Archivio teatro - theatre


 
 

I PIATTI DELLA BILANCIA
di Stefano Montanari
Atto unico





Presentazione
Ambedue gli atti unici I PIATTI DELLA BILANCIA e I TARLI sono ricavati da racconti che portano gli stessi titoli.
In qualche modo le due pièces si somigliano: nessun giudizio politico, che è lontanissimo dai miei interessi, ma la costatazione di come non esista nulla che l'intelligenza umana non sia capace di giustificare. Il giudice vero, tuttavia, è quella parte di cervello che noi, commettendo un grave errore di fisiologia, chiamiamo "cuore", una parte di cervello che ci soppesa con soggettiva obiettività, se mi si passa l'ossimoro, nella nostra qualità di uomini kantianamente e misteriosamente morali.

Biografia:
Nel giugno del 1949 mia madre mi partorì a Bologna, distratta dalle imprese di Fausto Coppi che la voce di Ferretti illustrava alla radio.
Dopo un'infanzia e una giovinezza trascorse a Maranello nel covo della Ferrari, mi sono laureato in Farmacia e ho cominciato subito ad occuparmi, da tecnico e progettista, di aggeggi che servono ai medici per giustificare le loro parcelle e, in fin dei conti, a me per pagare il conto del macellaio.
La passione per l'arte in genere l'ho ereditata, credo, da mia madre. Così ho fatto, ben inteso da dilettante, il fotografo e il musicista, prima di passare alla scrittura di racconti e di pezzi teatrali.
Da mio padre ho ereditato la passione per lo sport e, finché gli anni non hanno preteso un pedaggio insostenibile, sono stato maratoneta con quindici campionati italiani amatoriali a squadre nel mio palmarès.
Come scrittore ho un bel po' di pubblicazioni al mio attivo, in italiano e in inglese, ma, ahimè, soltanto in campo scientifico. Come letterato, benché valga assai di più che come scienziato, nulla.
In famiglia sono l'ultima ruota del carro, con una moglie bioingegnere che fa ricerche a livelli stratosferici e due figli strumentisti e compositori, uno rock (chitarra) e uno classico (oboe). E allora scrivere mi serve per non beccare troppo distacco.
 
 

oOo








PERSONAGGI:

YORICK, Riccardo da giovane
TOM, partigiano
VASCO, partigiano
RICCARDO
VISITATORE
INFERMIERA
MEDICO
EMILIA
BAMBINO

Il palcoscenico è diviso in due parti: in una c'è la stanza della clinica e nella seconda si svolgono le altre scene.
Le due parti di palcoscenico sono in comunicazione libera, senza nulla che le divida. La divisione è ottenuta con l'uso
delle luci.

oOo








SCENA 1

[Tre uomini di età intorno ai venticinque anni, YORICK, TOM e VASCO, in abiti dei primi anni Quaranta, stanno in piedi con le spalle rivolte al pubblico.]

YORICK: Allora?

TOM: E' confermato.

VASCO: Lunedì mattina al Comando di Via della Vite.
 
 
 

SCENA 2

[La stanza singola di una clinica privata, sul finire degli anni Ottanta: un letto su cui è sdraiato RICCARDO, sulla settantina; al fianco del letto, un comodino e l'asta di una fleboclisi alla quale è appeso un flacone incartato di stagnola. La linea della fleboclisi, pure avvolta nella stagnola, termina con un ago al braccio di Riccardo. Ai piedi del letto, una poltroncina e un tavolo. In fondo alla stanza, una finestra. Sulla parete opposta, una porta su cui qualcuno, da fuori, sta bussando lievemente mentre Riccardo sta guardando fissamente la finestra.]

RICCARDO: Avanti... [a voce più alta] Avanti! [Lentamente si apre uno spiraglio nella porta, attraverso cui s'insinua un VISITATORE vestito con un completo a giacca nero fuori moda, piuttosto modesto, camicia bianca e cravatta stretta nera. Porta una vecchia borsa di cuoio scura rigonfia di documenti. Si ferma sulla soglia.] Avanti, ho detto!"

VISITATORE [timidamente]: E' permesso?

RICCARDO [con fare brusco]: Ma sì, avanti!"

VISITATORE: Mi scusi... Buona sera [Riccardo annuisce senza parlare]... Io...

RICCARDO: Sì, sì. Entri... [Il Visitatore fa un mezzo passo avanti, esita, e Riccardo, con un po' d'irritazione] Si accomodi!

VISITATORE: Non vorrei disturbare oltre misura...

RICCARDO [con ironia appena accennata]: Ma per carità! [Il Visitatore entra e Riccardo indica la poltrona davanti a cui il Visitatore si ferma.] Si accomodi. [Il Visitatore esita ancora, imbarazzato, e Riccardo, un po' spazientito] Si accomodi, la prego! [Il Visitatore resta in piedi e i due si guardano per alcuni secondi.]

VISITATORE: Forse... Forse non mi aspettava...

RICCARDO [pensando appena un attimo]: Non so...

VISITATORE: Non le avevano...

RICCARDO: Sì, sì, la sua visita mi era stata annunciata... Però non credevo che [guardando altrove]... non credevo che sarebbe arrivato così presto. Grande solerzia, vedo.

VISITATORE: Se è per l'orario, io...

RICCARDO: No, no... E' che oggi...

VISITATORE [in tono di scusa]: Ci sono delle scadenze che...

RICCARDO: Naturale. Ci sono delle scadenze... Si sieda! [Il Visitatore si siede di scatto sulla poltrona, senza appoggiare la schiena allo schienale.] Noi non ci conosciamo, ma è come se... Se vuole mettere l'ombrello...

VISITATORE: Io...

RICCARDO: Già, lei non ha ombrello. Fuori piove, pioviggina, anzi, e lei non ha ombrello... E nemmeno un impermeabile. Fa freddo, fuori? [Il Visitatore fa per rispondere ma Riccardo continua, avendo perso il tono brusco] Io da qua vedo un francobollo di mondo. La città è diversa, vista da qua. Questo è un punto di vista se non privilegiato - sarebbe esagerato chiamarlo così - se non privilegiato, almeno particolare. [I due si guardano in silenzio. Il Visitatore è a disagio] C'è vento...Il vento appiccica le foglie al vetro e io scommetto con me stesso: 'quanto resisterà, quella, lì attaccata?'
Che cos'è che fa stare una foglia aggrappata un'ora, un minuto, un secondo? Sa che a volte qualche foglia s'incastra in un angolo dove non arriva il vento e resta lì per un giorno? Più di un giorno, anche. Oppure ce n'è qualcuna che si spiaccica proprio in mezzo al vetro. Bang! 'Ecco, - dico io - quella fra un minuto non c'è più.' E invece, macché: quella se ne sta lì per ore. Magari è perché non tira più il vento, oppure perché ha smesso di piovere e l'acqua non lava più il vetro. Oppure, ed è la cosa più buffa, perché un'altra foglia gli s'è appiccicata sopra e, per così dire, si sacrifica per lei. E' la cosa più buffa... Però, a volte, è proprio la foglia che arriva a far cadere quella che stava già lì. Il caso... [Il Visitatore, a disagio, tormenta la borsa che tiene in grembo. Riccardo, indurendo un po' il tono] Ha tutto?

