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IL MIO VIAGGIO
di Marco Maggioni



Marco Maggioni
un esperto di orientamento al MANAGEMENT

 

26 giugno- Il viaggio in aereo dura circa quattro ore e mezza con due scali a Ouarglà e Ain Salah e di già dall'alto si comincia a intuire la natura del deserto intesa nelle sue prerogative di spazio composizione colore e assenza e la portata di una condanna che perdura da secoli e che tende oggi ad espandersi ancor più poichè al di là della retorica del bel paesaggio e del fascino dell'infinito vedere queste enormi distese di sabbia dove domina incontrastato il vento dove la dimensione naturale si identifica con la natura stessa del sole vedere questi profili di atmosfere arancioni sovrastanti che prefigurano una vastità anzi la si indovina per l'eccezionalità di quest'aria rarefatta che sembra nuvola ma non lo è vedere questo significa avere la conferma di una tragedia che si protrae lenta ma inesorabile e che investe la fascia calda del globo intero.

Le strisce degli ouèd sembrano dall'alto vene dissanguate di un corpo cresposo e screpolato in balìa del sole impietoso: la sabbia rigata dai culmini delle dune ombre regolari diresti quasi organizzate da mano umana anzi da mano di bimbo.

Tamanrasset - di colore rossiccio le case basse e addossata tipo muro di cinta la terra intorno che è poi sabbia adagiata accanto mistificando le linee dure dei muri con curve sonnolenti al sole che scotta: ciuffi di cespugli verde ramarro dietro sporadiche transenne ornamento bianco ai muri delle case
In giro per le strade la gente. Ma prima della gente i colori. Touareg con l'ampio copricapo bianco o blu elettrico la veste celeste o di azzurro intenso , le donne in viola con scialli variopinti , molto svolazzare di tuniche bianche e il nero dei volti e gli squarci lucenti delle pupille in occhi bellissimi che ti spiano passando , il pudore della faccia nascosto dal velo.


Il capo dell'agenzia che ci fornirà macchina e guida ci guarda con occhi segnati dal tarlo della luce e quasi guarda se stesso parlando dell'itinerario da proporci proponendo la sua dignità nella figura ed anche nel concetto quando ci offre pari dignità tagliando corto ai tentativi del ragazzetto ossequioso pronto a interpretare per affidare una immagine sicura allo straniero in cerca di certezze "fa che giudichino loro , che vedano coi loro occhi e interpretino come più li aggrada".

Il mercato appollaiato sotto le arcate del souk dove contadini e artigiani vendono povere mercanzie adagiate comode su fazzoletti color turchese spento: pomodori datteri secchi meloni patate chincaglierìe scarpe rattoppate vestiario semplice da lavoro e un vocìo sommesso un parlottare per contrattare , la malizia negli occhi e la sicurezza che non ti fregano, basta stare al gioco che consiste nel trattare proporre un prezzo e difenderlo parlare d'altro magari farsi un thè lì per lì e rilanciare dove il prezzo della merce non è determinato dal mercato ma dalla furbizia mercantile del mercante dalla sua capacità di determinarlo lui il prezzo insieme al compratore e con soddisfazione di entrambi se si è disposti ad entrare nel gioco che poi non è un gioco ma la cultura della sopravvivenza che determina un valore in funzione dei propri bisogni vendendo l'immagine di soddisfare il bisogno dell'altro: è la base del commercio insomma.

L'atmosfera intorno lega tutto in un sol fascio : lega i rumori coi colori i colori con le immagini le immagini con gli odori gli odori con le parole le parole con le musiche di fondo la musica con lo spessore del caldo il caldo col battito del cuore e il cuore con la sonnolenza e come abbrutito quasi sospeso o sospinto percorro la linea bianca del sole o che è lo stesso della strada di polvere accecante che mi porta all'albergo fantasma rifugio occidentale per occidentali sprovveduti camera di decompressione forse necessaria per affrontare perigli inusitati e misteriosi nascosti là dietro le dune dietro le parole del capo agenzia.

