Mussolini aveva bisogno di duemila
morti da buttare sul tavolo della pace. Per lui, contrariamente a quanto
uno statista illuminato avrebbe dovuto intravedere, la guerra era gia’
finita, vinta dalla Germania. Non gli sorse minimamente il dubbio che le
truppe anglo francesi potessero trovare un improvviso scampo a Dunquerque.
E neppure che l’aviazione inglese potesse mettere in decisiva difficolta’
quella tedesca portandola alla categorica sconfitta della Battaglia d’Inghilterra.
Ai primi di giugno del 1940 il Duce
era fermamente convinto che il destino dell’Europa era segnato a favore
della Germania e lui non si sarebbe potuto permettere comunque di rimanere
assente.
Il Ministro della Cultura Popolare
Alessandro Pavolini, che certo non brillo’ neppure lui in lungimiranza,
scrisse il 5 giugno un articolo pubblicato su tutti i giornali e dal titolo
Guerra Mussoliniana in cui si infervorava nel definirla un esplodere
di rapidita’ guerriera tutta nuova per l’Italia e che avrebbe segnato
con gloria il corso del conflitto.
Della dichiarazione, Benito, da qualche
giorno, aveva preso a scarabocchiarne il testo su un foglio giallognolo
vergato di amara inquietudine, lunghe notti insonni.
Pur se dalle curve parole non venne
fuori gran seme di saggezza, le cotidie cure, cui Claretta lo poneva
riuscirono a dargli si’ forza… che il disgraziato testo divenne uno dei
piu’ infausti cimeli della storia letteraria del Novecento.
Della sua unicita’ semantica possiamo
ancor trarne conforto all’ascolto dell’unico documento sonoro che di esso
ci rimane e che lo rappresenta: il cinegiornale Luce.
Colpisce ancora la bellezza di alcuni
incisi, di alcune parole profferte con quasi sacrale dottrina. Cesellate
dal nerbo di un volitivo che tenta di portare ancora una volta a termine
un’altra delle sue disgraziate avventure.
Un suono in particolare ha il fascino
di una malia che disarma ed inquieta, che per la sua bellezza intrinseca
produce quasi rabbia: e’ quello della parola “ascoltate” che conclude
la prima frase della ‘invocatio’.
Chissa’ quante volte si e’ messo dinanzi
allo specchio per esprimerla, curarne il gesto, la magia. E’ troppo raffinata.
Troppo pensata e posata.
Mussolini quell’ascoltate lo
pronuncia con la penetrante bellezza di una infida sirena che guida la
nave fra le secche di uno scoglio, nascondendo il disastro.
La liturgia e’ necessaria. Non la
si puo’ non adempiere. E quel vascello di suoni e’ profferto all’ascolto
sacrificale in un facile vassoio di promesse, ed in quanto vaghe, tanto
piu’ prezioso. Guru non ancora tradito dalla voltagabbana sorte, Mussolini
si avvia, con le parole, miserevolmente all’altare della sconfitta. A nulla
valgono i concitati sussulti emersi dalla folla, troppo cupa per sembrare
celestiale in quel kirie di morte.
E tuttavia ancora oggi, nell’udirlo,
si vien toccati da quella sua ‘orazione funebre’, dall’ardire della sua
levita’ solida. Dal dolore per una smorfia irosa velata di nebbie… sulle
crepe che fanno da sipario al ‘nulla’ tragedia.
Nel documento Luce, gli effetti
sonori della folla poi, sono in parte posticci. In mezzo a quelle urla…
tanta gente ha pianto.
10 giugno 1940 il Ministro degli
Esteri Galeazzo Ciano convoco’ i due ambasciatori inglese e francese a
Palazzo Chigi per le ore quattro e trenta del pomeriggio. Li accolse in
divisa di ufficiale dell’aeronautica, la stessa che aveva indossato durante
la guerra d’Etiopia.
Francois Poncet venne ricevuto
per primo, era emozionato, anche se cercava di non darlo a vedere. Affermava
di aver previsto quell’epilogo dal giorno della firma del Patto di Acciaio.
Dopo aver ascoltato la dichiarazione
di guerra, con un triste sorriso replico’: “E’ un colpo di pugnale alla
schiena ad un uomo in terra, al vostro posto non ne sarei fiero. Vi ringrazio
comunque di usare un guanto di velluto”.
Ciano arrossi’. “Vuole sapere le
ragioni della guerra? …mantenere gli impegni contratti con la Germania”.