VISITATORE: Sì.

RICCARDO: Le carte?

VISITATORE: Sì, ho tutto.

RICCARDO: Eh, già... A lei non può mancare niente. [Il Visitatore alza un poco le spalle per scusarsi.] No, no, non si scusi, non è proprio il caso: lei sta facendo il suo dovere. [Il Visitatore apre appena la borsa e ci guarda dentro quasi di nascosto.] Senta... se me lo può dire... Come si svolgerà la... la cosa?

VISITATORE: Be'... Vedrà, sarà tutto naturale..."

RICCARD [sorridendo con amarezza]: Naturale... naturale... sì...

VISITATORE: Di solito c'è un po' di difficoltà all'inizio, un poco d'imbarazzo, qualche volta, poi tutto si sistema. Vedrà, non deve preoccuparsi.

RICCARDO: Preoccuparmi... Del resto, a che cosa servirebbe? La paura è un atteggiamento utile... L'istinto di conservazione si serve della paura... Ci sono circostanze, però... dei punti di singolarità della vita nei quali l'istinto di conservazione... Ha tutto con sé?

VISITATORE: Sì.

RICCARDO: Glie l'avevo già chiesto. [Il Visitatore sorride timidamente come per scusare Riccardo] E lei aveva già risposto: lei ha tutto... Non le manca niente... Deve prendere appunti?

VISITATORE: No, no, io...

RICCARDO: Perché se deve prendere appunti, c'è il tavolino, lì [con la testa Riccardo indica il tavolino vicino alla poltroncina. Il Visitatore scuote la testa]. Ma lei non deve prendere appunti.

VISITATORE: Le carte le metterò a posto dopo, più tardi, senza doverla importunare più del necessario.
[Riccardo guarda fuori dalla finestra e il Visitatore guarda la borsa. C'è una pausa piuttosto lunga al termine della quale Riccardo e il Visitatore iniziano a parlare contemporaneamente.]

RICCARDO : Mi dica, allora...

VISITATORE: Se volesse... [i due arrestano di parlare contemporaneamente.] Mi scusi.

RICCARDO: Mi scusi lei. Diceva?

VISITATORE: No, no, io... Dica lei.

RICCARDO: Diriga lei le operazioni, sia gentile. Per me, si renderà conto, è la prima volta.

VISITATORE: Dovrebbe essere lei...

RICCARDO: Mi scusi, ma io non conosco il cerimoniale.

VISITATORE: Dica lei ciò che si sente. Se vuole...

RICCARDO: Io... Mah, io non ho gran che da dirle, sa. Credo che lei, con la sua posizione, sappia molto... tutto [indica la borsa e guarda il Visitatore per vederne le reazioni che, però, non esistono]. Io con i conti sono a posto: date a Cesare quel che è di Cesare...

VISITATORE: ...e a dio?

RICCARDO: A dio? Che cosa non avrei dato a dio?

VISITATORE: Non so... Mi dica lei... Naturalmente se vuole...

RICCARDO: Se voglio? [Con una certa irritazione] Lei viene qui, in quella che, in un certo senso, è casa mia e mi fa l'interrogatorio...

VISITATORE: Io...

RICCARDO: ... mi giudica...

VISITATORE: No, io non...

RICCARDO: ... e mi viene a dire 'se voglio'? Ma si rende conto?

VISITATORE: No, mi scusi... Non è per giudicare... Io non mi permetterei...

RICCARDO: Lei non si permette e se ne sta lì a guardarmi, aspettando che io le dica... Cesare, dio... Ma, insomma, che cosa vuole da me?

VISITATORE: Io devo...

RICCARDO: Sì, sì, lei deve... Lei deve! [Mormorando, rivolto alla finestra] Lui deve... [Di nuovo rivolto al Visitatore]  Lo sa chi mi sembra lei? Un prete. Lei mi sembra un prete. E' una confessione che vuole? Me lo dica! Se è per questo...

VISITATORE: Lei deve sentirsi libero...

RICCARDO: Ma sì, sì. Mi scusi... Non è mia intenzione metterla in imbarazzo, in difficoltà. Da dove vuole cominciare?

VISITATORE: Oh, faccia lei. Io non...

RICCARDO [irritato]: Va bene, va bene. Facciamo in fretta e non se ne parli più. Idee chiare: domanda e risposta. Che cosa ne dice, eh? Domanda e risposta: domanda... sì; altra domanda... no.

VISITATORE: Mi dispiace che si irriti.

RICCARDO [più irritato]: Io non mi irrito affatto! Però, ammetta, lei farebbe scappare la pazienza a un santo e io... lei lo sa... insomma io un santo non lo sono proprio. [Calmandosi] O, meglio, non lo sono stato. [Calmandosi ancora] Adesso, vede, in queste condizioni, essere un santo non è un gran merito: non sarebbe poi così difficile. Anzi, peccare da questo letto sarebbe davvero... [Il Visitatore appoggia la schiena allo schienale della poltrona.] Il mio bianco lettuccio di dolore... Il letto dell'espiazione... O no? [guarda il Visitatore, sperando in una risposta ma il Visitatore resta impassibile.] Non credo che lei frequenti i teatri ma, credo, dalle sue carte, lì, risulterà certo che io sono di professione attore [Il Visitatore annuisce leggermente]. Bene, se lo lasci dire da attore, un dialogo con lei è quanto di più difficile si possa concepire su un palcoscenico. Lei prende la battuta in ritardo: è innaturale! Senza offesa... senza offesa... [guarda il Visitatore che resta impassibile. C'è una pausa piuttosto lunga durante la quale Riccardo armeggia con la linea della fleboclisi.] La manda Emilia?

VISITATORE: Emilia?... No, io...

RICCARDO: Certo, che stupido!... Però Emilia lei la conosce... [Il Visitatore stringe le spalle e alza le sopracciglia come per far capire che quella conoscenza è inevitabile.] E visto che lei sa tutto, saprà anche che non era mia intenzione. Saprà anche che lei non mi aveva detto niente. Fu lei a mettersi in testa... Ma sì, se mi avesse detto subito... [Molto nervosamente] io ero disponibile... Lei non può non saperlo. [Molto agitato] Guardi lì, in mezzo a tutte quelle scartoffie! Guardi! Io...

