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LA COMMEDIA NOVA
di Luca Moreno



Biografia

Sono nato a Bordighera nel 1956, dove vivo e lavoro con la mia famiglia. Dopo aver ottenuto la maturità classica mi sono laureato in storia medioevale a pieni voti all'Università degli Studi di Genova iniziando, fin da giovane, a scrivere per diletto brevi racconti e poesie. Da sempre interessato sia alla musica che alla letteratura ho fatto parte, come dilettante, per più di diciotto anni di un ensemble di musica barocca e rinascimentale eseguendo concerti, anche come solista, in Italia e all'estero. Negli ultimi anni mi sono cimentato nella realizzazione di cortometraggi per i quali ho ottenuto pubblici riconoscimenti (Genova, Casteggio, Ventimiglia). Attualmente rivesto l'incarico di responsabile dell'ufficio cultura del Comune di Bordighera, nonché di amministratore (webmaster) del sito ufficiale della città www.bordighera.it.




Introduzione all'opera e al libro primo


Il Titolo

E' necessario ricordare, lapalissianamente, nell'introduzione di un'opera intitolata La Commedia Nova, che l'utilizzo di parte del titolo della Divina non consente alcun confronto tra quest'ultima e la manciata di versi qui proposti al lettore, essendo il baratro che divide le due opere non abissale bensì incommensurabile. Però è altrettanto vero che Dante Alighieri non ha acquistato i diritti sul titolo della sua opera che peraltro sarebbero già scaduti. Mi sarebbe piaciuto chiamare il mio piccolo lavoro La Commedia Umana, ma se l'avessi fatto avrei peggiorato la situazione. Ecco allora La Commedia Nova che, come la Nuova 500, il Novissimo Ghiotti, dovrà confrontarsi, in un ambito assai più ristretto e casalingo, con le ingiurie del tempo e con la benevolenza dei lettori.
Vi devo dire che mi sono divertito molto (anzi moltissimo) a scrivere un racconto fantastico in due libri usando la formula delle terzine di endecasillabi a rima incatenata; proprio quelle di cui si è servito Dante che mi ha aiutato a capire come si possono descrivere personaggi, paesaggi ed emozioni e soprattutto come si può conferire una struttura ad un'opera poetica modesta quale è la mia.



Il Contenuto e la Forma del Racconto

Nell'opera si immagina che un pellegrino (cioè colui che sta compiendo la traversata della vita) riesca a vivere nel sonno un'esperienza onirica complessa e articolata. Nella loro assurdità le vicende, giustificate dall'anarchia del sogno - di cui il protagonista diventa consapevole solo dopo il primo risveglio (canto VI) - sono governate da una logica interna che prepara la soluzione finale. Spazio e tempo, sono stati parzialmente ridefiniti sia per motivi estetici che morali. Quando il pellegrino si accorge che talvolta nel suo viaggio il tempo sembra passare lentamente, mentre gli ambienti circostanti cambiano con una rapidità vorticosa, il suo Maestro, nel canto III, gli dice: Sol ti dirò, per darti un po' di lenza, che lento è il modo del tuo camminare, perché virtù, si chiama la pazienza; ma rapidi tu vedi evaporare, i luoghi da te appena visitati, perché vita, è prest'a terminare (I, III, 22-27). Questa dimensione verrà richiamata in altri luoghi dell'opera sia da ulteriori chiarimenti gucciniani (l'artista è il Maestro del pellegrino), sia come modalità con cui il protagonista vive e transita da una vicenda all'altra.
La figura centrale del primo libro è Francesco Guccini, maestro loquace, simpatico, sanguigno nelle sue reazioni, che non rinuncia mai a compiere il proprio dovere nei confronti del suo discepolo. Il personaggio di Guccini, che qui ha una caratterizzazione solo in parte presa dall'artista pubblico che conosciamo, rappresenta il dovere morale che, per sua stessa definizione, non può essere vissuto in modo approssimativo e meno che mai fiacco ed impigrito; non a caso egli, così come tutti coloro che provengono dalla Valle dei Maestri (canti XIX e XX), è in grado non solo di leggere nel pensiero degli allievi, ma anche di comprenderne le sensazioni. Non mancano poi, nella Commedia Nova, argomentazioni di carattere politico, anche se esse sono riferite in termini piuttosto generali.
La Commedia Nova nella sua impostazione fondamentale ha dunque intenti moralistici. Il protagonista cioè non compie un viaggio di piacere nel quale ha la possibilità di sfogare i suoi desideri più o meno infantili di incontrare personaggi famosi a lui cari ma, intraprende un percorso in cui è costretto a confrontarsi con luoghi comuni e condizionamenti mentali; apprende l'importanza dei valori positivi della vita attraverso i colloqui e l'esperienza diretta; riflette sugli aspetti dolorosi e gioiosi dell'esistenza, nella ricerca di un rapporto armonico tra essi; instaura relazioni con persone diverse alle cui istanze deve saper reagire con comportamenti equilibrati ed opportuni; ed ancora ottiene utili insegnamenti da color che sanno su come esprimere l'arte del cantare, della quale il pellegrino è molto appassionato, senza che in ciò sia assente il gusto e il divertimento di praticare un'esperienza certamente significativa. Ma ciò che innanzitutto viene richiesto al pellegrino è scegliere se intraprendere prima e continuare poi il viaggio che gli viene proposto. In altri termini: vincere la paura, affrontando le situazioni più varie, nelle quali tuttavia è consigliato ed aiutato dal Maestro.
Nel primo libro il pellegrino cade spesso in fallo e ciò costringe il Maestro Guccini a richiamarlo ai suoi doveri; ma ciò avviene perché, appunto, di un percorso si tratta che se pur non consente scorciatoie richiede, attraverso l'errore, il raggiungimento di stadi superiori che sono rappresentati principalmente dai Quattro Approfondimenti. Più mite il significato dei risvegli; tutti e quattro infatti descrivono una caduta d'energia che può essere determinata da ragioni misteriose, come nel primo risveglio del canto VI, oppure da comportamenti non corretti, come nel secondo risveglio del canto XVI che è provocato da un eccesso d'ansia del pellegrino.
Ma nonostante ciò il pilastro della Commedia Nova è costituito dall'ironia di cui dobbiamo sempre garantirci la presenza, in quanto l'idea stessa di scrivere un poema in cui sia possibile incontrare Gianni Morandi e Giustiniano o l'affidiamo all'ironia, altrimenti non ci resta che la pazzia; frequenti poi le situazioni in cui le vicende assumono quel taglio caricaturale necessario all'ironia per potersi manifestare. Un esempio per tutti l'episodio dedicato a Mina nel IV canto in cui la descrizione del trono volutamente grossolana, l'eccessivo numero di terzine dedicate ad elogiare la cantante, prima che finalmente salti fuori il suo nome, contribuisce a dare un clima spensierato all'incontro. Ma lascio al lettore la voglia di scoprire tutti quei punti della Commedia Nova in cui si è cercato di ironizzare su un racconto costruito con versi semplici e lineari e vissuto, sempre e tutto, come un piacevole gioco.
Dal punto di vista formale la scelta del linguaggio poetico è dovuta alla sua capacità di sintetizzare concetti che illustrati in prosa avrebbero richiesto una più ampia digressione, insomma un maggior numero di parole. In questo senso la poesia non è affatto lontana dalla logica linguistica del latino e dell'inglese, la lingua moderna per eccellenza, perché anche in questi idiomi la capacità di comunicare sinteticamente è assai intensa. Gli artifici poetici quali gli articoli sottintesi, l'elisioni, la libera costruzione del periodo, ma pur il confine, ben delimitato (in questo caso) dell'endecasillabo, consentono una descrizione impressionista sia degli eventi che delle sensazioni. Conseguente a ciò è che il lettore, nel leggere o nell'ascoltare un testo poetico, prima viene catturato dalla forma e dal ritmo (anche perché essi sono, nell'epoca nostra, sentiti ormai come inusuali) e solo successivamente (anche se tale processo è assai rapido) percepisce il contenuto. E poi la possibilità - attraverso il gioco delle ripetizioni, del verso spezzato, delle rime interne, attraverso la stessa struttura del canto nel quale occorre dislocare la narrazione secondo un criterio di equilibrio interno - di imprimere al racconto un ritmo in cui la sapiente valorizzazione delle pause da parte del lettore esperto, consente (in caso di lettura ad alta voce) di richiamare l'attenzione dell'ascoltatore su quelle parole e su quei concetti ritenuti particolarmente significativi.
La struttura di un poema è rigorosa come può essere quella di un opera in prosa; però qui si percepisce più intenso il rapporto gerarchico fra le parti: ogni parola scelta per il suo preciso significato, si completa nel singolo verso che in genere s'identifica con un concetto compiuto; e questo si apre nelle terzine e nei gruppi di esse, fino ad arrivare al canto, poi al libro e quindi al poema nella sua interezza. Questo percorso esigente, in qualche modo obbliga l'autore a far sì che gli elementi narrati protendano verso il traguardo (ideale) dell'opera. Indubbiamente la costrizione del verso e soprattutto della rima talvolta produce un ritmo forzato; ma qui sta la sfida: riuscire il più possibile a servirsi della tecnica senza soccombere ad essa.