27 giugno- La partenza in Toyota con la guida touareg in tenuta da deserto nero il turbante che riflette e respinge meglio i raggi del sole il velo davanti alla bocca per non inspirare sabbia o aria calda inumidendo con l'acqua o la saliva la tela filtro necessario per salvaguardare la bocca e i polmoni.

L'Hoggar è un deserto ma diverso dal deserto finora incontrato : la sabbia manca del tutto o quasi, sporadica abbarbicata su coni di granito appoggiati per terra una terra lavica millenaria che fa da piedistallo rigido e piatto ad enormi complessi montagnosi calvi da ogni verzura senza misteri ai raggi del sole unicamente il mistero della loro esistenza della loro collocazione lunare fantascienza di spazi così poco umani rappresentativi di ere nascoste nella memoria della nostra civiltà e forse prima quando i giochi erano galattici e la materia informe trovava spunti di controllo nell'assestamento vorticoso di accelerazioni e decelerazioni di caldi e di freddi sempre decisivi cosmici oggi vestigia di una nascita brusca uscita dal grembo della materia e rimasta lì fin da allora diresti sempre intatta dove l'uomo è solo occasione passaggio quasi vizio per la caparbia volontà a sopravvivere al deserto.
I momenti migliori sono quando, fermo il motore, asserragliati per terra lungo la scarna ombra della vettura in attesa del rito del thè si ascolta il silenzio , un silenzio perduto che recuperi pian piano l'orecchio che spia perchè qui il silenzio non è assenza di rumore ma qualcosa che riempi col gesto del pensiero di una mano di uno sguardo di un fruscìo di un fischio di vento col chiasso dei sassi che scricchiolano al sole fosforescenza frastagliata col taglio di un picco spericolato che piomba sulle sembianze di un corso d'acqua immaginaria un silenzio fatto di superfici tonde all'orizzonte che rimbalzano echi attutiti dal tempo mentre onde di atmosfera pesante dilatano il silenzio fino a ubriacarti di una presenza che coinvolge tutto il tuo mondo conosciuto e sconosciuto: è appunto la sensazione di scoprire al tuo corpo fatti inediti coscienze rarefatte ma sintomi di aperture insospettate dove il silenzio si fa spazio e lo spazio coscienza.


Dilatare il nostro corpo i nostri sensi la nostra intelligenza fino a farli deserto e ritornare materia e trovare quello che non è mai stato detto , il silenzio mai espresso la mancanza da riempire il bisogno di recuperare l'assenza e trovare che è infinita la possibilità di riempirla.

Arriviamo al rifugio di Assekrem dopo quattro ore di viaggio su pista. La pista è qualcosa di diverso da qualsiasi percorso a noi conosciuto poichè è innanzi tutto un concetto è il frutto di una esperienza non è un percorso ben stabilito e fisicamente visibile a terra la pista è unicamente una direzione da cercare continuamente in funzione dei colori dei sassi e delle montagne in funzione delle stelle in funzione della conformazione delle roccie in funzione di un cactus solitario in funzione di un orizzonte riconoscibile in funzione anche delle traccie di chi ci ha preceduto ma può aver sbagliato.
Il rifugio è posto in cima ad una costa di montagna che domina il più affascinante complesso di dorsi montuosi dell'Hoggar e di vallate tirate ad arco con tagli di luce da capogiro.
Poco più su c'è la sede dell'ultimo residuo di un colonialismo oggi patetico se non ne conoscessimo gli effetti spesso nefasti: padre de Faucoult ebbe la presunzione di propagare il verbo cristiano di lanciare il messaggio nel deserto tra gli uomini che hanno fatto già una religione del deserto stesso e ne è stato fagogitato subendo il fascino dell'impossibile e riscattando la sua presunzione in un completo isolamento mistico a rimirare le cupole consistenti di un panorama non suo ma comunque ben accetto nascosto in una piega della montagna a scrutare il silenzio dell'anima. Oggi due suoi discepoli perpetuano una scelta drastica di vita al confine tra punizione espiazione e bisogno mistico di congiunzione col mistero. Non accettano interviste per non esporsi alla benevolenza della terra ospitante nè dare in Europa l'immagine esaltante di un misticismo di cui si è perduto il senso forse.