VISITATORE: Sì, sì, non si preoccupi di questo.
[Un tocco di nocche sbrigativo alla porta e, senza attendere risposta, entra un'INFERMIERA con un flacone in mano.  Chiude la piastrina metallica della linea, toglie il flacone vuoto dall'asta e lo sostituisce con quello pieno che portava in mano. Terminata l'operazione, l'Infermiera esce.]

RICCARDO: Vede, qui è tutto efficiente: non un gesto inutile. E che cosa c'è di più inutile delle parole?... Lei parla molto bene l'Italiano, senza inflessioni. Un attore scadente ma la dizione è buona [il Visitatore abbassa lo sguardo]. Sì, sì: buona. Soprattutto per uno... straniero? Posso chiamarla straniero? [Il Visitatore sorride] Fa piacere, sa, sentir parlare la propria lingua.

VISITATORE:  Essere poliglotti fa parte dei requisiti del nostro mestiere.

RICCARDO: Eh, già. Voi dovete parlare con tutti. Lingue diverse, facce diverse, abitudini, morale... già, anche la morale... Ma poi, ad un certo punto, tutte queste differenze [fissa per un po' il Visitatore che sorride appena  e poi riprende la sua aria imbarazzata]... Io faccio l'attore, glie l'ho detto. Non mi riesce ancora di dire 'facevo' l'attore [fissa ancora il Visitatore che allarga leggermente le braccia].
 
 
 

SCENA 3

[Yorick, Tom e Vasco stanno in piedi come nella prima scena, ma sono rivolti verso il pubblico.]

TOM: E' per lunedì.

VASCO: D'accordo.

YORICK: Chi...

VASCO: Ma non si era detto [Tom e Vasco guardano Yorick]...

YORICK: Certo... Si era detto così. Dov'è la roba?

TOM: Ce la portano stasera.

VASCO: Si era detto...

YORICK: Si era detto così.

VASCO: Allora tu... Ti ricordi tutto, vero?
 
 
 

SCENA 4

[Come al termine della Scena 2]

RICCARDO: Capacità ne avevo, possibilità, anche. Poi, sono dovuto venire qua. Dovuto... Sono venuto qua. Qua ho trovato un po' di radio da fare. Non subito... No, prima ho penato un pochino. Poi un po' di radio: una stazione italiana. taliani ce ne sono tanti... Non uno che abbia un po' di gusto, di cultura. Burini: sono degl'insopportabili burini...
Poliglotta, dice lei! Mi sono dovuto imparare il Napoletano, io, sa. Facevamo le sceneggiate, prima alla radio e poi si è cominciato a farle a teatro. Facevamo le sceneggiate. Io facevo le sceneggiate! Io che... Una compagnia di quattro cani che riempiva i teatri con porcherie ignobili. Altro che Pirandello, Ibsen, Shakespeare! La gente piangeva davvero. La gente urlava per avvertirmi che stava entrando in scena il cattivo a mia insaputa. La gente mi salutava per strada in dialetto. Qualcuno mi baciava la mano... Emilia... Lei vuol sapere di Emilia o...

VISITATORE: Io non... Dica lei.

RICCARDO: Emilia non aveva niente a che vedere con tutto questo.

VISITATORE: Ah, ecco.

RICCARDO: In Italia avevo già fatto delle parti importanti, sa, in piazze di tutto rispetto e con compagnie di prim'ordine. I giornali parlavano di me come di una promessa sicura. Ma non sempre le promesse sono mantenute. Di chi è la responsabilità? Il caso... Qual è il merito nell'impersonare una parte che ci è stata affidata dal caso? Come quelle foglie attaccate al vetro. Le vede? E' il caso ad averle sbattute più su, più giù, dove il vetro è più bagnato, dove c'è più vento. Sì, mi dirà lei, ma noi siamo diversi: L'uomo può agire, può opporsi al fato o assecondarlo, può avere coraggio... Può darselo, il coraggio, se non ce l'ha. E poi c'è l'educazione ricevuta, c'è l'interazione con altre persone, con i fatti, con la storia. Non siamo mica come foglie secche, noi. [Dalla parte di palcoscenico della Scena 1 entra YORICK con una valigia di cartone in mano e si ferma in piedi vicino alla finestra. Riccardo lo fissa ma Yorick non lo vede e guarda altrove. Il Visitatore pare non accorgersi dell'ingresso di Yorick, né Yorick del Visitatore.] Il caso... O forse è un disegno così complesso che noi... O così beffardamente semplice... E allora io attraversai il mare, l'oceano... Ma, insomma, che cosa vuol sapere, lei? Lei sta lì a guardarmi, ad ascoltare senza dire nulla. Che cosa vuole da me? Domandi e io...

VISITATORE: Io non posso fare domande. Mi scusi... E' lei che, se vuole, può dirmi...

RICCARDO: Sì, sì, me l'ha detto... Allora, vediamo... Lei è curioso di sapere perché io mi sia preso la briga di venire fino qui, eh? Perché? Perché da giovani si è irrequieti, impazienti, ecco perché. Perché l'erba del vicino è più verde. Perché si crede che basti attraversare un oceano per poter nascere di nuovo... Io ho cercato di nascere di nuovo tutte le mattine. Io ho cercato di nascere di nuovo ogni volta che mi spalmavo il cerone sulla faccia, ogni volta che indossavo un mantello, una marsina, una gorgiera, una camicia da guappo. Ma no: ci sono segni che restano indelebili. Non importa che cosa faccia lei per cambiare anima, per cambiare memoria, per... Lei si rende conto di che cosa significhi lasciare tutto e sbarcare in un posto dove non conosci nessuno, dove la lingua non significhi nulla, con i soldi per sopravvivere sì e no una
settimana? Io l'ho fatto e sono sopravvissuto. Non potevo che sopravvivere. L'ho dovuto fare... Ho tentato... L'ho fatto. Il risultato?... Giudichi lei, se può... Allora?

VISITATORE [mentre Yorick esce]: Le ho detto: io non posso...

RICCARDO: Che razza di mestiere è il suo... Un po' ci assomigliamo, sa, anche se lei, come attore...Io non potevo sapere che Emilia era la sorella di uno di quelli che... Si deve valutare tutto tenendo bene a mente il contesto storico. Bisogna esserci stati. Io stavo da una parte, quella che poi ha vinto... Quella giusta. In quel momento, però, non creda che sapessimo che avremmo vinto. Oggi sembra facile, ma allora... Era la guerra, e in guerra non dico che la morale sia sospesa; dico che la morale c'è ma è diversa: è una morale speciale, come le leggi in tempore belli. E' una morale d'emergenza.
 
