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MARZO 1937
RAPPORTI ITALO- JUGOSLAVI
Belgrado, 26 marzo 1937-XV
Prima di procedere alla firma dei documenti già concordati a Roma, il
presidente Stoiadinovic ed io abbiamo compiuto un largo giro di orizzonte per
informarci reciprocamente delle direttive di politica estera dei due Paesi e
per concordare l'azione da svolgere in futuro.
Ho per il primo parlato al presidente Stoiadinovic, con molta chiarezza, senza
infingimenti e riserve, tenendo a fargli capire che era intendimento del Governo
Fascista di dare all'accordo italo-jugoslavo una portata ampia e un contenuto
solido.
Allorché egli ha avuto conoscenza della nostra situazione, delle nostre
direttrici di marcia e del nostro programma, ha parlato con altrettanta franchezza.
Ha cominciato col dire che, data la posizione geografica della Jugoslavia e
in considerazione di quelle che sono le possibilità politiche del suo
Paese, egli rifugge dall'idea di fare una politica europea e piú ancora
da quella di una politica mondiale, volendo conservare invece alla Jugoslavia
i1 ruolo principale e determinante nella penisola balcanica. Titulescu, che
era portato da vanità personali a volersi occupare di cose piú
grandi di lui, ha messo sovente la Romania in una posizione difficile, dalla
quale forse neanche oggi è riuscita a trarsi.
I rapporti con l'Italia sono ormai definiti dagli accordi firmati il 25 marzo.
Ma questi accordi non sono se non la prima benché piú difficile
tappa verso l'alleanza dei due Paesi che anche Stoiadinovic considera naturale
e fatale per necessità economiche, politiche e storiche.
Con la Francia i rapporti della Jugoslavia sono ormai affievoliti. In questi
ultimi tempi la Francia ha proposto alla Piccola Intesa di stringere una alleanza
militare, alleanza che avrebbe dovuto essere diretta a difendere la Cecoslovacchia
da una minacciata aggressione germanica. Stoiadinovic ha con ogni pretesto ritardato
di quattro mesi la risposta. Adesso non intende piú ritardarla e si propone
di far conoscere le sue decisioni in occasione del prossimo Convegno della Piccola
Intesa, che avrà luogo a Belgrado il 1° aprile. Risposta nettamente
negativa. Cosí come sarà negativa la risposta all'eventuale e
probabile proposta di alleanze bilaterali tra Francia e Jugoslavia e tra la
Francia e gli altri Paesi della Piccola Intesa.
Stoiadinovic cosí spiega le ragioni della sua nuova politica: "Noi
non abbiamo ricevuto e non riceviamo niente dalla Francia. Economicamente, per
la Jugoslavia vale zero. Finanziariamente, abbiamo contratto con la Francia
dei debiti che paghiamo regolarmente, a un tasso di usura. Militarmente, essa
è stata fino ad ora, insieme alla Cecoslovacchia, la principale fornitrice
di armi. Ma non ci ha regalato una sola baionetta. Quello che abbiamo preso
lo abbiamo pagato, cosí come pagheremo l'Italia, dato che in futuro intendiamo
concentrare nel vostro Paese e in Germania le nostre ordinazioni di materiale
bellico.
"Aggiungerò che l'influenza culturale e morale che la Francia ha
sinora esercitato sul nostro Paese, è divenuta veramente deleteria e
disgregatrice: stampa e letteratura sono le espressioni della mentalità
giudaica, massoneggiante e comunistoide della Francia di Blum.
"Del resto quando noi ci eravamo impegnati ad una politica militare di
collaborazione con la Francia, la situazione era del tutto diversa. Si prevedeva
che, in seguito ad una offensiva tedesca contro la Cecoslovacchia, l'Italia
avrebbe reagito in senso antigermanico ed avrebbe permesso alle truppe francesi
- cosí almeno ci è stato detto a Parigi - di attraversare la valle
del Po per andarsi a battere in Austria, contro le truppe del Reich. Tutto ciò
ormai è sfumato. Qualora la Germania attaccasse la Cecoslovacchia, noi
dovremmo, col debole e incerto aiuto militare romeno, invadere l'Ungheria, per
portarci in aiuto dei cecoslovacchi. Ma anche ammesso che a noi sia possibile
di occupare totalmente l'Ungheria (ed io considero ciò molto difficile),
arriveremmo alla frontiera ceca soltanto in tempo per incontrare i resti del
battuto esercito di Praga. Alle nostre spalle avremmo la sterminata ostile Ungheria.