“Dopo il conflitto la vita europea
riprendera’. Ma assai colpevoli saranno coloro che lasceranno scavarsi
tra l’Italia e la Francia un fossato pieno di sangue” rispose l’ambasciatore
francese. Il quale aggiunse ancora che gli risultava difficile considerare
Ciano un suo nemico. Lo guardo’. “Non vi fate ammazzare!” alla fine
concluse, osservando la sua tenuta da aviatore. Gli strinse la mano.
Ma ad uccidere Galeazzo non saranno
i francesi come Poncet aveva avuto timore, ma gli italiani, i suoi fascisti,
la vendetta bruta dell’alleato tedesco i cui patti il Ministro degli Esteri
si stava apprestando ad onorare.
Piu’ freddo e formale l’incontro di
Ciano con il laconico ambasciatore inglese Percy Laraine, che accolse la
comunicazione, impassibile. Poi, un chiarimento, se il messaggio era da
intendersi solo un preavviso oppure una decisione definitiva a tutti gli
effetti. Avuta conferma della sua irrevocabilita’ si congedo’. …Anche lui
con una lunga e cordiale stretta di mano.
Alle sei del pomeriggio di quel tiepido
10 giugno 1940, 16 anni esatti dopo il delitto Matteotti e tre anni circa
dopo quello dei fratelli Rosselli (avvenuto il 9 giugno 1937), Mussolini
rende partecipe il suo popolo, raccolto in tutte le piazze d’Italia, della
esecuzione di nuovi delitti i cui protagonisti saranno questa volta gli
stati: la Guerra contro Francia ed Inghilterra, accanto alla Germania.
Il Presidente del Consiglio francese
Reynaud commenta: “La Francia, lei, non ha niente da dire. Il mondo,
che ci guarda, giudichera’ ”
Nel testo della dichiarazione di guerra
colpisce ancora quel riferirsi ambiguo di Mussolini ad altri popoli: svizzeri,
greci, jugoslavi, turchi, egiziani, cui promette una non aggressione quanto
mai poco chiara. Foriera di tristi presagi. Ci si chiede come sia nata
questa frase oscena, se in quello stesso anno viene attaccato l’Egitto,
in quello successivo la Grecia e poi la Jugoslavia: cui rubano tra l’altro
tutte le riserve auree. 60 tonnellate!
Testo Dichiarazione di Guerra
Combattenti di terra, di mare e dell'aria! Camicie nere della rivoluzione
e delle legioni! Uomini e donne d'Italia, dell'Impero e del regno d'Albania!
Ascoltate!
Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria.
L'ora delle decisioni irrevocabili.
La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli
ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia.
Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie
dell'Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso
insidiato l'esistenza medesima del popolo italiano.
Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere
in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento
dell'edificio, l'ignobile assedio societario di cinquantadue stati.
La nostra coscienza è assolutamente tranquilla.
Con voi il mondo intero è testimone che l'Italia del Littorio
ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge
l'Europa; ma tutto fu vano.
Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della
vita delle nazioni e non considerarli intangibili per l'eternità;
bastava non iniziare la stolta politica delle garanzie, che si è
palesata soprattutto micidiale per coloro che la hanno accettate; bastava
non respingere la proposta che il Fuhrer fece il 6 ottobre dell'anno scorso,
dopo finita la campagna di Polonia.
Oramai tutto ciò appartiene al passato.
Se noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi ed i sacrifici di una
guerra, gli è che l'onore, gli interessi, l'avvenire fermamente
lo impongono, poiché un grande popolo è veramente tale se
considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano
il corso della storia.
Noi impugniamo le armi per risolvere, dopo il problema risolto delle
nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime;
noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci
soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni
di anime non è veramente libero se non ha libero l'accesso all'Oceano.
Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico
della nostra rivoluzione; è la lotta dei popoli poveri e numerosi
di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio
di tutte le ricchezze e di tutto l'oro della terra; è la lotta dei
popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto,
è la lotta tra due secoli e due idee.
Ora che i dadi sono gettati e la nostra volontà ha bruciato
alle nostre spalle i vascelli, io dichiaro solennemente che l'Italia non
intende trascinare altri popoli nel conflitto con essa confinanti per mare
o per terra. Svizzera, Jugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto prendano atto
di queste mie parole e dipende da loro, soltanto da loro, se esse saranno
o no rigorosamente confermate.
Italiani!
In una memorabile adunata, quella di Berlino, io dissi che, secondo
le leggi della morale fascista, quando si ha un amico si marcia con lui
sino in fondo. Questo abbiamo fatto e faremo con la Germania, col suo popolo,
con le sue meravigliose Forze armate.
In questa vigilia di un evento di una portata secolare, rivolgiamo
il nostro pensiero alla Maestà del re imperatore, che, come sempre,
ha interpretato l'anima della patria. E salutiamo alla voce il Fuhrer,
il capo della grande Germania alleata.