Il Mito

Nella Commedia Nova il concetto di Mito non solo ha un'importanza centrale, ma viene usato in un'accezione più ampia. Mito è tutto ciò che ci coinvolge. Quantità e direzione del nostro coinvolgimento è aspetto necessario, ma distinto rispetto alla partecipazione interiore senza aggettivi. Una distinzione certamente temporale (ma non solo), utile per riflettere con calma sulla natura diversa della sensazione rispetto al giudizio sulla sensazione che deriva da quest'ultima. Questa impostazione consente una più varia qualificazione del Mito che non è più solo l'oggetto che ci attrae perché considerato "grandioso", come è nel caso della descrizione di Claudio Monteverdi nel canto XIX: Colui per cui tu vedi i tre Re alzarsi, è il grande Monteverdi, eterno Claudio. Osserva come sanno a Lui voltarsi, per ascoltar parole di saggezza, ché in Musica non può giammai sbagliarsi (I, XIX, 14-18).; ma anche le nostre piccole cose che, l'uomo moderno, nell'illusione di conservare eternamente, ha consegnato ad un unico oggetto, informatico, (compromettendone l'esistenza), che è capace di tradirci, di distruggere le rappresentazioni a cui siamo tanto affezionati: scritti, fotografie, films, disegni, progetti, composizioni musicali, lettere: tutti affidati al buon cuore del nostro ardodisco. Sono questi i Miti che il protagonista perde nel canto I: E mentre era la mente a ciò dedìta, m'accorsi tristo, ch'ogni mia parola, dall'ardodisc, di colpo era sparita (I, I, 10-12);. dove la "parola" è qui il versatile segno informatico.
Ma il Mito può avere anche una qualificazione negativa come spiega, nel canto VII, ancora Guccini al suo allievo: Mito è tutto ciò che ti coinvolge, nel ben, nel mal, financo in cosa orrenda. Se incontro al tuo piacer esso si volge, allor vuol dir ch'è un Mito divertente, ma se il tuo cuor invece assai sconvolge, così com'è successo in dì presente, vuol dir che ti convien meditazione, se vuoi davver far crescer la tua mente (I, VII, 93-90); ovvero la meditazione sul dolore, conduce a riflessioni approfondite.
Quindi se il Mito è positivo rispetto ai nostri gusti, codici morali, convenzioni esso sarà per noi un'occasione di piacere legittimo anche intellettualmente interessante; ma se invece il Mito é negativo, in quanto il coinvolgimento persegue una direzione opposta, allora laddove v'era piacere vi è orrore, dove ammirazione, disgusto e se necessario anche ira, relativamente al modo e all'occasione con cui si entra in contatto con l'esperienza dolorosa. Un esempio di Mito negativo nella Commedia: Perché il veder gli sguardi dei piccini, cerchiati dal rugoso e duro legno, nel modo in cui metal chiude rubini, mi provocò nel cor un tale sdegno, che pronto sarei stato ad annientare, colui così capace e tanto indegno, vi dico, anche sol di progettare, la scena che qui adesso inaspettata, io mi trovai costretto ad ingoiare (I, VII, 37-45).



Il Numero

Nonostante, come è stato detto all'inizio di questa introduzione, non vi possa essere alcun intento imitativo nei confronti della Divina, è indubbio che essa ha profondamente condizionato tutto il mio lavoro. Da questo punto di vista grande importanza hanno nella Commedia Nova i rapporti numerici.
Il 4 è il numero fondamentale di tutta l'opera. 46 sono gli anni dell'autore (ecco perché il secondo libro non riprende la numerazione dall'inizio bensì, col canto XXIV), ottimisticamente valutati come la propria "età di mezzo". Canto I: Se scrivo "mezzo", dico cosa vera, perché maggior speranza oggi abbiamo, che tarda possa giunger nostra sera (I, I, 4-6); 46 sono i canti; 4 i risvegli (canti VI, XVI, XXVI, XXXVI) e 4 gli Approfondimenti (o Assorbimenti) che il pellegrino sperimenta (canti XI, XXI, XXXI, XLI).
Ma perché scegliere il 4 e non il 3? La nostra natura sembra prediligere il numero 3. Infatti, per prima cosa, poniamo noi stessi (uno) poi, perché ci sia dialettica, cerchiamo contrasto nell'altro (due); ma è a questo punto che sentiamo la necessità di risolvere l'energia del rapporto duale in un elemento di sintesi che dia ristoro e risoluzione; è questo è appunto il tre. Ma noi prediligiamo il numero 3 anche perché la cultura cristiana di cui siamo, volenti o nolenti, imbevuti fin nelle radici, ha sempre esaltato questo numero, in quanto simbolo della Trinità. Ebbene: se si può ascrivere al cristianesimo il merito di avere costruito filosoficamente e psicologicamente il Mito del 3, possiamo certamente riconoscere al laicismo, il merito di aver edificato il pensiero scientifico, razionalista, illuminista; di avere aggiunto cioè al bagaglio culturale dell'umanità, un altro numero: il 4 appunto, che oltrepassa (o completa?) ogni teologia ed ogni metafisica.
In questo senso possiamo dire che La Commedia Nova ha un impianto fondamentalmente laico, che solo apparentemente potrà sembrare smentito nella conclusione dell'opera, laddove il punto di arrivo (il raggiungimento dell'Assoluto) è frutto di una ricerca compiuta, prima di tutto, dal pellegrino. Laicismo che non vuol dire materialismo in quanto l'uomo è dotato di una identità morale che gli deriva dalla sua interiorità, a lui necessaria per porsi come entità ideale.
Nel canto V viene detto, da Roberto Benigni nelle vesti di Pinocchio, che: E' questa una delle nostre pene: Il non capir la fonte dell'amore. Inutile cercar non ti conviene. Ma può donare il Bene a noi tepore, s'edifichiam la vita nel suo interno. E' questo il modo per fuggir dolore (I, V, 79-84); dove l'incomprensione sull'origine del Bene non rimanda ad un mistero divino, ma ad un problema del laico per il quale il Bene è un valore dell'uomo e non solo un valore di Dio. E se Benigni, la cui caratterizzazione prevale su quella di Pinocchio (infatti egli non dice bugie), invita il pellegrino a non cercare vanamente, non è perché la nostra ricerca debba essere confinata in un limite, ma perché prevale sull'indagine di quale sia la fonte dell'amore, la necessità, nel poco tempo che abbiamo a disposizione, di edificare la nostra vita nel Bene, se vogliamo fuggir dolore.
Eventi impossibili, quelli della Commedia Nova, ma non miracolosi, in quanto tutto ciò che d'insolito avviene nel racconto è spiegabilissimo con la nostra meravigliosa capacità di immaginare e di sognare, senza che vi sia necessità alcuna di scomodare l'oltretomba o altri luoghi metafisici. Non a caso il termine "spirto", più volte citato nell'opera, mai significa anima in senso religioso, ma coscienza, umore, riacquistare i sensi.
Tornando alle analogie numeriche, esse non si limitano al numero 4. Infatti l'opera è suddivisa in gruppi di cinque canti per cui il lettore incontra un Risveglio o un Approfondimento (alternativamente) dopo il V, X, XV, XX, XXV, XXX, XXXV, XL canto.



