A settanta anni dalla loro redazione ecco per la
prima volta in rete i documenti che Galeazzo Ciano
allegava al suo DIARIO

 

 

RAPPORTO DELL'AMBASCIATORE GRANDI AL MINISTRO CIANO

 

Londra, 18 febbraio 1938 - XVI


N. 1023/466

Mio incontro con Ckaniberlain

A seguito del mio telegramma cifra N. 127 di ieri sera, invio stamane ulteriori dettagli sul mio incontro di ieri col Primo Ministro.
Per comprendere esattamente i motivi che hanno determinato questo incontro, e il modo con cui esso si è svolto, occorre tenere anzitutto presenti gli avvenimenti di politica interna e internazionale di queste due ultime settimane e precisamente:

1. - L'acutizzarsi dei dissensi fra le due correnti del Gabinetto britannico, l'una favorevole ad un accordo con l'Italia (Chamberlain), la seconda contraria ad un accordo con l'Italia (Eden).
2. - La ripercussione suscitata in Inghilterra dagli avvenimenti austriaci di questi giorni.

È in questo clima politico che va collocato il mio incontro di ieri con Chamberlain, e di questo clima politico occorre tener presente per valutare di questo incontro il contenuto, le conclusioni e le ripercussioni nella politica interna britannica.
Come ho informato nel mio telegramma N. 122 di avant'ierisera, mercoledí 16 corrente, e di nuovo giovedí 17 corr., Eden ha sollecitato una mia visita al Foreign Office dicendo che aveva necessità di parlarmi. Ho risposto che non potevo, ed ho aggiunto essere comunque preferibile attendere per il nostro colloquio nuove istruzioni da Roma che mi risultavano essere già in viaggio per Londra. Giovedí 17 corrente Eden ha telefonato di nuovo insistendo per vedermi e parlarmi nella mattinata stessa. Mi sono di nuovo schermito allegando addirittura come pretesto che ero impegnato ad una partita di golf (io odio il golf ma fingo di giocarlo quando occorre). Desideravo infatti che Eden capisse chiaramente che io non volevo recarmi al Foreign Office e conferire con lui in queste giornate, durante le quali la politica internazionale sembra dominata dalle notizie degli avvenimenti austriaci ed una mia visita ad Eden nelle giornate di mercoledí e giovedí, sarebbe stata facilmente sfruttata, direttamente o indirettamente, dal Foreign Office per costruire in margine ad essa il facile e desiderato canard di "consultazioni" italo-inglesi in conseguenza degli avvenimenti austriaci. Ciò avrebbe facilitato Eden a uscire dalla posizione di palese imbarazzo in cui egli si trova da tre giorni ai Comuni, ed avrebbe gettato un'ombra sull'asse Roma-Berlino. L'una e l'altra cosa costituivano l'evidente obiettivo di Eden. Ed io, in considerazione appunto di ciò, ho ritenuto opportuno reagire alla sua manovra. Ho anche informato V. E. che dopo essermi rifiutato, col pretesto di cui sopra, di recarmi al Foreign Office è venuto a trovarmi nel pomeriggio di giovedí Sir Joseph Ball, segretario generale del Partito Conservatore, uomo di fiducia di Chamberlain e che dal mese di ottobre u. s. funziona da collegamento diretto e "segreto" fra me e Chamberlain. Sir Joseph Ball col quale dal 15 gennaio sono in contatto si può dire quasi giornaliero mi ha detto di essere incaricato da Chamberlain di farmi presente l'opportunità di non sottrarmi al colloquio sollecitato da Eden, in quanto che "era assai probabile" (queste sono le testuali parole di Ball) che lo stesso Primo Ministro Chamberlain intervenisse al colloquio. Ho illustrato a Ball le ragioni per cui ritenevo da parte mia di dover evitare in questi giorni un incontro con Eden. Io non potevo assolutamente prestarmi, ho detto, a nulla che potesse essere eventualmente sfruttato in Inghilterra e fuori d'Inghilterra come manovra contro l'asse Roma-Berlino e contro quella che è la solidità dei rapporti fra l'Italia fascista e la Germania nazista. Se il Primo Ministro riteneva opportuno avere un personale contatto con me, io ero sempre pronto a recarmi a Downing Street in qualsiasi momento. Ball ha riferito subito a Chamberlain, e piú tardi nella serata, alle ore 20, è giunto all'Ambasciata direttamente dagli Uffici di Downing Street l'invito telefonico di Chamberlain di recarmi all'indomaní alle 11,30 per un colloquio col Primo Ministro.
Ho ritenuto opportuno premettere questi precedenti di fatto necessari per inquadrare il colloquio.
Chamberlain mi ha accolto assai cordialmente ed ha incominciato col dirmi che egli aveva ritenuto opportuno che anche il Ministro degli Esteri Eden assistesse a questo incontro. Ho risposto naturalmente che io ero lieto di ciò.
Dopo le solite premesse di carattere generale introduttivo che gli inglesi sono soliti fare sempre, esattamente come i cinesi e come i turchi quando hanno qualcosa da dire che a loro preme particolarmente, Chamberlain ha puntato direttamente con queste parole nella sostanza delle cose: "La situazione dell'Europa e soprattutto le notizie degli avvenimenti in Austria durante questi ultimi giorni, sono molto disturbing, non vi pare?"
Ho risposto a Chamberlain, molto tranquillamente, che non da pochi giorni bensí da molto tempo la situazione dell'Europa è disturbing. E non ho aggiunto altro.
Chamberlain è rimasto per un po' silenzioso come aspettando che io dicessi di piú. Poi egli stesso, visto che io continuavo a rimanere silenzioso, ha affrontato l'argomento spinoso, e cioè l'Austria. Egli ha detto che gli avvenimenti austriaci, e cioè le notizie pervenute a Londra circa la improvvisa azione tedesca di violenta nazificazione dello Stato austriaco, avevano avuto in Inghilterra la piú seria e sgradevole ripercussione. "L'azione tedesca contro l'Austria" Chamberlain ha continuato "è evidentemente destinata a produrre mutamenti nell'equilibrio europeo e vi è da domandarsi che cosa rimane oggi e sopratutto cosa rimarrà domani, fra poco, dell'indipendenza austriaca. Questa esiste ancora formalmente, ma è chiaro che se la Germania procederà, come sembra determinata a farlo, sulla strada iniziata affrettando i tempi della nazificazione dell'Austria, l'indipendenza austriaca sarà tra non molto compromessa in un modo definitivo e per sempre".
Chamberlain ha continuato dicendo che l'attitudine italiana di fronte agli avvenimenti austriaci era in questi giorni oggetto di particolare attenzione e anche di illazioni e interpretazioni le piú diverse e contraddittorie: "Io stesso", ha detto Chamberlain "pure rendendomi conto di molte cose, non riesco a comprendere questo atteggiamento "passivo" dell'Italia. Vi sarei sinceramente grato se voi poteste spiegarmelo e illuminarmi."
Ho risposto a Chamberlain che la posizione dell'Italia era semplice, chiara e rettilinea, nella questione austriaca come in tutto il resto, e che pertanto ritenevo superfluo procedere a tale richiesta illustrazione. "D'altra parte" ho continuato "io non ho su questo punto istruzioni dal mio Governo, né mi sento autorizzato a parlare di questo argomento che non ha nulla a che vedere con le progettate conversazioni italo-britanníche e sul quale io non desidero, comunque, entrare in discussione di sorta".