L'Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi,
forte, fiera e compatta come non mai. La parola d'ordine è una sola,
categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende
i cuori dalle Alpi all'Oceano Indiano: vincere!
E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia
all'Italia, all'Europa, al mondo.
Popolo italiano!
Corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo
valore!
Subito dopo aver pronunciato il discorso
della dichiarazione di Guerra, Hitler, partecipa la sua gioia a Mussolini
con un lungo telegramma:
“…io dichiaro solennemente che l'Italia non intende trascinare altri popoli nel conflitto con essa confinanti per mare o per terra. Svizzera, Jugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto prendano atto di queste mie parole e dipende da loro, soltanto da loro, se esse saranno o no rigorosamente confermate”.
Queste sono parole
che suonano molto ambigue se non addirittura inspiegabili, incomprensibili
se non facciamo un passo indietro.
La mattina del
29 maggio 1940, dopo aver informato la sera precedente Pietro Badoglio
della sua decisione che l’Italia sarebbe entrata in guerra, Mussolini riuni’
tutti i quattro responsabili delle Forze Armate ed i tre capi di Stato
Maggiore per mettere in chiaro che dal 5 giugno in poi tutti i giorni sarebbero
stati buoni per iniziare la belligeranza.
Prevedeva soprattutto una attivita’
offensiva sul fronte aereo navale contro l’Inghilterra, su quello terrestre
grosso modo sulla difensiva, semmai si sarebbe potuto intraprendere un
attacco alla Jugoslavia.
Quanto all’atteggiamento
del popolo italiano: se fino ai primi di maggio era piuttosto riluttante
per un intervento accanto all’alleato germanico, ora che la vittoria sembrava
piu’ facile, si sentiva piu’ spinto alla emulazione, soprattutto per il
timore di arrivare troppo tardi e la sua alleanza diventasse squalificante.
Aggiunge inoltre
che, seppure il Re non glielo abbia ancora affidato formalmente, da quel
giorno sarebbe nato l’Alto Comando della Forze Armate, formato esclusivamente
da uomini con compiti operativi, la cui responsabilita’ sarebbe stato affidata
a lui.
Non ci sono commenti.
A rigore dei termini si deve
pero’ precisare che tre giorni dopo, il primo giugno, per lettera, Badoglio
suggeriva di dichiarare le ostilita’ per fine giugno in modo da migliorare
la preparazione e l’organizzazione militare. La stessa opinione era condivisa
peraltro anche da Italo Balbo.
Il Capo di Stato
Maggiore, Maresciallo Pietro Badoglio, si incontra con Mussolini tutti
i giorni fra il 30 maggio ed il 10 giugno. Non e’ documentato cosa si dicono.
Il 30 maggio Benito
Mussolini decide finalmente di comunicare ad Hitler la sua categorica decisione
di prender parte al conflitto.
Ecco il testo cifrato che invio’ a
Dino Alfieri a Berlino affinche’ ne recapitasse sotto forma di lettera,
personalmente al Fuhrer:
Hitler reagisce con sollievo al messaggio, soprattutto perche’ aveva avuto il timore che l’Italia invece che scendere in campo contro La Francia ed Inghilterra, invece avesse intrapreso una campagna autonoma contro la Jugoslavia, nei confronti della quale covavano antiche ruggini, comportando pero’ con questo squilibrio il sicuro intervento dell’Unione Sovietica. Inoltre risponde a Mussolini, dissuadendolo dall’entrare in guerra per la data suggerita ritenendo che i francesi avrebbero potuto spostare la propria aviazione su altri campi, sottraendoli dai piani d’azione degli aerei tedeschi. Suggerisce quindi di rimandare tutto di una settimana. Comunque si raccomanda che, in ogni modo, la guerra non la dichiari il 7 giugno -perche’ un venerdi’- ed il popolo tedesco, superstizioso, non lo riterrebbe di buon auspicio.
Mussolini gli risponde, rassicurando
l’amico e addirittura promettendo che il disinteresse italiano per la Jugoslavia
e gli altri paesi lo specifichera’ nel testo della dichiarazione di guerra.
Il primo giugno Ciano sottopone al re la formula della dichiarazione di guerra e Vittorio Emanuele III l’approva. Mussolini non porto’ la sua decisione ne’ di fronte al Gran Consiglio ne’ al Consiglio dei Ministri, dinanzi al quale -il 4 giugno- ebbe a dire, mettendo nella frase un certo gusto, “Questa e’ la nostra ultima riunione di pace”.