La Tecnica

La forma poetica della Commedia Nova è costituita da terzine con endecasillabi a rima incatenata. Si tratta del verso di Dante nella Divina, che, presenta questo schema: ABA, BCB, CDC, e così via, in modo da formare sempre gruppi di tre versi alternativamente rimati cosicché le terzine risultino, appunto, incatenate tra loro. Non hanno però la terza rima, il primo e il terzo verso della prima terzina di ogni canto. Talvolta, per ragioni narrative lo schema endecasillabico è interrotto. Per esempio: canti VIII e XLIV.
Qualcosa dobbiamo dire sull'endecasillabo. In poesia esso non è calcolato secondo la normale quantità delle sillabe; per esempio il verso: E' quella filastrocca con i mesi (I, VIII, 32) è un endecasillabo puro in quanto le sillabe, contate nel modo ordinario, sono undici. Ma è un endecasillabo anche: E' d'uopo infatti che tu ormai comprenda (I, VII, 80) e questo perché al fine di mantenere il ritmo poetico si usa la sinalèfe che permette di contrarre il numero delle sillabe (per cui tu ormai diventa tuormai). Naturalmente esiste il processo inverso che si chiama dialèfe per cui in certi casi le due vocali di fine ed inizio di due parole vicine non si fondono per non compromettere la comprensibilità del testo. Queste forme sono cosa diversa dalle elisioni vere e proprie.
Per quanto riguarda la questione degli accenti essa, data la grande varietà possibile, è affidata alla valutazione dello scrittore in base al ritmo che egli, per ragioni drammatiche, ha voluto imprimere al discorso. La tecnica ci mette a disposizione le sue regole, ma esse non ci devono tiranneggiare. In questo senso la punteggiatura, ovviamente rispettata nel suo complesso, è stata tranquillamente modificata, proprio per motivi narrativi.
Per quanto riguarda invece la rima ve ne sono di tantissime tipologie anche se la quasi totalità dei versi della Commedia Nova presenta rime pure come pozione/visione; formica/amica; ma ne esistono anche di impure come grama/vana; primigenia/degna; corteccia/altezza, senza considerare i casi come dédita (sdrucciola) e sparita (piana) che non fanno rima; per cui dédita è trasformata in dedìta che così può far rima con sparita, come nel verso del canto I, già citato in questa introduzione.
Infine dobbiamo dire qualcosa sulla lettura della poesia. Così come una lettura metronomica di un brano musicale è forse la peggior offesa che si può fare ad un compositore, nello stesso modo una lettura poetica che non ricerchi il proprio respiro nel significato e nel rispetto della punteggiatura (anche se l'ossequio alle virgole e ai punti può far smarrire, nell'ascoltatore, la precisa e ripetuta successione delle rime) è priva di senso e fascino. Per un esempio positivo:

Settembre fa pensar a posizione
di nostra età, di quale sia il valore
di nostra vita, forse un po' smarrita
l'identità, del nostro primo amore.

(I, VII, 57-60) in cui la particolare musicalità è resa dalle belle parole scritte da Guccini (da me radicalmente rielaborate) ma anche dal verso che continua nel successivo e dalla rima interna vita/smarrita. Per vostra conoscenza ecco il testo originale tratto da "La Canzone dei dodici mesi": Settembre è il mese dei ripensamenti sugli anni e sull'età/Dopo l'estate porta il dono usato della perplessità/Ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità.
Ancora qualche informazione di carattere generale: Nel primo libro della Commedia Nova vi sono solo tre versi consapevolmente "rubati" a Dante: Nel mezzo del cammin di nostra vita; e caddi come corpo morto cade del canto I e un vecchio bianco per antico pelo del canto XVII; ma, nonostante non sappia dire in quale punto della Divina si trovi, anche perché ragion non può qui menar vanto del canto I è certamente dell'Alighieri. Non merita poi soffermarsi sugli innumerevoli condizionamenti, consci ed inconsci, da me subiti.
Le parole straniere sono scritte come si pronunciano o italianizzate: per es. Windows e hard disk diventano Vuindovs e ardodisco, anche abbreviato in ardodisc, (canto I); e ciò perché la corretta scrittura della parola straniera avrebbe costretto ad una lettura altrettanto corretta, determinando in questo modo dei suoni spuri rispetto a quelli prodotti dalle altre parole del verso. Il caso più eclatante sarebbe stato: dall'hard disk, di colpo era sparita. Vi sono comunque delle eccezioni (anche se poche)..
Il lavoro, essendo frutto di attività spontanea è stato curato con l'amore che si dedica alle pratiche non prezzolate; ma questo non ha certamente evitato errori, contraddizioni, imprecisioni ecc. Di questo mi scuso. Ringrazio invece con un bacio affettuoso la mia cara famiglia che nel vedermi scrivere la Commedia Nova ha talvolta temuto che potessi, appunto, smarrire l'ironia, per consegnarmi, mani e piedi, alla follia.

 

 

CANTO I

La lunghezza della vita. Il blocco del sistema. La disperazione del pellegrino. L' invocazione ai bait. Il sonno e il sogno del pellegrino. L'apparizione di Francesco Guccini. Le meraviglie promesse. (93, 93)

1 Nel mezzo del cammin di nostra vita,
mi ritrovai, di fronte a una tastiera,
3 che fu dall'Ibiemme costruita.
Se scrivo "mezzo", dico cosa vera,
5 perché maggior speranza oggi abbiamo,
che tarda, possa giunger nostra sera.
7 Ma questo pensiero, simile a un amo,
che lancia a noi la scienza progredita,
9 non può bastar per dir: virtù vantiamo!
E mentre era la mente a ciò dedìta,
11 m'accorsi tristo, ch'ogni mia parola,
dall'ardodisc, di colpo era sparita.
13 Allora io provai col cuore in gola,
a reinizializzare la mia rama,
15 senza ottenere, alcuna consola.
Perché miei bait! - urlai con voce grama -
17 volete il disco mio del tutto incolto,
che il ricercar cartella è cosa vana?
19 E lor, nel rinnegare a me il maltolto,
bramarono, lo schermo a me davante,
21 render sì nero, da farmi sconvolto.
Caddi sul letto, a mo' del gigante,
23 col viso tutto intriso del mio pianto,
sedato dal dormir, per ore tante;
25 entrando di filata in quel recanto,
in cui non stiamo, seppur lo viviamo,
27 perché ragion non può, lì, menar vanto.
Di questo che di notte noi proviamo,
29 a rammentar, noi spesso siam tentati,
quando di giorno, consci respiriamo.
31 Ma così, come prima d'essere nati,
nessun dei nostri sogni cercheremo,
33 nei dì in cui saremo cancellati.
Ma il sonno dista dal suo passo estremo,
35 per ciò che, appunto, noi chiamiam sognare,
che forse vuol svelar chi poi saremo.
37 Qui ora inebriato sto a narrare,
di quel ch'ancor nel vago mi rimane,
39 pur se il chiaror, mi par stia ad arrivare.
In luce e nello spazio, come a mane,
41 m'apparve un prato, dai fior colorato,
restio a portar sul manto cose insane.
43 D'improvviso, com'opera del fato,
pur stando ancor da lui assai lontane,
45 veder potei, un uom ben assemblato.
Io subito tentai ragioni vane,
47 cercando di scoprire mai chi fosse,
sperando non avesse idee balzane.
49 E lui, nell'imitare un po' le mosse,
di quelli che desideran parlare,
51 si schiarì, come se soffrisse tosse.
Io qui credei soltanto immaginare,
53 non conscio che tutto il mio vedere,
sgorgava tutto quanto dal sognare.
55 Volle iniziare a darmi da bere,
raccontando, con "l'erre" nella voce,
57 qualcosa che non era un miserere.
Su vien, o pellegrino a questa foce,
59 in cui si spande, ogni tuo desire,
che far morir, sarebbe cosa atroce.
61 Tu oggi ti ritrovi nel patire,
in quanto più non riesce l'ardodisco,
63 i Miti tuoi, a fare rinsavire.
Tu sappi che io bene lo capisco,
65 accadde a me, pur anche con dolore,
quando, da orrendo crach io fui confisco.
67 Io misi dentro Vuindovs con amore,
i motti sia del cuor che del cervello;
69 d'ogni canzone, ogni mio colore.
Ma tutto mi sembrava troppo bello,
71 e per aver tradito la mia carta,
sparire vidi, quel ch'ancor favello.
73 Io son Guccin, non vengo da Giacarta,
ma terra più vicina è a me più cara,

75 ma spesso occor che io da lei diparta.
Io son qui, per levarte la tua tara,

77 a ché tu possa ancor meravigliare,
in modo tal, che non ci sia più gara.

