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Le strategie dell'anima e la forza di capire
SCIENZE DELL'EDUCAZIONE E PEDAGOGIA:
IL RAPPORTO CON LA MATERIA PSICOLOGICA
di Franco Blezza
 
 
 
 
Studi in onore di Giorgio Tampieri in occasione della quiescenza
 
 

Posizione del problema

Nello scritto che costituisce un fondamento scientifico prima che un precedente logico rispetto al presente 1, ponevamo quattro problemi tra loro connessi. Due riguardavano il se ed il come potessero considerarsi delle scienze rispettivamente la Pedagogia e la Didattica generale; i rimanenti, quale fosse il ruolo della scienza in ciascuna di esse.
Si tratta di questioni da noi affrontate più diffusamente ed in un contesto più ampio in volumi dello stesso periodo 2. Rimandando a quelle sedi e ad altre 3 per maggiori ragguagli, se ne potrebbe dare una sintesi riepilogativa estrema affermando che se si assume la scienza in una visione realistica ed attuale, in linea con il suo modo di essere storicamente evolutosi e con le visioni epistemologiche correnti, allora la Didattica generale può essere considerata e trattata come una scienza; mentre invece ciò non può dirsi della Pedagogia, per la quale d'altro canto il componente 4 scientifico propriamente detto assume un'importanza sempre più ampia ed essenziale. Del resto, anche nella storia del pensiero pedagogico (oltreché nelle cose) si riscontra trasferibilmente un'incidenza forte e crescente della scienza nella Pedagogia (od anche, in un certo senso, sulla Pedagogia), senza che questo implichi alcunché di necessario quanto alla scientificità della Pedagogia 5.
In tutte queste ricerche il termine, "scienza" viene coerentemente impiegato nell'accezione del linguaggio accademico corrente ("scienziato", "facoltà scientifiche", "filosofia della scienza", ...), oltreché del linguaggio comune; questa non costituisce la traduzione esatta né di die Wissenschaft, né di 'e 'epistéme. Nulla impedisce peraltro che in altri contesti il termine venga impiegato in accezioni differenti: essenziale è precisarlo. Qui, esso indica le scienze della natura, e quei settori delle scienze della cultura umana che seguano le stesse norme metodologiche; un cambiamento di accezione è possibile anche in questo contesto, ma solo accompagnando il nome con un aggettivo (scienze filosofiche, scienze teologiche, scienze giuridiche) oppure una locuzione più complessa (scienze dello spirito, scienze della formazione), ed impiegando di preferenza il plurale.
La scienza così intesa ha un valore esclusivamente cognitivo; e anche per questo essa si distingue dalla tecnica in modo essenziale. I prodotti della scienza sono conoscenze ulteriori, ed ogni teleologia nel loro ambito si risolve senza alcun residuo nella prosecuzione di un processo di ricerca senza fine né fini. Talvolta esiste dell'applicatività nelle acquisizioni scientifiche, nel senso che esse si aprono alla possibile applicazione; è questo il caso della Didattica. Ma ciò non significa né applicazione diretta, né esercizio pratico, né operatività in senso stretto.
Il tutto concorre a richiedere a quanti si occupino di Pedagogia e di Didattica, sia come studiosi che come operatori a qualunque livello, una cultura complessivamente molto più equilibrata dal lato scientifico, e molto meglio qualificata nelle scienze della natura, che non per il passato ed ancora per il presente. Tanto più che in essa hanno un'incidenza crescente le scienze dell'educazione, le quali per buona parte almeno sono scienze in senso stretto (Antropologia, Sociologia, Docimologia, Didattica appunto...), ed un sottoinsieme delle quali è costituito da scienze della natura applicate all'uomo (scienze mediche, igieniche, auxologiche e neurologiche; scienze psicologiche; scienze dell'ambiente e dell'interazione uomo-ambiente; ...).
Parlando, quindi, propriamente di scientificità nella Pedagogia, l'oggetto di questo "studio" rappresenta una sorta di particolarizzazione: quale rapporto instaurare con la Materia psicologica, da intendersi quindi come scienza dell'educazione; ed in che modo ottimizzare la sinergia tra le due modalità di approccio alla cultura umana. Si tratta di una particolarizzazione del problema tanto cospicua sul piano teorico e dei principi, oltreché comprensibilmente sul piano applicativo, da far ritenere che una sua posizione consenta di gettar qualche luce sul complesso dell'area di integrazione Pedagogia-scienza.
Così facendo, si desidera cercare di rendere onore (seppure in misura certamente inadeguata) ad uno studioso che ha recato contributi importanti perché la Psicologia della conoscenza fosse fruibile per l'uomo e la sua educazione, senza perdere né l'aspetto applicativo né quello di interesse generale e di ricerca di base.
 

I due versanti del problema e del discorso

Sono essenzialmente due, secondo esperienza comune e secondo letteratura, i versanti nei quali il relazionamento tra Materia Pedagogica e Materia Psicologica ci si presentano nelle fattispecie di problematicità emergente. Ciò è detto senza alcuna pretesa di esaurire le problematiche inter-area, né di attingere ad una sorta di sistematicità complessiva, e neppure di creare improbabili gerarchie tra versanti problematici: si tratta solo di oggetti privilegiati d'attenzione da una prospettiva di ricerca ben precisa 6.
Il primo fa riferimento all'ambito della Psicologia della conoscenza, ed è quello nel quale il destinatario di questi nostri Studi ha dedicato una vita di ricerche empiriche.
Il secondo, a quello ben più comunemente noto e diffuso della Psicologia clinica, che è altresì l'ambito nel quale fioriscono abbondantemente fraintendimenti e costruzioni pseudo-scientifiche.
Nel primo caso, si tratta di una problematicità attinente ai fondamenti, alle metodologie e allo statuto epistemologico delle due Materie; nel secondo, di una problematicità relativa ad obiettivi e competenze, che ha maggiore riferimento con l'applicatività e con la richiesta sociale.
Ma andiamo con ordine.
 

