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Giovanni Paisiello...

di Elsa Dal Monego

 verena5@alice.it


Musicista, compositore teatrale, vocale-strumentale e strumentale. E' stato maestro di cappella e insegnante a Napoli.
Giovanni Paisiello è una delle figure più importanti del teatro italiano settecentesco e rappresenta con Domenico Cimarosa l'ultima fioritura dell'opera comica napoletana. Giovanni Paisiello oppure Paesieixo era nato il 9 maggio 1740 a Taranto.
E a Taranto ha frequentato il liceo dei Gesuiti, ma fu totalmente attirato dalla bellezza della sua voce per il quale motivo nel 1754 all'età di quindici anni è stato mandato a studiare al conservatorio di Sant'Onofrio a Capuana , che a quell'epoca era l'unico importante centro di educazione musicale del sud Italia, dove ha studiato sotto la supervisione di Francesco Durante e poi con Carlo Catumacci e Gerolamo Abos, diventando a sua volta assistente maestro e dove ben presto rivelò non comuni doti musicali facendosi conoscere al pubblico.
Ma non sapendo tollerare la severa disciplina nel 1763 prima dello scadere del suo contratto di allievo-insegnante con Francesco Durante ha abbandonato il conservatorio, per recarsi a Bologna al seguito dell'impresario Carafa. Ed è qui che riceve i primi successi da compositore anzi più precisamente da operista, qui nel 1764 debutta con "Il ciarlone" poi a Verona, Venezia e Modena. Però prima di abbandonare il teatro del conservatorio, scrisse alcuni intermezzi, uno dei quali aveva attratto l'interesse del pubblico così tanto che è stato invitato a scrivere due opere "Il mondo a rovescio" e "La pupilla" per la città di Bologna e un'altra per Roma "Il marchese di Tidipano". Questi suoi primi lavori teatrali che sono stati rappresentati a Bologna e Modena hanno ottenuto un grandissimo successo che lo fecero rientrare a Napoli dove poi ha composto opere per il teatro "San Carlo" e il "Teatro Nuovo". A Napoli malgrado l'ammirazione e la popolarità di Pietro Guglielmi, Nicola Piccinni e Domenico Cimarosa, dei cui grandi successi si dice anche che sia stato abbastanza geloso. E' stato questo forse il principale motivo che lo ha spinto a produrre una serie di opere di grande successo e fra queste nel 1767 l'opera buffa "L'idolo Cinese" che ha provocato un grande trionfo nel pubblico napoletano e che si dice sia stato il suo primo grande successo.
A quest'opera fanno seguito tutta una serie di titoli che consolidano la sua fama fino al 1775 con il "Socrate immaginario" che chiude il suo primo periodo compositivo. In quest'opera in modo particolare la personalità del compositore è ben delineata sia con le sue capacità di operista buffo, e anche come simpatia per il genere serio. In quest'opera Paisiello in modo particolare porta la satira al massimo livello senza limitarsi a generalizzare, ma puntando sull'individuo. Non è un caso che il Ministro degli Interni Bernardo Tanucci le abbia ritenute "indiscrete" e ne abbia vietato le repliche.
Re Ferdinando su insistenza di quest'ultimo emanò un decreto dichiarando l'opera "indiscreta" e ha proibito per sempre la rappresentazione. I funzionari della censura reale, colpevoli di aver dato un giudizio senza riflettere al libretto di Giovanni Battista Lorenzi, sono stati dichiarati colpevoli e a pagare i danni all'impresario.
Nel 1772 Paisiello ha iniziato a dedicarsi alla musica sacra e ha composto un requiem per Gennara Borbone. Sempre nel 1772 si è sposato con Cecilia Paolini e il loro è stato un matrimonio felice.