Chamberlain ha allora detto di avere ricevuto un telegramma di Lord Perth da Roma, nel quale questi informava di una breve conversazione avuta col Ministro Ciano, durante la quale il Ministro Ciano aveva accennato ad una lettera di istruzioni inviata a Londra all'Ambasciatore Grandi. Lord Perth aggiungeva di avere desunto dalle parole del Ministro degli Esteri italiano che in tale lettera si parlava dei recenti avvenimenti austriaci. Chamberlain mi ha domandato se effettivamente io avevo ricevuto delle istruzioni e se potevo comunicare il loro contenuto.
Ho risposto a Chamberlain che avevo, precisamente pochi momenti prima di recarmi a Downing Street, ricevuto una lettera di istruzioni del mio Ministro, ma che nessuna comunicazione formale io ritenevo di dover fare al Governo britannico e, comunque, mi rifiutavo di discutere il problema dell'Austria.
A questo punto è intervenuto Eden osservando che dopo tutto l'Italia non ha mai denunciato gli impegni di Stresa nei quali era prevista una consultazione fra Italia, Francia e Inghilterra sul problema austriaco.
Ho replicato seccamente a Eden che fra Stresa e gli avvenimenti austriaci di oggi erano intercorsi esattamente tre anni, durante i quali si erano verificati alcuni avvenimenti di una sufficiente importanza internazionale che davano da se stessi, con chiara evidenza, le ragioni della differenza tra l'attitudine italiana nell'aprile 1935 e l'attitudine italiana nel febbraio 1938, e che nessuno meglio di lui, Eden, poteva comprendere tutto ciò.
Chamberlain è intervenuto in questo mio primo battibecco con Eden dicendo che egli si rendeva conto della mutata situazione e anche del mio formale rifiuto a discutere col Governo britannico il problema dell'Austria. "Ma è pur necessario" Chamberlain ha continuato "che io, come Primo Ministro della Gran Bretagna, allo scopo di prendere una decisione definitiva su quella che sarà la politica britannica nei confronti dell'Italia, e perché io possa rendermi esatto conto delle prospettive dei futuri rapporti italo-britannici e della convenienza o meno, per l'Inghilterra, di un accordo effettivo con l'Italia, abbia con voi, nella vostra qualità di Ambasciatore d'Italia, un chiarimento preciso, in questo momento. La situazione lo rende necessario ed urgente. Domani sarebbe forse troppo tardi. Io non vi domando di discutere "il problema dell'Austria". Voi vi siete rifiutato testé di farlo, ed io mi rendo conto dei motivi che determinano il vostro rifiuto. Ma questo non vuol dire che voi non possiate e non vogliate aiutarmi a comprendere le ragioni dell'odierna attitudine italiana di fronte agli avvenimenti di questa settimana. L'attitudine italiana" Chamberiain ha continuato "ha dato, come vi ho eletto, motivo alle supposizioni e interpretazioni più diverse. Il Governo britannico è stato informato, ad esempio, e l'importanza dell'informazione è tale che il Governo britannico non può trascurarla (a questo punto Chamberlain ha guardato in faccia Eden), dell'esistenza di un accordo segreto fra il Führer e il Duce, per il quale l'Italia avrebbe dato il suo preventivo assenso all'intervento tedesco e nazista nella politica interna austriaca ed al conseguente progressivo assorbimento dell'Austria, in cambio di determinati e specifici impegni da parte tedesca di secondare determinati disegni dell'Italia nel Mediterraneo e in Europa. Mi occorre sapere in un snodo preciso da voi che cosa vi è di vero in tutto ciò".
Ho risposto a Chamberlain che l'informazione data al Governo britannico era falsa.
Chamberlain ha replicato dicendomi che potrebbe darsi anche che io, come Ambasciatore a Londra, non conoscessi tutti i particolari delle relazioni fra Roma e Berlino per cui egli era costretto a domandarmi se questa smentita recisa io la facevo in senso assoluto, per diretta conoscenza dei fatti, ovvero soltanto "as far as I know". Ho risposto a Chamberlain che gli smentivo nel modo più reciso ed assoluto, in base a quanto mi risultava proprio dalle comunicazioni fattemi stamane da V. E., qualsiasi notizia del genere. Chamberlain si è mostrato visibilmente soddisfatto di questa mia risposta ed ha guardato di sfuggita Eden, il quale non si è mosso. Chamberlain ha ripetuto egli stesso le mie parole di smentita, dicendo che desiderava essere certo di avere compreso esattamente e alla lettera quanto io avevo dichiarato. Egli ha continuato dicendo che egli prendeva atto con soddisfazione della mia smentita, e si sentiva autorizzato in base ad essa a considerare quindi come falsa e tendenziosa l'informazione pervenuta al Governo britannico. Ciò nonostante, ha continuato Chamberlain, vi sono alcuni punti e aspetti per i quali l'attítudine di "ostentata passività" dell'Italia di fronte ai gravi avvenimenti austriaci degli scorsi giorni rimane incomprensibile ed io ho bisogno, sempre allo stesso scopo di definire la politica inglese in vista di un possibile chiarimento definitivo delle relazioni italo-britanniche, di rendermi conto piú a fondo delle ragioni che hanno determinato l'attitudine italiana e di quella che è in questo momento la posizione dell'Italia.
Ho risposto a Chamberlain che non avevo nessuna difficoltà a fare ciò, tanto piú - ho detto - che non si tratta se non di ripetere, elencandoli nella loro successione cronologica e nella loro conseguenza di causa ed effetto, avvenimenti da tutti conosciuti.