Bruner come "Dopo Dewey", e il dopo Bruner nonché il dopo Piaget

A partire dalla seconda metà degli anni '50 si è registrata una svolta nei fondamenti e negli indirizzi pedagogici 7. L'opera di riferimento aveva titolo The Process of Education - A searching Discussion of School Education opening new Paths to learning and teaching 8. La riformulazione del titolo e del sottotitolo nella versione italiana 9 in Dopo Dewey - Il processo di apprendimento nelle due culture veniva incontro ad esigenze oggettive di accettazione di una dottrina che non è mai stata metabolizzata pianamente dalla Pedagogia e dalla Filosofia italiane, divergenti rispetto al resto del mondo avanzato a causa della pluridecennale egemonia destro-hegeliana. Ma essa suscitava delle aspettative evidentemente sproporzionate rispetto al potenziale innovativo di quella stessa dottrina.
In sé, già il solo parlare di "due culture" con una pretesa contrapposizione a Dewey presta il fianco alla semplice critica di ignorare la tecnica confondendola con la scienza. Era questa una delle conseguenze più evidentemente negative, storicamente falsificate, della teoretica neo-idealistica italiana; peraltro, una tale confusione permane diffusa nella cultura filosofica ed in quella pedagogica del nostro paese, non senza qualche appoggio su autori più recenti e di facile fama come Charles P. Snow 10.
"La tesi di Bruner è che il problema dell'apprendimento va posto nei termini di una ricerca che raccordi la struttura psicologica del soggetto con la struttura logica (o scientifica) dell'oggetto" 11: da cui discende l'individuazione (nuovamente) di due versanti per la ricerca pedagogica a venire.
Per quel che riguarda quello relativo alla cosiddetta "struttura (logica, scientifica) delle discipline", lo Stesso ha più il merito di aver posto un problema che non quello di aver offerto elementi utili alla sua soluzione. In sostanza, la sua è stata una delega ai disciplinaristi: a scienziati, a storici e studiosi di scienze umane, a matematici, a linguisti; ed era significativa già allora l'assenza di tecnici o tecnologi. Questo fermarsi alle soglie di un problema così centrale nella Pedagogia, ed operare su larga scala un transfer dal disciplinare al didattico all'educativo, costituisce una delle lacune di fondo per quel che riguarda la pedagogicità dell'elaborazione bruneriana.
Nel merito, si è avuto modo di notare nelle sedi citate come una valida via di soluzione possa essere integrata proprio da una ripresa del Pragmatismo-strumentalismo pedagogico deweyiano, in termini aggiornati alcune generazioni dopo, ed altresì alla luce delle osservazioni dello stesso Bruner circa l'evoluzione del lavoro e della tecnologia. Per tale via, anche problemi di pianificazione dell'insegnamento possono trovare delle risposte più congrue rispetto a quelle che si sono sviluppate nel contesto del brunerismo.
L'altro versante era appunto quello psicologico: lo potremmo sinteticamente denominare lo studio dei processi mentali d'apprendimento e delle loro dinamiche. Il che portava Bruner, che era psicologo di formazione, a misurarsi ed anche a scontrarsi con il grande paradigma di Psicologia cognitiva delle età dello sviluppo allora esistente: quello che faceva capo a Jean Piaget e alla sua scuola ginevrina 12.
Così operando, e pur prestando la massima attenzione a tutto il discorso piagettiano, osservava che "dati i suoi studi prevalentemente orientati all'epistemologia genetica, egli si è limitato a descrivere il processo di maturazione delle strutture mentali, finendo per trascurare i fattori che possono agevolare la crescita e il potenziamento dello sviluppo." 13 Ed invece secondo Bruner "la tesi conclusiva è che è possibile accelerare i processi di apprendimento e, dunque, che non è mai troppo presto per introdurre l'alunno nel mondo dell'intelligenza e del sapere." 14. E' per osservazioni come queste che Bruner viene visto in un'ottica pedagogica: potrebbe considerarsi, quanto meno, uno psicologo che propone una prospettiva pedagogica in alternativa ad una prospettiva psicologica. Letta in un contesto pedagogico, la conclusione del suo discorso secondo la quale "Non si trova una spinta interna allo sviluppo senza una corrispondente spinta esterna, poiché, data la natura dell'uomo come specie, lo sviluppo dipende tanto dal nesso con gli amplificatori esterni delle capacità umane quanto da queste stesse capacità" 15 appare condivisibile ed apprezzabile ma, insieme, leggibilmente informata alla prevalenza di un intrinseco di matrice leggibilmente psicologica.