Nel 1776 viene invitato dalla zarina Caterina II di Russia grande protettrice delle arti e amante dell'opera italiana, nella nuova San Pietroburgo per occupare il posto di maestro di cappella lasciato vacante da Traetta, dove poi ha trascorso ben otto anni della sua vita, e ha composto diverse opere tra le quali nel 1782 "Il barbiere di Siviglia" il suo capolavoro col quale ha raggiunto subito una notorietà di livello europeo. Ma nell'arte italiana il destino di quest'opera segna un'epoca nella storia della musica, perchè con essa la gentile giocondità che era stata coltivata dai maestri del XVIII secolo sparisce per dare spazio ad uno splendore abbagliante del successivo periodo. Nel 1778 Caterina II di Russia diede ordine a Giovanni Paisiello che era il suo maestro di cappella di scrivere una nuova opera buffa, da rappresentare in estate nel teatro all'aperto del suo palazzo di Pietroburgo. Ma il compositore si oppose perchè non aveva un librettista a disposizione, perchè il librettista di corte ormai da diversi mesi era defunto e ancora non era stato sostituito. In quel periodo a Pietroburgo si trovava Giovanni Battista Casti "membrino del corpo diplomatico" austriaco, in realtà Castri era un informatore incaricato di stendere una particolareggiata scrittura sulle relazioni politico-militari ad uso degli asburgo.
Il poeta spia metteva in guardia l'imperatore definendo Caterina II "cogliona in nessuna maniera" e "scaltra e ambiziosa" e dichiarandone la incerta onestà.
Dunque a Casti una delle penne più taglienti dell'illuminismo internazionale, è stato affidato il compito di fornire il libretto a Paisiello, era la prima esperienza di librettista e accettò al desiderio di Paisiello. Aveva scelto un paesaggio realmente vissuto da portare sul palcoscenico, "Teodoro di Neuhoff" avventuriero tedesco. Non fu certo l'attività spionistica a impedire di accettare l'incarico anche perchè i seimila rubli pattuiti erano una molto generosa ricompensa. Il compositore tarantino e il poeta viterbese dunque si misero al lavoro. Le istruzioni di Caterina II sulla nuova opera erano decisive e precise, al massimo in un'ora e mezzo recitativi ridotti allo stretto necessario e inoltre balletti e scene corali non dovevano mancare. Paisiello pensava di riutilizzare alcune scene del "Socrate immaginario" per due precisi motivi, una perchè ancora non gli andava giù che quell'opera andata in scena a Napoli poco prima del suo viaggio in Russia, era stata ritirata alla sesta recita e proibita, e sia per risparmiare fatica. Questo era successo dopo che il personaggio Di Don Tammaro che era esaltato dell'antica Grecia al punto che si credeva Socrate redivivo, una chiara espressione di caricatura del Saverio Mattei, ma personaggio molto prestigioso nella corte partenopea.
Oltre a questo Paisiello alla corte russa scrisse anche lavori seri come: "Nitteti" "Demetrio" e "Achille in Sciro", però a renderlo famoso è stato musicando libretti allegri e di grande effetto comico come: "Il mondo della luna" "Il barbiere di Siviglia" su libretto di Giuseppe Petrosellini tratto da Beaumachais, e gli "Astrologhi Immaginari" su libretto del Bertati, e nel 1781 "La serva padrona" su libretto di G.A. Federico già nel 1733 musicato da Pergolesi, ma anche sonate, concerti per cembalo, e orchestra d'archi, sinfonie concertantidi una cantata etc.
Il 13 luglio 1778 l'opera andò in scena, e il complesso era formato da elementi di primo piano che erano al servizio della corte. Lo spettacolo ha avuto grande successo e la zarina ha voluto regalare a Casti in segno di riconoscenza una preziosa pelliccia, questo viene raccontato dallo stesso poeta nella prefazione del suo Poema tartaro, una parodia del poema eroico dove con crudele satira racconta le vicende dell'avvento al trono imperiale di Caterina II con una data anteriore a quella vera fino al duecentesco impero mongolico del Gran Kan... e della Gran Kagna. Questa insolenza poi gli costerà il posto alla corte perchè a Vienna il poema circolò parecchio creando degli inopportuni disagi diplomatici fra l'Austria e la Russia.