79 Or tu, a eccelse cose abituare
ti devi tutto, per essere pronto,

81 qui prima a praticar e poi a narrare.
Se or ti senti, simil'ad un tonto,

83 è l'occasion, ch'adesso si presenta,
cosa special, ben sopra ogni tuo conto.

85 Mio pellegrin, ti spingo! Osa! Tenta!
Se vuoi soddisfazione a giusta brama,

87 se vuoi che mente tua, salti contenta,
se vuoi davver parlare con chi ha fama,
89 al fine d'acquisire veritade,
dai Miti tuoi che sanno d'ogni trama.
91 E nel sentir proporre tali strade,
da un uom sì grande come è ancor Francesco,
93 io caddi come corpo morto cade.


CANTO II

L'affabilità di Guccini. Lo strano paesaggio. L'incontro con Topo Gigio. Le perplessità del pellegrino e le rassicurazioni di Guccini. La reale natura di Topo Gigio. (87, 180)


1 Affabil è davvero il mio Maestro,
che quando mi osservò di sensi privo,
3 pensò di ridestarmi col suo estro.
Francesco infatti, che non fu mai divo,
5 - nascendo da substantia la sua arte -
trasmetter sa, cosa vuol dire "vivo".
7 Scegliendo tra le nobili sue carte,
col chitarrin, s'apprese ad intonare,
9 canzon tra le più note anche su Marte.
Nel punto in cui la forza sa spiegare
11 le ali, che fan tutti gli omi uguali,
riprese in me, lo spirto a ritornare.
13 Ma nel veder, così poco banali,
i luoghi, che ai miei sensi eran balzati,
15 io domandai
: Quest'occhi miei, son vali?
Entrambi eravamo circondati,
17 da pezzi profumati di formaggio,
vi voglio dir, di quei tutti forati.
19 In mezzo a un buco, fatto per assaggio,
vedevo un esser dalle orecchie grosse,
21 che ben portava, senza alcun disaggio.
Sembrava molle come chi è senz'osse,
23 con occhi ben rotondi e spalancati,
ed anche con le guance un poco rosse.
25 Ma il corpo, gli arti assai sproporzionati,
rispetto a quell'orecchie che dicevo,
27 eran però, molto ben disegnati.
Con voce che a sentir io sorridevo,
29 qui ripeteva come chi non erra,
un motto strano, che non comprendevo.

31 " Di man non son, io spirto della terra! "
Allor mi feci tutto incuriosito,
33 e chiesi a chi la bell'Emilia serra:

O tu, che m'hai portato in questo sito,
35 che con la mente non si può spiegare,
mi vuoi qui dir, chi sia questo mio Mito?
37 Con pausa breve prima di parlare,
avendo già intuito dal mio viso,
39 quella reazion, che stava per parare,
mi disse
: Pellegrino, guarda fiso!
41 Tu certo non puoi aver dimenticato,
chi conoscesti, fin dal primo riso.
43 Tu eri da poch'anni appena nato,
pur venni a conoscenza di quel Topo,
45 che per sua fama, Gigio è nominato.
Quel verbo, m'irritò subito dopo,
47 da farmi venir voglia di fuggire:

Davver quel Gigio, a me pareva inuopo!
49 Se tu in questo viaggio - io presi a dire -
non puoi mostrarmi qualche soluzione,
51 allor ti prego, lasciami morire.
Ma subito io caddi in confusione,
53 causata dal parlar troppo sventato,

che l'amor proprio manda in contrizione,
55 sentendomi parecchio imbarazzato,
nell'osservar sua testa che scuoteva,
57 come ramo, dal vento appen spostato.
Ma per l'affetto, che Guccini aveva,
59 mi volle perdonar lieve misfatto,
mostrandomi il saper, che tutto eléva.

61 Tu credi che lui sia pupazzo fatto,
invece è qualche cosa di più grande,
63 ch'or ti dico, se pur mi credi matto.
Dagl'Appennini, fin sopra le Ande,
65 si crede sposto Gigio da due mani,
esperte tal, d'apparir venerande.
67 In verità, un cuor come gli umani,
ei porta ben celato dentro il petto,
69 per generar nei bimbi gioie immani.
E' questo che vuol dir con il suo detto;
71 alfin nel mondo, tutto conosciuto,
si sappia ch'abbia il ben dell'intelletto.
73 E' l'uomo tardo, adulto e ben pasciuto,
che perde la natura delle cose,
75 perché non ama più ciò in cui ha creduto.
Come giardin, si tinge delle rose,
77 vedendo giunger lesta primavera,
che nuovi fior, fa nascer senza pose,
79 così, il mio rossor, per voce vera,
mutò sì tanto i tratti del mio viso,
81 che quasi mia persona più non era.
Ripresi a camminar con nuovo avviso,
83 cercando di mai più dimenticare,
per imparar da ciò ch'avei conquiso.
85 Infatti noi dobbiam ben indagare,
i frutti che traiam dall'esperienze,
87 che morte sa così ben avariare.


CANTO III

Una diversa concezione del tempo. Il Salone delle Feste del Casino di Sanremo. L'incontro con Gianni Moranti. Dissertazione di Mina sull'arte del cantare. (96, 276)

1 In modo molto lento camminavo,
ma rapidi fuggivano gli ambienti;
3 infatti più gruviera non trovavo.
Parea d'esser spostato d'altri venti,
5 diversi dalla vita naturale,
possibil sol, nel regno dei dormienti.
7 Guccini, così saggio e così vale,
dal quale ora son ammaestrato,
9 comprese sensazion mia non usuale,
e prese a raccontarmi entusiasmato,
11 con la consueta sua preparazione,
ciò che io non avevo domandato.

13 Di certo non bevesti una pozione,
che noi gustiam talor su nostra terra.
15 Tu sol qui vivi nuova situazione.
Ma é meglio che tu ancor conservi in serra
17 il dubbio, che silente qui mi poni;
per tempo, il vero ben si dissotterra.
19 Se infatti l'ansia tua tutta deponi,
e provi a far tesor dell'esperienza,
21 eviterai di certo gli svarioni.
Sol ti dirò, per darti un po' di lenza,
23 che è lento il modo del tuo camminare,
perché virtù, si chiama la pazienza;
25 ma rapidi tu vedi evaporare,
i luoghi da te appena visitati,
27 perché vita, è prest'a terminare.
Nel fare sì bei detti esaminati,
29 io mi trovai seduto in una sala,
con sedie, luci e palco preparati,

31 in cui sentivo come un batter d'ala,
scandire una canzone risaputa,
33 che molti anni ancora non l'ammala.
Francesco, nel guardar mia bocca muta,

35 mi spinse a favellar, se non volevo,
che quella mia occasion fosse perduta.

