Si osservi che uno dei titolari dell'inchiesta
è Cesare Sarfatti, futuro avvocato personale del Duce e marito di
Margherita Sarfatti, la sua futura amante!
Quando il prof. Benito Mussolini, in seguito
alla sua espulsione dal Partito socialista, inviò al signor Sindaco
di Milano le sue dimissioni da consigliere
comunale, la maggioranza consigliare riunita sotto la presidenza
del Sindaco, prendendo in esame queste dimissioni, concluse la discussione
in argomento
con la votazione del seguente ordine del giorno:
«I socialisti milanesi appartenenti
al Consiglio Comunale, nell’ntento di risolvere nell’interesse di tutti
e del Partito specialmente, la questione morale
nel caso Mussolini – ferme sempre le deliberazioni di ordine
politico rese dagli organi competenti del Partito – consentono che qualcuno
dei Consiglieri
faccia parte di una commissione che esamini detta questione morale
e danno incarico al compagno Caldara di condurre le pratiche al riguardo».
In ubbidienza al quale deliberato, il Sindaco avv.
Caldara delegava a rappresentare la maggioranza consigliare nella commissione
d’inchiesta l’on. Dino
Rondani, mentre dal canto suo il prof. Mussolini, aderendo alla
votata inchiesta, vi delegava a rappresentarlo l’on. Luigi Majno. I due
delegati
nominarono il terzo commissario nella persona dell’avv. Oreste
Poggio presidente del Collegio dei Probiviri dell’Associazione Lombarda
dei Giornalisti.
Ma avendo in seguito l’on. Rondani, per altri imprescindibili
impegni, dovuto rinunziare all’incarico, fu con lettera del Sindaco in
data 3 gennaio,
incaricato di sostituirlo il dott. Giuseppe Forlanini. E cosí
la Commissione poté riunirsi la prima volta la sera del 7 gennaio
ed iniziare l’inchiesta ad essa
affidata. Se non che due giorni dopo la Commissione veniva ad
essere privata dell’opera illuminata e del prezioso consiglio di uno dei
suoi membri per la
morte non mai abbastanza rimpianta dell’on. Majno. Ed in data
15 gennaio il prof. Mussolini comunicava al Presidente della Commissione
di averlo
sostituito con l’avv. Cesare Sarfatti.
La Commissione cosí reintegrata poté
riprendere e condurre a termine l’inchiesta con la maggior possibile obbiettività
e diligenza.
Si chiedeva alla Commissione se il prof. Benito
Mussolini potesse essere accusato per la fondazione del giornale «Popolo
d’Italia» di indegnità morale in
ordine a questi punti:
1. Origine dei fondi del giornale.
2. Conoscenza o meno da parte del Mussolini
di tale origine.
3. Se il giornale venne o no organizzato,
colla partecipazione del Mussolini, prima delle dimissioni date dal Mussolini
a Bologna.
La Commissione, sentito il prof. Mussolini
presa visione dei registri e documenti, escussi tutti quei testimoni che
ritenne utili ed influenti, è venuta alle
seguenti conclusioni.
Dopo le ben note decisioni del convegno di
Bologna, il prof. Benito Mussolini lasciava con dichiarazione pubblicata
dall’«Avanti!» nel suo numero del
21 ottobre 1914, la Direzione di questo giornale; e qualche giorno
dopo nella sede dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti dichiarava il
suo desiderio
di avere un giornale suo sul quale poter sostenere quelle sue
idee che gli avevano consigliato l’abbandono dell’«Avanti!»
Il suo discorso che rispecchiava
una vaga aspirazione e non ancora era l’espressione di una decisione
già presa, venne raccolto e trasmesso come notizia di un fatto già
concretato al
«Resto del Carlino» di Bologna. Mussolini lo smentiva
in data 26 dello stesso mese, ma non cessava intanto dall’affermare ai
colleghi la sua intenzione di
fondare un giornale. È soltanto nei primi giorni di novembre
che questa intenzione si andò concretando. Egli era stato presentato
parecchi mesi prima al
dott. Filippo Naldi, direttore del «Resto del Carlino»
in occasione di un’intervista avuta con lui da un collaboratore di questo
giornale e nel giornale stesso
pubblicata. Il medesimo presentatore di pochi mesi prima diventò
l’intermediario fra Mussolini e Naldi in questa circostanza. Fu egli cioè
a suggerire al
Mussolini di rivolgersi al Naldi perché lo consigliasse
ed eventualmente lo aiutasse nella progettata fondazione dell’organo interventista.
Mussolini
raccolse l’invito e telegrafò in proposito al Naldi che
accettò senz’altro di aiutarlo a raggiungere il suo scopo e venne
a Milano per abboccarsi con lui.