Nel silenzio il taglio piatto delle rondini in volo un'aquila plana in rotondo turisti rompono a tratti l'atmosfera con frasi banali e atteggiamenti da boy scout con la cieca presenza di stare o poter raccontare di stare e non di esserci. La classe media è media dappertutto mentre gli uccellini cantano e giù in fondo la profondità di una valle e strati di montagne rocciose degradanti all'orizzonte fino ad una foschìa che si concilia col cielo: forse è desiderio di profondità bisogno di colpire dentro e cercare orizzonti nuovi oltre la foschìa.
Sono le sette meno un quarto della mattina.

Lo spazio- Non è un percorso non è un ambiente non è estetico come un quadretto non è uno spazio da guardare insomma non è definibile a colpo d'occhio non è uno spazio umano per ciò che di umano finora conosciamo non ha niente a che vedere col concetto di spazio che ci portiamo appresso per vizio e cioè lo spazio inteso unicamente in funzione dell'uomo al servizio della nostra incapacità a sentirci presenti il nostro sforzo di avere per alleato uno spazio fittizio che è poi la nostra maschera la rappresentazione di ciò che vorremmo essere dell'idea che abbiamo del mondo e per questo lo modifichiamo perchè non lo vediamo il mondo intendo vediamo solo la rappresentazione che di esso ci siamo fatti per coprire il pudore di esserci nel mondo.
Qui è diverso. Lo spazio inizia da te come punto e comincia ad espandersi come linea come curva come cosmo , si dilata e si appoggia alle cose quasi indugiando è uno spazio che accarezza tutto ciò che comprende e ogni cosa compresa vive della sua specificità perchè tutto è in funzione di se stesso in quanto tutto è mutevole e tutto è immutabile , è mutevole nel suo movimento è immutabile nel suo stare nello spazio in quello spazio.
La sensazione di scoprire mondi sconosciuti di sorprendere un orizzonte mai visto da occhio umano umano occidentale s'intende la sensazione di uno spazio che ti avvolge ed è come stare al centro di tutto e poter ruotare trecentosessanta gradi e avanzare contemporaneamente come fa la terra del resto:
ecco, la sensazione che stia accadendo qualcosa qualcosa che si rompe da dentro per aprirsi , è il criterio di misura che sballa è il senso del tempo che non ha più senso è il senso di sè la presenza una presenza dimenticata che ora affiora nella sua pienezza nelia concretezza di uno spazio vuoto immenso onnicomprensivo tutto da riempire.
Picchi di granito massi enormi appoggiati quasi per caso su distese piatte di lava montagne incalzate alle pendici da sabbia arrampicatrice morbida anche al colore ma inesorabile nello smussare e ricoprire con dolce persuasione di linee mobili al vento.

29 giugno - Partenza dalle montagne di padre Eligio alle sei del mattino quando dal torpore della sonnolenza per un risveglio faticoso e prematuro assapori comunque il vasto silenzio che scivola pesante dai pendii delle montagne, mentre i francesi ci seguono in tenuta da mare. Dopo tre ore di narcosi da macchina dovuta ad assuefazione alle frenate brusche e ai sobbalzi che le masserizie sottolineano con clamore stipate là dietro, prima tappa nello ouéd tagliato nella roccia con polle d'acqua verde ramarro: abbiamo fatto il bagno e nostra era la montagna.
Immergersi in una polla d'acqua fredda in piena distesa desertica é come avere la sensazione di aver violato qualcosa; che é poi l'acqua, l'acqua intesa come madre e forse di più: per l'acqua si può uccidere anche la madre, credo. E' infatti accudita difesa, pesata, vezzeggiata, soprattutto pensata. Sempre. E sempre se ne parla: quanta ne beviamo, quanta ne prendiamo per partire, quanta ce ne serve e fino a dove, e si fanno calcoli delle ore e delle tappe per abbeverarci, dove la mettiamo, chi se ne occupa, ogni quanto tempo é opportuno fermarsi per dissetarsi. L'acqua é come il destino, non ti abbandona mai e se per caso ti viene a mancare , é destino che muori.
Il gusto di sollevare nel grembo delle mani verso le labbra sorsate d'acqua avidamente trattenuta per compiacere il passaggio palpeggiarla assaporarla lentamente in gola a godere della sua presenza di passaggio così rado.