Negli sviluppi più recenti della sua dottrina, Bruner indica come elementi forti di differenziazione dal sistema di pensiero piagettiano l'interazione intesa come disponibilità ad entrare in un contesto, e quindi disponibilità al "pericolo", al rischio per le proprie teorie: come dire, ad uno spirito più integralmente scientifico. La critica bruneriana consente di spostare l'attenzione all'ambiente nel quale l'educazione avviene, al contesto: che va rispettato, oltreché tenuto nel conto. In sintesi: Risk & Respect + Negotiation, con la solidarietà come condizione necessaria alla consistenza della triade 16.
Questa differenziazione tra la Psicologia cognitiva e la prospettiva pedagogica di quegli anni ha un'importanza notevole sia per la ricerca che per l'applicazione. Questo è un primo elemento nel richiamare l'attenzione sul quale il pedagogista ha un compito specifico.
Inoltre e soprattutto, ciò che non può sfuggire alla critica di un pedagogista sono le carenze sotto il profilo metodologico di talune ricerche empiriche, diffuse soprattutto nel campo scolastico e nelle età dello sviluppo, che dichiaratamente si richiamano al tronco bruneriano e che hanno da tempo pesanti ricadute soprattutto sull'educazione scolastica. Ci si riferisce ad un'insistenza quasi esclusivistica, unilaterale, riduzionistica su di un'epistemologia operazionistica: questa, a chi si occupi di metodologia in via essenziale come appunto il pedagogista, suggerisce indicazioni divergenti.
Non che si trascuri l'Operazionismo in quanto tale, che anzi esso costituisce un componente importante anche della ricerca educativa oltreché di quella psicologica: va piuttosto negato recisamente che esso possa esaurire il panorama di paradigmi epistemologici sia nell'uno che nell'altro settore. Anzi, va notata semmai la carenza di Sinn e di Bedeutung che affligge i risultati delle ricerche di un operazionista in Pedagogia come in Psicologia (od in Didattica, ad esempio) che intenda fermarsi ad essi come fossero auto-significanti, o quasi. Si è già avuto modo di rimarcare quanto lacunosa sia la ricerca psicologica quando si arresti al quantitativo, nei pareri ad esempio dello stesso Piaget e, in altro settore, di Alice Miller 17.
Vi sono, in sostanza, dei limiti nell'operazionalità e nel quantitativo sia in Psicologia che in Pedagogia; la loro individuazione, in un quadro metodologico rigoroso, concorre efficacemente a delineare lo specifico dominio del pedagogista.
Ma, al di là di questo, si possono individuare tra la Pedagogia e la Psicologia della conoscenza due linee direttrici differenti ed irriducibili, seppure convergenti all'uomo che rimane l'oggetto definito di studio di entrambe. Si può ipotizzare una sorta di complementarismo tra di esse, nel senso che l'una tende a studiare quanto più rigorosamente possibile gli stati ed i processi della conoscenza del soggetto umano, e l'altro i nessi tra questi ed ogni sorta di comunicazione interpersonale (diretta e mediata) che su di essi comunque intervenga e da essi sia a sua volta influenzata.
Categorie mentali e strumenti concettuali come il progetto di vita, quella che si chiama genericamente l'apertura (disponibilità a rimettersi in discussione e a ripensare e riformulare le proprie scelte), la relazionalità evolutiva, la coerenza logica e metodologica, l'evolvere, lo storicizzarsi, il propiziare il divenire, sono propri e specifici del pedagogista, e non sembrano riconducibili a quelle psicologiche. Il pedagogista nel suo agire instaura un dialogo, con uno o più interlocutori; ed il suo agire di empatia diviene umanamente compatibile a condizione che accetti la non onnipotenza dell'educazione, e che quindi il dia a tale dialogo seguiti esterni quando vi persista la problematicità.
A questo complementarismo se ne ispira un altro, nato nella Psicologia ma di interesse evidente per il pedagogista. Esso si concretizza nell'alternanza tra metodo cosiddetto "sperimentale" (quantitativo, operazionale) e metodo clinico, tra statistica e casistica. Sulla base delle definizioni proposte da Lightner Witner alla fine del secolo scorso, il "metodo clinico in psicologia" consiste "nell'utilizzare i risultati ottenuti esaminando numerosi soggetti, studiati l'uno dopo l'altro, per effettuare generalizzazioni suggerite dall'osservazioni delle loro attitudini e delle loro carenze" 18, A parte l'impiego metodologicamente discutibile del termine "generalizzazione", è acquisito che uno studio statistico tendente (per esempio) ad una ipotetica "media" o "norma" o "tendenza" va a scapito della variabilità e delle singolarità di ogni soggetto individuale (che per il pedagogista sono essenziali), e viceversa.