 
 

SCENA 5

[Come la Scena 1. TOM e VASCO in piedi. YORICK entra di corsa.]

TOM e VASCO [insieme, concitatamente]: Allora? [Yorick ansim: è atterrito.]

TOM: Allora?

VASCO: Yorick, allora, com'è andata? [Yorick si accovaccia lentamente per terra.] Sei ferito?

TOM: E' ferito. [Fa per sorreggere Yorick, ma lui respinge la mano di Tom]

VASCO [sottovoce]: Lascialo stare.

[Yorick è ormai accovacciato per terra. Tom e Vasco lo guardano immobili.]

TOM [sottovoce]: Yorick...

VASCO [sottovoce, allungando timidamente una mano sulla schiena di Yorick] : Sei...

TOM [sottovoce, ma un po' più forte]: Sei ferito?

YORICK [con un filo di voce, guardando per terra]: Lo scoppio...

VASCO: Sei ferito?

YORICK: La camionetta... E' saltata la camionetta...

TOM: E...

YORICK: Morti... Sono morti... Credo. Tre...

VASCO: Come si era detto.

TOM: Sì, tre: tre dovevano essere...

YORICK: C'era sangue dappertutto.

TOM: E tu?

VASCO: Sei ferito?

YORICK: No, no. Io ero lontano. La gente scappava. Urlavano tutti...

VASCO: Ci sono degli altri feriti? Dei...

YORICK: No... Non so... Non credo... Non c'era nessuno vicino alla camionetta.

TOM: E loro... I tedeschi?

YORICK: Loro... Morti... Morti, credo.

TOM: E...

VASCO: Basta. Lascialo stare, Tom.
 
 
 

SCENA 6

[Come alla fine della Scena 2]

RICCARDO: Io avevo preso un impegno con il gruppo. Era una cosa da fare e qualcuno ci doveva pur essere. Il caso... Uno o l'altro fa lo stesso, dicevano. Dicevo anch'io, prima che si scegliesse me. Nessuno mi costrinse... Nessuno?
Chissà... Eravamo in tre, Vasco, Tom e io... Io che avevo lasciato il nome teatrale di Riccardo per vestirmi di quello ancor più teatrale, seppure banale, lo ammetto, di Yorick. In guerra, da partigiani, si cambia nome. Si fa come i frati... Perché? Perché, come le dicevo, in guerra la morale è diversa e cambiando nome le nostre colpe... Colpe? Ma no, i nostri atti di guerra vengono alienati al nostro doppio. Finita la guerra, finito tutto: via Yorick, via Tom, via Vasco. Yorick ritorna Riccardo, gli altri... fatti loro, e quel che è fatto è fatto. Non è così? [Il Visitatore allarga un poco le braccia.] Non è così. Lei sa perfettamente come andò. Lo vuole sentire da me?

VISITATORE: Se desidera...

RICCARDO: Che cosa importa se io desidero qualcosa o non la desidero?

VISITATORE: Non...

RICCARDO: Erano tre ufficiali, di quelli che contavano: tedeschi... nemici... importanti. Stavano preparando un rastrellamento in grande stile. In Via della Vite c'erano i documenti... tanti. Noi lo sapevamo: avevamo una talpa. Bisognava fermarli, almeno per ritardare l'operazione, e l'unica maniera era ucciderli, come si fa nella migliore tradizione. Far saltare in aria tutto: lo scoppio, il fumo, il sangue, le grida, la gente che scappa, le sirene, il cuore che sobbalza, la gola soffocata dalla polvere. Altro che teatro!... Mi ero offerto io. Il merito è del braccio; le colpe, se ci sono, vanno spartite fra tutte le cellule del cervello. Una volta si sarebbe fatta un'imboscata con dei combattimenti corpo a corpo: un uomo contro un uomo, dieci uomini contro un uomo. La pelle la si giocava comunque da tutte due le parti. Ma il progresso... si mette l'esplosivo e ci si allontana. Bum! Sul momento non si rischia nulla. E' dopo...
 
 
 

SCENA 7

[Come nella Scena 1. VASCO, TOM e YORICK stanno ascoltando una radio non visibile in scena che dice '...se i responsabili non si presenteranno entro domani a mezzogiorno alla sede del Comando di Via della Vite 17, verranno fucilati dieci italiani per ognuno degli ufficiali tedeschi uccisi.' La radio viene spenta. I tre restano in silenzio senza guardarsi.]

VASCO: Stanno mettendo i manifesti dappertutto

TOM: Era da fare...

VASCO: Sì, era da fare...

[Tom e Vasco guardano Yorick che resta immobile e, dopo diversi secondi, annuisce leggermente.]

TOM: Era troppo rischioso non farlo.

VASCO: Con i documenti che avevano...

TOM: Abbiamo salvato la vita...

VASCO: Yorick, era da fare...
 
 
 

SCENA 8

[Come alla fine della Scena 2]

RICCARDO: 'I responsabili' aveva detto la radio: plurale... Un tedesco, dieci italiani... Era da fare: l'azione era ineccepibile. Alla guerra si deve andare leggeri, senza fardelli morali. Alla guerra l'uomo assume una morale che non è la sua... O che è la sua? Chissà. Chissà com'è fatto l'uomo di dentro. Chi l'ha mai visto? Lei, con tutte le sue carte nella borsa, lei l'ha mai visto un uomo?

VISITATORE: Sa, io...

RICCARDO: Ma sì, mi scusi... Le sto facendo perder tempo, vero?

VISITATORE: No, no, non si preoccupi.

RICCARDO: A quel punto l'eroe, quello con l'iniziale maiuscola, quello che ha diritto ad assurgere all'onore dei sillabari, che cosa avrebbe fatto? Facile: si sarebbe presentato al nemico, avrebbe snudato il petto e sarebbe morto, autosacrificandosi sull'altare del proprio eroismo, salvando capra e cavoli: i compagni, i trenta italiani e, soprattutto, se stesso. Senta, dopo tutto, che cosa avrebbe messo sul piatto il mio doppio, il giovane Yorick: la sua vita, nient'altro che la sua vita. Una vita che sarebbe potuta comunque finire in qualunque istante, gratis. Una fucilata, una bomba... Dal punto di vista storico erano anni bui, di cui era difficile indovinare la fine, però, a ben pensarci, una fine ci sarebbe comunque stata, buona o cattiva, favorevole o sfavorevole, di sconfitti o di vincitori, dalla parte della ragione o da quella del torto, una fine qualunque ci doveva per forza essere. E con la fine sarebbe finito anche Yorick per lasciare posto a Riccardo. Presentandosi, Yorick avrebbe salvato se stesso, si sarebbe risparmiato [solleva il braccio mostrando l'attacco della fleboclisi]... e tutto il resto che, a ben vedere... Come li avrebbero scelti quei trenta? Ma,
in fondo, che importanza poteva avere? Erano trenta. [Il Visitatore estrae per metà un foglio dalla borsa.] Sì, guardi pure, li conti... Trenta, glie lo dico io. Tre per dieci fa irrimediabilmente trenta. [Senza bussare, entra dalla porta l'INFERMIERA che controlla il livello del flacone sull'asta della fleboclisi ed esce.] Vede, io sono un caso disperato, eppure si fa di tutto per salvarmi. [Si spegne la luce sul Visitatore, lasciandolo al buio. Entra un MEDICO in camice bianco.]