E' come un rito, quando si beve non puoi non offrire a chi ti sta accanto, ma se sai che l'altro ha la sua acqua fai meglio a badare a te stesso e basta, quella é la tua acqua; ecco, un'altra cosa, il senso della proprietà, l'acqua può essere mia e difesa come tale e rispettata come tale; ma nessuno rifiuterebbe dell'acqua a chi la chiede, perchè chi si riduce a chiederla é in gravi condizioni o può arrivarci in breve.
La soddisfazione di immergersi in una polla d'acqua é come una sfida al sole, un segno di superiorità, di dignità riconquistata, di coraggio recuperato e lo spreco dell'acqua dove la trovi abbondante come a Djanet é un gioco che ti puoi permettere, una festa, farsi la doccia con la pompa e avere la soddisfazione di perdere qualcosa, di violare qualche legge, di rattristarsi solo un poco dell'acqua per terra pozzanghera inutilizzata, ma proprio per questo il piacere di servirsene di superare la vergogna dell'abuso e dello spreco, e sfidare il sole arcigno che prosciuga spazi di vita.

30 giugno - La Toyota corre veloce sulla pista direzione Idelés, dieci/tredici ore di marcia prevista e forse qualcosa di più, dipende da eventuali impedimenti, un guasto al motore, il percorso diverso da quello consueto, una tempesta di sabbia, la voglia di fermarsi per sgranchire le gambe o ammirare spettacoli di deserto roccioso. Il tempo é direttamente proporzionale allo spazio e quindi alle incognite che esso riserva ed anche i tempi psicologici quindi si dilatano a dismisura fino a rendere indistinto lo stesso obbiettivo del viaggio nel senso che esso si frammenta o si arricchisce di altri obbiettivi secondari imposti dal presente che pure esso é allungato disteso fino a racchiudere in sé un evento completo di inizio e fine. Anche il disagio di stare sempre seduti dentro la macchina, al caldo sobbalzando, é cancellato da una forma di assuefazione a coordinate fisiche e spaziali che coincidono con ritmi mentali che assumono continuamente senso compiuto, si diventa complici del tempo, dove il tempo appunto non é più misura ma dimensione: é un esserci.


Ogni "momento" non ha sviluppo lineare bensì circolare, autonomo come l'onda del mare che vive nella sua perenne circolarità e si muove lo stesso nell'acqua con l'acqua sull'acqua.
Un evento per esempio é costituito da incontri occasionali che se non fosse per l'eccezionalità del luogo in cui avvengono potrebbero sembrare banali incontri tra amici;ma il contesto non permette di considerare normale lo spuntare improvviso di un ragazzo da dietro una roccia correndo alzate le braccia, e la nostra guida a fermarsi, salutare fare due chiacchiere come tra amici e lasciarsi senza commento e senza un saluto come se fosse un discorso interrotto senza chiusura suscettibile quindi di essere ripreso un giorno chissà ainshallah. Perché il saluto é gratificante e di buon auspicio quando ci si incontra non quando ci si lascia; ecco perchè ogni incontro é caratterizzato quasi da un rituale lunghissimo fatto di "come stai" "sto bene" "come stanno i tuoi" " stanno bene" o "stanno così così" e "come stanno i tuoi fratelli, zii, nipoti, eccetera eccetera" "stanno bene" cadenzando come una musica misteriosa che decresce man mano di tono fino a spegnersi in un sussurro guardandosi negli occhi calmi sospeso il silenzio per un attimo ad assaporare la religiosità del momento; un doveroso reciproco messaggio di solidarietà immersi tutti in una stessa ineluttabile qualità che é poi il deserto e lo stupore solo nostro di scoprire presenze umane nel vuoto e neanche l'ipotesi di capire da dove venga che cosa faccia lì dietro l'unica ombra dell'unica roccia e poi sapere che non é affatto strano poiché là dietro le montagne sono accampate famiglie touareg invisibili dalla pista, raggiungibili solo a piedi o su cammello dopo ore e ore di marcia.
Altri due personaggi si profilano da lontano cammellando sui cammelli una danza intonata alle curve dolci dei monti circostanti. Due touareg bardati a festa. Ci si ferma. Il saluto, prima ad uno poi all'altro, lunghissimo.