Ci vogliono comunque entrambe le dimensioni, almeno in Pedagogia: sia come metodologia della ricerca, istituzionalmente composita 19; sia come applicatività: sia anche come prassi. Arduo sarebbe l'affermare che dalla sola statistica si possano ricavare immagini realistiche dell'educazione e della Pedagogia: senza la casistica non si entra nel nucleo della Pedagogia, foss'anche della Pedagogia sperimentale.
D'altronde, e parlando più in generale: come ha ampiamente argomentato Réné Thom, "una descrizione completa del mondo matematico, che è il mondo della pura quantità, deve infine introdurre considerazioni <<qualitative>>. Viceversa, per la maggior parte, le qualità [...] si prestano [...] alla costruzione di un campo quantitativo" 20. Il dualismo qualità-quantità è essenzialmente filosofico, non scientifico.
E' noto come vi sia tra gli studiosi della cultura umana la tendenza a ricercare una scientificità che abbia qualche cosa a che fare con le scienze della natura: lo stesso impiego del termine "scienza", là dove esso non venga precisato da aggettivi e locuzioni appropriate, lascia (o consente) un insidioso margine di equivocità. Chi abbia cultura adeguata in scienze della natura, peraltro, sa che ad esempio "La principale importanza della matematica è che essa fornisce un sistema universale di simboli, piuttosto che un mezzo per la valutazione quantitativa." 21. "Si afferma classicamente che il <<riduzionismo>>, cioè la modellizzazione di ogni fenomeno fisico mediante l'interazione di particelle elementari che lo comporrebbero, costituisce la base per ogni riduzione della qualità alla quantità. Se è vero che per questa via si è potuto rendere conto delle qualità <<secondarie>>, è pur vero che una matematizzazione spinta dei fenomeni elementari lascia pur sempre sussistere un'irritante diversità qualitativa dei fenomeni di base." 22
Il discorso sarebbe lungo. In sintesi, una operazionalizzazione al quantitativo non esaurisce neppure la scientificità di base, là dove cioè sia possibile una semplificazione estrema dei fenomeni, con una separazione di variabili molto elevata: neppure in fisica ed in chimica; insomma; e il padre dell'Operazionismo Percy W. Bridgman era un fisico, non lo si dimentichi. Si vede allora come divenga puramente velleitario parlarne in discipline complesse e dove la separazione di variabili sia impropria prima che impossibile, come ad esempio in Geologia, in Storia naturale, ed a maggior ragione in quei settori delle scienze della cultura umana che pure tendono, ragionevolmente e fondatamente, alla scientificità.
Andrebbe dunque criticato, seppur per certi aspetti compreso, chi cercasse nell'operazionismo spinto una maggiore scientificità nella propria ricerca, in particolar modo se si tratta di ricerca psicologica o pedagogica. E' (anche) qui che mostra la sua essenzialità il contributo del pedagogista: un contributo metodologico, innanzitutto, mirante a rendere rigoroso e coerente il discorso della scientificità e del ruolo del quantitativo e del qualitativo in quell'ambito; e un contributo di valorizzazione proprio della complessità, dell'interazione, della non separabilità tra l'interazione conoscitiva e quella educativa. Anche il pedagogista sperimentale mancherebbe parte essenziale del suo compito se, occupandosi di ricerca operazionalizzata, non ne vedesse e non ne teorizzasse i limiti, agendo ed insegnando ad agire di conseguenza 23.
Una rilevazione di Psicologia della conoscenza non è mai "pura": nel momento in cui comunque interagisce con l'educando, lo psicologo svolge una funzione educativa. E ciò vale anche in Didattica, anche per l'insegnante che compia valutazioni diagnostiche o formative. Piuttosto che puntare ad una mitica e contraddittoria "sterilizzazione" educativa di strumenti di rilevazione psicologica, il pedagogista indicherebbe in che modo ottimizzarne invece l'incidenza educativa, cioè la modificazione della cultura dell'educando nel senso evolutivo della programmazione.
Il che sarebbe, oltre a tutto, meglio rispondente alla scientificità.
 