Di fronte, le vittoriose armate tedesche. Un incontro sgradevole ed un rischio
che non possiamo far correre al popolo jugoslavo. Tanto piú che esso
non prova alcun sentimento di ostilità verso i magiari e nessuna solidarietà
con la Cecoslovacchia. Dalla prossima riunione di Belgrado nascerà un
ulteriore raffreddamento di rapporti tra la Francia e la Jugoslavia e forse
un urto aperto. Mi si accuserà di egoismo. I francesi accusano sempre
di egoismo chi non è disposto a farsi ammazzare per loro. Ciò
mi lascia completamente indifferente, dato che sono riuscito a concludere con
l'Italia un accordo, che considero fondamentale per la politica del nostro Paese.
"Per quanto concerne invece la Piccola Intesa, ritengo che essa, almeno
formalmente, non subirà alcuna trasformazione. La Cecoslovacchia ha tutto
l'interesse di lasciare i cocci al loro posto per non far senz'altro apparire
dove, come e quanto il vaso sia rotto. Ma sta di fatto che, mentre i rapporti
tra Jugoslavia e Romania rimarranno inalterati, e cioè solidali e cordiali,
quelli invece tra questi due Paesi e la Cecoslovacchia si ridurranno ad una
vuota formalità.
"Benes mi ha detto che quando si accorgerà di non poter piú
contare sulla Piccola Intesa, sulla Francia e sulla Società delle Nazioni,
troverà sempre il modo di mettersi d'accordo con i tedeschi. Per parte
mia l'ho consigliato e lo consiglierò in tal senso. Coloro, e cioè
i francesi e gli inglesi, che lo consigliano alla resistenza ad oltranza nei
riguardi di Hitler, sono gli stessi che consigliarono il Negus alla resistenza
armata nei confronti dell'Italia. Senza di loro probabilmente Hailé Selassié
sarebbe ancora ad Addis Abeba. Mussolini ve lo avrebbe lasciato, alle sue dipendenze.
Per la Cecoslovacchia, la situazione si presenta analoga: allorché le
cose si complicassero veramente e la Germania passasse all'azione, coloro che
oggi incoraggiano l'ostilità di Praga contro Berlino, si allontanerebbero
e Benes si troverebbe solo."
Passando ad esaminare i rapporti della Jugoslavia con l'Austria il Presidente
Stoiadinovic ha detto che egli ritiene che 1'Anschluss sia inevitabile. L'Austria,
cosí com'è, non ha né le condizioni morali né quelle
materiali per vivere. Ciò nonostante conviene ritardarlo per quanto possibile.
Ma questo ritardo dovrà essere fatto con mezzi tali da non provocare
un conflitto o soltanto un attrito con la Germania.
D'altra parte, egli considera con maggiore serenità il problema pangermanista
da quando ha creduto possibile la realizzazione di una intesa prima, e di una
alleanza in futuro, tra Jugoslavia e Italia. Intorno all'asse Roma-Belgrado
si polarizzeranno, ad Anschluss realizzato, tutti quei Paesi che debbono per
la loro vita opporsi alla calata tedesca verso l'Adriatico o lungo la valle
del Danubio. Il blocco che ne sorgerà sarà tale da dissuadere
i tedeschi da ogni insano tentativo.
Conviene aggiungere che il fatto che la Germania abbia insistito a Roma e a
Belgrado per un'intesa tra gli italiani e gli slavi del Sud, depone molto favorevolmente
nei riguardi delle intenzioni, anche remote, del popolo tedesco. Se realmente
il nazismo puntasse verso l'Adriatico, sarebbe stato di una imperdonabile miopia
nel facilitare tale unione, destinata a divenire operante in ogni settore nel
caso di una minaccia tedesca. Anzi avrebbe dovuto adoperarsi per rendere insanabili
le incomprensioni e i conflitti tra l'Italia e la Jugoslavia.
Tutto ciò, comunque, vale per un futuro aleatorio e certamente molto
lontano. Allo stato degli atti i rapporti tra la Jugoslavia e la Germania sono
ottimi. Checché il mondo ne pensi essi sono, da qualche tempo a questa
parte, molto migliori di quanto non siano i rapporti tra Jugoslavia e Francia.
Già una forte attività militare e commerciale si sviluppa fra
i due Paesi. La collaborazione di Belgrado all'asse Roma-Berlino si deve considerare
acquisita, anche perché tale asse rappresenta il baluardo effettivo contro
la minaccia piú grandemente temuta dalla Jugoslavia: quella del comunismo.
