppi rimpianti la sua nuova condizione.
 
Quello che gli  da più fastidio è che da quando la mano si rifiuta di compiere quel gesto, nella sua mente cominciano ad affluire, nel corso della giornata, e soprattutto di notte, una serie di immagini e di ricordi del passato che pensava di avere per sempre rimosso. Non sa se le due cose siano collegate, ma ne è turbato.
Da quando vive sulla strada ha chiuso con il passato. Una volta che si è  dall’altra parte della trincea, con la vita di prima è meglio non averci nulla a che fare. E’ il tuo nemico più pericoloso. Se ti assale sei finito. Lo aveva imparato da subito.
Cosa  significano allora quelli immagini, che ritornano con  insistenza nella sua mente? Non vuole darci peso. Il modo migliore per non avere problemi è non porseli.

L’ ultima notte che aveva trascorso al ricovero, Luigi al mattino, svegliandosi gli aveva detto con la voce impastata, hai rotto il cazzo  tutta la notte con un certo Luca e una tale Chiara. La cosa era finita lì, senza altre domande, com’era costume di Luigi.
Lasciandosi, Batiste s’era guardato istintivamente le mani, e soprattutto quella che  si  rifiutava di chiedere l’elemosina.
Uscendo dal ricovero, cominciò a rimuginare le parole di Luigi. Con stupore si rese conto di quanto, in lui,  fosse ancora vivo il ricordo della moglie e del figlio. Da quanto tempo non li vedeva? Dieci, quindici anni? Non sapeva con precisione.

La giornata è fredda.
Un nevischio pungente sembra entrare nella ossa perforandole. Questo è un brutto guaio per i suoi bronchi e polmoni.
Già una volta, l’inverno scorso, l’avevano ricoverato per una broncopolmonite ed era stato salvato per miracolo. Stia attento! Se dovesse ricadere potrebbe essere troppo tardi, gli aveva detto il primario. Niente fumo e alcol e se può veda di trasferirsi in un posto caldo. Questo clima non fa per lei. Gli venne da ridere quando glielo disse. Lui  che era nato e cresciuto al Sud,  vicino al mare, a Capo d’Orlando, in Sicilia, come era finito in quella fredda città del Nord, dove d’inverno ,  oltre alla immancabile nebbia, tutto ciò che si vedeva erano delle montagne coperte di neve?

Una ventata di gelo si impadronisce del suo corpo, mentre attraversa la strada e ancora una volta gli tornano alla  mente le parole del primario.
Cammina a lungo sotto i portici, fermandosi di tanto in tanto dinanzi a qualche vetrina: vestiti, gioielli, scarpe, vestiti e  gli tornano, come uno stridore lacerante, i ricordi della moglie e del figlio.

Chiara andava pazza per i gioielli, soprattutto d’oro bianco. Se voleva vederla veramente felice, aveva solo da regalarle un anello, degli orecchini. Una volta, l’anniversario di matrimonio, le aveva  regalato un collier. Gli era costato una fortuna. Non la vedeva così felice dal giorno in cui si erano sposati.
Luca, suo figlio, aveva meno pretese. A otto anni cominciò a trascinarlo nei negozi di scarpe da ginnastica dove gli sciorinava tutto il suo sapere in materia, prima di farsene comperare un paio.  Un tempo per lui era questa la normalità. Prima che ogni cosa precipitasse.

Gestiva  un’agenzia finanziaria.
Nel giro di una decina d’anni era riuscito a mettere su un bel po’ di soldi, che l’avevano spinto ad acquistare con un mutuo una villa in collina e a comperare una barca, un 12 metri, per le  escursioni nelle Eolie. Avevano trovato una piccola casa, a Filicudi, un vecchio rudere di pescatori, che poco per volta aveva restaurato. Insomma un regime di vita di tutto rispetto per chi aveva preferito uscire di banca per avventurarsi nei mari degli investimenti finanziari al momento giusto. Poi, mentre Chiara continuava a pretendere sempre di più…perché non era mai contenta di quello che aveva, di quello che le dava?… un giorno l’ aveva scoperta con il giovane amante in un ristorante del centro. Al momento aveva pensato ad un’altra persona, poi  vide quel collo lungo e sottile, quegli occhi incantati che solo lui credeva di conoscere e non ebbe più dubbi.
La sera c’era stata una violenta scenata. Scaricò su Chiara tutta la sua rabbia, la prese a schiaffi e calci.  Un pugno le gonfiò un occhio.
Per una settimana Chiara si vergognò ad uscire di casa.
Luca non era presente. Era in vacanza  studio in Inghilterra.
Da quel momento la sua vita cambiò.
Come se un tir gli fosse passato addosso sull’autostrada. Ogni suo pensiero nel corso della giornata correva ai possibili tradimenti della moglie.