Psicologia clinica e pedagogia professionale

L'Associazione Nazionale dei PEdagogisti professionali (A.N.PE.) aveva organizzato nei gg. 27-29/10/93 un Convegno che avrebbe dovuto segnare la tanto attesa istituzione dell'Albo professionale dei Pedagogisti. La cosa non ebbe seguito nonostante il sostanziale accordo di quasi tutte le forse politiche allora esistenti, per le vicissitudini parlamentari del tempo; ma rimase come pietra miliare verso il soddisfacimento di un'esigenza a lungo disattesa. E' ben vero che grosse difficoltà vi erano state (forse vi sono tutt'ora) anche per la costituzione dell'albo professionale degli psicologi; ma ciò era conseguenza dell'enorme disparità dottrinale, formativa ed organizzativa tra gli psicologi, che non ha riscontro tra i pedagogisti professionali.
In quell'occasione, fra l'altro, rappresentavamo in Dipartimento dell'Educazione: vale a dire, proprio la struttura di ricerca nella quale il dedicatario opera attivamente fin dall'istituzione, fornendo il Suo alto contributo anche nello specifico. Vi avemmo modo di osservare con una provocazione dall'evidente "retrogusto" amaro: "L'Italiano un tempo era il popolo di poeti, santi e navigatori e via discorrendo; oggi è un popolo di 56 milioni di Commissari Tecnici della Nazionale di calcio, e di 56 milioni di pedagogisti" 24
Il problema si pone anche nei riguardi degli psicologi, spesso investiti di funzioni di consulenza e perizia pedagogica anche là dove esulerebbe dalle loro competenze dottrinali e dalle loro funzioni istituzionali. Non è un rilievo mosso né a questi né a quanti si trovano nelle stesse condizioni, siano essi medici od avvocati, sociologi o giornalisti, insegnanti od assistenti sociali; è la constatazione di una vacatio talmente grave che non poteva non prestarsi ad una serie di supplenze, tanto necessarie ad affrontare con qualche positività i problemi quanto inadatte ad una sua presa in carico con la perizia e la proprietà necessarie.
Riemerge una sorta di complementarismo come quelli che si erano tratteggiati più sopra: la teoria acquista consistenza in modo leggibile, mentre per l'applicazione e l'empiria valgono discorsi che si sono avviati in altre sedi 25. In particolare la psicanalisi, intesa come "procedimento medico che si prefigge la terapia di determinate forme di stati nervosi (nevrosi) attraverso una tecnica psicologica" 26 lascia aperto e visibile il campo d'azione e di studio del pedagogista: una volta curato il vissuto e superati la nevrosi o lo stato patologico quale che sia, rimane tutto da fare circa le cause contestuali (relazionali, ambientali, familiari, lavorative, politiche, culturali, ...) e soprattutto circa la proiezione nel futuro, che sia progettuale e che tenda ad educare alla prevenzione di nuovi accessi e al riformulare il progetto di vita e la comunicazione interpersonale in senso lato in modo da far sì che predisposizioni eventuali divengano, anziché agenti patogeni, fattori di migliore congruità umana. E' il caso della consulenza familiare, che non riguarda solo i figli o la loro educazione o la loro relazionalità con i genitori; ma è anche il caso, ad esempio, delle depressioni di carattere nelle quali meglio si sviluppano divergenza e creatività; od anche di forme aggressive che per lo psicologo si "sublimano" in certe funzioni di utilità umana (dal chirurgo al piazzista) mentre per il pedagogista questo va costruito progettualmente nel dialogo con l'interlocutore e nell'interazione con altri interlocutori educativi.
Per questo il dialogo educativo tra pedagogista e interlocutore diviene clinica, ed una clinica non psicologica o psicanalitica: un dialogo che abbia per oggetto il ripensamento e l'eventuale ricostruzione o ristrutturazione del progetto di vita, in tutte le sue concretizzazioni.
Come abbiamo argomentato più ampiamente altrove, la crisi di inutilizzazione di strati sempre più ampi del lavoro dipendente nel privato che si sta verificando negli anni '90 in seguito alle ristrutturazioni dal modello Ford al modello Toyota (Qualità Totale, fabbrica snella, risoluzione di problemi dove si presentano, ...) è un grosso problema pedagogico, e per tale va posto ed affrontato. L'osservazione che viene fatta comunemente (quanto superficialmente) relativa al "patrimonio professionale umano" che potrebbe andar perduto è parziale e largamente fuorviante. In realtà, si tratta di operare una transizione pedagogica a riconsiderare virtù quelle qualità di divergenza, immaginazione, creatività, intraprendenza, iniziativa che si erano educati i lavoratori a considerare vizio incompatibile con l'ideologia aziendale; e d'altra parte a riconsiderare vizio quelle qualità di conformismo, auto-adeguamento acritico, impersonalismo, passività, scioglimento nell'azienda che per decenni tutti sono stati educati a considerare invece come virtù. La si direbbe una "rieducazione", se il termine non avesse intonazioni negative la cui origine dà di che riflettere: si tratta, comunque, di educazione continua.
Ricordiamo che Sigmund Freud trovò un terreno fertile (e, forse, anche più) per sviluppare la sua teoria psicanalitica nel "Trattamento catartico", una sorta di terapia ipno-suggestiva che prevedeva anche rievocazioni; e che lui stesso suggerì al non specialista Joseph Breuer di proseguire e pubblicare le sue ricerche. Ne sono testimoni gli Studien über Hysterie (1895), scritto storicamente cruciale a quattro mani.
Ci interessa molto notare il felice ed efficace paragone che Freud operò tra le "rievocazioni" breueriane e le sue "associazioni libere", con reminiscenza leonardesca. Nel primo caso si tratterebbe di procedere come per la pittura per via di mettere: le suggestioni del terapeuta si sovrappongono al sintomo patologico senza eliminarne le cause. Nel secondo, ritenuto per ciò evolutivo, si tratterebbe di procedere come nella scultura per via di levare: quanto di patogeno viene portato al conscio è levato dall'inconscio nel quale agisce.
Il punto di vista pedagogico manifesta bene la sua differenza focalizzando l'attenzione, in luogo dell'entrare in una dialettica chiusa tra il mettere e il levare, sulla categoria del modificare evolutivamente.