L'influenza rossa è stata deleteria per tutti i popoli, ma particolarmente
pericolosa appare a Belgrado ove la identità della razza, l'affinità
del temperamento, l'analogia della lingua, renderebbero in special modo facile
il compito a quei propagandisti bolscevichi che riuscissero a portare l'infezione
delle loro idee tra gli slavi del sud.
Il comunismo - a dire di Stoiadinovic - non è ancora largamente diffuso
in Jugoslavia. Ha fatto una certa presa nelle classi intellettuali e particolarmente
tra gli studenti universitari di Belgrado ove lo professano un paio di centinaia
tra i settemila giovani che frequentano l'Università. Tra i croati si
è abbastanza radicato e anche, ma meno, in alcuni centri sloveni. Contro
tale minaccia reagisce vivamente il Governo e soprattutto funziona attivamente
la solida e sana barriera costituita dai piccoli proprietari di campagna e dalle
grandi masse agricole che formano l'ossatura della Nazione jugoslava.
I rapporti con l'Ungheria sono migliorati e tendono ancora a migliorare. Di
recente il Governo di Budapest ha offerto a Stoiadinovic un patto unilaterale
di non aggressione, che egli trova di massima accettabile. Concluso tale patto,
la Jugoslavia a breve scadenza emanerebbe un nuovo statuto delle minoranze ungheresi,
che non dovrebbe apparire quale contropartita del primo, ma che in realtà
sarebbe opportunamente concordato con l'Ungheria. Stoiadinovic intende marciare
in questa direzione. Io l'ho incoraggiato, aggiungendo che il miglioramento
delle relazioni tra Belgrado e Budapest influirà in un senso positivo
e benefico sui rapporti Roma-Belgrado.
Per quanto concerne la Romania, Stoiadinovic dimostra un maggiore ottimismo
di quanto non lo animasse allorché Titulescu era Ministro degli Esteri.
Verso quest'ultimo si è espresso in termini duri e spregiativi. Lo ha
accusato di aver legato la Romania alla Russia per calcoli personali e forse
addirittura per esserne stato corrotto. Titulescu aveva concordato con Mosca
il passaggio delle truppe russe attraverso la Bessarabia per portarsi all'attacco
della Germania. Ma Re Carol e Tatarescu, nei recenti colloqui con Stoiadinovic,
hanno affermato che tale politica è ormai apertamente sconfessata e che
non permetteranno mai alle truppe russe di entrare in quella Bessarabia che
una volta invasa, sia pure come alleati, continuerebbero a mantenere come mascherati
oppressori e magari come nemici aperti.
La Romania adesso persegue una politica di amicizia con la Jugoslavia e la Polonia
e ciò con evidente funzione antirussa. Ma sopratutto la politica jugoslavofila
è indispensabile al Governo di Bucarest. Stoiadinovic non attribuisce
che uno scarso peso militare ai romeni. Ma fa grande conto delle loro risorse
agricole e delle loro illimitate riserve di petrolio. "Comunque" egli
ha detto "o la Romania farà parte del nostro sistema, e allora avremo
a nostra disposizione il grano e i pozzi di petrolio; o la Romania sarà
contro di noi e, in breve tempo, i pozzi li avremo ugualmente."
Egli si è quindi occupato della posizione in cui si troverà la
Romania dopo aver rifiutato le offerte di alleanza francese e mi ha chiesto
quanto noi fossimo disposti a fare in favore di Bucarest. Ho risposto che la
nostra amicizia coi magiari ci impediva di andare troppo oltre nelle relazioni
con i romeni, pur non esistendo, all'infuori del revisionismo ungherese, alcun
contrasto tra l'Italia e la Romania. Anzi, di recente, avevamo concluso un trattato
di commercio che triplica quasi i nostri scambi. Se un giorno, com'io speravo
e ritenevo possibile, si trovava tra Bucarest e Budapest un modus vivendi, noi
avremmo potuto fare molto di piú. Per ora, comunque, Stoiadinovic poteva
dire ad Antonescu che, nella nuova situazione che sta per determinarsi nei Balcani
e nell'Europa danubiana, l'Italia è disposta a considerare con maggiore
attenzione e con una cordialità piú viva che non nel passato,
la nazione romena.
Ottimista nei confronti del patto bulgaro-jugoslavo, Stoiadinovic ritiene che
le relazioni tra i due popoli si svolgeranno con un ritmo di crescente cordialità
e che la saldatura operata tra bulgari e serbi è destinata a mantenere
paralleli i destini futuri delle due nazioni slave.
Buoni rapporti sono quelli che esistono oggi fra la Jugoslavia, la Turchia e
la Grecia. Ma in realtà rapporti non molto serrati e, a quanto mi è
stato dato di capire, non privi di numerose riserve mentali per quanto concerne
il futuro.
