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NOVEMBRE 1937
MUSSOLINI A COLLOQUIO CON VON RIBBENTROP
Roma, 6 novembre 1937 - XV
Il Duce, dopo avere rilevato la grande importanza del Patto a tre anticomunista
concluso in mattinata, ha affermato che a suo avviso esso costituisce il primo
fondamentale gesto che condurrà ad un'intesa ben piú stretta di
ordine politico e militare tra le tre Potenze. Nel frattempo, poiché
ormai siamo cosí strettamente interessati alle vicende dell'Estremo Oriente,
conviene esaminare con attenzione quanto si sta svolgendo colà. Dato
che la Conferenza di Brusselle è destinata a sicuro insuccesso, il Duce
si domanda se non sarebbe conveniente per la Germania e per noi di esaminare
la possibilità di una nostra mediazione per porre fine al conflitto.
Una pacificazíone dell'Estremo Oriente è utile ai fini di mantenere
integra la forza militare giapponese per un'eventuale futura azione antirussa.
D'altra parte ciò deve tornare gradito anche alla Cina la quale dopo
aver opposto delle resistenze, rese possibili dal periodo caratterizzato "dalla
crisi di sbarco" delle forze giapponesi, non ha alcuna facoltà di
arrestare L'avanzata nipponica. Ribbentrop dice di essere d'accordo col Duce
sulla opportunità di una pacificazione in Estremo Oriente. In un colloquio
da lui recentemente avuto col Rappresentante del Principe Kanin, Capo di Stato
Maggiore Giapponese, e che praticamente è L'uomo che ha imposto queste
operazioni militari contro il volere del Ministero degli Affari esteri anglofilo
e liberale, ha saputo che anche L'esercito desidera finire al piú presto
le operazioni, però dopo essere arrivato a battere in forma definitiva
le forze cinesi. La pace col Governo di Ciang Kai-scek è impossibile.
Bisogna quindi che a Nankino si stabilisca un nuovo Governo. Anche presso L'Ambasciata
tedesca in Giappone sono stati compiuti passi diretti ad ottenere una eventuale
mediazione. Ma di questi passi lo Stato Maggiore giapponese era completamente
all'oscuro. Il Führer sarebbe favorevole alla mediazione, la quale dovrebbe
basarsi su due elementi: l'adesione della Cina al Patto tripartito anticomunista
e l'impegno del Giappone a rispettare tutti gli interessi stranieri in territorio
cinese.
Il Duce concorda su tale punto di vista e dice che eventuali trattative in tale
senso dovranno essere condotte nel piú assoluto segreto, salvo a rendere
pubblica la mediazione una volta conseguito lo scopo. Qualsiasi indiscrezione
sarebbe pregiudizievole. Ciano fa presente che tra giorni giungerà a
Roma il Ministro della Propaganda cinese Ch'en Kung-Po, uomo molto influente
negli ambienti del Kuomintang, appartenente alla fazione nettamente ostile a
Ciang Kai-scek ed amico di Wang Ching-Wei. Eventualmente il signor Ch'en Kung-Po
potrebbe venire presentato e potremmo valerci di lui per conversazioni confidenziali.
Il Duce e Ribbentrop aderiscono. Si passa quindi a parlare delle ripercussioni
che il Patto anticomunista avrà negli altri Stati. Ribbentrop ritiene
che la reazione inglese sarà piú viva di quanto non sia previsto,
dato che questo Patto sarà giudicato l'alleanza delle Nazioni aggressive
contro i Paesi soddisfatti. L'Inghilterra moltiplicherà i suoi sforzi
per avvicinarsi all'America. Ma ciò probabilmente sarebbe avvenuto anche
senza l'Accordo tripartito.
Il Duce concorda nel ritenere che i cattivi umori americani saranno esasperati
da un'intesa col Giappone, che è considerato, senza ragioni evidenti,
il nemico tradizionale e potenziale degli Stati Uniti. Comunque anche questa
volta gli americani non faranno niente. Quando fu soppressa la massoneria, si
minacciarono violente reazioni. Esse sono invece totalmente mancate. Cosí
come mancano adesso, mentre noi stiamo conducendo una campagna antisemita assai
decisa e sempre piú intensa guidata da un uomo abbastanza popolare in
Italia, l'on. Farinacci, e che già ha in Roma due organi di stampa, il
"Tevere" ed il "Quadrivio" e molti aderenti specialmente
nel mondo universitario. Le minacce americane sono sempre inconsistenti: sembrano
montagne e sono vesciche.