Chiara era una bella donna, un viso delicato su un corpo  prepotente.
Batiste l’amava, aveva fatto ogni cosa per renderla felice.
Dopo quell’episodio fra loro l’incanto si ruppe. Un vaso di cristallo andato in frantumi. E non ci fu più verso di rinsaldarlo. Forse fu a causa di quell’episodio, forse  per alcuni investimenti sbagliati, ma i suoi affari iniziarono a precipitare. La banca gli ipotecò la villa, fu costretto a vendere la casa di Filicudi  e la barca.
Chiara, con Luca, l’abbandonò. Luca aveva dieci anni e non poteva capire l’origine di quel disastro familiare. Non gli parlarono mai di quanto era accaduto in sua assenza. Era stato un modo per tutelarlo. Da cosa?
Chiara nel giro di sei mesi era ritornata a Palermo, da suo padre, un generale in pensione.
Il loro amore era franato, come una palla di neve in un mare di menzogne.
Di una cosa Batiste era sicuro: lui amava Chiara, come non aveva amato nessun’altra donna. Lo stesso poteva dire di Chiara?
Si erano conosciuti in banca e appena sposati la moglie decise di lasciare il lavoro. Voglio un figlio ed  occuparmi della casa, gli aveva detto. Era stata Chiara a spronarlo a mettersi in proprio, a cercare di far soldi, a raggiungere uno stato sociale privilegiato, che per lei era una necessità. Come respirare o fare l’amore. Era una donna ambiziosa, ma la sua ambizione passava attraverso il successo del marito. Uno strano impasto di cultura meridionale e di carrierismo settentrionale.
All’inizio del loro rapporto si concedeva con pudore, quasi vergogna. Era stata proprio la sua ritrosia, oltre che la bellezza solare a convincerlo a chiederle di sposarlo. Senza trascurare che erano entrambi siciliani e questo, secondo lui, era un vincolo che li avrebbe uniti per sempre.

Per un po’ di tempo Batiste era  vissuto in pensione.
Dalla villa era stato cacciato via. Tentò di riciclarsi sul mercato del lavoro, ma quando si ha sulle spalle un fallimento come il suo, è difficile trovare  credibilità, a chiunque ci si rivolga. Persino gli amici, dimenticano di esserti stati amici.
Una sera, rientrando, la proprietaria della pensione gli ricordò che era in arretrato di tre mesi nel pagamento della camera. La mattina dopo, lasciò la  sua roba nella stanza. Raccolte in una piccola sacca le cose essenziali, si era ritrovato libero in strada.
Quella divenne la sua casa.

Da allora sono trascorsi 15 anni.

All’inizio aveva provato  una sensazione di ebbrezza, poi l’ebbrezza si era trasformata in  angoscia, per consolidarsi negli ultimi anni in un distacco senza rimpianti. Una condizione di atarassia, che  poteva sfiorare una specie di misticismo post-industriale, da terzo millennio.

Fino a quando viveva in pensione aveva mantenuto i contatti con il figlio Luca.
Non appena si trovò sulla strada, aveva deciso di scomparire dalla loro  vita e soprattutto di cancellarli dalla sua.
In tutti quegli anni,  solo tre o quattro volte gli è tornata l’immagine sfumata di Chiara, dei suoi fianchi , di quel collo lungo da Madonna del Pamigianino. Poi l’ immagine svanì come tante altre e fu sostituita dal ricordo ricorrente della scenata che aveva segnato la fine del loro amore: il pugno e gli schiaffi che avevano violato quel volto delicato, come una stampa del 600. Gli capitava di rivedere, come un’ossessione, in dettaglio, le sue mani enormi, violentare senza pietà quel viso, quasi con piacere. Il sangue che fluisce dal naso sbriciolato come una statua di porcellana.

Ecco se c’è una cosa che ancora lo turba profondamente e da cui  non è riuscito a liberarsi, sono i dettagli  di quella scena: le sue mani.
Passano e ripassano nella sua mente al rallentatore. Tentacolari. E insieme  gli occhi di Chiara che gridano: basta!  ma lui non riusciva a fermare quelle mani, perché non le ha fermate?

Camminando sotto i portici ripensa a quei momenti come un incubo.
Oltrepassa i portici e si ritrova sotto il nevischio, che sta  diradando. Si ferma sul sagrato del Duomo. Si stupisce di  come abbia potuto passare tanti anni su quelle scalinate.
Entra in chiesa.
Sosta su una delle panche dinanzi al solito crocifisso.
Guarda le sue mani ribelli.

Forse è questione di tendini.  O più semplicemente è l’inizio della degenerazione del suo corpo. Come  spiegare quell’impossibilità a sollevare le mani in un gesto che per tanti anni gli ha permesso di sopravvivere?
Questo pensa mentre fissa il Cristo.  Socchiude gli occhi. Si addormenta.

Quando esce di chiesa è già buio.
Si ricorda che non ha mangiato nulla. Alla mensa dei poveri non farà più  in tempo ad arrivare. Ha smesso di piovere, ma il freddo s’è fatto più pungente. E’ meglio  raggiungere la baracca poco lontana dal fiume, dove tiene nascosti cartoni e stracci per le notti più fredde. Aveva recuperato anche una vecchia stufa a legna. Era quello il suo ultimo rifugio.

Gli e’ tornata la tosse e forse ha la febbre. Le strade sono intasate di auto e di gente che rientra nelle proprie case. Luci, fari, frenate, semafori, si rincorrono fra passi svelti e insegne al neon. Hanno tutti fretta di tornare a casa.

Continua a tossire.
Batiste, si ritrova lungo le rive del fiume silenzioso e scuro. Si inoltra  in mezzo ad una boscaglia di sterpi e pioppi. Trova la  baracca in lamiera. Ora c’è silenzio. Dal tetto, in parte scoperchiato, la luna emerge tra la nuvolaglia. Domani tornerà il sole, pensa.
L’unico suono che sente è lo scorrere lento del fiume, lungo le rive. Si distende sul pavimento, si accartoccia nei cartoni avvolti in un telone di iuta.
Si strofina le mani. Le guarda. Quasi a  chiedere loro perdono.

Si volta su un fianco e si addormenta.

Ora finalmente è in pace con se stesso. Sa che il suo viaggio è  terminato.


 
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