Il discorso trova un pendant significativo se lo si ricollega a quello precedente sulla psicologia della conoscenza, quando si compiano ricerche sperimentali psico-pedagogiche della conoscenza che in qualche modo arieggino l'epistemologia genetica piagettiana (di ispirazione bruneriana, o per tali considerate, con o senza richiami a Bruner) e pretendano di porsi a modelli di didattica o d'educazione. In effetti, valgono considerazioni analoghe. Va ricordato che Jean Piaget non era né un pedagogista né un didatta, non ha mai preteso di esserlo e le sue ricerche non si sono mai collocate né nella materia educativa né in quella dell'insegnamento; semmai, le potremmo classificare, propriamente, entro le scienze dell'educazione. Tra le innumerevoli citazioni possibili, una ci sembra di quella chiarezza esclusiva che bene qualifica e rende trasferibile un messaggio che possa definirsi legittimamente scientifico: "Sono convinto che quello che noi abbiamo scoperto possa essere usato nel campo dell'educazione, andando oltre la teoria dell'apprendimento, per esempio, e suggerendo altri metodi d'apprendimento. Penso che ciò sia fondamentale. Io però non sono un pedagogista, e non ho indicazioni precise da dare agli educatori. Tutto quello che noi possiamo fare è fornir loro dei fatti. Penso inoltre che gli educatori possano scoprire molti nuovi metodi educativi." 27
Andrebbe osservato che ogni atto di ricognizione operato da un educatore (l'insegnante ne è solo un esempio) sulla base di conoscenza esistente nell'educando è per ciò stesso già un atto educativo: anche per il solo fatto che l'educatore si pone di fronte all'educando, egli ha già iniziato ad educare; e il discorso è generale, riguarda anche il versante clinico. Vale a dire, più e diversamente che a mettere o a levare (o ad un mitico rilevare "puro" che non esiste), a far evolvere. Il che non vale solo per qualsiasi rilevazione piagettiana o simil- o pseudo-piagettiana, che sia effettuata per mezzo di test o di colloqui clinici o comunque composita e temperata; vale anche per qualunque forma di accertamento, compresa quella in Didattica che va sotto il nome generico di "valutazione diagnostica" o "d'ingresso", che sia fatta con strumenti docimologicamente avanzati o con accorgimenti consuetudinari.
Sarebbe fin errato parlare di "interferenze" dell'educatore (o del didatta), al momento rilevatore, sull'educando: sono atti educativi proprio perché ed in quanto "interferiscono", "perturbano". Un'interazione conoscitiva quale che sia comporta sempre e comunque una perturbazione dell'oggetto di studio la quale ne rende così limitata la conoscibilità effettiva anche in linea di principio: è la sostanza del principio d'indeterminazione di Heisenberg. Ed esso, come principio, è valido a più forte ragione nelle scienze umane, pur essendone essenzialmente diverso, ed essendovi confrontabile solo in senso metaforico.
Ma poi, e soprattutto, va posta la dovuta attenzione sulla natura pedagogica e didattica dell'intervento dell'insegnante come di qualunque educatore, che lo rende in essenza diverso dall'intervento di uno psicologo della conoscenza. Si tratta di un'osservazione analoga a quella che varrebbe per il medico che compisse un visita o misurasse la pressione al paziente: egli ha sì bisogno di dati per procedere alla diagnosi, alla prognosi, alla terapia; ma è altrettanto importante notare che egli comincia già la terapia appena ha contatto con il paziente stesso (la prima medicina che il medico somministra è sé stesso).
E' ben vero che in una fase iniziale e in tante fasi intermedie vi è un forte componente di necessità di conoscere il destinatario dell'intervento; ma tale finalità cognitiva è funzionale all'intervento didattico (od educativo) stesso il quale, qui il punto, ha inizio proprio con tale primo accesso. Questo significa che già nella diagnosi vi sono un primo orientamento, un primo volgimento, un avviamento per strade opportune, almeno una delimitazione a grandi linee del campo, come si conviene a qualsiasi operatore dell'educazione e dell'insegnamento; e che operare così è bene e correttamente operare. L'argomento secondo il quale almeno tale prima fase dovrebbe essere asettica e non soggettiva, miticamente "pura", non vale. Anche ammessa una simile possibilità, un po' come nella vana ricerca dei "fatti puri" positivistica e neo-positivistica, ciò la renderebbe inetta ed estranea ad un atto didattico od educativo, siano essi di ricerca ovvero di pratica, in quanto non mirerebbe alle finalità tipiche dell'uno o dell'altro campo di studio e d'azione dell'uomo.
Anche in questo caso la scarsa scientificità, o meglio una scientificità pretesa e malintesa, va di pari passo con la negazione delle valenze specificamente educative. Possono esistere finalità cognitive per il rilevatore-testista, unilateralmente inteso, forse; ma allora cadono finalità educative quali che siano, se non per l'educazione od auto-educazione di chi cura le rilevazioni.
L'insegnante del resto, anche in quanto educatore, non accede allo stato psicologico-cognitivo (foss'anche per il tramite di uno psicologo-testista) tanto per conoscerlo e studiarlo, quanto appunto per modificarlo in senso funzionale al perseguimento delle finalità culturali e di quelle educative che vengono poste dalla società alla sua professionalità in atto. Ne consegue che quelle che per uno psicologo sarebbero (forse) delle perturbazioni, e come tali da minimizzarsi e da tararsi, per il pedagogo ed il didatta rappresentano l'essenza stessa dei loro interventi.
Ciò comporta, notiamo en passant, un recupero della direttività piena come parte essenziale della deontologia e della funzione professionale dell'educatore: un agire estrinseco e progettuale sull'educando mirato alla sua messa a regime con il processo storicamente in corso dell'evoluzione culturale della specie umana. Né questo può far correre alcun rischio di ripresa di un insegnamento autoritario, cosiddetto "cattedratico" (e detto malamente), al modo nel quale esso era inserito notoriamente in un'educazione non democratica, se si rimane in una prospettiva sanamente scientifica. In modalità di conoscenza, e d'esercizio della creatività umana, che possano dirsi scientifiche, ad ogni destinatario deve sempre e comunque essere assicurata la possibilità effettiva di controllare la validità ed i limiti di quanto gli viene proposto. Egli, più propriamente, è un interlocutore del dialogo educativo, non potendosi mai dare un'educazione a senso unico: l'educatore è per ciò stesso educando, e viceversa.
 