Si passa quindi a discutere la situazione spagnola. Il Duce riassume l'attuale
stato delle nostre forze e dichiara che salvo imprevedibili novità non
manderà piú uomini in Spagna, dato che Franco non ne ha bisogno
avendo recentemente congedato la classe del 1908. Il nostro Corpo Volontario
verrà ancora impiegato in Aragona nella prossima battaglia, che potrà
essere decisiva. Dopo di che, noi siamo disposti a cominciare l'evacuazione
delle forze di fanteria, lasciando invece in Spagna gli specialisti del Genio,
delle Artiglierie, di Carri Armati e l'Aviazione. Ormai Franco ha la vittoria
in pugno e dovrebbe conseguirla rapidamente, anche perché da notizie
precise e da molti indizi risulta che i rossi sono demoralizzati e la resistenza
nell'interno della Spagna bolscevica è ridotta al minimo. Se però
un fatto nuovo dovesse ancora minacciare le posizioni di Franco e se il conseguimento
della vittoria richiedesse uno sforzo ulteriore, il Duce è disposto a
farlo, sia pure mediante l'invio di nuove forze regolari. Intanto concorriamo
efficacemente al blocco navale avendo ceduto a Franco sei sottomarini e quattro
navi di superficie.
Adesso merita attenzione l'atteggiamento dell'Inghilterra nei confronti di Franco.
Non vi è dubbio che Londra si è accorta di avere giuocato sul
cavallo perdente e cerca adesso di compiere una rapida conversione verso la
Spagna Nazionale. L'Italia e la Germania debbono essere estremamente guardinghe
perché il problema si presenta per noi di particolare interesse sotto
un duplice aspetto: finanziario e politico. In primo luogo abbiamo speso in
Spagna circa quattro miliardi e mezzo. Le spese tedesche, secondo quanto ha
detto Göring, si avvicinano ai tre miliardi e mezzo di lire. Vogliamo e
dobbiamo essere pagati.
Ma vi è anche e sopratutto un aspetto politico. Vogliamo che la Spagna
Nazionale salvata in virtú degli aiuti di ogni natura italiani e tedeschi,
rimanga strettamente legata al nostro giuoco. D'altra parte anche l'aspetto
finanziario del problema è legato a quello politico: soltanto se la Spagna
rimarrà nel nostro sistema, potremo contare su un completo indennizzo.
Bisogna quindi che Roma e Berlino si mantengano in stretto contatto per agire
in modo che Franco faccia sempre, e sempre piú, la nostra politica. Franco
ha dato prova di possedere delle qualità singolari in uno spagnolo. È
calmo, discreto, di poche parole. Nei nostri confronti, specialmente in questi
ultimi tempi, ha mantenuto un atteggiamento di viva simpatia. Però è
innegabile che egli sente già alcune influenze negative, come quella
dei grandi proprietari terrieri e dell'alto clero. Né bisogna dimenticare
che il Capo del suo Gabinetto diplomatico, signor Sangroniz, si è rivelato
anglofilo e di tendenze liberali.
Ribbentrop vorrebbe conoscere quale è l'esatta nostra situazione a Maiorca
e quali sono le intese al riguardo. Il Duce risponde che Franco concentrando
tutta la flotta a Palma ha voluto dare una pubblica prova della sua sovranità
sull'isola. Sta di fatto che noi abbiamo costituito a Palma una base navale
ed una base aerea: vi teniamo delle navi in permanenza ed abbiamo tre campi
di aviazione. Intendiamo restare in questa situazione il piú a lungo
possibile. Ad ogni modo bisogna che Franco si persuada che Maiorca deve rimanere,
anche dopo una nostra eventuale evacuazione, una base italiana in caso di guerra
con la Francia: intendiamo, cioè, tenervi pronte tutte le attrezzature
per potere in poche ore fare entrare l'isola di Maiorca nel gioco effettivo
delle nostre basi mediterranee. Valendoci della base di Maiorca, di quella di
Pantelleria e delle altre già esistenti ed agguerrite, non un solo negro
potrà venire dall'Africa in Francia attraverso il Mediterraneo.
D'altro lato già 50.000 uomini adesso, e il doppio nel futuro, impegneranno
ai confini libici le forze francesi ed inglesi. Si può prevedere che
la parte piú importante della prossima guerra sarà giuocata in
Africa. Gli inglesi non amano la guerra terrestre perché detestano la
coscrizione ed odiano la caserma. Proprio per queste ragioni bisogna imporre
loro la guerra terrestre. Quando la "Home Fleet" è venuta nel
Mediterraneo furono subito inviate sette divisioni in Libia. In tal modo si
era certi che la flotta non avrebbe agito. Tale nostro gesto fu giudicato da
taluni una provocazione: era invece una garanzia. Bisogna anche aggiungere che
le forze terrestri inglesi non possono vivere a lungo in Egitto e sopratutto
non vi potrebbero operare. Quelle che furono spostate verso le nostre frontiere
in occasione del conflitto etiopico, furono ben presto colpite dalla dissenteria
ed ebbero gravissime perdite.
