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Casa natale di Enzo Cicchino,
figlio di
Maddalena


la toppa della porta dove mio padre, mia madre infilavano una grossa chiave di ferro con in testa un occhiello che per me aveva col suo ciglio rotondo un ché di magico


uno scorcio dall'aia di casa mia, 1953. Minguccio e Gina due anni prima di raggiungere il papà Vincenzo in Argentina

bimbo, su questa soglia a volte mi sedevo e sognavo, sognavo... La porta si divideva in tre pezzi. Quella di destra era intera, ma quella di sinistra si divideva in due metà, una superiore ed un'altra inferiore. La metà superiore restava sempre aperta come una finestra. E da qui, fascinoso osservavo scendere la pioggia, la neve, l'urlìo del vento... Mio padre ogni volta che cadeva la neve era sorpreso da una strana rievocazione della sua infanzia... mi mormorava "lenta la neve fiocca lenta lenta..." nei cui sentimenti di pascoliana memoria lui ogni volta si identificava.
La finestrella in basso sulla sinistra aveva un vetro rotto da cui entrava uno spiffero gelido in inverno, un vetro rotto che per la mania del risparmio non era stato mai cambiato e rare volte quando era più freddo ci veniva messo un pezzo di cartone della scatola delle scarpe.

la piccola costruzione con il tetto sfondato era la stalla, una volta. La prima parte di casa, quella coperta di catrame nero fu costruita nel 1936 da un leggendario mastro della zona, dalla vita molto avventurosa, di nome Benedetto Ferritti. E fu il primo nucleo dell'abitazione: Una stanza giù, la cucina, ed una stanza su: la camera da letto. In quella stanza in su, la prima a destra sono nato io Enzo nel 1956
 
c'era la pergola davanti casa, l'uva restava sempre un pò mezzo acerba, ma io la trovavo dolcissima

ho abitato in questa casa fino all'età di di undici anni, quando la lasciai, eran due mesi che frequentavo la prima media, nel '68. La parte di casa con le altre due finestre, sulla sinistra le ha costruite mio zio paterno Vincenzo, sua moglie Carmela -emigrata con lui in Argentina-  fu lei che suggerì ai miei genitori di chiamarmi Enzo

 


da bambino, questo era il mio susino preferito


lo stesso susino al tempo in cui era giovane e portava i frutti; l'albero che invece si scorge in secondo piano appena dietro casa era il mio ciliegio preferito, sotto la cui gradita ombra il mio papà si improvvisava barbiere e mi tagliava i capelli, quando ero bambino. La porta che si vede chiusa con il muro di pietre a secco a destra di questi giovinotti era invece l'entrata della stalluccia del maiale, quando fu dismessa mio padre ebbe l'idea di murarla, scoprirle il  tetto e riempirla di terra per piantarci una vite di moscato. Nessuno dei tre che vedete sono io, soltanto dei parenti.

questa è l'aia da cui mi sporgevo, aspettando mio padre con la bicicletta, quando tornava dal cinema. Ci si trebbiava il grano con i ciuchi, i buoi ed i cavalli. Nel 1959, appunto mentre si scamava il grano, un lupo, che si era nascosto in un cespuglio si mangiò il mio cane.


Mio zio Arduino con la fidanzata Lucia, poi moglie, dicembre 1960. Erano venuti a farci visita... io, Enzo, avevo poco più di quattro anni.


1962. I due trespoli di ferro su cui sono seduti Arduino e Lucia venivano utilizzati da mia nonna Giuditta e nonno Domenico come base del loro letto. Ci mettevano sopra un piano di tavole e su questo il saccone e sopra questo il materasso.


1965. Questo era il panorama che, bambino, scorgevo dall'aia di casa; qui, mio cugino Domenico e sua madre zia Carmela, moglie di mio zio Vincenzo. Abitavamo tutti insieme.
 

la casa in basso a destra è quella nuova, dove andammo ad abitare dopo che lasciammo la semi-stalla in alto a sinistra; quella in alto a destra era la casa dei miei nonni paterni.
La mia casa natale, quella da cui ogni mattino potevo scorgere Le Mainarde coperte di neve o di nebbia, o solo il profilo roccioso impervio in lontananza, non è più proprietà della mia famiglia, lo zio Vincenzo infatti -molti anni fa- l'ha venduta... ad estranei che l'hanno abbandonata a se stessa... Mi piange il cuore.