racconti - stories

 
 

LA RUOTA DI VARNOCK
(La vendetta)

di María E. García

 

 

 

In un villaggio dell'antica Jugoslavia, alla fine del XX secolo

Grazie alle informazioni fornite da una donna del villaggio di Varnock, il militare non tardò a trovare la casa dove viveva Zinna, un vecchio stabile convertito in taverna, d'aspetto sinistro e desolante. Per abbreviare il cammino l'uomo provò ad attraversare un terreno accidentato e asciutto, ma lo fece con passo monotono e sicuro mentre la calura formava una macchia di sudore sulla camicia bianca, abbottonata fino alla sofferenza.
Il sentiero conduceva alla parte posteriore della casa. Un cane latrò mentre si avvicinava e nell'ombra della porta apparve Zinna, la vecchia taverniera. Sembrava un albero in piedi, la dura corteccia del suo viso mostrava la fessura sottile di una bocca decrepita, quasi senza denti. Accolse l'uomo con discrezione e lo fece passare. Lì dentro, l'atmosfera era anche troppo densa e asfissiante e il tanfo acre, mischiato all'odore di vodka e birra, dava al locale un'aria falsamente accogliente. Zinna si mostrava a suo agio con quel mondo così sordido; il vestito scuro, con un enorme rammendo all'altezza della tasca, marcava spudoratamente la sagoma di costole rivelatrici non di un fascino nascosto ma di una vita grandemente dura. Il suo corpo si tese come un soffietto quando percepì la presenza di una pistola nella tasca dei pantaloni dell'uomo, militarmente arrogante. Questi si appoggiò al bancone; aveva acceso un enorme sigaro e dopo aver aspirato la prima boccata di fumo, gli sopravvenne un attacco di tosse. Spostò il suo sguardo superbo da un lato all'altro della sala.
"Che cosa vuole che le serva?" domandò la donna svogliatamente.
"Una birra fresca". Rispose Zjolk.
Zinna non tardò a servire all'uomo quello che aveva domandato. Egli stappò la bottiglia senza molta abilità, il tappo cadde rotolando, e non si arrestò fino a perdersi in una fessura della sala.
Dopo il primo sorso, l'uomo si diede a domandare a Zinna se alloggiasse in casa sua un giovane di cui fornì i connotati. Lei non sembrò disposta a rispondere e il gruppo di clienti, formato per lo più da contadini, osservò di sottecchi dall'angolo riservato al gioco delle carte. Uno di loro si arrischiò a sbattere i piedi sotto il tavolo per cui Zjolk, inasprendo il tono sottolineò il suo rango di ufficiale assicurando che, se non otteneva risposte veritiere alle sue domande, sarebbe stato obbligato a operare con tutto il rigore che la sua condizione le avrebbe permesso. S'impose un silenzio quasi assoluto e la padrona della taverna, ignorando la presenza del militare, si sedette presso il bancone a rammendare indumenti.
Subito si ruppe il silenzio con voci indistinte, sopraffacendo la voce di Zjolk che a sua volta si mostrava troppo impaziente e cominciava a urlare verso i presenti. Altri militari si erano uniti alla ricerca e stavano lì, in piedi, in un angolo del cortile attenti a tutto. Uno di loro dichiarò con voce tonante:
"Sergente, bisogna cercare questo figlio di puttana e trovarlo! Non può andare molto lontano. La nostra terra deve rimanere libera da tutta questa spazzatura straniera!"
La stretta di mano di entrambi i due uomini, calorosa fino all'emozione, duplicò il valore di quelle parole. Uno dei clienti si alzò bruscamente e se n'andò. Si ebbe un momento di tragico silenzio, però tutto subito si avvolse di normalità. Quasi tutti i clienti erano abituati a questi esordi nazionalistici per questo non mostrarono nessun tipo d'emozione.