Quattro chiacchiere, dove andate e da dove venite, le ultime novità scoprire di essere parenti, con la guida si capisce, e proseguire e commentare il fatto di due touareg così appariscenti e sapere che sono passati di là non certo per caso, per farsi notare appunto; oggetto di consumo per turisti, essere gratificati dalla appartenenza a nobili tribù o semplicemente ostentare la propria presenza in un momento in cui per loro prevale l'assenza o meglio la graduale degenerazione dal ceppo originario, la scomparsa delle gloriose e mitiche imprese di questi guerrieri disarmati padroni solo del niente che é il deserto, padronissimi di concederglielo gli algerini,allettati comunque a sedentarizzarsi in città e trovare un lavoro che li spodesti del tutto da una cultura che ha o aveva per fondamenbto il culto per la libertà.

1 luglio - Gardahià - Un colle come tanti altri, levigato, implume da ingombri vegetali, insomma deserto tutto intorno del tipo più dolce con curve continnue di cocuzzoli aridi ripetitivi quasi uguali l'un l'altro proiettati come bozzi contro la propria ombra unico contrasto alla povertà della luce del suolo scolorito assorbite tutte le varianti di una natura immaginaria lussureggiante solo raccontata attraverso il mito o desiderio di un deserto che fu e comunque affrontato e vissuto, l'arido intendo, con caparbia sicurezza o forse religiosità poiché solo la fede ha sufficiente immaginazione per rendere credibile l'incredibile.
Sul colle, appoggiata la città, ordinata secondo precisi rapporti di linea colore e organizzazione di spazio; almeno così sembra, dato che da lontano la visione del reale si fa surreale, tanto la visione é la metafora di se stessa, così casualmente appoggiate le case a creare una immagine di sé rappresentata più che vissuta, una dimensione di false prospettive, di falso colore, di false strutture come per intendere la provvisorietà dell'esistenza e nascondere la continuità dell'anima che guarda caso é islamica, eterna, dominante, identica.