Gli sviluppi correnti della formazione alle professionalità pedagogiche

La ricerca di base da un lato, e la pratica operatività quotidiana dall'altro, non esauriscono né il dominio della Pedagogia né la risposta ai problemi educativi della società. Il progressivo costituirsi di figure professionali di pedagogista, differenziate come vedremo ma accomunate dal loro riferirsi sia alla teoria che alla prassi senza esaurirsi in nessuna di esse ma anzi integrando una via di completamento per entrambe, sta dimostrandolo fattualmente negli anni '90.
Sul piano della dottrina, poi, una delle lezioni che andrebbero colte con maggiore forza dalla pedagogia tedesca contemporanea 28 riguarda proprio il tripartirsi dei livelli del discorso pedagogico: un livello teorico, quello degli studiosi di Pedagogia generale, per i quali l'interazione con l'esperienza educativa rimane imprescindibile; quello della prassi, che comunque è impensabile senza un rapporto con la teoria; e quello della mediazione empirica, applicata, esperienziale, che interagisce con entrambi ottimizzandone la comunicazione e il profitto evolutivo reciproco.
Il nodo problematico attuale sta proprio nell'imprescindibilità di questa dimensione intermedia, un'imprescindibilità sia di principio che pratico-operativa, nel contesto culturale italiano. Ciò in quanto in tale contesto si tenderebbe a ridurre il dominio educativo a due sole dimensioni: quella teorica, spesso più che altro filosofica e detta appunto in questi casi "teoretica"; e quella pratica, di operatività per lo più ripetitiva di modelli prefissati.
Coerentemente con questa dottrina, con attenzione alla problematica sottesa, e in risposta ad una richiesta sociale sempre più chiara, anche a Trieste come in altre sedi si è progressivamente sostituito al "glorioso" corso di laurea in Pedagogia quello in Scienze dell'Educazione. Le prospettive scolastiche vi sono limitate all'insegnamento medio-superiore di scienze umane variamente accorpate (I indirizzo) e, probabilmente, a diverse funzioni dirigenziali, di consulenza e di supervisione professionale non ancora delineate legislativamente: esse non sono quindi da considerarsi preponderanti come avveniva per il corso preesistente.
Le professioni pedagogiche recenti sono individuate in modo particolare su due grandi filoni, corrispondenti al II e III indirizzo.
Per il II indirizzo detto "educatori professionali extrascolastici" sembra di potersi indicare come figura professionale di riferimento quella del pedagogista operante nei servizi pubblici o para-pubblici od in convenzione (enti locali, servizi sociali, U.L.S.S., sessuologia, consultori, famiglia, comunità terapeutiche, servizi all'infanzia, agli anziani, agli svantaggiati, accoglienza, case mandamentali e circondariali, convitti, ...) nonché nella libera professione. L'aggettivo "extra-scolastici" sembra più che altro un residuo di un passato nel quale la Pedagogia era sostanzialmente ristretta nella scuola, un passato che si augura in via di rapido superamento; mentre il termine "educatori" si ricollega al cambiamento di nome del corso di laurea ed è da considerarsi improprio. In effetti, quella del "pedagogista" si configura come una professione differente da quella dell'educatore (pedagogo, aio, istitutore, assistente di comunità, ...), cioè quella di un operatore diplomato: essa si colloca appunto in una dimensione intermedia tra quella dello studioso di Pedagogia (teoria) e quella dell'operatore (prassi), che potremmo chiamare "applicata" od "empirica".
Circa il III indirizzo detto "esperti nei processi di formazione", si tratta di una figura professionale emergente nel settore privato, industria e servizi, che è deputata a gestire professionalmente la risorsa-uomo (uomo come soggetto di cultura). Il che significa indubbiamente anche operare sulla formazione iniziale e continua, purché la performance professionale sia espletata a certi livelli e con certi requisiti differenzianti da un'attività didattica continuativa e regolare. Ma significa, essenzialmente, un farsi problema delle situazioni problematiche che insorgono nei settori predetti (specialmente privati, ma anche pubblici, là dove esistano comportamenti privatistici). Vengono in mente figure ravvicinabili immediatamente, come quelle dei responsabili e degli operatori professionali del patrimonio di professionalità costituito dagli occupati di un'azienda quale che sia (od anche in uno studio libero-professionale); dei responsabili dell'archivistica e della documentazione, delle relazioni interne con gli occupati sotto il profilo della professionalità, della gestione dei processi di formazione continua e riqualificazione, della selezione iniziale e della supervisione sulle carriere e sugli sviluppi delle responsabilità e delle incombenze in certe posizioni. L'esistenza poi di una non trascurabile base umanistica può far ipotizzare anche professionalità del tipo dei servizi stampa (interni ed esterni), della multimedialità, delle comunicazioni esterne e di parte delle comunicazioni industriali, dell'archivistica, della biblioteconomia, della documentazione storica aziendale, dell'immagine culturale e pubblica (ciò è a dire significativa dal lato educativo) dell'azienda stessa. Non si escludono quindi sviluppi nei settori delle P.R., dei rapporti diretti con il personale e relativa gestione, della pubblicistica e della documentazione aziendale, dei servizi di ricerca e d'informazione, e via elencando.
Insomma, si tratta sempre di comunicazione inter-umana finalizzata all'evoluzione culturale, come da dottrina 29: con riguardo particolare per il mondo del lavoro nel III indirizzo, per le relazioni personali nel II indirizzo, e per quelle scolastiche nel I.
Qui è opportuno un ultimo cenno alla metodologia che costituisce componente essenziale della professionalità pedagogica comunque intesa e dovunque esercitata: si vede come la categoria mentale, lo strumento concettuale ed operativo, dell'"intersoggettivamente trasferibile" sia fondamentale in Pedagogia, quanto è marginale se non addirittura estraneo nella Psicanalisi e in larghi settori della Psicologia Clinica.
Una trattazione che si ispirasse a criteri essenziali di scientificità, come la presente, si presterebbe comunque male ad una sorta di conclusione, che non fosse d'apertura agli sviluppi successivi e, pragmatisticamente, al vaglio dell'esperienza futura.
Ci sembra quindi che questo riferimento ad un processo in corso, al quale il dedicatario di questi scritti ha sempre offerto le sue risorse migliori, costituisca il modo migliore per chiudere.
 

Note:

1     "Il progresso della ricerca pedagogica e didattica generale e la rispettiva scientificità", nel volume Educazione, scuola e formazione docente - Studi in onore di Enzo Petrini (Del Bianco, Udine 1994), pag. 35-49.

2     Educazione e scienza (SEI, Torino 1989), pag. 149-170; Scienza e pedagogia (Arcobaleno, Monza-MI 1993), pag. 13-27 e passim; Didattica scientifica (Del Bianco, Udine 1994), pag. 255-176.

3     Ci si riferisce alla collaborazion organica con la Fondazione Gianfrancesco Serio, agli scritti regolari di Pedagogia Generale apparsi nella collana "Acta paedagogica" (Pellegrini, Cosenza, dal 1990) e nella rivista "Qualeducazione" (dal 1987), ed alle svariate collaborazioni con altri periodici (a partire da "I diritti della scuola"), che non si elencano per ragioni di spazio. Ma ci si potrebbe altresì riferire ad opere che affrontano questioni pedagogiche generali partendo da problemi di educazione scientifica, che si sono espresse per un ventennio; del resto, è acquisito come nella metodologia "per problemi" il dominio di problematizzazione non abbia nulla a che restringere od ipotecare il codominio di teorizzazione; si può parlare di Pedagogia Generale, partendo da problemi particolari a piacere.