37 Il luogo, che assai bene conoscevo,
un tempo celebrava in ogni anno,
39 quel Festival, ch'è a me quasi coevo.
Rituale che produce qualche affanno,
41 infatti ancor Sanremo è rifiutato,
sia da Guccin e d'altri che mai vanno.
43 D'un tratto, da Bongiorno presentato,
apparve nel Salone delle Feste,
45 un giovin nelle mani assai dotato.
Portava addosso, quell'antica veste,
47 che noi coloravamo in bianco e nero,
nell'era della Rai senza celeste;
49 ma avendo qui di fronte quello vero,
che fa di nome Gianni e poi Morandi,
51 gli domandai deciso e assai sincero:
Come tu fai, con gl'anni che nefandi,
53 rovinano la pelle più forbita,
a metter la vecchiaia nei rimandi?
55 Ed ei facendo un po' come si cita,
mi disse sorridendo, che il segreto,
57 se'n stava nell'amore per la vita.
Tutti bramiam, di porre nostro veto
59 - riprese con un nuovo discettare -
al nostro canutir, noto e consueto.
61 M'alfin che tutto ver sia il conversare,
aggiungo che purezza garantisce
63 quella beltà, che a te piace invidiare.
E come fa il docente col suo disce,
65 col dito, m'indicò perché guardassi
qualcosa, ch'ancor oggi mi stupisce.
67 Voleva infatti ora ch'io ascoltassi
colei, che sopra tutte è la regina,
69 che fa dei quattro quarti un pocher d'assi.
O tu, - lei disse - qui per medicina,
71 intendi, se a cantar tu vuoi imparare,
che già intonavo fino da bambina.
73 E' inutile che a te cerchi celare,
un fatto d'importanza primigenia,
75 che serve le ambizioni a misurare;
infatti occorre avere voce degna,
77 che sol si trova in bene dispensato,
senza la qual ti trovi a chieder venia.
79 Però se tu davver sei dedicato
al canto, da donargli tanto studio,

81 allor da ciò che manca sei salvato.
Ma rischierei d'avere il tuo ripudio,

83 se anch'io non completassi quel che ho detto,
con ciò che del mio dir è il ver tripudio.

85 Tu puoi di note fare un grande incetto,
eppur canto mediocre riprodurre,

87 come chi vuole volar e sta nel letto.
Il giusto tono che ti può condurre

89 a far dell'arte intensa nominata,
è quello di saper note tradurre,

91 in modo che nozion venga trattata,
non più come qualcosa da imparare,

93 ma come cosa che sia sublimata.
E se per ciò, la forza vuoi trovare,

95 impara a ricercar dentro te stesso,
perché sta tutto lì il tuo musicare.



CANTO IV

Il trono di Mina. Nuova richiesta del pellegrino. La sfilata dei cantanti. L'incontro con Luigi Tenco. L'invettiva contro gli organizzatori del Festival di Sanremo. (96, 372)

1 Veder questa gran dama predicare,
seduta sopra un tron tutto gemmato,
3 le regole del giusto e ben cantare,
mi fece qui pensar ch'è fortunato
5 chi può osservar sì simili sembianti,
per meglio dir, un ver privilegiato.
7 Il seggio suo, difeso da dei fanti,
con occhi dall'aspetto tal severo,
9 da spingermi a scherzare con i santi,
era di seta, di pezzo tutto intero.
11 Monili certamente assai pesanti,
incastonati dentro l'oro vero,
13 stupivan, per com'erano brillanti.
Le pietre, s'industriavano a formare,
15 sul petto prominente e ben davanti
un nom, che solo lei potea vantare.
17 Vi erano difatti quattro segni,
che quando tu li senti risuonare,
19 non se ne danno altri ancor più degni.
Invero, quella scritta riportava,
21 un nom che dà fiducia senza pegni,
che ad inchinarti tutto t'obbligava.
23 E' facile a voi dir ch'io m'esaltai,
vedendo che di Mina si trattava.
25 Le braccia sopra i fianchi collocai,
per lo stupor che qui m'avea conquisto,
27 e poscia, al mio Maestro domandai:
Perché Guccin mio caro, è così disto
29 il mio veder, da cose abituate?
Davver ciò che qui appar non ho mai visto!
31 O Luca - mi rispose il caro vate -
che formi con Moreno un bel contrasto,
33 se le parole, vengon comparate
(la prima inver richiama il bianco vasto,
35 l'oscur rammenta invece il tuo cognome,
come chi vuol, suonare opposto tasto)
37 non credo comminarti una sanzione,
s'ancora nuovamente qui ti dico,
39 d'attender calmo tua liberazione.
Segui semmai ciò ch'indica il mio dito,
41 in modo che tu possa reincontrare
tutti color, ch'amavi nell'antico.
43 Guarda laggiù, si muove e sa cantare,
quel Little ch'ascoltavi come Toni,
45 che il ciuffo ner, s'ostina ad ostentare.
Se poi tu lasci, che io qui ragioni,
47 presentoti ragazza piccolina,
dico di Rita, de' stirpe dei Pavoni.
49 Ma un'altra che sembrava fanciullina,
perché d'amar si disse impreparata,
51 è quella che sentisti più vicina.
Infatti allor scambiavi come fata,
53 colei chiamata il fiore di Gigliola,
da tutti anche Cinquetti nominata.
55 Guarda laggiù, famosa per sua gola,
vi è Milva, certo un grande personaggio,
57 che per dolor, talvolta si sconsola.
Ma senti quanti nomi ti foraggio!
59 Caselli, Endrigo, Mal e Patti Pravo,
che sempre s'esibisce con coraggio.
61 Scorgendo, già da tempo io notavo,
un giovane che stava tutto tristo,
63 fuggente tosto, se sol lo guardavo:
Perché o Mastro, vedo quell'artisto,
65 cogli occhi suoi, da speme disperata?
Strano non è, che sia con gli altri misto?
67 E lui rispose a quaestio domandata,
piangendomi che Tenco si chiamava,
69 colui, che vol sua vita suicidata.
Nell'ascoltar quel ch'egli ricordava,
71 così come fa il lampo nel sereno,
io rammentai ciò ch'egli raccontava.
73 Allor 'na rabbi'atroce dentro il seno,
mi prese come quella del furente,
75 al che gridai con voce e tono pieno:
O genti, ch'a spettacolo indecente,
77 portate moltitudine a seguire,
obnubilando, così loro mente!
79 Perché non insegnate a ben sentire,
tradite quel poter che possedete,
81 e sempre v'industriate a imbesughire?
Nei testi le scemenze proponete,
83 e peggio ancor la musica ferite,
sol per contare i soldi che prendete.
85 Gli artisti veri sempre rifuggite,
per tema, che svelando il vostr'inganno,
87 distruggan le barbarie ch'impartite.
Giorno verrà, che l'orrido malanno,
89 che gia ha infettato tutto il nostro globo,
scomparirà con tutto il nostro danno.
91 Luigi ch'era un giovane assai probo,
venne cacciato, con giudizio ottuso,
93 da chi nel suo cervel non tenne lobo !
Udendo tal parlare tutt'in suso,
95 Francesco, prese gusto del mio affanno,
di cui io cominciavo a far buon uso.


 

CANTO V

La speranza del pellegrino. La casa di Geppetto. L'incontro con Pinocchio. L'origine dell'amore.
Il desiderio di riflettere. (97, 469)

1 Il plauso rivolgiamo al corridore,
capace ad impegnarsi nello sforzo,
3 di esser più veloce del motore.
Egli a tal fin, si ciba del su'orzo,
5 perché metal, diventino le gambe,
così maggior lui spera il lor rinforzo.
7 Nel gareggiar, non sono cose strambe,
voler partecipare e giunger primo:
9 E'giusto ch'aspirar si possa entrambe.
Cosi pur io, seppure appena mimo,
11 i versi scritti un tempo da quel Dante,
qui spero non l'allor, ma un po'di timo.
13 Ma mentre qui portavo i passi avante,
di nuovo come prima scompariva,

15 la scena ch'a me qui stava davante.
St'all'occhio, che ti porto s'una riva,
17 maggiore della luce precedente;
qualcun d'eccezionale qui t'arriva.
19 Così messaggio giunse alla mia mente,
da Guccio, che spronato ad illustrare,
21 portommi nell'amore immantinente.
A dire il ver, se giusto vo' parlare,
23 io vidi che una piccola casetta,
da France, fui sospinto a visitare.
25 Intorno c'era solo verde erbetta,
bagnata, d'una provvida rugiada

27 e fresca, come é sempre sulla vetta.
Non strana mi pareva la contrada,
29 piuttosto mi sembrava famigliare,
dovere attraversare quella strada.
31 Con quattro colpi volle spalancare,
quell'uscio di metallo e legno spesso,
33 Francesco, per volerci sì annunciare.
M'appena dentro mi fui poco messo,
35 vedei Mastro Geppetto lì seduto,
chiamato da Pinocchio il padre stesso.
37 Sul tavolo danzava compiaciuto,
quel burattin che adesso vi dicevo,
39 di qua e di là, con spirto assai goduto.
Se ridere o temere, non sapevo,
41 sì tanto mi sembrava turbolento,
ma lui che vide ciò, mi die' sollievo.