Tornando all'atteggiamento di Franco, il Duce afferma che questi dovrà
necessariamente restare legato al nostro sistema politico perché, in
primo luogo, la nostra pressione ne impedirà il distacco, ed anche poiché
la sua ideologia essendo vicina alla nostra, egli si è avviato su una
strada dalla quale non gli sarà permesso retrocedere.
Adesso Franco darà battaglia in Aragona. Anche in questa occasione, che
può essere risolutiva, Franco può contare appieno sul nostro appoggio.
Subito dopo prenderemo contatto per definire nettamente i suoi rapporti politici
con noi. In primo luogo dovrà aderire al Patto anticomunista. In secondo
luogo faremo un Patto a tre col quale Franco si ingaggerà ad armonizzare
la politica spagnola con quella dell'asse Roma-Berlino.
Ribbentrop, che in questi ultimi tempi ha avuto frequenti contatti con la Turchia,
narra come negli ambienti turchi si sia ancora preoccupati dell'atteggiamento
italiano nei confronti di questo Stato. Egli dice che la Turchia sarebbe una
buona carta nel nostro giuoco e, a suo avviso, esisterebbe ancora la possibilità
di guadagnarvela.
Domanda al Duce spiegazioni circa lo stato attuale dei nostri rapporti con la
Turchia. Il Duce, dopo avere riassunto l'andamento delle relazioni italo-turche
in questi ultimi anni, ripete che la Turchia non ha la minima ragione di preoccuparsi
dell'Italia ed autorizza Ribbentrop a far sapere ai circoli responsabili di
Ankara che egli è disposto a dare ancora una volta la garanzia ed a rinnovare
la dichiarazione che l'Italia non ha mire antiturche. Una prova di ciò
è data dal fatto che abbiamo rinnovato il Trattato alla sua scadenza.
Eventualmente saremmo anche disposti a rafforzarlo.
Ribbentrop parla infine della questione austriaca. Premettendo che quanto egli
dice è a titolo puramente personale, fa presente al Duce che nel grande
giuoco della politica di Roma e di Berlino, l'Austria rappresenta ormai un elemento
di secondaria importanza e ritiene che ad un certo momento converrà risolvere
in forma definitiva tale questione, sulla quale ancora speculano i nemici della
politica comune italo-tedesca. Il Duce risponde che l'Austria è un Paese
tedesco di razza, di lingua e di cultura. La questione austriaca non deve venire
considerata come un problema tra l'Italia e la Germania, ma invece come un problema
di ordine internazionale. Per parte sua ha dichiarato, ed ora ripete, che è
stanco di fare la sentinella all'indipendenza austriaca, specialmente se gli
austriaci non vogliono piú la loro indipendenza. Il Duce vede cosí
la situazione: l'Austria è lo Stato tedesco N. 2. Non potrà mai
fare niente senza la Germania, e tanto meno contro la Germania. L'interesse
italiano non è oggi piú cosí vivo come lo era alcuni anni
fa e ciò anche per lo sviluppo imperiale dell'Italia, che ora ne ha fatto
convergere l'interesse sul Mediterraneo e sulle Colonie. La Sicilia è
il centro geografico dell'Impero. Bisogna poi anche aggiungere che a far diminuire
l'interesse italiano in favore dell'Austria ha contribuito il fatto che gli
austriaci non hanno minimamente modificato il loro stato d'animo freddo e negativo
nei nostri confronti. Secondo il Duce il miglior metodo è quello di lasciare
agli eventi il loro naturale sviluppo. Non conviene bruscare la situazione per
evitare crisi di ordine internazionale. D'altra parte i francesi sanno che se
una crisi si dovesse verificare in Austria, l'Italia non farebbe niente. Questo
è stato detto anche a Schuschnigg in occasione del colloquio di Venezia.
Noi non possiamo imporre l'indipendenza dell'Austria, che per il fatto stesso
di una tale imposizione cesserebbe di essere indipendente. Conviene quindi in
materia austriaca rimanere sulla formula che fu enunciata nel colloquio avuto
con Göring a Karinal: niente sarà fatto senza reciproca preventiva
informazione.
Il colloquio iniziatosi alle 17,30 ha avuto termine alle ore 19.
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