Ho cominciato col ricordare l'attitudine dell'Italia fascista di fronte al progetto Curtius-Schober di Zollverein austro-tedesca nel 1931. Le buone relazioni fra l'Italia e la Germania anche in quel periodo e la collaborazione italo-tedesca in materia di disarmo, abolizione delle riparazioni e revisioni dei trattati, non impedirono al Duce di schierarsi decisamente contro questo progetto di unione, economica in apparenza, ma di fatto politica della Germania con l'Austria. Ho ricordato successivamente la tenace, costante, personale azione del Duce per dare vita, uno dopo l'altro, ai vari Protocolli italo-austriaci attraverso i quali il Duce ha, con considerevoli sacrifici di carattere economico e finanziario, alimentato giorno per giorno i centri di resistenza austriaca alla minaccia tedesca e dato coscienza e virilità alla floscia coscienza patriottica dell'Austria. Tutto ciò - ho continuato - avendo sistematicamente contro, in questa opera di raddrizzamento politico interno austriaco, la Francia e i suoi alleati i quali, accecati da un meschino livore antifascista e anti-italiano, hanno sempre cercato di ostacolare direttamente o indirettamente l'azione che il Duce stava conducendo in Austria, in definitiva nel comune vantaggio. La Francia e i suoi satelliti si sono rivelati in definitiva, e sopratutto in questi ultimi anni, gli alleati più efficaci dei medesimi disegni tedeschi. Ho ricordato l'aperta protezione data dal Duce al Cancelliere Dollfuss, l'assassinio avvenuto in circostanze a tutti ben note di quest'ultimo, la mobilitazione italiana al Brennero nel luglio 1934, mentre la Francia e l'Inghilterra, preoccupate a chiacchiere della questione austriaca, ma assai prudenti nei fatti, si limitavano ad un compiacimento "verbale" per le misure adottate dall'Italia, e di cui si guardarono bene dal seguire l'esempio. Tutta l'Europa sa che se il complotto, iniziatosi con l'assassinio di Dollfuss, fu scongiurato e l'indipendenza austriaca allora salvata, ciò si deve esclusivamente alle Divisioni italiane in armi ai confini austriaci. Poi è venuta, nell'aprile 1935, la Conferenza di Stresa coi suoi Protocolli e simultaneamente l'inizio del conflitto italo-etiopico con tutto il seguito da tutti conosciuto. Mentre l'Inghilterra e la Francia si dichiaravano, nei Protocolli diplomatici, pronte insieme all'Italia a garantire l'indipendenza austriaca, la stessa Inghilterra e la stessa Francia promuovevano e attuavano quelle "sanzioni" che sono state una autentica guerra in atto di 52 Nazioni contro l'Italia, allo scopo esclusivo di infliggere all'Italia, col pretesto di una guerra economica, una vera e propria sconfitta militare e politica. Dopo il trionfo delle armi italiane in Africa e la vittoriosa resistenza dell'Italia alle sanzioni, Inghilterra e Francia, invece - ho continuato - di prendere subito atto di questa realtà e cercare, per quanto possibile di ricucire quella che era stata la solidarietà di Stresa, hanno, con ogni sorta di pretesti, primo fra tutti il pretesto dell'intervento italiano in Spagna, sempre piú palesemente dimostrato la volontà determinata di un'azione politica ostile al cento per cento contro l'Italia fascista. Quello che oggi - ho concluso - sta accadendo in Austria è la conseguenza diretta della politica inglese e francese di questi ultimi tre anni. Le Potenze occidentali sono state certamente i piú validi alleati del programma espansionistico della Germania nazista e hanno la responsabilità di quanto sta accadendo in Austria. La spiegazione dell'attitudine italiana di fronte agli odierni avvenimenti austriaci non deve quindi ricercarsi in assurdi "complotti" fra Roma e Berlino, ma soltanto nella politica di Londra e di Parigi.
Chamberlain mi ha ascoltato attentamente mostrando di non sgradire affatto questa specie di filippica, sia pure condensata in una semplice elencazione cronologica di fatti e avvenimenti e poiché Eden ha fatto cenno di parlare, Chamberlain è intervenuto dicendo: "Non mi sembra il caso, in questo momento, di entrare a discutere di responsabilità. Potrei forse anche dirvi che non posso condividere certi giudizi da voi dati. Ma esaminiamo il presente. Qual è in questo momento e sopratutto quale sarà nel futuro la posizione dell'Italia di fronte, non soltanto agli avvenimenti austriaci, ma sopratutto agli altri maggiori problemi europei? Sino a qual punto deve considerarsi compromessa l'indipendenza austriaca dall'azione tedesca iniziata quattro giorni or sono? È proprio certo che non si puo arrestare o almeno ritardare questa azione tedesca diretta al completo assorbimento dell'Austria? "
Ho replicato a Chamberlain ripetendo che io non intendevo discutere col Governo britannico la questione austriaca e che egli doveva limitarsi a prendere atto della mia netta smentita circa l'esistenza di asseriti contratti o accordi fra Germania e Italia circa l'Austria. "Ma poiché" ho continuato "voi mi ponete dei quesití circa la posizione dell'Italia nella politica generale dell'Europa, io sono pronto a esporvi, sulla base delle istruzioni ricevute stamane da Roma, il pensiero del Governo Fascista."
Ho creduto infatti che fosse venuto il momento nella conversazione con Chamberlain di fare ciò e, sulla base delle istruzioni ricevute, di porre al Governo britannico in termini di cruda nettezza la posizione dell'Italia dopo gli avvenimenti austriaci di questi giorni, allo scopo di dimostrare l'urgenza di addivenire ad un rapido accordo totalitario e definitivo con l'Italia fascista, con la premessa indispensabile del riconoscimento da parte britannica dell'Impero italiano in Etiopia. Ho detto testualmente a Chamberlain che la netta smentita che avevo dato all'esistenza di un accordo segreto di carattere europeo fra la Germania nazista e l'Italia fascista si riferiva al presente, ma non al futuro. La futura posizione dell'Italia di fronte al problema generale della pace europea e dell'assetto futuro dell'Europa dipende esclusivamente - ho detto - da quella che sarà, nell'immediato futuro, l'attitudine effettiva della Gran Bretagna verso l'Italia. Fino a questo momento l'attitudine della Gran Bretagna è stata deliberatamente ostile all'Italia. Tutto il popolo italiano è conscio e convinto di questa verità, che del resto l'azione e l'iniziativa britannica si incaricano di confermare giorno per giorno. Gli avvenimenti austriaci di questa settimana hanno impresso, non vi è dubbio, un movimento accelerato al dramma europeo. Nessun Paese può piú a lungo attendere. L'Italia da parte sua non può più aspettare e domanda di saper subito, e una volta per sempre a fatti e non a parole, se l'Inghilterra intende rimanere un Paese nemico ovvero se è decisa a porre fine a questo capitolo dei rapporti italo-britannici che dura da tre anni, e addivenire ad un accordo totalitario, definitivo, senza zone d'ombra o ragioni di future frizioni o differenze con l'Italia fascista. "Non si deve credere" ho detto a Chamberlain, esprimendomi con le stesse parole di V. E., poiché di piú efficaci non avrei potuto trovarne "che il Duce sia oggi piú ansioso di ieri di stringere la mano all'Inghilterra. Come ieri Egli è desideroso di un'intesa se questa è possibile; come ieri Egli è pronto ad affrontare qualsiasi prova, anche la piú dura. La conclusione dei pourparlers può quindi essere positiva o negativa. Non spetta solo all'Italia di assumersi una tale responsabilità: l'Inghilterra deve prenderne una congrua parte. Ma bisogna che una conclusione vi sia e vi sia rapidamente. Poiché se nuovi ritardi venissero ancora causati, allora per l'Italia non esisterebbe più l'alternativa e il Duce dovrebbe indirizzare definitivamente la politica italiana in un senso di netta, aperta, immutabile ostilità contro le Potenze occidentali."
Chamberlain ha mostrato di ascoltare con ancora maggiore attenzione queste mie parole e ha detto: "Desidero essere sicuro che ho inteso esattamente quanto voi mi avete detto e cioè che qualora non si addivenisse subito ed immediatamente ad un chiarimento definitivo della situazione dei rapporti fra Italia e Inghilterra, l'Italia si sentirebbe ormai irrimediabilmente costretta a scegliere una volta per sempre e in modo definitivo una posizione politica e degli impegni che possono risultare ostili alle grandi Potenze occidentali".
Ho risposto che era cosí e che egli aveva esattamente capito. Chamberlain ha guardato Eden ed ha ripreso domandandomi quali erano i suggerimenti pratici che, secondo il mio avviso, potevano portare in questo momento a dei positivi risultati fra Italia e Inghilterra.
Ho risposto: "L'inizio immediato di conversazioni ufficiali a Roma, senza ulteriori procrastínazioni o condizioni pregiudiziali: siano queste condizioni dichiarate apertamente, ovvero mascherate e poscia ripresentate apparentemente in forma diversa, ma identiche nella sostanza".