Oggi la Jugoslavia è un paese territorialmente soddisfatto. È
quello che dalla grande guerra ha ricavato di piú. Nel 1912 la Serbia
contava 2.400.000 abitanti. Dopo la guerra balcanica salí a 4.000.000.
Adesso gli jugoslavi sono oltre 15.000.000 e il ritmo della natalità
è assai promettente. I problemi che oggi si presentano alla Jugoslavia
non sono quelli di una espansione territoriale. Per almeno dieci anni, la costruzione
di opere pubbliche, il potenziamento dell'economia nazionale, la elevazione
spirituale e culturale del popolo, saranno le mete cui tenderà il Governo.
Ma quando un giorno larghi orizzonti e nuovi sbocchi saranno richiesti dal vigore
di vita del giovane popolo jugoslavo, penso che sarà proprio nella direzione
della Grecia e della Turchia che la marcia avrà inizio. Ben poco Stoiadinovic
si è preoccupato dell'Albania. Essa - ha detto - aveva una grande importanza
allorché la diplomazia europea riusciva a tenere lontane e nemiche l'Italia
e la Jugoslavia.
Rappresentava per noi un'arma puntata nel fianco. Ma oggi, nel nuovo clima,
non vi è piú alcuna ragione di considerarla tale e il problema
albanese ritorna ad assumere le sue vere proporzioni: quelle di un modesto problema
locale. Ho concordato con Stoiadinovic. E per debito di lealtà gli ho
detto che mi preparavo, nel giro di poche settimane, a fare una visita a Re
Zog, cosí come avevo visitato le capitali di tutti i Paesi amici ed alleati.
Da parte di Stoiadinovic nessuna obiezione.
Dei grandi Paesi lontani, il Presidente Stoiadinovic ha parlato soltanto dell'Inghilterra
come di quella che, senza alcuna ragione diretta, pretende o aspira ad esercitare
una influenza notevole sulla politica jugoslava.
"Durante le sanzioni l'Inghilterra ha cercato di spingere la Jugoslavia
ben piú lontano di dove siamo arrivati nella politica di ostilità
all'Italia. Cessate le sanzioni l'Inghilterra ha continuato a lusingarci e a
prometterci un aiuto nel Mediterraneo. Noi non ne abbiamo bisogno. Intanto mi
domando se l'Inghilterra è in grado di aiutare noi o qualsiasi altro
Paese nel Mediterraneo, dato che essa ha dovuto cosí ripetutamente sollecitare
il nostro aiuto allorché si è trovata ai ferri corti con voi.
E poi, io non ho fiducia nel riarmo britannico. Il gioco del poker è
un gioco anglosassone e tutti noi sappiamo che il bluff si usa molto spesso
per cercare di salvare almeno una parte del proprio denaro. Anche se l'Inghilterra
porterà a termine il suo riarmo materiale, ciò non significherà
che essa abbia assunto di nuovo il suo ruolo nel mondo. Piú che le armi
valgono gli uomini. Ed io nutro molti dubbi sulla volontà e sullo spirito
di combattimento dell'odierno popolo britannico. Da troppo tempo ha fatto assegnamento
sul miracolismo societario per essere oggi in grado di impugnare la spada. Io,
la Società delle Nazioni, non la tengo in nessun conto. Ne faccio parte,
e debbo continuare a far parte, più per necessità di opinione
pubblica e per forza di inerzia che non per mia convinzione personale. Ho l'onore
di non essere mai stato a Ginevra e questo onore intendo di conservarlo per
sempre. E anche i1 patto che ho stretto con voi, e che nonostante i possibili
cavilli della interpretazione è certarnente un patto al di fuori e magari
anche contro la S.d.N., è una prova della mia scarsa simpatia per Ginevra.
Il formale riconoscimento dell'Impero italiano ne è un'altra. Allorché
francesi e inglesi protesteranno per quello che chiamano il riconoscimento de
jure, risponderò loro che io non avevo il mezzo di fare un riconoscimento
de facto. E se si lamenteranno dell'avere io preso tale decisione senza informarli,
risponderò che nemmeno Londra e Parigi mi hanno informato quando hanno
soppresso la Legazione di Addis Abeba. Cosí come mi propongo di rispondere
alla Francia, la quale, nonostante i comunicati Havas, non ho mai informata
del corso delle trattative con Roma, che il suggerimento di fare un accordo
con l'Italia mi è proprio venuto dal loro Presidente del Consiglio. Allora
era Laval, adesso è Blum. Non è colpa mia se in Francia, il Governo
e le idee cambiano cosí spesso."