43 Se tu sei qui, non puoi ch'esser contento,
mi disse con accento di toscano,
45 non sbaglio a dir, che ti portò buon vento!
Ti prego, non guardar troppo lontano;
47 se vuoi saper, qual'è il mio nome certo.
Tu devi ricordar uomo balzano,
49 Pinocchio son, m'appellami Roberto,
prodotto son dai splendidi vitigni,
51 che forse son ragion di tutto il merto.
Inver, se detti miei suonan benigni,
53 a mia famiglia, offro il ringraziare,
per loro insegnamenti molto insigni.
55 M'adesso non più voglio ritardare
di dirti, tutto quanto sull'amore,
57 alfin che già tu possa completare
le cose, che sentisti nel tuo cuore,
59 dal Guccio, Gigio e pur da gl'altri ancora,
che libero ti voglion dal torpore.
61 Disegna nel pensier quattro colora,
perché diversi, sono questi amori,
63 di cui ti vo' parlare a questa ora.
Il Primo, ti trafigge quando esplori,
65 il mondo di colei che chiami donna,
ch'è fonte d'intensissimi sapori.
67 Secondo, raffigura una colonna
protesa nel futuro di tuo figlio:
69 E' questo il solo amor che mai s'assonna.
Il Terzo è quando noti un tal somiglio,
71 con amico, che Fato fa incontrare,
dal qual tu prendi e dai novo consiglio.
73 Il Quarto può sembrar meno importare,
alludo a quell'amor verso te stesso,
75 che se manca, tutt'altri fa guastare.
I Quattro qui raccolti in un consesso,
77 provengono pur tutti da un sol Bene,
natura cui, spiegar non c'è concesso.
79 E' questa una delle nostre pene:
Il non capir la fonte dell'amore.
81 Inutile cercar non ti conviene.
Ma può donare il Bene a noi tepore,
83 s'edifichiam, la vita nel suo interno:
E' questo il modo per fuggir dolore!

85 Come nel gioco, talvolta si fa terno,
se un bacio vuole dare a noi fortuna,
87 così felice, io fui per dir fraterno.
Pensai allor, di far cosa opportuna,
89 nel dare sosta piena al mio viaggiare,
perché la riflession fosse più d'una.
91 Guccini, non avea da perdonare,
in quanto era felice che il mio assunto,
93 voless' in modo presto realizzare.
E proprio per partire dal mio spunto,
95 lasciommi come sole nella sera,
a far di cose udite primo sunto,
97 per poi con calma trarne polpa intera.

 

CANTO VI

Il risveglio del pellegrino. Il sonno e la veglia. Il ritorno nel sogno.
Chiarificazioni di Francesco sui temi trattati.
(90, 559)

1 La voglia di rifletter che ho descritto,
rimase sol progetto nella mente;
3 ed io il perché, vi narro con profitto.
Forse per brama, ritornai cosciente,
5 e nel lasciar quel sonno assai profondo,
aprii entrambi gli occhi immantinente.
7 Nel punto che tornai di nuovo al mondo,
m'accorsi, come lampa che s'accende,
9 che ciò ch'avea veduto era nel fondo
del cuor, dal qual difficil si pretende,
11 che cangi i sogni in cose materiali,
come si può trattar ciò che si vende.
13 Così, avendo perso le mie ali,
scoprendo che da un sogno ero tornato,
15 riandai ai miei problemi più normali.
Ma nel pensar, al viaggio terminato,
17 mi sorsero due opposti sentimenti,
che un solo fatto, aveva generato.
19 Da un lato, i sensi miei eran contenti,
perché realtà m'apparve più tranquilla;
21 dall'altro, a ripensar gli strani eventi,
prudeva quel qualcosa che titilla
23 la mente; in simil modo vo' provare,
Ulisse, nel partir dalla sua villa.
25 Seconda scelta, volli praticare;
così tentai, di far cosa inusuale,
27 che qualche volta puossi realizzare:
rimisi la mia testa sul guanciale,
29 lasciandomi rapire dall'oblio,
sperando riacchiappar sogno speciale.
31 Vincendo nell'impresa proprio io,
mi ritrovai davanti a quel Maestro,
33 ch'ormai è diventato amico mio.
Non so or dirvi, quale fu quell'estro,
35 che mi portò di nuovo a risognare,
ma percepii ch'avei fatto canestro.
37 Guccini, prese allora a domandare,
- come se nulla a me fosse successo -
39 gli esiti del mio filosofare.
Seppur ero tornato a lui d'appresso,
41 tentai, maldestro, di celar ricordo
del rapido risveglio di me stesso.
43 Perciò risposi come fa il balordo,
mettendo insieme qualche vana arguzia,
45 per non sembrare proprio tutto sordo.
In verità... - io dissi con balbuzia -
47 non riesco ancor' a ben sintetizzare,
il senso di mirabile pronunzia,
49 ch'ho udito fino ad ora rivelare.
Sentendo me, con nota assai furbetta
51 sorrise, per volermi dimostrare,
ch'invece lui era stato di vedetta,
53 financo quando io m'ero svegliato,
per tema che lasciassi la via retta.

55 Se adesso - disse - che sei ritornato,
a me rispondi, come fa chi mente,
57 è sol perché ti sei contaminato,
tornando nuovamente nel tuo ambiente,
59 nel qual ti puoi ancora tu imbrattare.
Comunque, questa cosa non fa niente.
61 Adesso qui si de' ricominciare,
se vuoi davver, gustar doman gli effetti
63 del viaggio, ch'ora vo' riallineare.
Ma prima, devo a te chiarir concetti,
65 in modo che non sian da te obliati.
Nei tuoi incontri, solo dei precetti,
67 sembrava ti venisser comminati,
come s'al mondo, null'altro ben vale.
69 Son questi solo i primi risultati
a te dati, in guisa che tua morale,
71 in spirto esser possa mai restía.
E' ver ch'in vita esiste carnevale,
73 il gioco, lo scherzar e la follia;
ma rammenta, le basi più concrete,
75 mai lascian l'uomo andare in avaria.
L'amor e il ben, or più non sembran mete,
77 così gli uman, si senton sempre tristi,
come i pesci che cadon nella rete.
79 Sta nel voler, sol beni consumisti,
ragion di distruzion del nostro dentro,
81 ma tali atteggiamenti van rivisti!
Ti prego quindi accelera il rientro,
83 alfin di non riperdere la via,
se vuoi davver sperar di fare centro.
85 A volte mi domando se qui stia
oppur se portar membra in altro loco,
87 che il non saper vagliar dà sorte ria.
Ma nel sentirmi bruciar, come foco,
89 tant'era forte, tutto il mio desire,
decisi proseguire il nobil gioco.