A questo punto Eden è uscito dal silenzio ostile mantenuto sino allora ed è intervenuto direttamente e con tono aspro, nella discussione fra me e Chamberlain. Eden ha cominciato col dire che questo problema dell'apertura ufficiale delle conversazioni italobritanniche è stato, come il Primo Ministro sapeva, oggetto di parecchie conversazioni nella settimana scorsa tra lui e l'Ambasciatore d'Italia. "Evidentemente" Eden ha continuato "tra la scorsa settimana e oggi vi è un fatto nuovo, e cioè l'Austria, e sopratutto il fatto nuovo che il Governo italiano, almeno a quanto dichiara l'Ambasciatore Grandi, rifiuta di discutere sulla base dei Protocolli di Stresa il problema austriaco. L'attitudine italiana" Eden ha continuato "almeno sino a che essa sia ulteriormente chiarita impone al Governo britannico di ritornare su quelli che sono stati alcuni punti già raggiunti nelle mie conversazioni con Grandi durante la scorsa settimana. Occorre retrocedere al punto di partenza ed occuparci a fondo, preliminarmente ad ogni altro problema, del problema dell'Austria. Poiché le conversazioni italo-britanniche devono coprire tutti i punti di malinteso fra i due Paesi, è chiaro" ha continuato Eden "che la questione austriaca deve essere esaminata con precedenza sulle altre. Ora l'ambasciatore Grandi ha dichiarato che egli si rifiuta di discutere questo problema..."
Di fronte a queste parole di Eden, Chamberlain ha dato visibili segni di disappunto e di irritazione ma non ha detto nulla.
"Dopo il problema austriaco" Eden ha continuato "vi è la questione della Spagna. È inutile e pericoloso, occorre dirlo in modo chiaro, fingere di ignorare questo problema di importanza fondamentale e pregiudiziale nelle relazioni italo-britanniche. Quale è l'unità di conversazioni ufficiali fra Roma e Londra, se prima non è intervenuto un accordo preciso e raggiunta una soluzione soddisfacente della questione spagnola? Nel gennaio 1937 è stato concluso un accordo fra Inghilterra e Italia il quale si è dimostrato nella pratica realtà sterile e inutile, soltanto perché la questione spagnola è stata in tale accordo soltanto adombrata, non cioè discussa e regolata in modo da evitare che potesse nel futuro costituire motivo di eventuali frizioni e contrasti fra i due Paesi. Dichiarare aperte delle conversazioni ufficiali fra Roma e Londra, senza un preventivo accordo sulla questione spagnola, significa fare nascere delle pericolose illusioni e prospettive esagerate sul futuro corso dei negoziati italo-britanníci, peggiorando in definitiva, come è già avvenuto precisamente dopo la conclusione del gentlemen's agreement del gennaio 1937, la situazione dei rapporti italo-britannici. Ciò sopratutto se il Governo italiano intende mantenere la sua pregiudiziale sine qua non e cioè che un eventuale accordo italo-britannico deve includere il riconoscimento britannico della sovranità italiana in Etiopia. Aprire dei negoziati ufficiali dopo aver dichiarato da parte nostra che abbiamo accettato la pregiudizialie italiana del riconoscimento dell'Etiopia, senza che l'Italia abbia preso nessun impegno corrispondente per l'Austria e per la Spagna, significa aver dato già all'Italia tutto quello che l'Italia domanda, senza da parte nostra nessuna garanzia di corrispettivo."
Eden si è indugiato a questo punto in una ricostruzione assolutamente arbitraria di quello che è stato il conflitto spagnolo durante quest'anno: "In gennaio vi è stata la firma del gentlemen's agreement e qualche settimana dopo 60 mila volontari italiani sono stati inviati in Ispagna. Nel luglio dopo lo scambio di lettere Chamberlain-Mussolini e l'accordo per l'apertura di conversazioni italo-britanniche, abbiamo avuto gli incidenti nel Mediterraneo, i quali hanno perturbato nuovamente e gravemente l'atmosfera dei rapporti italo-inglesi. Occorre determinare dunque, innanzi tutto, una situazione tale che garantisca che queste "malaugurate coincidenze" (parole testuali di Eden) non abbiano a verificarsi. Nelle presenti condizioni e circostanze il Governo britannico non può addivenire a nessun accordo con l'Italia, e sopratutto a un accordo che riconosca di diritto la sovranità italiana sull'Etiopia". Ho replicato a Eden in tono fermo che non potevo a meno di essere sgradevolmente sorpreso di queste sue parole e ho aggiunto che ero pronto a discutere con lui da cima a fondo, alla presenza di Chamberlain, in tutti gli aspetti, nessuno escluso, e in tutte le fasi, il problema spagnolo e le sue ripercussioni assolutamente artificiose nei rapporti italo-britannici. Ma credevo superfluo di fare ciò nei limiti di quella che era la conversazione di oggi, sempre disposto e pronto tuttavia a farlo in qualsiasi momento. Desideravo, comunque, contestare nel modo piú formale alcune affermazioni di Eden, contrarie alla piú elementare verità. E cioè: la lettera Ciano-Drummond allegata al gentlemen's agreement del 2 gennaio copriva tutto il campo e risolveva implicitamente tutte le possibili questioni o interrogativi che, in conseguenza del conflitto spagnolo, potevano eventualmente sorgere nelle relazioni italo-britanniche.
Ho ricordato a Chamberlain (cosa che vale la pena di ripetere perché gli inglesi amano scordare) che il Governo fascista prima e dopo il gentlemen's agreement ha chiesto insistentemente e invano nel Comitato di Non Intervento l'applicazione di misure per impedire l'afflusso di volontari stranieri in Spagna. Alle mie denunce contro la Russia che stava organizzando a Madrid la Brigata rossa antifascista e faceva affluire da ogni parte volontari rossi in Ispagna, il delegato britannico Plymouth rispondeva in Comitato Plenario che l'afflusso di volontari stranieri non era contemplato nell'Accordo di Non Intervento. È stato soltanto dopo e in conseguenza dell'afflusso di volontari russi, francesi, inglesi e cecoslovacchi ecc. e la formazione della Brigata rossa internazionale dimostratasi di un'efficienza tutt'altro che trascurabile e tale da arrestare di fronte a Madrid la vittoriosa avanzata di Franco, che sono partiti dall'Italia i Legionari al solo scopo di controbilanciare l'intervento già pericolosamente in atto da parte dell'antifascismo internazionale a fianco dei socialcomunisti spagnoli.
Ho ricordato a Eden le sue dichiarazioni del 15 marzo 1937 ai Comuni nelle quali egli stesso ha dichiarato che al Governo britannico risultava essere i volontari delle due parti in Ispagna "in numero uguale". Se dunque il cosiddetto "spirito" del gentlemen's agreement del gennaio 1937 è stato turbato, la responsabilità - ho detto - di questo asserito turbamento non è dell'Italia bensí degli alleati e associati dell'Inghilterra medesima, l'azione sabotatrice dei quali il Governo britannico ha sempre cercato indirettamente o direttamente di aiutare.