MEDICO: Le metastasi sono ormai dappertutto e un intervento sarebbe senza indicazione, del tutto inutile: rischierebbe addirittura di essere fatale. Mi dispiace.
[Il Medico esce e si riaccendono le luci sul Visitatore.]

RICCARDO: 'Sta lottando contro la morte', si dice in questi casi. Vede come cambia la morale? A questi non importa niente di me, della mia vita. Eppure sono qui apposta - 'si prodigano', dice l'opuscolo della clinica - per tenermi vivo una settimana di più, un giorno, un'ora appena, magari. Deontologia. Denaro e coscienza a posto. Vede questo flacone tenuto nella stagnola? E' così perché il farmaco perde attività con la luce. Costa un occhio della testa e non serve a niente.
La morfina è l'unico sollievo. Le stavo dicendo... In un altro contesto, in un momento storico che non è questo, un tedesco vale dieci italiani e, nell'identico contesto ma dalla prospettiva opposta, ci vogliono dieci italiani per fare la vita di un tedesco. E io? Per me? In quel contesto, dico. Per me ci volevano trenta italiani per fare la mia vita.
Io, sul piatto della mia bilancia personale, pesavo come trenta italiani, anzi, quel tanto di più per far pendere
l'equilibrio dalla mia parte. Tom e Vasco non mi dissero nulla. Evidentemente si aspettavano che non sarei andato, che non mi sarei presentato al Comando. Evidentemente non lo avrebbero fatto nemmeno loro. Era scontato... Glie l'ho detto: la morale di guerra è diversa: non sei una assassino se uccidi i nemici. Altrimenti è finito il gioco... La mia vita da una parte, trenta vite dall'altra... Sulla bilancia, il mio piatto pesava di più, molto di più. Se muori tu è finito il mondo. E allora, mi dirà lei, per quale libertà si combatte? Per la libertà di chi? Per la nostra e basta? Sì, se con noi finisce tutto. Ero confuso. Avevo bisogno di tempo per riflettere, di calma. Com'è possibile ragionare in quelle circostanze? Forse, se avessi avuto tempo per riflettere, per pesare meglio... Ma il mondo non sta fermo: è come essere su una giostra impazzita: la scelta di schierarsi da una parte, il dovere, i compagni che ti dicono che va bene così... Però loro non l'avevano fatto... I manifesti erano per me... La radio... In trenta... In cento... Uno solo... Che differenza fa? Prima o poi arriva per tutti il momento, ma potevo essere io a scegliere quando? I tre erano nemici... Io potevo scegliere il loro momento: è la guerra. Forse il come e il quando stanno scritti nel destino, nel caso, o come le piace chiamarlo. Per gli altri, per i trenta, avevo bisogno di calmarmi, di pensare freddamente. Avevo bisogno di tempo... Capisce? No, lei non... Li vidi quando li caricarono sui due camion: mi passarono davanti a uno a uno per un attimo, e per un attimo li vidi dentro, anche se ero dall'altra parte della piazza. La distanza non toglie nulla. C'erano degli uomini anziani, dei vecchi, mi pareva. Di sicuro erano meno vecchi di quanto non sia io adesso. Uno aveva i capelli bianchi lunghi e la faccia grossa e rossa. Aveva un occhio pesto. Mio nonno era così. Uno poteva avere una quarantina d'anni, forse meno, e aveva la giacca strappata su una spalla. C'erano delle donne. Erano tanti. Lei non ha idea quante siano trenta universi... Nessuno diceva niente, nemmeno i soldati che li spingevano. Poi c'era lui: lui era un ragazzo con gli occhi sbarrati, rossi. Io avevo fatto saltare la camionetta. Trenta vite contro una.
 
 
 

SCENA 9

[Come nella Scena 1. VASCO, TOM e YORICK in piedi.]

VASCO:  Non si può cedere al ricatto del nemico.
[Vasco e Tom mettono ognuno una mano sulla spalla di Yorick.]
 
 
 

SCENA 10

[Come alla fine della Scena 2.]