 

CANTO VII

La Foresta dei Bambini Perduti. (93, 652)


1 Non so se a voi è mai già capitato,
di ritrovarvi dentro a una foresta
3 di querce, con il fusto ben piantato,
frondose tal, che il cielo sulla testa,
5 d'azzurro è trasformato in verde scuro,
al punto ch'anche il sole lì s'arresta.
7 Essendo proprio io in tal luogo oscuro,
andai con i miei occhi su Guccini,
9 dal qual speravo udir: Io qui ti curo!
Ma tacque lui, che fece come i mimi,
11 ch'esprimon loro arte senza voce,
al punto da sembrare manichini.
13 Non é che avessi una paura atroce,
- non v'era alcun motivo di spavento -
15 ma stavo come il cibo quando cuoce
poco a poco, perché il fuoco è sì lento,
17 al punto tal che tutta la cottura,
ti fa indugiar almen minuti cento.
19 Nel lungo mio aspettar cosa futura,
azione o fatto nuovo da indagare,
21 che desse senso a tutta la verzura,
io non vedei nel ciel uccel volare,
23 neppur volea qui il vento esser presente,
in quel silenzio, quasi da palpare.
25 Davvero mi trovavo, o cara gente
come colui, che sta su delle spine,
27 ed altro non può far che star silente.
Ma un tratto, nel guardar cose vicine,
29 scoprii con l'avanzar del mio sgomento,
che quelle piante assai non piccoline,
31 portavan occhi, naso, bocca e mento,
incastonati dentro la corteccia,
33 da provocar veloce svenimento.
Le facce eran piazzate a quell'altezza,
35 in cui vediamo i visi dei bambini;
e ciò mi trapassò come una freccia,
37 perché il veder gli sguardi dei piccini,
cerchiati dal rugoso e duro legno,
39 nel modo in cui metal chiude rubini,
mi provocò nel cor un tale sdegno,
41 che pronto sarei stato ad annientare
colui, così capace e tanto indegno,
43 vi dico, anche sol di progettare,
la scena che qui adesso inaspettata,
45 io mi trovai costretto ad ingoiare.
Tale vision, sarebbe a me bastata,
47 ma quando pur sentii di lor la voce,
pensai che non me la sarei cavata.
49 Vieni da me… - come portasse croce -
che vollero il mio corpo violentare,
51 nel modo in cui sa far bestia feroce.
Ti prego, o pellegrin, non mi lasciare…
53 - disse il secondo, con il pianto in gola -
sempre poco, m'han dato da mangiare…
55 No, vien qui! - sentii nuova tagliola -
conosco il mio lavoro solamente,
57 eppur di lor, io ero la figliola.
Ascolta me! - il quarto lì presente -
59 che i genitori m'hanno abbandonato,
per cui io dell'amor son sconoscente.
61 Di certo dentro il sogno ero infilato,
ma stare sveglio avrei io preferito,
63 piuttosto che tornar riaddormentato.
Al che - Francesco, tu che stai zittito,
65 nel modo degno solo dell'ignavo!
Perché tradisci il patto stabilito?!
67 D'accordo eravam ch'io replicavo,
per visitare i miei migliori Miti,
69 e non per diventar d'orrore schiavo!
Ma Guccio, nel parar motti sentiti,
71 immise nel gridar tanta energia,
che già gl'intenti miei eran pentiti.

73 Non puoi tu lamentare sorte ria!
Credevo che tu fossi un uomo grande,
75 con tempra quasi simile alla mia!
Non sai, di azioni tanto sì nefande,
77 che rosse di vergogna fanno il mondo?!
Le tue opinioni, sono troppo blande!
79 Il Mito, non è poi così rotondo.
E' d'uopo infatti, che tu ormai comprenda,
81 che Mito è qui un concetto più profondo.
Insomma, qui bisogna che mi spenda!
83 Mito, è tutto ciò che ti coinvolge
nel ben, nel mal, financo in cosa orrenda.
85 Se verso il tuo piacer esso si volge,
allor vuol dir ch'è un Mito divertente,
87 ma se il tuo cuor invece assai sconvolge,
così com'è successo in dì presente,
89 vuol dir che ti convien meditazione,
se vuoi davver far crescer la tua mente.
91 Non devi, stolto, dar maledizione!
Piuttosto ti conviene qui apprezzare,
93 potente e penetrante la lezione.



CANTO VIII

Ulteriori considerazioni sulla Foresta dei Bambini Perduti. La canzone di Francesco (99, 751)


1 Dopo tal parlar, Francesco si mise
seduto, come padre fa col figlio,
3 e il dir severo al core sottomise.
Non devi tu tener superbo piglio,
5 se vuoi che questa terra inesplorata,
ti possa poi doman portar consiglio.
7 La strada che tu fai non è fatata,
ma se tu sai affrontar diversa sponda,
9 allor sarà la vita fecondata.
Nel tuo cervel, lo sento che rimbomba
11 la vista dei bambini vegetati
dalla violenza che l'anima piomba.
13 Tu sappia, che son stati lor stuprati,
nel modo più peggior da immaginare,
15 perché il dolor gli ha resi mutilati,
d'infanzia che non posson ricordare.
17 Quel legno, che li tiene sì recinti
atrocemente, vuol rappresentare,
19 che son dei vivi simili agli estinti.
Forse convien che qui siano vigenti
21 alcuni paragoni ben dipinti,
coi detti di Pinocchio ancor non spenti
23 in modo che dai motti rivelati,
tu sappia costruir collegamenti.
25 Quei quattro amori che ti sono stati
trasmessi, da Roberto senza falle,
27 tu puoi qui farli adesso contrastati
ai misfatti, ch'udisti in questa valle.
29 Ma basta! Atteggiamento vo' cambiare,
sennò poi tu m'appelli rompipalle.
31 Ti suono una canzone da cantare.
E' quella filastrocca con i mesi
33 che tutti gli anni, voglion ritornare.
Viene Gennaio, silenzioso e lieve,
35 da sembrare un fiume addormentato,
fa le cui rive, giace come neve,
37 abbandonato, il mio corpo malato.
Vien Febbraio, col mondo a capo chino;
39 con lui ogni dolor viene lasciato.
Arriva Marzo, e senti vicino
41 la Primavera in cui ognuno spera,
che sgorghi dalla nebbia un sol piccino.
43 Il dolce April, prelude a gioia intera,
sì bello è addormentarsi nell'amore,
45 insieme a terra, quando cala sera.
In Maggio vien desio d'altro colore,
47 da far cercar amante rinnovata.
E' questo il mese dei poeti in fiore.
49 In Giugno, maturità ritrovata!
Di questo mese, io ringrazio Dio,
51 perché la vita mia m'è stata data.
Di Luglio il mondo si fa solatio,
53 da far sembrar l'intorno una visione.
E' questo il mese in cui riposo anch'io.
55 Arriva Agosto, con dolce pozione
che ber si può, nelle sue oziose ore.
57 Settembre fa pensar a posizione
di nostra età, di quale sia il valore
59 di nostra vita, forse un po' smarrita
l'identità, del nostro primo amore.
61 Ottobre di beltà, sempre esistita!
I tini grassi, come pance piene
63 rifletton quella nube ormai ingrigita.
Ecco, d'improvviso Novembre viene
65 lungo i giardin, che sono sol del pianto
di tutti i morti, a cui vogliamo bene.
67 Ed ecco sul finire del mio canto,
Dicembre arriva, con sue ombre pigre.
69 E neve, fa discendere il suo manto.
Quel canto con i mesi costruito,
71 fece sparir l'orror ch'avei veduto.
Quel canto da Francesco qui sentito,
73 ancor dentro il mio cuor è trattenuto.
Abile assai, Guccio a modulare
75 i modi che ha d'usar per nostro aiuto.
Adesso - disse - occorre un po' giocare,
77 perché con lo svagar s'apre la mente,
e puoi così tua prova completare.

79 Il lunedì, l'incontro preparare.
Il martedì, gli amici visitare.
81 Mercoledì, in Asia per viaggiare.
Di giovedì un eskimo portare.
83 Poi venerdì, il frate per pregare.
Il sabato, radici da trovare.
85 Domenica, a Venezia ritornare.
Ma se ti piace, un diverso scandire...
87 In estate, Milano fa soffrire.
Primavera (di Praga) per morire.
89 In inverno, per Bisanzio partire...
Ma in autunno, Bologna non tradire!
91 Davvero questo canto divertito,
cambiò valutazion del mio veduto.
93 Con questo canto avevo un po' capito,
del riso e del dolor il contenuto,
95 che se noi misuriam, dà un dato incerto,
perché il futuro nostro è sconosciuto.
97 Fu qui che nel gustar di Guccio il merto,
mi nacque una gran voglia di poetare,
99 seppur non come lui io sono esperto.