Una situazione analoga, ho continuato, si è verificata nel mese di agosto. Ho citato a questo punto le stesse parole di Eden alla Camera dei Comuni con le quali egli ha ammesso l'enorme afflusso di materiali e di aiuti giunti proprio nel mese di luglio e di agosto ai rossi spagnoli da parte della Russia sovietica, il che rendeva naturalmente - ho continuato - necessario da parte del Governo di Salamanca questo grave contrabbando. Vi sono è vero delle "coincidenze" per usare le parole di Eden, ma queste non sono fra pretese contraddizioni dell'attitudine italiana: una strana e significativa coincidenza si è invece verificata sempre tutte le volte che le relazioni italo-inglesi si incamminavano sulla strada di un positivo miglioramento, fra le iniziative prese successivamente per un accordo italo-britannico e iniziative prese immediatamente dall'antifascismo internazionale (antifascismo britannico incluso) per un intervento grave e scandaloso a fianco dei rossi spagnoli e far montare simultaneamente una campagna artificiosa di menzogne contro l'Italia al solo scopo di distruggere e far naufragare tutti i tentativi d'accordo fra l'Inghilterra e l'Italia. L'Italia ha il diritto di domandare se molte delle iniziative prese arbitrariamente durante il conflitto spagnolo dai Governi di Londra, Parigi e Mosca, ad esempio l'Accordo di Nyon, non nascondevano un programma determinato da un'azione militare direttamente ostile all'Italia in limiti e in proporzioni che uscivano dai limiti e dalle proporzioni del conflitto spagnolo e che facevano ricordare con strana e sintomatica coincidenza le recenti esperienze ginevrine del blocco sanzionista contro l'Italia.
L'Italia fascista, vale la pena di ripeterlo ancora una volta, è oggi a fianco del Generale Franco - ho continuato - per le stesse ragioni e circostanze assolutamente analoghe a quelle per le quali un secolo fa l'Inghilterra mandava il Duca di Wellington e le truppe inglesi in Spagna a combattere a fianco degli spagnoli contro i francesi. Una volta liberata la Spagna dalla prepotente invasione francese, il Duca di Wellington se ne andò ripetendo di avere salvaguardato gli interessi dell'Inghilterra per il solo fatto di avere salvato l'indipendenza della Spagna.
Chamberlain è intervenuto fra me e Eden dicendo che gli sembrava inutile continuare in polemiche di questo genere, ma che la cosa piú conveniente era invece quella di esaminare con uno spirito equanime da ambo le parti le possibilità di un chiarimento effettivo e definitivo fra i due Paesi, cercando di rimuovere le reciproche difficoltà con un senso di reciproca fiducia da ambo le parti. Evidentemente la questione spagnola non poteva essere aprioristicamente esclusa dall'esame dei problemi che interessano le relazioni italo-britanniche. Il Governo Fascista non aveva (Chamberlain ha detto rivolgendosi a Eden) mai inteso di voler escludere l'esame di alcun problema che interessa i due Paesi, e quindi non aveva escluso l'esame del problema spagnolo. Altre questioni naturalmente dovranno essere esaminate, a mo' di esempio: reciproca situazione nel Mediterraneo, forze in Libia, reciproche posizioni nel Mar Rosso ecc. Quello che il Governo fascista domanda - ha continuato Chamberlain sempre rivolto a Eden - è che noi dichiariamo che l'Inghilterra riconosce la sovranità italiana sull'Etiopia e che si passi poscia all'esame di tutti i problemi che dovranno formare oggetto dell'Accordo generale fra i due Paesi. Accordo del quale il riconoscimento dell'Etiopia deve, naturalmente, costituire parte integrante. Io sono d'accordo e accetto ciò. L'Italia domanda inoltre che non siano poste condizioni o pregiudiziali, e che si discutano tutti i problemi insieme e sullo stesso piano. Non vedo in che cosa ciò possa pregiudicare gli interessi britannici, e non vedo come il Governo britannico possa non accogliere questo punto di vista dell'Italia.
Eden non ha affatto mostrato di gradire queste dichiarazioni di Chamberlain e rivolgendosi direttamente al Primo Ministro - come se io non fossi presente - ha ribattuto che egli non vedeva come potevano essere armonizzati lo svolgimento contemporaneo di conversazioni italo-britanniche ed i lavori del Comitato di Non Intervento. Occorreva anzitutto, Eden ha continuato, attendere che il Comitato di Non Intervento giungesse ad un accordo finale con determinati impegni da parte di tutti i Governi partecipanti sul problema fondamentale ancora in discussione, e cioè sul ritiro dei volontari stranieri in Spagna, ma occorreva sopratutto pregiudizialmente ad ogni accordo, che i volontari stranieri fossero effettivamente partiti dalla Spagna. Finché ciò non fosse avvenuto, Eden ha continuato, non vedo quale utilità potrebbero avere dei negoziati ufficiali italo-britannici, i quali non possono non essere influenzati direttamente dall'andamento e da quelli che saranno in definitiva i risultati delle prossime discussioni nei Comitati di Non Intervento. Su questo terreno nessuna concreta buona volontà si è rivelata da parte italiana. L'Italia continua a tergiversare e non ne fa mistero. Per esempio - ha continuato Eden - dieci giorni or sono, io ho sottoposto all'Ambasciatore Grandi una formula di compromesso sulla questione volontari-belligeranza, e su altre questioni Plymouth ha pure intrattenuto l'Ambasciatore d'Italia. Da dieci giorni noi aspettiamo una risposta. È l'Ambasciatore Grandi in grado di comunicarci la risposta del Governo fascista alla formula britannica?
Ho ribattuto seccamente a Eden ricordandogli che tre sere fa a Birmingham egli ha dichiarato la necessità di andare adagio. Il Governo fascista lo aveva preso in parola. L'esame della formula britannica è oggetto in questo momento di attento esame fra Roma e Berlino.
Chamberlain è intervenuto a questo punto con l'aria questa volta di essere effettivamente seccato e ha detto rivolto a Eden: "Tutto questo sta bene, ma non bisogna dimenticare che fra le vostre conversazioni della settimana scorsa con Grandi e oggi vi sono dei fatti nuovi in Europa: e questi fatti nuovi invece di fare retrocedere le cose al punto di partenza debbono farci riflettere e indurci a considerazioni precisamente opposte". Quindi rivolgendosi a me direttamente: "Vi pongo una domanda precisa: voi credete effettivamente che il fatto di dichiarare pubblicamente che le conversazioni previste nello scambio di lettere fra me e il Duce sono ufficialmente aperte potrebbe, come voi dite, determinare di per se stesso un'atmosfera favorevole e contribuire di per se stesso ad una rapida conclusione di un accordo generale fra i due Paesi?". Ho risposto a Chamberlain che lo credevo.
Chamberlain ha ripreso: "Sta bene. Ritengo che sarebbe utile noi riprendessimo la nostra conversazione oggi nel pomeriggio, onde darmi modo di consultarmi col mio Ministro degli Esteri circa quanto ha fatto oggetto del nostro colloquio. Se credete, potremmo riprendere oggi la conversazione alle 15."
Ho risposto che stava bene e cosí ha avuto termine la conversazione della mattinata.
Alle 3 del pomeriggio il colloquio è stato ripreso.