4     Sarà il caso di avvertire che l'impiego del genere maschile, qui e più avanti, cambia il significato del termine: "la" componente potrebbe essere una coordinata (ad esempio di un vettore), quindi un elemento eterogeneo; "il" componente è un elemento omogeneo, nel caso del vettore è uno dei vettori paralleli agli assi del sistema di riferimento nei quali esso è scomponibile.

5     A parte lo scritto ricordato in apertura, si rimanda al fondamentale Pedagogia e scienze dell'educazione a cura di A. Visalberghi (Mondadori, Milano 1978-1990), pag. 15-49, e alle relative bibliografie. Circa il costruire la pedagogia come scienza, egli argomenta trattarsi "piuttosto di un'esigenza che di una realtà, o anche di una prospettiva a breve termine." (pag. 31).

6     Quella che ha i suoi cardini delle tre opere Educazione e scienza, citata, Educazione 2000 - Idee e riflessioni pedagogiche per il secolo entrante (Pellegrini, Cosenza 1993) e Un'introduzione allo studio dell'educazione (Osanna, Venosa-PZ 1996): in pratica la costruzione di un Neo-pragmatismo pedagogico, e studi per la sua applicatività.

7     Educazione e scienza, pag. 77-80 e passim; Didattica scientifica, pag. 116-119 e 265-273.

8     Vintage Book, New York 1960, pp. 97.

9     Armando, Roma 19641 e più volte ristampato.

10    Le due culture è il titolo della sua famosa conferenza tenuta a Cambridge nel 1959. Edizione italiana: Feltrinelli, Milano 1964.

11    R. Tassi: Itinerari pedagogici del Novecento (Zanichelli, Bologna 1991), pag. 355.

12    Essa era rappresentata al Convegno di Woods Hole da Bärbel Inhelder.

13    Ibidem.

14    Ibidem.

15    J.S.B.: Lo sviluppo cognitivo (1966; ed. it: Armando, Roma 1968, pag. 22).

16    L'ultimo riferimento a J.S. Bruner disponibile è ad una conferenza tenutasi a Reggio Emilia il 12/9/1995.

17    Educazione 2000, citato, pag. 202-207.

18    M. Reuchlin: Storia della psicologia (Newton Compton, Roma 1994), pag. 64.

19    Educazione 2000, citato, pag. 246-259 e 284-288. Ciò che distingue le diverse forme d'esercizio della creatività umana è il metodo; "in pedagogia generale la stessa temperie di metodi, a questo punto, diventa una metodologia specifica" (pag. 255).

20    Si rimanda alla voce "Qualità/quantità" da lui scritta per l'Enciclopedia Einaudi (in 16 volumi; volume undicesimo, pag. 460-476, Torino 1980) per la trattazione essenziale. La sua opera fondamentale Stabilité structurelle et morphogénèse è del 1976 (Ed.it. Stabilità strutturale e morfogenesi; Einaudi, Torino 1980).

21    E.H. Hutten Le idee della fisica (Borla, Roma 1988), pag. 27 a riassunto delle considerazioni precedentemente svolte (ed. or. 1967; ed.it. a cura di F. Blezza).

22    R. Thom, op.cit., pag. 471.

23    Non a caso nella tabella XV del piano di studi per la nuova laurea in Scienze dell'Educazione il corso di Pedagogia Sperimentale, obbligatorio per tutti nel 1° biennio e per la quasi totalità dei frequentanti il 2° biennio è considerato come un esame di "Metodologia della ricerca".

24    Una sintesi è pubblicata su "Professione pedagogista" (n. 2/1995, pag. 8-9).

25     Educazione 2000, pag. 101-116 (in particolare la sessualità femminile, e il caso della vedova con bolo isterico), 246-259 (la virtualità professionale e le sedi d'esercizio); Scienza e pedagogia, pag. 53-63 (limiti della psicanalisi, l'esempio del traffico caotico).

26     S. Freud: L'interesse per la psicanalisi (1913). In Opere 1905/1921 (Newton Compton, Roma 1993), pag. 692. Più avanti, parla di sinteticamente dell'"interesse pedagogico" della Psicanalisi (pag. 706-707), seppure con la comprensibile attenzione per l'età dello sviluppo e non in generale; resterebbe invece tutta da fare l'indagine reciproca dell'interesse psicanalitico della Pedagogia.

27     In AA.VV. (ed. Richard I. Evans) Jean Piaget - The Man and his Ideas. L'edizione italiana (Newton Compton, Roma 1979) reca accattivanti l'indicazione di Piaget come autore, ed il titolo Cos'è la psicologia. La citazione (pag. 81) è tratta da un'intervista resa allo stesso Evans; poco dopo, interrogato, egli si dice preoccupato del "grosso pericolo [...] che assai poca gente abbia capito il mio pensiero.".

28    Ci riferiamo essenzialmente al lavoro antologico curato da Michele Borrelli dal titolo appunto La pedagogia tedesca contemporanea (Pellegrini, Cosenza, I e II volume 1993, III volume in preparazione).

29    Educazione 2000, citato, "possiamo considerare <<educazione>> qualunque forma di comunicazione interpersonale la quale concorra, o sia suscettibile di concorrere, alla perpetuazione della storia e dell'evoluzione culturale come prerogative essenzialmente umane." (pag 116).
 


 
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