RICCARDO: Avevo bisogno di calma, di tempo. Tempo... Avrei fatto ancora in tempo? [Con aria appena ironica] 'Fermatevi! Sono stato io!' avrei potuto gridare. E loro, i trenta scelti a caso... Ma loro, i nemici, mi avrebbero torturato? Mi avrebbero ucciso certamente. Ma prima mi avrebbero torturato. Avrebbero voluto sapere degli altri e io avrei ceduto, avrei raccontato tutto, avrei fatto finire non trenta: trecento vite! Che diritto avevo di fare questo? Io ero debole, come sono tutti gli uomini, come sono io adesso. Solo sul palcoscenico ci si può illudere di essere forti. Ognuno di noi è un universo effimero, un universo che non vale nulla. Vede che cosa ci vuole ad annullare un universo? Però è l'universo. Non potevo presentarmi... Avevo bisogno di tempo e il tempo passava e ci furono trenta fucilate. D'improvviso ero diventato un assassino. Quando avevo scelto di schierarmi, forse avevo messo in conto anche quello. Ma quando ci sei dentro... E' come morire: non puoi credere che capiti a te finché non ci sei dentro. La nostra coscienza è pronta ad assolverci, sempre. Anzi, è lei che c'implora di concederle di assolverci. Ma evidentemente di coscienze ce n'è di vari
gradi: proprio come in tribunale: fino alla Corte Suprema. E la mia Corte Suprema... [Dalla porta entra YORICK e si siede sul letto, tenendosi la faccia tra le mani. Si accendono le luci sulla parte del palcoscenico della Scena 1. Qui TOM e VASCO sono in piedi, in silenzio e non si guardano.] Si passa la giornata pensando a quello: il cervello non ha posto per nient'altro. A volte ci si sorprende a pensare 'sarà vero che io?...' A volte, per un attimo ti stacchi, poi arriva come una fucilata. Si va a letto, ci si addormenta, ma è solo un dormiveglia, con quel cancro in testa. Ci si sveglia. 'Che sogno orribile ho fatto! Meno male che...' E invece è successo davvero. E' come un salto: non puoi tornare indietro.
La tua anima, se esiste una mostruosità del genere, è segnata per sempre. La tua anima è come un vaso cinese andato in mille pezzi che nessuno potrà più riparare. E anche se t'illudi di ripararlo, e lo fai così bene che nessuno si accorge del fallo, nella sua struttura ci sono le fratture: è rotto per sempre, non è più il vaso cinese che ti avevano dato. Non c'è ritorno. E' per sempre. Mi capisce? [guarda il Visitatore che apre leggermente le braccia] Non potevo più camminare in città. I manifesti erano ancora appiccicati ai muri, a brandelli, nascosti sotto altri: se ricomparivano da sotto una coltre di altri manifesti strappati erano illeggibili... Illeggibili non per me... Arrivarono le colonne di Americani, d'Inglesi, di Australiani... Impiegarono ore a passare tutti: erano una forza tremenda. Era la liberazione.Eppure tutti quegli uomini, tutte quelle armi capaci di conquistare i continenti non smuovevano di un millimetro il macigno che avevo dentro. Non c'è forza umana che lo possa fare. E' strano che per un delitto compiuto sull'uomo, la colpa sfugga così completamente alla giurisdizione dell'uomo stesso. Ma forse non è vero: ognuno è giudice di se stesso, incorruttibilmente giusto perché è un giudice al quale non sfugge nessun particolare e ad ogni particolare sa attribuire il peso corretto con precisione assoluta. Io non so che cosa ci sia negli altri uomini, ma è giusto che ogni universo abbia le proprie leggi. Non mi sono mai pentito, badi bene. Non delle mie scelte politiche, almeno. La coscienza di
allora, la storia di dopo mi hanno dato ragione. Pensi che mondo sarebbe stato, che mondo avremmo passato ai nostri figli... I nostri figli... [Yorick si alza e va ad abbracciare, senza sorridere, Tom e Vasco. I tre si stringono la mano ed escono da tre parti diverse. Si spengono le luci su quella parte del palcoscenico.] Sa, a volte pensavo che se avessimo perso sarebbe stato meglio. Io, il partigiano cattivo, sarei stato impegnato a scappare, a salvarmi la vita. Così, invece, da vincitore, avevo tutto l'agio di contemplare la mia coscienza... Nel 'quarantacinque la vita normale riprese tra le macerie. Tornai a recitare nei teatri rimessi su alla meglio. Forse mi dava sollievo, non saprei... Giravamo per l'Italia chiedendo passaggi ai camion. Dormivamo dove si poteva: nelle canoniche, nei camerini, quando c'erano, persino nei fienili, più di una volta... Oggi potrebbero essere dei bei ricordi... Si ricorda il primo libro dell'Eneide? I rari nantes a rischiare di morire annegati nel mare, di notte, al largo di Cartagine; eppure un giorno, rivedendola con la memoria degli scampati, quell'ora di angoscia si sarebbe trasformata in... Io non ho bei ricordi, sa. Io non sono scampato a niente. Tutto quello che è inciso nella mia testa è filtrato, deformato da quello scoppio, da quei trenta disgraziati così ignobilmente, detestabilmente leggeri sul piatto della bilancia. E' come se lei, cucinando, gettasse all'impazzata manciate di sale sulle pietanze: per me ha tutto lo stesso sapore... Non ce la facevo più: pensai di uccidermi. Si renderà conto anche lei di quanto sia ridicola la cosa: scambio trenta vite per la mia, poi decido che non mi va più e mi ammazzo. A quel punto, se non altro per coerenza, non avevo alternativa: dovevo vivere; ero condannato
a vivere. Per che, non saprei dire, ma non potevo far altro che stare al mondo. Arrivai ad invidiare quei trenta: erano diventati eroi, anche se qui ci sarebbe da discutere... Si erano tolti da questo inferno gratuitamente, senza che loro lo avessero chiesto, senza che avessero assaggiato sul serio che cosa voglia dire vivere a dispetto di noi stessi, senza nemmeno pensare che si possa desiderare la morte. Io neanche questo potevo permettermi. Non si scandalizzerà se le dico che quei trenta li odiavo... E li odio ancora... Gli hanno dedicato una strada, la vecchia Via della Vite, sa. In fondo, io che cosa ho fatto? Ho causato la loro morte. E con questo? Lei ha motivo di pensare che la morte sia un fatto evitabile? Ritardabile, forse, se abbiamo voglia di credere che non sia vero che tutto è stato già scritto. Ma evitabile?
No davvero...Ciò che possiamo cercare di evitare sono  gli avvenimenti contingenti, i mali, le sofferenze. E loro, i trenta eroi, a me di sofferenze ne hanno inflitte... E non capisco se ho espiato abbastanza o se si pretende ancora pena da me. Che qualcuno si decida una buona volta a presentarmi il conto!
 
 
 

SCENA 11

[Come nella Scena 1. YORICK e VASCO, quest'ultimo vestito in tuta da meccanico, sono in piedi. Vasco tiene una mano sulla spalla di Yorick.]

VASCO [con entusiasmo]: Si vince. Si vince, ti dico...

YORICK [distrattamente]: Sì, sì...

VASCO: Hai sentito Togliatti? Si vince: stavolta la ruota gira dalla nostra parte!... Vieni, vieni stasera! Ci si vede tutti, come ai vecchi tempi. Viene anche Tom, sai. Ha detto che viene anche lui.

YORICK: Sì, Vasco, mi piacerebbe, ma... Le prove... Ho le prove stasera...
 
 
 

SCENA 12

[Come alla fine della Scena 2.]

RICCARDO: Non volevo più essere Yorick. Che ragione c'era? Yorick era, per così dire, infettivo. Non volevo che... Un po' di sollievo me lo diede far finta di riprendere l'università. Di più me lo diede tornare a viaggiare con la compagnia. Sì, so che all'inizio mi diede sollievo. Non vedere più quei muri, quelle facce... Non vedere più Vasco che mi veniva a trovare e cercava di parlare d'altro. Fuggire dal suo abbraccio soffocante. Lui lo sapeva che cosa avevo dentro: avevo dentro anche il fardello suo. E di Tom. E di quelli che erano sfuggiti al rastrellamento e che erano sempre stati nascosti, nascosti dietro il mio coraggio e nascosti dietro la mia viltà... Faceva il meccanico, Vasco, arrivava sporco di morchia, mi parlava di politica, del Partito. Continuava a chiamarmi Yorick e lui voleva ancora essere chiamato Vasco. Una specie di titolo nobiliare. Lo odiavo. Odiavo anche lui. Odiavo tutti. Nessuno, al di fuori di chi era stato coinvolto, sapeva... Certo non i miei compagni di teatro, non i miei genitori, mia sorella: nessuno. Quella bomba si era generata da sola. Non c'era pericolo che Vasco parlasse, questo era sicuro, e gli altri, anche loro... Ma che cosa
m'importava?... Fu una decisione che forse mi lavorava dentro da chissà quanto, ma che fu presa consciamente in una notte: chiesi il passaporto e il visto. Dopo un mese partivo da Genova su una nave, in terza classe... Mi pare che qualcuno, una volta, mi abbia detto che ci sono malattie che spariscono se attraversi il mare... [Senza bussare entra l'INFERMIERA con un flaconcino in una mano e un bicchiere d'acqua nell'altro. Dal flaconcino toglie una pillola che porge a Riccardo insieme con il bicchiere. Riccardo inghiotte la pillola e beve. L'Infermiera riprende il bicchiere ed esce.] Adesso mi sento meglio! [Sorride. Sorride anche il Visitatore.] Vede, qui nessuno mi parla: non è compreso nel prezzo. Anche lei non è che...