Chamberlain ha cominciato subito dicendomi che egli aveva esaminato attentamente la situazione insieme al Ministro Eden ed era venuto nella conclusione di accettare il mio punto di vista, subordinatamente all'approvazione concorde del Gabinetto, che egli si riprometteva di convocare immediatamente per l'indomani sabato, allo scopo di sottoporre ai suoi colleghi quanto era stato oggetto della nostra discussione di oggi tra lui Chamberlain, l'Ambasciatore d'Italia e Eden. "Il Gabinetto" ha continuato Chamberlain "deve essere messo al corrente da me del contenuto dettagliato di queste nostre discussioni, e trarre le sue decisioni ultime e definitive. Io domanderò al Gabinetto di essere autorizzato ad annunciare che le note conversazioni italo-britanniche sono state iniziate ufficialmente senza attendere la soluzione preventiva di problemi determinati o altre condizioni pregiudiziali. Allo scopo di facilitare la mia azione diretta ad ottenere una unanime decisione del Gabinetto domando tuttavia al Duce di esaminare se egli può dichiararsi d'accordo sulla formula britannica proposta da Plymouth e da Eden circa il particolare argomento in discussione in seno al Comitato di Non Intervento concernente la belligeranza e i volontari, e ciò - Chamberlain ha continuato - in vista di un prossimo e completo accordo italo-britannico, da concludersi rapidamente e per il quale si è già raggiunta fra i due Governi un'intesa preventiva e generale sui punti fondamentali. Si procederebbe quindi - ha continuato Chamberlain - nel modo seguente: Inizio ufficiale delle conversazioni italo-britanniche simultaneamente alla comunicazione da parte italiana che il Governo fascista è d'accordo col Governo britannico sulla formula da presentarsi successivamente al Comitato di Non Intervento per la discussione e eventuale approvazione.
Ho domandato a Chamberlain di precisarmi se egli intendeva con ciò che le conversazioni sarebbero cominciate subito, e senza attendere l'esito che la proposta britannica potesse, comunque, avere in seno al Comitato di Non Intervento.
Chamberlain ha risposto che io avevo interpretato esattamente. Ho replicato a Chamberlain che io non conoscevo ancora che cosa il Duce e V. E. pensassero della formula volontari-belligeranza proposta da Plymouth e da Eden nelle nostre conversazioni della settimana scorsa. E che pertanto io non potevo prendere alcun impegno definitivo prima di avere consultato V. E. e avuto ulteriori istruzioni.
Chamberlain ha risposto che si rendeva conto di questa mia difficoltà e che da parte sua egli desiderava, prima di dare egli stesso una risposta di accettazione definitiva di questo progetto d'accordo, di illustrare al Gabinetto le ragioni che gli avevano suggerito questa decisione ed averne l'approvazione. Egli proponeva quindi che io telegrafassi a Roma in modo da essere in grado di dare una risposta a lui, Chamberlain, entro lunedí. Egli entro lunedí e cioè dopo la riunione del Gabinetto, si riservava analoga conferma da parte sua.
Ho assicurato Chamberlain che non avrei mancato naturalmente di sottoporre a V. E. la sua proposta nei termini da lui indicati e che mi riservavo di dargli una risposta entro lunedí, secondo le istruzioni che avrei ricevuto dal mio Governo. Ad ogni buon fine ho creduto opportuno, non foss'altro che allo scopo di far "pesare" un'eventuale accettazione da parte italiana della proposta di compromesso sul punto volontari-belligeranza presentataci 10 giorni fa da Plymouth e da Eden, di illustrare a Chamberlain, a titolo personale, le ragioni per cui ritenevo tale formula assai svantaggiosa, dato che essa, in determinate eventualità, poteva giocare, con un'eccessiva discriminazione, a vantaggio e a danno di una delle due parti in Spagna. Osservavo, pertanto, che occorreva andare guardinghi da parte del Governo fascista prima di accettare la formula stessa. Appunto per ciò, ho detto, il Governo Fascista ha ritenuto opportuno procedere ad un attento ed accurato esame di tutte le eventualità. Tale formula, ho continuato, significa che i membri del Comitato si impegnano di accettare preventivamente, mediante una combinazione a scatto automatico, i risultati dei lavori delle due Commissioni inviate in Ispagna. Ora è evidente che da parte nazionalista l'accertamento del numero dei volontari sarà facile in quanto che i volontari stranieri sono facilmente individuabili nelle unità legionarie. Le autorità rosse di Barcellona, appunto in vista di una possibile inchiesta di carattere internazionale, hanno proceduto da tempo al formale scioglimento della Brigata internazionale disseminando i componenti della medesima nelle varie unità delle milizie rosse spagnole. Ciò renderà il compito della Commissione incaricata di accertare il numero dei volontari stranieri, anche ammettendo la pregiudiziale della buona fede assoluta, assai difficile e complesso e potrà prestarsi facilmente a degli errori. Se le Commissioni accertassero un numero di volontari rossi inferiore al numero dei volontari da parte nazionalista, una differenza relativamente piccola nel computo numerico potrebbe, in certe eventualità, giocare in un modo ingiustamente sfavorevole nei riguardi di Franco ed al di là delle stesse clausole contemplate dal Piano britannico del 16 luglio e dalla risoluzione del Comitato di Non Intervento del 4 novembre. Occorreva - ho continuato - che io illustrassi tutto ciò a Chamberlain a scanso fin d'ora di responsabilità per i futuri possibili inconvenienti, e anche perché non si dovrà in seguito imputare all'Italia se tali inconvenienti si verificheranno per colpa di altre Potenze. Tanto più occorre ripetere tutto ciò, ho detto da ultimo, data la tendenza manifestata chiaramente dal Ministro Eden di considerare i risultati collettivi del Comitato di Non Intervento come suscettibili di modificare in senso positivo o negativo le trattative italo-britanniche. Il che praticamente significa - ho ripetuto - riconoscere preventivamente che terze Potenze possono sempre ad ogni momento compromettere il risultato delle trattative italo-britanniche, ovvero ammettere una ipotesi ancora piú assurda che, per raggiungere un accordo con l'Inghilterra, l'Italia dovrebbe trovarsi costretta ad accettare tutte le condizioni che la Russia e la Francia pensassero di chiedere e di avanzare nel Comitato di Non Intervento, non foss'altro che allo scopo di silurare preventivamente, e mentre si svolgono, i negoziati italo-britannici.
Chamberlain mi ha ascoltato dicendomi che era per lui un po' difficile seguire dettagliatamente le formule complicate e astruse che spuntavano successivamente dalle cavillose discussioni in seno al Comitato di Non Intervento, ma che ad ogni modo egli apprezzava nel giusto valore il senso generale di quanto io gli avevo detto ed era certo, Chamberlain ha concluso guardando Eden e rivolgendosi quasi con aria un po' beffarda a quest'ultimo, che anche il Ministro degli Esteri faceva altrettanto.
Occorre adesso, ha ripreso Chamberlain, metterci d'accordo sul luogo dove si svolgeranno le trattative ufficiali, che dovranno essere naturalmente le piú rapide possibili. Ho risposto che non vedevo come potessero esservi dubbi al riguardo. I negoziati ufficiali debbono svolgersi a Roma.