Ho cercato di riassumere con una certa larghezza i colloqui avuti con il signor
Stoiadinovic. Essi rispecchiano la sua personalità, che mi ha fatto una
reale profonda impressione. Stoiadinovic è un fascista. Se non lo è
come affermazione aperta di partito, lo è certamente per la sua concezione
dell'autorità, dello Stato e della vita. La sua posizione nel Paese è
preminente. Con l'appoggio del Principe Paolo, che mi ha dichiarato avere per
lo Stoiadinovic una illimitata fiducia e una cordiale simpatia, e operando alla
testa di un partito che raccoglie la gran maggioranza dei Paese, Stoiadinovic
ha adesso, e piú si prepara ad assumere nel futuro, la figura dittatoriale
in Jugoslavia. È animato da una volontà irriducibile ed ha una
mentalità chiara ed aperta. I suoi piani si rivelano assai manifesti
dalle cose che mi ha detto e che ho prima riassunto. Nel riguardi dell'Italia
egli ha certamente l'intenzione di portare molto oltre l'opera di unione e di
collaborazione. D'altra parte, firmando il patto del 25 marzo, egli, e me lo
ha detto, si è nettamente impegnato a marciare su tale strada. E dalle
impressioni che ho avuto nel mio breve soggiorno in Jugoslavia ho tratto il
convincimento che per noi vi sia grande vantaggio ad intensificare l'azione
comune coi nostri vicini di Oriente.
Anche nel campo economico Stoiadinovic intravede sempre più larghe possibilità.
Per quanto concerne l'autarchia militare del sistema italo-jugoslavo, le materie
prime dei nostri vicini e la nostra attrezzatura industriale si completano in
modo felice. A tal fine Stoiadinovic ed io siamo rimasti d'accordo di restare
in contatto per preparare e sottomettere al Duce, a suo tempo, un vasto piano
di attività.
Con gli accordi di Belgrado e sopratutto nell'atmosfera che, a Belgrado, Stoiadinovic
ha determinato, io credo che la collaborazione italo-jugoslava sia destinata
a svilupparsi e a giocare un ruolo determinante nella penisola balcanica e nell'Europa
danubiana. Conviene adesso da parte nostra svolgere un'accurata attività
per potenziare queste condizioni di favore. Intanto bisogna vedere largo e lontano
e non soffermarci sui piccoli problemi di carattere personale, che alcuni interessati
cercano e cercheranno di agitare per compromettere la nascente amicizia e la
futura alleanza fra Italia e Jugoslavia.
Con Stoiadinovic siamo rimasti d'accordo di dissipare subito, e in forma diretta,
qualsiasi equivoco che dovesse prodursi in futuro o qualunque sospetto che immancabilmente
i Paesi delusi dalla nostra unione tenteranno di insinuare nel nostro o nel
loro animo per intorbidare quelle acque, che intendiamo mantenere chiare. A
tal fine, ed oltre i normali mezzi diplomatici, Stoiadinovic mi ha accreditato
per eventuali comunicazioni riservate ed urgenti, il fratello, deputato alla
Scupcina e suo collaboratore. Per casi analoghi, io gli ho indicato Anfuso.
Inoltre, data la vicinanza, potremo vederci con una certa frequenza. Nell'agosto
si propone, ed io lo ho incoraggiato, di venire a passare qualche giorno al
Lido di Venezia. Piú tardi, in novembre, sarà a Roma per rendere
omaggio al Duce. E si potrà, in futuro, pensare anche ad una visita del
Reggente Paolo.
Poi conviene che l'industria, la banca e la cultura si orientino decisamente
verso questo nuovo naturale singolarissimo sbocco dell'Italia Fascista. A Belgrado,
come in nessun'altra capitale europea, ho trovato una profonda conoscenza della
lingua e della cultura italiana. Non soltanto tra i vecchi, ma anche nelle nuove
generazioni, cioè fra coloro che si sono affacciati alla vita mentre
piú violento era il contrasto fra le due Nazioni adriatiche, la conoscenza
vaga o precisa dell'italiano è quasi generalizzata nelle classi piú
elevate.
Se ciò è stato possibile durante i venti anni di aspra frizione,
tutto lascia credere che nel nuovo clima che gli accordi hanno determinato e
piú ancora determineranno, l'Italia potrà in breve e vantaggiosamente
rimpiazzare in Jugoslavia proprio quella Francia che fino ad ora si è
tanto adoperata per tenercene cosí scrupolosamente lontani.
webmaster Fabio D'Alfonso