VISITATORE: Io... Scusi, ma io..

RICCARDO: Sì, sì... E poi, a che varrebbe parlare con me, quando io sto per uscire per sempre di scena? Quello che mi dovevano dire me l'ha già detto il medico in venti secondi. Bene, il mare l'ho attraversato, l'oceano, anzi, ma il male, il cancro nella testa è rimasto tale e quale. Aggravato? Forse anche. Mi pare che ogni giorno aggiunga qualcosa alla mia pena. 'Non è possibile - penso - che ieri abbia sofferto così.' Lei che cosa dice?... Lei non dice niente... Sa, a volte, da disperato, spero che non esista il libero arbitrio, che sia tutto predeterminato. In quel caso, senza libertà, non esisterebbero atti morali, non ci sarebbe colpa. Allora io sarei solo strumento, sarei solo vittima di un piano che mi sfugge, che è al di là della comprensione degli uomini e che, dunque, gli uomini non sono chiamati a tenere in considerazione. Perché proprio io, mi potrei chiedere. Ma che m'importerebbe? Il sollievo sarebbe così grande che non m'importerebbe nulla... [Dalla parte di palcoscenico della Scena 1 entra YORICK, si dirige verso il letto e si ferma davanti ad esso sul proscenio.] Stavamo dicendo... Sì: arrivai qua, feci un po' di mestieri, i soliti degli emigranti, e dopo non molto mi rimisi a fare l'attore, come le dicevo. In Italia sembrava non volessero dimenticarsi di me. Vasco
continuava a scrivermi... [Yorick estrae una busta dalla tasca e da questa toglie una lettera che guarda appena, poi l' appallottola e la getta tra le quinte.] Io avevo attraversato l'oceano e quello continuava a scrivermi... [Dalla parte di palcoscenico della Scena 1 entra EMILIA, circa vent'anni. Avanza sino ad affiancare Yorick.] Ero già un attore di successo - spero colga l'ironia in questa mia affermazione - quando incontrai Emilia. Niente a che vedere con il teatro, glie l'ho già detto. Cominciammo a frequentarci; anzi, mi pare di ricordare che fosse lei a cercarmi [Emilia cerca la mano di Yorick, la prende e i due si tengono per mano]... Io... io lasciavo fare. Che differenza poteva esserci per me? Io ero al di sopra... o al di là, se preferisce, di queste cose tanto banali, tanto terrene come l'amore... l'amore... Come potevo, io, vivere l'amore? Io che avevo dato la morte, non una: trentatre volte. Una morte, più una morte, più una morte, più una, più una, più una... trentatre volte. Capisce che cosa mi avevano già tolto quelli? La loro vita in cambio del mio cervello, della mia anima, del mio destino. Che oggetti mal assortiti sui piatti contrapposti
della bilancia! Sì, io non potevo dare amore né potevo capirlo né potevo capire come qualcuno potesse darmelo o potesse illudersi di riceverlo [Emilia abbraccia delicatamente Yorick e fa per baciarlo, ma Yorick gira la faccia]... Come potevano non vedere che cosa ci fosse dentro? Ancora, sa. Ancora, alla mia età, io non riesco a credere che l'amore esista al di là delle sciocchezze del teatro. Come possiamo avere spazio da dedicare all'amore? L'egoismo, la paura, la viltà, l'odio... quelli sono sentimenti che esistono, che si toccano, che ti assediano il cervello, te lo conquistano, te lo abitano e te lo mangiano come i più spietati e i più stupidi dei parassiti. Quelli! Gli usurpatori! I padroni!
Che razza di vita, vero? Io della vita ho conosciuto solo la morte con tutto l'interminabile tormento di ciò che alla morte fa da preludio. Eppure... Ma io la sto tediando...

VISITATORE: No...

RICCARDO: Lei voleva sapere di Emilia, vero?

VISITATORE: Ma...

RICCARDO [sorridendo]: Emilia... [Riprendendo l'espressione di prima.] Veniva a prendermi alle prove, mi accompagnava a casa, mi scriveva quando ero in giro con la compagnia. Difficile togliermela di torno... Mi ci ero... abituato, sa Affezionato, si aspettava che dicessi, vero? Abituato, si accontenti. [Emilia e Yorick si siedono sul letto, uno di fianco all'altra.] Io non le avevo detto nulla di... di prima. A nessuno avevo detto della storia in Italia. Un pomeriggio, dopo una prova, Emilia, comincia a raccontarmi di lei, di quando... di prima di venire qua. La sua famiglia, suo padre, sua madre, i fratelli: una miriade di fratelli. Poi tira fuori le fotografie: questo è mio padre, questa è mia madre, mia sorella più grande, mio fratello più piccolo, l'altra sorella, l'altro fratello: un interminabile serraglio che avevo sempre fatto in modo di non incrociare. Finché, ultima, salta fuori una fotografia su cui lei si ferma e, senza alcuna avvisaglia, si mette a piangere in silenzio. Era lui, il ragazzo dagli occhi rossi che avevo barattato per un trentesimo scarso della mia sopravvivenza. Naturalmente lei si rende conto dell'ignobile stupidità del destino, della sua censurabile bassezza. Forse in un romanzo d'appendice, certo dei più triti, sarebbe stata accettabile una svolta del genere nella trama. Nei drammi che io recitavo. Troppe volte era stato usato un luogo simile per avere ancora una qualsiasi accettabilità. Eppure proprio a me...

YORICK [volgendo lo sguardo dalla parte opposta rispetto ad Emilia]: E' finita. [Emilia è impietrita.]