Le ragioni di questa adesione del Naldi possono
essere parecchie: il sentimento di simpatia che egli aveva nei suoi precedenti
rapporti concepito per
Mussolini, una certa ammirazione per il suo gesto non privo di
audacia che lo avvicinava alla sua tesi interventista, fors’anco un giustificabile
compiacimento in lui, uomo di parte ed avverso al socialismo,
di aiutare il sorgere di un giornale che avrebbe per le sue tendenze contrarie
alla Direzione
del Partito Socialista Italiano potuto dividere e quindi indebolire
il Partito stesso, l’occasione che quest’iniziativa gli porgeva di aiutare
l’amico suo dott.
Jona a lanciare, valendosi dell’interesse che il nuovo giornale
avrebbe raccolto attorno a sé, un’agenzia italiana di pubblicità
da tempo da lui Jona e da
altri vagheggiata, qualche altra forse o, piú verosimilmente,
un po’ di tutte queste ragioni sommate insieme e costituenti una notevole
spinta nel Naldi ad
aiutare la creazione del «Popolo d’Italia». Gli aiuti
dati dal Naldi al Mussolini si possono riassumere in questi fatti: fu il
Naldi a mettere il Mussolini in
rapporto con le Messaggerie Italiane che dovevano poi con regolare
contratto incaricarsi della rivendita del giornale; a presentarglí
l’ing. Bersellini perché
gli desse retribuiti consigli ed assistenza nell’impianto del
giornale per quanto riguardava il funzionamento tecnico ed amministrativo;
a combinargli
servizi di informazione da Bologna a mezzo di un redattore del
«Carlino» e da Parigi a mezzo del corrispondente al «Carlino»
da quella città ed a
completargli la redazione cedendogli due redattori del «Carlino»
stesso. Fu il Naldi specialmente che, dopo pratiche fatte e fallite a Milano
ed a Ginevra
con l’agenzia Haasenstein e Vogler, lo mise in contatto con il
dott. Jona che gli costituí la prima e piú importante base
per l’impianto del giornale e per la
sua temporanea esistenza.
Il dott. Jona e qualche amico suo da tempo vagheggiavano
la fondazione di un’Agenzia italiana di pubblicità in concorrenza
con quelle, specialmente
estere, già esistenti. Essi data la grande attesa che
in quei giorni si manifestava per il nuovo organo Mussoliniano, pensarono
che questo potesse costituire
una favorevole occasione per il lanciamento dell’Agenzia e si
accordarono col Mussolini per assumere la pubblicità alle condizioni
stabilite in regolare
contratto. Non solo, ma l’Agenzia si obbligava a fornire a Mussolini
i mezzi per l’impianto e l’esercizio del giornale entro certi limiti e
contro certe
garanzie. Per poco meno cioè della metà della somma
in varie riprese versata il dott. Jona volle una garanzia di persona da
lui ritenuta solvibile ed accetta
e per il resto si riserbò di rivalersi sulla quota spettante
al giornale sugli introiti della pubblicità. La garanzia fu prestata
al Mussolini dal sig. G. Bonfiglio
del Consiglio d’amministrazione dei lavoratori del mare.
Con questi mezzi e su tali basi il «Popolo
d’Italia» poté veder la luce la mattina del 15 novembre e
poté senza difficoltà far fronte ai suoi impegni per un
paio di mesi. Dopo questo tempo l’Agenzia di pubblicità
per non esporsi piú di quanto fosse garantita, non versò
altre somme ed il direttore del «Popolo
d’Italia» poté continuare le pubblicazioni esigendo
in anticipo alcuni acconti sulla rivendita del giornale, acconti che le
Messaggerie acconsentirono a
pagare per quanto dovessero per contratto versare l’introito
della rivendita soltanto a trimestre posticipato, ed ottenendo alcune somme
da qualche
parente e da persone amiche, appartenenti a diverse frazioni
della democrazia italiana e tutte simpatizzanti per la causa dell’interventismo
e non mosse da
altro interesse.
Queste somme ad ogni modo non costituiscono oblazioni
ma prestiti su obbligazioni cambiarie rilasciate dal prof. Mussolini.
Tutta la somma spesa quindi nei primi tre mesi di
vita del «Popolo d’Italia», sino al giorno cioè della
completa istruttoria, sono rappresentate:
1. Dagli utili del giornale, sia per l’importo
abbonamenti e rivendita che per anticipi sugli introiti della pubblicità;
2. Da una somma versata dall’Agenzia di pubblicità
con la già ricordata garanzia;
3. Da varie e non ingenti somme avute in prestito
da parenti ed amici personali e garantite da cambiali.