 

CANTO IX

Piazza della Signoria a Firenze. La manifestazione politica. L'arrivo di Nanni Moretti. (94, 845)


1 Come lo struzzo, infila la testa
dentro la sabbia, per non contemplare,
3 o meglio, per schivar chi vuol far festa
a lui; così voll'io, a me giurare,
5 di dar risposta in tutto opposto modo
al bieco mal; perché non può beare
7 la sua vita, ma pesca assai di frodo,
chi ad orecchie sue giunger sente
9 aita, e risponde: Io non odo!
Le labbra mie, così dicevan lente,
11 con suono come s'ode in luogo aperto,
nel qual la eco sia del tutto assente.
13 Fu forse per ricompensar sofferto,
che Guccio mise me in piazza antica,
15 preziosa molto più di un regal serto.
Intorno mi giungeva gente amica,
17 che lenta popolava quello spazio,
sì tanta, come in tana di formica.
19 Signoria, più bella d'un topazio,
m'apparve in sera estiva illuminata,
21 e dominata, da Vecchio Palazzo.
Perché folla, fosse lì terminata,
23 a me non era dato di sapere;
e nel cercar ragione secretata,
25 mi volsi, per avere un po' da bere
da donna che se'n stava nella ressa,
27 sperando che potesse possedere
motivazion di cui n'avea contezza.
29 Rispose lei, con grande eccitazione,
che non voleva più sentirsi oppressa,
31 da vita priva di una sua ragione;
in piazza quindi lei s'era buttata,
33 per spirito di partecipazione.
Vedendola assai tanto sì infiammata,
35 tentai di penetrar di gente il flusso,
e ciò m'apparve cosa ragionata,
37 in quanto io speravo avere il lusso,
di giungere nei pressi di quel punto,
39 che fosse il più central senza discusso.
Nell'arrivar, notai con disappunto,
41 che Guccio stava al mio sinistro fianco,
con un atteggiamento assai compunto.
43 Se dico disappunto, forse manco,
- sapete quanto tengo a guida mia -
45 ma può così apparir sol saltimbanco!
Non c'è dubbio, che questa scena sia,
47 - mi disse - qui, assai rappresentata,
con precisa e ver fisionomia.
49 Infatti vedo che tu l'hai trattata,
con nuovo ed opportun comportamento,
51 che rende interazion facilitata,
al punto che mi sento ben contento,
53 di come stai prendendo confidenza,
con questo tuo special alloggiamento.
55 Però non devi avere un'eccedenza,
nel creder che tu vivi nel reale,
57 ché del sognar, hai obbliga coscienza.
Se quindi, io t'appaio in modo tale,
59 possibile soltanto a esperto mago,
e sol perché tua testa è sul guanciale.
61 Ma mentre mi lasciava un po' di spago,
per consentire a me di replicare,
63 comparve tra gli applausi nuova imago,
di uno, in procinto di parlare
65 in simil modo, a quel degli oratori,
che pieni di desir son d'arringare.
67 Quell'uom citava assai i lavoratori,
in quanto a lui, sembrava molto ingiusto,
69 l'odioso agir degli amministratori.
E nell'esprimer tutto il suo disgusto,
71 con argomenti forti e motivati,
la folla ripeteva: Giusto! Giusto!
73 Ma dopo aver concetti terminati,
si fece avanti un personaggio nuovo,
75 che tutti ci lasciò assai spiazzati,
perché or prese parte del ritrovo,
77 il caro Nanni, dico di Moretti,
accolto con le urla dell'approvo.
79 E' ver che sotto il podio s'era stretti,
perché ognun da corpi circondato,
81 che costringevan noi a stare eretti,
ma nel guardar i visi era scontato,
83 che Nanni qui volevan tutti udire,
malgrado il caldo assai consolidato.
85 Ma il ciel, non volle ciò acconsentire!
Così come succede in tardo agosto,
87 che pioggia, s'affretta nel predire
l'odore settembrin del nuovo mosto,
89 incominciò, si forte a diluviare,
ch'ognun abbandonò proprio avamposto.
91 Quel fatto fece assai così irritare,
che molti proferiron volgar detto,
93 che qui conviene assai non replicare,
Al fin che il mio racconto resti retto.

 

CANTO X

La folla ripara nella Loggia dei Lanzi. Gli artisti antichi e moderni. La ressa spaventa il pellegrino.
La trasformazione del pellegrino. (97, 942)

1 E' facile adesso immaginare,
che per descriver folla nel fuggire,
3 io provi il paragon recuperare,
con l'anime, bramose di guarire
5 lo spirto lor, in quel del Purgatorio,
che Cato da Casella fe' partire.
7 A parte che non siamo in un mortorio,
(e questa è cosa ormai già stabilita),
9 ma il più è che sarebbe assai illusorio,
tentar sfiorar, con rima striminzita,
11 le ali immortali di quel Grande,
che a noi lasciò il Poema della Vita.
13 Però, quelle terzine venerande,
nel punto in cui i colombi radunati,
15 s'involan, come luce che si espande,
perché brutto veder li ha preoccupati,
17 adatte sono assai a tratteggiare,
caotico fuggir di noi bagnati.
19 Diluvio, costringendoci a lasciare,
con un percorso tutto zizagato,
21 sospinse il folto gruppo a rifugiare
in quel tempio da Orcagna progettato,
23 che forse meglio ancora si conosce,
con Loggia in quale Lanzi hanno sostato.
25 Mentre in piazza continuava lo scrosce,
vedevo gli altri con me riparati,
27 cercar di riposar le loro cosce,
su dei ripiani in pietra realizzati;
29 in mancanza, sedendosi per terra,
con gli inferiori arti accovacciati,
31 prendendo il posto sì come chi afferra,
bottin molto prezioso da strappare,
33 a quei che son sconfitti nella guerra.
Fu bravo questo ombrello a rimediare
35 anche Moretti, che appena notato,
da molti venne fatto accomodare,
37 nel punto che parea meno bagnato,
perché potesse ritrovar quell'agio,
39 perduto quando il ciel l'avea innaffiato.
Io molto ringraziavo quel naufragio,
41 quel sogno o meglio ancora la visione,
ch'avea portato me in tal lavaggio,
43 perché é molto rara l'occasione,
di stare accanto a Musa antica e nuova,
45 riunita in una e sola dimensione.
Se infatti in questo luogo ben si trova
47 l'ispirazion, dei nostri antichi artisti,
che dettero in Loggia grande prova
49 di essere autentici umanisti
nel riprodur quei splendidi modelli
51 nel modo ch'usan fare i manieristi,
dubbio non v'è, che fior ai nostri occhielli
53 vantiam, per quei racconti disegnati
da fotogrammi, simili a fratelli
55 che proiettati, portano beati
nell'arte che usiam chiamar moderna,
57 gli uman, racchiusi in cinema oscurati.
Il regista sembrava una lucerna,
59 e allora a lui cercai d'avvicinarmi,
per dare ad'inusual giornata odierna
61 nuova occasion, al fin d'ammaestrarmi.
Ma troppa era la gente a Nanni appresso,
63 inoltre io non riuscivo a lui mostrarmi,
in quanto ero spinto forte e spesso,
65 - sì tanta quantità v'era di folla -
così che il corpo mio era compresso.
67 Allor, a testa alta un'aria in bolla,
che fosse sufficiente a respirare,
69 col saltellar, cercavo come molla.
Ormai non si trattava di accostare
71 l'autor di Bianca, April ed Ecce Bombo,
che stava insieme ad altri a parlottare,
73 semmai di fare come fa il colombo,
ugual a quel nomato in cima al canto:
75 Ma io pesavo invece come piombo!
Guccini non avevo qui al mio fianco;
77 la calca poi spingeva così forte,
che panico mi prese e quasi il pianto.
79 E' noto che la Loggia non ha porte,
ma grandi spazi aperti per uscire,
81 eppur da ciò non ebbi alcun conforte,
perché sol di due passi progredire,
83 speranza era in me del tutto tolta,
al punto che, lettor, ti voglio dire,
85 che fu davver per me la prima volta,
che cominciai ad urlare come un matto,

87 con voce assai per nulla disinvolta:
Aita, aita! Datemi lo sfratto!

89 Non voglio far la fine qui del topo,
sperando d'ottener d'essere estratto.
91 Ma mentre m'avvedevo che purtroppo,
nessun sembrava accogliere il mio aiuto,
93 avvenne nel subir un tale intoppo,
che presi le sembianze di un pennuto
95 che può vedere solo dei polpacci,
(in quanto il corpo suo è assai minuto),
97 le scarpe mocassini o con i lacci.




webmaster Fabio D'Alfonso


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