Il militare da poco arrivato offrì a Zjolk uno dei fucili che portava alla spalla e, dopo aver verificato che il giovane che cercavano non si trovava lì, uscirono per la strada. Li seguivano molto da vicino gli altri militari della guardia di frontiera, con fucili in mano, spianati orizzontalmente. Davanti a loro, un cane con testa quasi umana e sguardo penetrante, annusava il terreno ascitto e sassoso.
Ad un punto determinato, la strada si biforcava, continuando a destra e a sinistra. I militari si separarono, alcuni in direzione del bosco gli altri verso la montagna. Ognuno di loro seguiva tracce come se fosse un segugio, istintivamente. Le orecchie erano ben esercitate a percepire la presenza del nemico.
"Questa sarà la prima volta che ammazzo un uomo". Disse Zjolk al suo compagno.
"Tu hai visto uccidere un uomo qualche volta?". Seguitò a chiedere.
"Io no". Rispose Lalok.
"Io si". Disse Zjolk. "Ho visto cadere tutta la gente del mio villaggio sotto le pallottole… un frastuono assordante ti avvolge e subito cadi al suolo….".
"Io ho solo visto ammazzare capre e maiali". Disse Lalok.
"Bene, questo non c'entra per niente. Le capre e i maiali strillano, mentre gli uomini dicono qualcosa a stento. Muoiono ed ecco fatto". Aggiunse Zjolk.
"Nel mio villaggio, ai maiali, gli piazziamo il coltello qui". Lalok pose le dita alla base del collo di Zjolk e questi sentì un brivido.
"Basta!". Disse Zjolk tentando di staccare le dita di Lalok dal suo collo impregnato di sudore. Questi lo lasciò e prese a ridere.
Continuarono camminando per il bosco, il fine olfatto del cane li condusse a un luogo fitto di alberi alti, saettanti, protendentesi verso l'azzurro denso della sera. Una respiro affannoso venne da uno dei cespugli vicino ad un ruscello. Si avvicinarono e ad ogni passo le pupille apparivano più dilatate e inquiete.
L'uomo nascosto desiderò essere un gatto per poter lacerare l'imminente imbrunire e fuggire da quei segugi di fucili spianati. Una raffica di vento caldo trascinò una miriade di gocce del ruscello contro il viso sudato del giovane.
"Spara, spara contro il cespuglio!". Gridò Zjolk.
Entrambi i due uomini cominciarono a premere le dita sul grilletto del fucile, impazziti, senza freno….
Lalok si accostò silenziosamente, il giovane era ancora vivo.
"Cosa hai contro di me?". "Perché fai questo?". Si azzardò a chiedere. Il militare non rispose, il suo dito indice si curvava ogni volta di più contro il grilletto….
Poche ore dopo s'incontrarono tutti presso la taverna.
"Finalmente l'abbiamo trovato questo figlio di puttana!". Disse Lalok. "Questo paese necessita di una mano dura".
La vecchia Zinna giocherellava con i bicchieri che aveva sul banco. Non faceva nessun commento.
"Lo conoscevi?". Chiese uno dei clienti.
"No, tra l'altro che importa ciò?".
"Come successe?". Chiese Zinna che fino allora si era tenuta in disparte.
"Diavolo, signora, fu facilissimo! Stava nascosto tra i cespugli, vicino al ruscello, a quattro zampe, come un maiale e puzzando di merda. Io gli dissi: - Forza traditore, esci da lì….!".
Qualche altro cliente domandò se lo avevano ammazzato lì stesso ed egli fece cenno di no con la testa. Le gote di Zinna divennero esangui e a mala pena ella trattenne le lacrime.
"Possiamo mangiare qualcosa se vi pare, io ho fame". Disse Zjolk ai suoi compagni, dando per conclusa la questione.
"Signora, ci porti qualcosa per cenare, ah!, e non dimentichi della birra, devo curarmi della vescica".
La donna entrò in cucina, una stanza dall'alto soffitto, piena di casseruole, pentole metalliche e coltelli di grandi dimensioni. Da lì uscì nel cortile e si asciugò con il bordo del grembiule il sudore del collo. In mezzo al cortile si apriva il muretto del pozzo, con un gancio forgiato per il secchio. Guardò il fondo, percepì l'odore rinfrescante dell'acqua e sentì pena per quel viso fatto a pezzi dal dolore. Si strofinò il sudore nuovamente mentre ripeteva ad alta voce: "Hanno ammazzato mio figlio!"