Tutte le ipotesi di grossi capitali versati a Benito
Mussolini da interessati all’interno od all’estero, fondate su alcune circostanze
fortuite e poco
significanti per se stesse – quali le precedenti visite del Naldi
al direttore dell’«Avanti!», la gita a Ginevra e simili – ma
ingrandite dalla violenza delle
polemiche suscitate dall’uscita del Mussolini dall’«Avanti!»,
dalla pubblicazione del «Popolo d’Italia» e dall’espulsione
del Mussolini dal Partito, vengono
cosí a cadere nel vuoto per la constatata mancanza della
materia di indagine e di giudizio, dei pretesi cioè ingenti capitali
versati.
Né crede la Commissione vi sia argomento
a giudicare sui rapporti del «Popolo d’Italia» con l’Agenzia
Italiana di Pubblicità. Un’agenzia di pubblicità è
per sua natura impresa di speculazione ed apolitica, potendo
essa appaltare la pubblicità di giornali di ogni partito senza che
questi abbiano ragione od
interesse di sindacare l’origine dei capitali che costituiscono
la base finanziaria dell’agenzia stessa. Tanto piú si deve questo
affermare oggi che la stampa
di ogni partito, per le maggiori esigenze dei lettori e quindi
per le sue maggiori spese di esercizio, si è andata dovunque industrializzando
e non potrebbe
ragionevolmente pretendere di essere politicamente all’unisono
anche con gli appaltatori della sua pubblicità. Occorre ad ogni
modo allo stesso proposito
ricordare che il Mussolini nel suo contratto con l’Agenzia Italiana
di Pubblicità volle inclusa una clausola che gli permettesse di
rifiutare inserzioni che
egli ritenesse incompatibili con l’indirizzo del proprio giornale.
Dal fin qui esposto la Commissione conclude nulla
di essere risultato che giustifichi a carico del prof. Mussolini l’accusa
o soltanto il sospetto di una
qualsiasi indegnità morale e professionale.
Rimarrebbe ad esaminare e giudicare la natura dei
rapporti interceduti fra il prof. Mussolini e il dott. Naldi, da questo
punto di vista esclusivamente: se
cioè si possa approvare o giustificare il ricorso del
Mussolini ad un collega notoriamente avverso alla parte politica in cui
militava ed a cui ancora
ufficialmente apparteneva per la fondazione di un giornale che
porta il sottotitolo di «quotidiano socialista». La Commissione
potrebbe ricordare a questo
punto quale fosse nel Mussolini e quale sia tuttora la preoccupazione
politica predominante del suo spirito, tutta intesa alla campagna in favore
dell’intervento armato nell’odierno conflitto europeo, la preoccupazione
che gli faceva giudicare di secondaria importanza ogni altra questione
di partito e
lo spingeva quindi verso coloro che potevano aiutarlo in questo
suo bisogno di propaganda interventista, senza arrestarsi dinanzi a dubbi
sulla maggiore o
minore opportunità politica di qualche suo passo, del
quale la Commissione si occupa piú avanti. E che nel ricorrere per
appoggi agli uni e agli altri egli
avesse di mira soltanto quella che era ed è l’idea fissa
e dominante di tutta l’azione giornalistica svolta da lui sul «Popolo
d’Italia», senza rinunzie alla sua
assoluta indipendenza di critica e di giudizio, è dimostrato
dal fatto che egli non si astenne dall’attaccare le persone stesse che
gli davano aiuti anche
finanziari quando credette di ravvisare nella loro opera nel
campo politico od in quello economico qualche circostanza in contrasto
con le proprie
aspirazioni interventiste. Cosí attaccò lo stesso
Naldi nella sua nota fede giolittiana, polemizzò col «Resto
del Carlino», non risparmiò aspre censure a
persone che sono appunto tra quelle sopra accennate che gli fecero
prestiti di danaro in difficili momenti.
Fatti obbiettivamente questi rilievi, che servono
a spiegare la psicologia di Benito Mussolini nel momento in cui iniziava
le citate trattative con Filippo
Naldi, la Commissione osserva che un’indagine su questo argomento
non potrebbe ad ogni modo non essere contenuta in terreno puramente politico
e
che i suaccennati rapporti – comunque dal punto di vista politico
non favorevolmente giudicati da una parte della Commissione – non potrebbero
mai
costituire elemento per affermare che il prof. Mussolini si sia
per essi reso colpevole di alcuna indegnità morale e professionale.
La Commissione ha votato all’unanimità questa
relazione.
FIRMATI ALL'ORIGINALE :
Avv. Oreste Poggio, presidente
Dott. Giuseppe Forlanini
Avv. Cesare Sarfatti
Milano, 24 febbraio 1915