Chamberlain mi ha replicato che egli era perplesso circa la sede di Roma. Egli sinceramente preferiva - Chamberlain ha detto - che tali conversazioni continuassero qui a Londra, dove erano già cominciate di fatto nel corso della settimana al Foreign Office e continuate oggi a Downing Street. "Anche se si è convenuto chiamarle preliminari ed esplorative" Chamberlain ha continuato, "non vi è dubbio che si è già entrati in molti aspetti nel vivo e nella sostanza dei problemi in discussione. Sul riconoscimento da parte britannica della sovranità italiana in Etiopia, non c'è piú questione. Vi confermo oggi che il Governo britannico non insiste più nell'obiezione comunicata a suo tempo al Governo italiano nei mesi di settembre, ottobre e dicembre u. s. e cioè che il riconoscimento da parte britannica della sovranità italiana sull'Etiopia debba far parte integrante del futuro Accordo italo-britannico. Anche in materia di propaganda antibritannica il Governo britannico ha receduto dalla dichiarazione fatta di considerare quest'ultima come una questione pregiudiziale, e accetta il punto di vista italiano di esaminare in sede di trattative generali le manifestazioni che da una parte e dall'altra possono turbare 1'amosfera amichevole fra i due Paesi. Il Ministro Eden mi ha riferito del resto che su questo argomento è già stata iniziata la discussione, da una parte e dall'altra, durante le conversazioni della settimana scorsa. Altre questioni di indubbia importanza non ancora toccate rimangono, e tutte insieme potrebbero essere discusse qui a Londra. Io stesso eventualmente potrei prendervi parte personalmente allo scopo di affrettare l'esito di tali conversazioni nel caso sorgessero difficoltà."
Eden è intervenuto affermando che egli per parte sua riteneva assolutamente necessario che le conversazioni ufficiali - se queste, Eden ha sottolineato, dovranno effettivamente avere luogo e quando avranno luogo - continuino in tutti i modi a svolgersi a Londra.
Eden ha aggiunto che la sede di Londra appariva tanto piú naturale in quanto che è a Londra che si svolgono e si svolgeranno le discussioni dei Comitato di Non Intervento ed era evidente che qualsiasi eventuale conversazione italo-britannica avrebbe dovuto procedere di pari passo coi lavori del Comitato di Non Intervento. Ho risposto dicendo che apprezzavo le ragioni per cui il Primo Ministro riteneva preferire la sede di Londra, ma che non potevo accettare invece le ragioni che inducevano il Ministro Eden a considerare necessaria la scelta di Londra e non di Roma. Quanto Eden aveva detto mi convinceva vieppiú, ho continuato, della opportunità se non della necessità che le conversazioni abbiano luogo a Roma, come era stato previsto sin dal luglio u. s. Proprio perché, ho detto, Londra è la sede dei lavori del Comitato di Non Intervento, è opportuno che le trattative si svolgano a Roma, fuori cioè e indipendentemente dai lavori del Comitato di Non Intervento. Io non posso accettare, ho detto, la tesi già sostenuta stamane dal Ministro Eden secondo la quale l'esito delle trattative italo-britanniche dovrebbe dipendere dai risultati collettivi del Comitato di Non Intervento. Ciò significherebbe, ripeto, lasciare ad es. alla Russia e alla Francia il diritto, ad ogni momento, di far naufragare le trattative italo-britanniche attraverso una azione sabotatrice e delle assai troppo facili manovre nel Comitato londinese. Il Governo Fascista è disposto a discutere di qualsiasi argomento che possa interessare direttamente i rapporti italo-britannici, ma è chiaro che esso non può far dipendere né subordinare la sua attitudine e la sua buona volontà alla cattiva volontà di terze Potenze notoriamente ostili all'Italia, le quali hanno l'ovvio interesse di opporsi ad un qualsiasi accordo fra l'Inghilterra e l'Italia. Ciò significherebbe, in altre parole, fare la Russia e la Francia arbitre delle conversazioni italo-britanniche, il che è assurdo. Se questo intende il Ministro Eden, è bene fin d'ora chiarire questo punto in un modo esplicito e pregiudiziale. E se cosí fosse io dovrei trarre la conclusione che il Governo britannico non ha nessuna seria intenzione di arrivare a dei risultati positivi. Questo sia detto, del resto, non soltanto per quanto riguarda l'asserita connessione fra le conversazioni italo-britanniche e i lavori del Comitato di Non Intervento, ma anche e sopratutto per tutte quelle che potranno essere le eventuali discussioni italo-inglesi sulla questione spagnola. Pretendere che l'Italia, soltanto per creare condizioni favorevoli ad un accordo con l'Inghilterra, modifichi la sua politica di appoggio al Generale Franco, oppure rinunci a controbilanciare lo scandaloso intervento specialmente da parte russa e francese, significherebbe, in altre parole, che il Governo britannico non è alla ricerca delle basi per un accordo definitivo con l'Italia, ma soltanto tenta di immobilizzare l'Italia, di favorire l'intervento francese e russo e in definitiva di aiutare i rossi spagnoli. Specialmente in questi ultimi tempi, ho continuato, l'intervento francese ha assunto proporzioni talmente scandalose da rendere di nuovo veramente difficile la posizione dell'Italia in quella che è la sua necessaria e doverosa assistenza ai nazionalisti spagnoli. Non credo - ho continuato - che il Governo Fascista possa piú a lungo tacere sopra questa sempre maggiore intensificazione dell'intervento francese in Ispagna.
Chamberlain mi ha risposto dicendomi che per quanto riguarda sia la questione dei volontari sia tutte le altre questioni in materia di non intervento è chiaro che il Governo britannico intende sempre riferirsi ad un preciso criterio di reciprocità per ambo le parti, senza discriminazioni di sorta fra Salamanca e Barcellona. Per quanto riguarda piú specificatamente la questione dei volontari, Chamberlain ha aggiunto: "Quando io dico volontari stranieri intendo i volontari di ambedue le parti".
Siamo tornati a questo punto, dopo questa digressione necessaria, al problema della sede dove le discussioni italo-britanniche dovranno aver luogo.
Io ho di nuovo insistito per Roma, dimostrando con ovvi argomenti e a piú riprese la necessità che tali conversazioni si svolgano nella Capitale italiana. Vi è un accordo preciso su questo punto tra il Governo britannico e il Governo italiano, da tutti conosciuto, e non vi è dubbio che il pubblico italiano rimarrebbe assai perplesso nell'apprendere che all'ultimo momento, e per ragioni non facili a spiegarsi, questo accordo è stato modificato. Ciò rischierebbe di creare subito un'atmosfera non favorevole a queste conversazioni.
Eden è intervenuto dicendo che non si poteva parlare di un accordo vero e proprio intervenuto tra il Governo britannico e il Governo italiano per la sede di Roma; se ne era parlato come di una possibilità, ma non credeva che un accordo vero e proprio ci fosse.
Chamberlaiu, un po' imbarazzato, ha detto che effettivamente egli non ricordava se ciò era stato discusso durante le conversazioni del luglio con me. Ho replicato dicendo che se ne era discusso e che Chamberlain aveva allora consentito a che le conversazioni, le quali allora senìbravano imminenti, avessero luogo a Roma. "Del resto" ho soggiunto "sono in grado di poter documentare ciò."
Ho tratto a questo punto due documenti che ad ogni buon fine avevo portato meco, e cioè il promemoria in data 6 agosto 1937 consegnato dall'Ambasciatore Drummond al Ministro Ciano, e il resoconto di una successiva conversazione tra l'Incaricato di Affari inglese a Roma e il Ministro Ciano del 27 settembre 1937. In ambedue i documenti il Governo britannico conferma che la sede delle prossime conversazioni è Roma e non Londra.