Come un gioco di carte poste a castello pericolanti con un soffio il fiato sospeso, offrendo drastiche simmetrie di quadratini levigati senza spessore, scenografia cinematografica appoggiata all'ombra della sua stessa struttura, e alleggerita da colori acquarello variegato che non danno scampo a ipotesi di dimensioni plastiche espressione diretta di chi le ha plasmate. E' come un messaggio per chi lo vuol capire che sembra voler dire: d'accordo, ci avete relegato nel deserto, bene, anzi noi stessi per primi lo abbiamo scelto come luogo impossibile ma privilegiato di difesa da voi, fratelli, e dai vostri pregiudizi; é qui che costruiremo la nostra forza, é qui che diventeremo il baluardo del vero islam, potenti nonostante la sfida del deserto e vostra: vi accorgerete di noi e la nostra potenza può farvi paura e potreste allora ricacciarci in altri deserti più deserti di questo, ma noi vi dimostreremo che non esiste deserto per noi che non sia docile alle nostre necessità e compariremo a voi con l'aspetto che più vi aggrada e cioé deboli remissivi inutili superficiali; vi concediamo quindi l'immagine del cadùco del formale della menzogna del falso, l'ipotesi del vuoto per non spaventarvi, una immagine di favola, con le nostre cinque città adagiate timide una vicino all'altra, incasellate quasi per caso le case, potreste soffiare e sperderci di nuovo: l'immagine della nostra debolezza, che é poi la vostra, sarà la forza per vincere la vostra debolezza.
Sembra che parlino così quelle case appoggiate sul colle al soffio di memorie antiche, offrendo il fascino di ciò che nascondono piuttosto di ciò che manifestano.
La contraddizione sembra infatti palese quando si entra in città, quando vedi quei personaggi tutti in bianco svolante, la papalina bianca in testa, quasi tutti con occhiali, la barba del saggio, l'aria intelligente e dinamica, il sorriso del furbo sulla faccia, camminano spediti, sempre indaffarati nel formicolio delle strade ricolme di faccende commerciali, sicuri della propria potenza, indifferenti all'antipatia che ispirano, che é poi il gioco che li rende diversi identici a se stessi e a ciò cui credono, ad un islam migliore, ad una pratica religiosa più rigida e rispettosa delle tradizioni, dai valori assoluti, dove le regole sono intoccabili, dove la donna compare all'esterno in sembianze di fantasma tutta coperta di bianco fino a terra e fino al capo e perfino il volto ed anche l'occhio e forse coprirebbero anche laltro se, a parte la sua indubbia funzione, non fosse comunque invisibile coperto dall'ombra e dal contrasto col bianco del velo.Si ha la sensaziuone però che, nonostante tutto, tutto sia permesso dietro il paravento dell'islam che salva le apparenze e le coscienze e lo si legge sui volti, dai sorrisi sornioni, dagli occhi ispessiti dalle lenti che calcolano il vantaggio, la pelle umida e grassa che cova libido represse, e ti accorgi che il contrasto non é poi così grande tra l'immagine che danno di sé la città e i suoi abitanti.
Questi appaiono pieni di una missione che li fa sacerdoti di se stessi, dove vedi il desiderio di assaporare qualcosa che ad ogni costo gli viene vietata in nome di allah, poiché in nome di allah si sono ingabbiati in una sovrastruttura di difesa che é la loro forza ma anche la loro miseria, che é la miseria del cieco fanatismo che uccide la coscienza , ormai perduta nei meandri di una morbosità latente che trova spazio nei continui compromessi quotidiani, nel maneggiare il danaro come conquista, la merce come possesso, la donna come oggetto utile ai piaceri notturni , dove tutto quanto si risolve nel rappresentare più che nell'essere, e comunque dimostrare di aver vinto su tutti, sul deserto inospitale, sui vicini poco ortodossi a cui possono ora elargire quei servigi di cui detengono il potere, che é poi il potere commerciale.
Questo mi sembrava di capire camminando per le vie di Ghardaià.

Ritorno dal viaggio- Non é naturale oggi l'abbaiare del cane: ha un suono isterico, inutile, senza direzione, quasi rappresentanto o per rappresentare una parte per qualcuno o qualcosa che lo vuole "cane che abbaia" perdendo il senso dell'"abbaiare del cane". Anche le formiche che occupano il campo qui davanti sul bianco del tavolo illuminato da una lampada che finge luce di sole, girano senza senso cercandolo anzi il senso, ma non ha senso il posto in cui stanno, e così la farfalla impazzita che fruscia intermittente sull'impiantito ad un angolo della stanza,anche lei ha sbagliato percorso, ha sbagliato tutto, deve ricominciare da capo, deve imparare ad essere farfalla.
Tutto ciò é irritante, questa innaturalezza di cose naturali e di rumori senza contesto e di percorsi senza meta e di fatiche improduttive se non nocive, mi rendono perplesso, un poco circospetto e quasi misterioso al mistero di questa contraddizione, teso a capire il senso se ce n'é uno. Non c'é niente che stia al suo posto e io nel mio, é tutto in funzione forse dell'immagine e non della capacità di esistere e basta. Il rumore del giradischi per esempio che non viene ascoltato ma solo udito come può essere udito quel quadro appeso che non mi dice nulla, é più concreto il muro che lo appende forse. Il rumore dello zoccolo dell'amica sul pavimento, dimenticato il sano rumore del piede sulla terra; il rumore inutile delle parole innutili che si lasciano dire per essere dette a qualcuno o qualcosa che si aspetta che qualcuno dica qualcosa, pena il il silenzio. Ecco,il silenzio. La paura del silenzio, la paura di ascoltare il rumore delle vene scorrere nel corpo, la paura di ascoltare il proprio battere di ciglia, la paura di escogitare il caos con fantasie clamorose, la paura della paura, e poi riempire così di sé uno spazio fisico e mentale da vendere all'esterno, l'immagine che abbiamo di noi stessi é l'immagine rappresentata del mondo, non é il mondo. E ci perdiamo come le formiche, come l'abbaiare del cane.


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