RICCARDO: Lei non capiva perché. Lei che mi aveva davanti, lei che senza sforzo avrebbe potuto leggermi dentro non capiva.
Possibile che non sia mai inciampata nei miei pensieri più segreti? [Emilia si alza, scuote leggermente la testa, spaventata di non capire a che cosa stia alludendo Riccardo, ed esce attraverso la zona della Scena 1.] Come allora... io condannavo senza motivare la sentenza e il condannato non mi chiedeva spiegazioni. Questo era una specie di corollario alla morte di Yorick... Sparì [Yorick si alza e va vicino alla finestra]. Per tre anni Emilia non fece più parte della mia vita. Svanita. Le dedicai i miei pensieri? Qualche pensiero? Forse... Non ricordo... Il non ricordare è quasi un'assoluzione. [Il Visitatore sorride.] Lei sorride. Già, chi meglio di lei... Lei crederà che, persa Emilia, io mi sia accorto di quanto importante fosse lei per me, di come fossi solo, eccetera, eccetera... No, niente di tutto questo. Mi sentii sollevato, invece: in un certo senso l'avevo scampata bella. Pensi, al mio fianco qualcuno, ne fosse cosciente o no, così profondamente coinvolto nel mio passato. Qualcuno che prima o poi non avrebbe potuto evitare di accorgersi... E poi, io, che razza di vita potevo sperare? Che razza di vita potevo offrire? E anche se avessi potuto, avrei voluto? Io sono vuoto... O, almeno, quello che ho dentro è... Io riuscivo a riempirmi per un po' solo sul palcoscenico. Lei non mi ha mai visto recitare... Un virtuoso di violino nella banda del paese. [Il Visitatore ha un piccolo moto che esprime dubbio e sorpresa.] No, non sto recitando, ora... Quando Emilia uscì era una statua scolpita nel dolore, nella disperazione, anzi. Non capii perché. Dopotutto avevamo troncato una relazione che non aveva mai avuto sorrisi, intimità vera, un domani qualunque... Non disse una sola parola: era così dignitosa da irritare.
Quando ebbe scese le scale io sbattei la porta... Passarono tre anni, tre anni nei quali io continuai la vita di sempre: teatri di provincia o teatri di second'ordine nelle grandi città. La solita roba napoletana o, comunque, porcherie italiane con gli stessi quattro luoghi comuni rifritti in mille maniere. Avevo il mio pubblico, il mio odiosissimo pubblico. Una domenica pomeriggio in provincia, finita la rappresentazione, all'uscita ti trovo lei. [Entra Emilia con un BAMBINO di circa due anni e mezzo per mano.]

YORIK [movendosi dalla sua posizione vicino alla finestra, verso Emilia. Esitando un po']: Emilia!

EMILIA: Ciao, Riccardo.

YORICK: Come...

EMILIA: Bene... e...

YORICK: Bene anch'io...

EMILIA: Abito qui, adesso.

YORICK: Ah... e [accennando con la testa al bambino]... vedo che ti sei... [Emilia non ha alcuna reazione]... ti sei sposata...

EMILIA: E' tuo.

RICCARDO: Naturalmente: in quella sceneggiata con cui il destino si prendeva gioco di me, non poteva mancare questa idiozia. Che autore scadente è il fato!... [Il Visitatore aggrotta le ciglia.] Ma sì, scusi, mi scusi, non volevo...
E' una questione di probabilità. E' vieto e trito tutto ciò che è solito, tutto ciò che avviene così spesso da suonarci di poco prezzo. Siamo noi, siamo noi, invece, a voler pensare che noi siamo qualcosa di speciale, un'eccezione, che noi con quelle banalità non abbiamo commercio, che a noi non accadranno.

YORICK: Perché [Emilia sorride con amarezza e quasi con affetto]... Perché non... Non so... Perché non mi hai detto...

EMILIA: Che cosa c'era da dire?

YORICK: Io, io... Non so... Io avrei potuto anche...

EMILIA [sorridendo ancora]: La scelta l'avevi già fatta.

YORICK: Senti... Senti, Emilia, noi... Noi ci sposiamo.

RICCARDO: Chissà che cosa sarebbe successo se...

EMILIA: Siamo troppo piccoli per te. [Yorick ed Emilia con il bambino per mano si allontanano separatamente e vanno verso la finestra, fermandosi uno da un lato e una dall'altro. Yorick guarda fuori ed Emilia guarda verso il pubblico.]

RICCARDO: Aveva fatto due più due? Aveva visto quello che per me... e per lei, è così evidente? Non ci siamo più parlati, da allora... Mai più visti [Emilia dà una busta a Yorick che la apre e ne estrae una fotografia.] Ogni tanto, ogni sei mesi, otto, un anno, mi arrivava la foto del bambino. Non mi scriveva: solo la fotografia. Ogni anno fino a che il ragazzo... finché non è arrivato più niente. [Emilia e il bambino escono.] E allora, facciamo il bilancio: tre li ho ammazzati per la libertà, trenta perché erano troppo leggeri sul piatto della bilancia, e uno l'ho messo al mondo. Mi giudichi...

VISITATORE: Lei lo sa che non sono io che...

RICCARDO: Sì, sì, lo so: me lo ha detto. Lei sembra un prete; è, senza offesa, per carità, irritante come un prete [il Visitatore abbassa lo sguardo], ma non può darmi l'assoluzione e nemmeno giudicarmi. Io mi giudicherò... Io mi sono giudicato dieci, cento, mille e una volta. E... la sentenza?... Ho pagato, ma... Si potrà mai pagare per una colpa? Si potrà mai pagare con qualcosa che, comunque, non cancella gli effetti della colpa, nessuno degli effetti? Ho mai chiesto perdono, io? Io mi sono pentito per il male che facevo a me stesso. Io ho pagato, ma a quelli... Che cosa ne posso sapere, io, del male che ho fatto? Quanto? A chi, al di là di quelli che ho guardato in faccia, se poi ho davvero guardato nelle loro facce? [Il Visitatore guarda quasi di nascosto all'orologio da polso. Riccardo se ne accorge ma fa finta di niente e cerca di prendere tempo.] Io... forse, rivivendo ancora la storia [il Visitatore guarda un po' più palesemente l'orologio. Riccardo sorride.]...

RICCARDO: Se vuole, potremmo... [Il Visitatore si schiarisce appena la voce.] E' ora?... E' ora, vero?

VISITATORE: Se crede... Senza fretta...[chiude la borsa.]

RICCARDO: Quando il medico... Quando il medico mi ha detto senza tanti complimenti che la sentenza era quella, inappellabile... Quando capii, e lo capii subito, che non c'era contrappeso per bilanciare quelle parole, il mio cuore, per un attimo... Ho avuto paura, sa. E ho paura anche adesso...

[Si spengono le luci. Dopo qualche secondo si chiude il sipario.]
 

FINE


Home
E-mail
Indice