Chamberlain ha preso visione di questi documenti e poscia mi ha detto che si sarebbe potuto trovare vna via di mezzo e cioè continuare le conversazioni iniziate a Londra, salvo poi esaminare, durante il corso delle medesime, l'opportunità di trasferirle a Roma. Oppure, ha continuato Chamberlain, il Governo britannico potrebbe rivolgere un invito al Conte Ciano per una sua visita a Londra e il Ministro Ciano potrebbe in questa occasione concludere egli stesso le conversazioni e firmare l'Accordo.
Ho risposto che il Ministro Ciano avrebbe senza dubbio apprezzato questo invito del Primo Ministro britannico e che, in circostanze favorevoli, ero sicuro che egli sarebbe stato lieto di aderire all'invito medesimo. Ma che, nelle circostanze attuali, tutto rendeva obiettivamente preferibile che nulla fosse modificato del programma già fissato, e cioè che lo svolgimento delle conversazioni previste nello scambio di lettere Chamberlain-Mussolini avesse luogo a Roma, secondo gli accordi personalmente presi fra me e Chamberlain nel nostro incontro del luglio scorso.
A questo punto, come alla fine della discussione al mattino, Chamberlain mi ha rivolto direttamente la domanda seguente: "Voi dunque effettivamente credete che il fatto che queste trattative si svolgano a Roma possa influire favorevolmente sull'esito delle medesime?"
Ho risposto che senza dubbio era cosí.
Chamberlain ha concluso che stava bene per Roma, e su questo il colloquio è finito.
Di questi due colloqui, durati complessivamente tre ore, ho fatto e invio subito a V. E. questa fotografia coscienziosa e particolareggiata, perché ritengo che nessuna impressione e nessun commento potrebbe riprodurre i vari aspetti della situazione politica di queste giornate meglio e piú efficacemente che il quadro documentario di questo mio incontro con Chamberlaín e Eden, nel suo svolgimento cronologico, nei passaggi e fasi successive, nelle domande e risposte, nelle polemiche e battute fra Chamberlain, Eden ed il sottoscritto.
È certamente questa discussione di ieri una delle piú paradossali e straordinarie alle quali mi sia mai occorso di prendere parte.
Chamberlain e Eden non erano un Primo Ministro e un Ministro degli Esteri che discutevano con un Ambasciatore di un Paese i straniero una delicata situazione di carattere internazionale; erano, e si rivelavano di fronte a me, al di fuori e al di sopra di ogni convenzione protocollare, due nemici di fronte l'uno all'altro e come due galli, in una vera e propria attitudine di combattimento. Le domande e i quesiti postimi man mano da Chamberlain erano tutti, nessuno escluso, intenzionalmente a me posti allo scopo di determinare risposte che valessero a smentire e a smantellare le posizioni dialettiche e polemiche sulle quali evidentemente Eden aveva in precedenza costruito o tentato di giustificare, contro lo stesso Chamberlain e davanti ai suoi colleghi di Gabinetto, la sua miserabile politica antitaliana e antifascista.
Eden, da parte sua, non ha mostrato alcun ritegno a scoprirsi in pieno davanti a me, quale egli è sempre stato e quale io sempre ho descritto che egli è: un nemico irriducibile del Fascismo e dell'Italia.
Alla fine di questi colloqui di tre ore i due uomini che io avevo di fronte mi hanno dato l'impressione, non cancellabile, che al di là delle parole, delle argomentazioni, delle polemiche e delle stesse questioni discusse, essi stavano giocando, o almeno si preparavano a giocare, il gioco grosso del loro destino futuro nel Governo e nel Partito conservatore, e si precostituivano le armi polemiche per la riunione del Gabinetto che ha luogo in questi momenti mentre scrivo il presente rapporto, riunione che potrebbe essere per loro una battaglia definitiva e risolutiva.
Chamberlain infatti, nel rivolgermi direttamente le sue domande non attendeva da me - ciò era visibile - se non quelle particolari e determinate risposte che gli erano utili come munizioni contro Eden. Di ciò mi sono reso immediatamente conto e ho cercato naturalmente di dare a Chamberlain tutte quelle munizioni che ritenevo potessero a tale scopo essergli utili. Non vi è dubbio che a tale riguardo si sono rivelati preziosi i contatti stabiliti in precedenza fra me e Chamberlain, attraverso il suo uomo di fiducia, Ball. Per esclusivo interesse di cronaca, informo V. E. che ieri sera dopo l'incontro a Downing Street, Chamberlain mi ha segretamente mandato il suo uomo (ci siamo dati l'appuntamento in un banale tassí di piazza) per dirmi che "mi salutava cordialmente, che aveva apprezzato le mie dichiarazioni assai utili per lui, e che confidava tutto sarebbe all'indomani andato per il meglio".
Non vorrei neppure lasciare in V. E. una impressione, che alcune dichiarazioni fatte da Chamberlain nel corso della discussione potrebbero suggerire, e cioè che Chamberlain abbia in mente qualche piano di resistenza alla Germania sulla questione austriaca. Ritengo di poter escludere ciò. L'attitudine inglese di fronte agli avvenimenti austriaci è stata e credo rimarrà quella che ho sempre segnalata a V. E. e cioè un'attitudine che chiamerò di "indignata rassegnazione". Su questo punto delle relazioni anglo-tedesche a seguito degli avvenimenti austriaci tornerò con un esame a parte. Non è ad ogni modo la Germania o l'Austria il terreno di battaglia fra Chamberlain e Eden, in questo momento. È soltanto l'Italia. Chamberlain vuol mettere la parola "fine" al capitolo "etiopico", riconoscere l'Impero italiano e concludere con l'Italia di Mussolini un accordo duraturo basato sul rispetto e sull'amicizia reciproca. Eden vuole continuare nella sua politica di rancore e di vendetta, preparare le condizioni, a scadenza piú o meno lunga, della guerra con l'Italia, e atteggiarsi - come sta facendo - ad una specie di Pitt redivivo contro il Napoleone d'Italia.
Dire che Chamberlain avrà un compito facile sarebbe dire cosa inesatta. Eden ha con sé la piazza, ossia la "bestia storica" sempre in agguato in una larga corrente del popolo britannico, le sinistre, l'antifascismo e la massoneria francese, che vedono in lui il capo del futuro Fronte Popolare britannico.
Per tutta la giornata di oggi, sabato 19 corrente, l'atmosfera politica di Londra e alla Camera dei Comuni è la stessa delle giornate che precedettero la crisi Hoare-Laval del dicembre 1935. Esattamente come allora, nel dicembre 1935, è sull'Italia e soltanto sul terreno della politica con l'Italia, che sono oggi, nel febbraio 1938, eccitati e divisi le fazioni e gli spiriti.
Churchill, nemico personale di Chamberlain, sta di nuovo radunando stamane i deputati conservatori di sinistra per dichiarare la sua solidarietà con Eden e cercare di sobillare un "pronunciamento" ai Comuni a favore di quest'ultimo.
Speriamo che questa solidarietà di Churchill porti a Eden la stessa fortuna che la solidarietà di Churchill portò, nei giorni dell'abdicazione, all'ex-Re Edoardo VIII. Da parte sua Chamberlain ha mobilitato e sta mobilitando la City, i deputati di destra e del centro, e tutte le forze politiche a sua disposizione. Non si può certamente dire che la situazione manchi stamane di autentico interesse e di drammaticità. Ma il vecchio Chamberlain, non vi è dubbio, ha mostrato di avere la pelle di cuoio duro come i suoi antenati scarpari di Birmingham. Speriamo che questa volta sia proprio la volta buona.




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