Nel frattempo all'interno si divertivano.
Zinna attraversò la piccola pietraia calcinata fino ad arrivare alla strada. La terra attorno alla casa era ricoperta di piccolo muschio corto, vivido e vellutato. Da essa nascevano dei piccoli funghi di color grigio scuro. Ne raccolse alcuni e li ammucchiò nel suo grembiule voltandolo dopo averceli messi sopra. Mordicchiò uno di essi e sorrise amaramente. Un minuto più tardi, Zinna stava preparando la cena per quei cacciatori dai fucili spianati. Fuori i rami si muovevano leggermente, e la finestra sporca della cucina lasciava passare la luce diffusa e avversa di quell'ora del giorno. La donna entrò nella sala e pose gli enormi bicchieri di birra sul tavolo. Tutti guardavano ipnotizzati la frittata di funghi. Zinna cercò di evitare che le mani le tremassero nel tagliarla a pezzi, invece gli altri fecero scivolare i piatti con tutta semplicità.
Assaporarono vogliosamente la cena.
Zinna aspettava ansiosa presso al focolare della cucina. Udì uno scricchiolio, come se cigolasse il cemento di una trave, si sporse e vide Zjolk, piegato come un soffietto ai piedi del tavolo, e tutte le posate sparse per terra. Uno dei militari si chinò su di lui, vide i suoi occhi senza espressione e le mani contratte sullo stomaco.
Aveva il viso grigio cenere e il sigaro gli era scivolato dalle dita. Lalok si pose in piedi a mala pena.
"È morto". Balbettò.
"Morto?….. Non può essere!". Gridò un altro dei militari.
Stettero tutti in silenzio senza staccare la vista dai piatti vuoti…. sentivano una paura agghiacciante mentre perdevano a poco a poco le forze…
Erano già quasi le dieci. Zinna alzò il volume della radio per poter attutire il rumore che i corpi producevano andando a sbattere sul pavimento.
Il giorno seguente, verso le otto, tutto il villaggio di Varnock seppe la notizia. I militari del reparto, in preda all'impulso istintivo della vendetta, si diressero come un enorme millepiedi verso la casa di Zinna.
L'ufficiale di più alto rango s'introdusse nell'abitazione. L'anziana, ignorandone la presenza, rammendava gli indumenti di suo figlio presso la finestra. Subito l'uomo scorse i cadaveri dei militari che giacevano ancora a terra. Sotto il tavolo c'erano alcune mele sparse, come reclamassero una mano che imprimesse ordine e ritorno alla normalità.
In un angolo del cortile si trovava il cadavere del figlio di Zinna.
Attorno al medesimo c'erano una ventina di candele accese, ciascuna infilata in una bottiglia vuota. L'ufficiale gli si chinò sopra e allontanò il lenzuolo con dolcezza. Il giovane teneva il torso nudo fino allo stomaco e infine una benda, che senza dubbio Zinna aveva improvvisato con quelli che sembravano strisce di vecchio grembiule. Non aveva occhi e le unghie dei piedi erano state strappate. Lo squarcio nel collo era orribile e la ferita del petto fece sì che il militare sentisse desiderio di vomitare…
Zinna rispose all'interrogatorio dell'ufficiale con astio, l'orologio segnava le nove, poi le nove e mezza…
Finalmente il militare uscì a prendere aria. A fianco della porta scoprì una bicicletta. La raddrizzò. La sella era troppo alta, come per un adulto. Pensò al figlio di Zinna, alla sua altezza e costituzione. Osservò che un ramo d'albero si era incastrato nella catena, fino al punto da bloccare il meccanismo. L'ufficiale chiese aiuto ai suoi uomini e tolse il ramo dalla ruota. Questa cominciò a girare all'infinito.


 
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