In seguito ai disordini politici è stato arrestato, e anche causa la cagionevole salute della moglie nel 1784 è rientrato in Patria.Durante il suo viaggio di ritorno passò per Vienna, transitando come riverito ospite per Varsavia.
Arrivato a Vienna su richiesta di Giuseppe II che non si lasciò sfuggire l'occasione di ottenere da lui una nuova opera per la compagnia italiana ricostruita recentemente. Scrisse: "Il re Teodoro in Venezia" sul testo di Casti e ottenne un trionfo memorabile. Giuseppe II grande appassionato di musica fin da quando nel 1769 aveva assistito a Napoli all'opera "l'Idolo cinese" rappresentato in suo onore al teatrino di corte di Palazzo reale, da allora grande ammiratore e conoscitore delle opere di Paisiello.
A Napoli continuò a comporre opere senza tralasciare la musica sacra e da camera. Si mise al servizio di Re Ferdinando IV dove ha messo insieme numerose tra le sue opere migliori e fra queste anche "La molinara" e "Nina" ossia "La pazza per amore". Dopo che Re Ferdinando lo aveva messo alle sue dipendenze gli disse di realizzare un'altra opera, ma il tempo che Caterina II aveva concesso non bastava, per questo l'opera era stata scritta con molta fretta come si poteva dedurre dalla calligrafia. Alla fine della dodicesima scena si leggeva "Fine dei recitativi, ma mi dispiace per il povero Cristo che dovrà copiarlo, perchè non potrà capire una parola che ho scritto, perchè nemmeno io le capisco!". E sempre per la fretta aveva pensato come si usava allora di riutilizzare diverse arie tolte da opere precedenti, come "Il barbiere di Siviglia" e "Re Teodorico", ma l'autore del libretto non si è fatto conoscere, potrebbe anche essere scritto dallo stesso compositore. L'interpretazione femminile era stata affidata a due castrati in reverenza alla proibizione del Papa per le donne di esibirsi in palcoscenico.
E' sempre stata molto difficile la piazza romana per i compositori così detti "stranieri" soprattutto perchè i compositori locali creavano loro difficoltà, perchè temevano la concorrenza. Da testimonianze dei biografi contemporanei si era sparsa la voce dei riciclaggi, il pubblico reagì vivacemente protestando tutto il primo atto, calmandosi poi nel secondo. Paisiello che se ne risentì talmente, e giurò di non scrivere per il pubblico romano nemmeno una nota e mantenne la promessa.
L'opera continuò a girare in diversi teatri, sempre interpretata da castrati, tanto che l'odierna rappresentazione non è solo una prima ripresa in questi tempi moderni, ma anche la prima messa in opera con interpreti femminili.
I molti avvenimenti derivati da cambiamenti di dinastie e politiche che coinvolsero il regno di Napoli hanno avuto notevoli ripercussioni sulla carriera e la fortuna del compositore. Quando nel 1799 si instaurò la Repubblica partenopea Paisiello non aveva seguito il re Ferdinando che fuggiva per Palermo ma in seguito ha accettato la nomina di maestro di cappella della Repubblica. Ritornato Ferdinando II e restaurata la monarchia per il compositore è iniziato un periodo molto difficile.
Nel 1802 è stato invitato a Parigi da Napoleone. Questo invito Paisiello si era già conquistato con una marcia composta per il funerale del generale Hoche.
Paisiello è stato trattato da Napoleone molto generosamente sia nello spendere che nel donare, mentre trattava con durezza e ristrettezze economiche trascurando due compositori "Etienne Mehul" e "Luigi Cherubini" largamente più meritevoli, verso i quali il nuovo favorito ha trasferito l'odio che in passato aveva riservato a Nicolò Piccinni, Domenico Cimarosa e a Pietro Guglielmi. Dal 1802 al 1804 sempre alla Corte di Napoleone compose il "Te Deum" e la "Messa solenne" per la sua incoronazione a imperatore dei francesi. Paisiello che da Napoleone era tenuto in massima considerazione e lo stimava moltissimo e amava la sua musica più di quella di ogni altro compositore. Dirigeva la musica di corte alle "Tuileries" (vedi fondo pagina) ricevendo uno stipendio di diecimila franchi oltre a 4.800 per il vitto e l'alloggio. Però era malvisto dal pubblico parigino che aveva accettato molto freddamente la sua opera "Proserpina" che lo indusse a chiedere il permesso di rientrare in Patria con la scusa della cagionevole salute della moglie permesso che ottenne con grande difficoltà. Ma precarie erano anche le sue aspettative. Il potere della famiglia Bonaparte mancava sempre più di stabilità e con essa anche la fortuna del compositore.Tramontata l'era Napoleonica Paisiello perse tutti i suoi privilegi e il dominio borbonico lo ha privato di ogni carica musicale.
Rientrato a Napoli e reinserito nei suoi precedenti compiti da Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, vide la sua fama non apprezzata nel modo giusto dai borboni, che tornati a regnare su Napoli dopo il regno Napoleonico che lo avevano visto alla corte di Parigi. Ma ormai aveva sfruttato il suo genio oltre le proprie capacità e la sua vivacità creativa era incapace di accontentare le nuove idee che gli venivano richieste.
Nel periodo di carnevale dell'anno 1785 fu rappresentata l'intermezzo per musica "L'amore ingegnoso". Nel libretto di sala c'è sritto: "La musica è del celebre signor Giovanni Paisiello Napolitano, compositore di sua maestà Il Re delle due Sicilie, e attualmente al servizio di sua maestà l'Imperatrice di tutte le Russie."
Re Ferdinando voleva che le opere che Paisiello aveva composto in Russia dovevano essere raccolte dall'Arcivescovo di Taranto. Paisiello naturalmente si guardò bene di spedire la partitura del "Lo sposo burlato" perchè se il sovrano si fosse accorto che aveva trasgredito al suo ordine riutilizzando anche se solo in parte l'opera "indiscreta" di Lorenzi, avrebbe dovuto rinunciare al suo desiderio di entrare al servizio della corte napoletana. La partitura così non è stata copiata ed è rimasta un esemplare unico custodito a Pietroburgo in un archivio, dove si trova ancora oggi.
Nel 1815 fu duramente colpito con la morte della moglie e da allora cominciò anche a perdere la sua salute, che insieme alla sua gelosia per la popolarità altrui era un motivo di continua preocupazione.

In una lettere che porta la data del 27 febbraio 1794 inviata a Paisiello scritta da alcuni ammiratori entusiasti che nella loro città avevano assistito alla sua opera "Nina" e il loro entusiasmo lo affermano addirittura con queste parole : "La S.V. quando ha composto questa musica divina era in cielo" e noi nel sentirla lo siamo stati pure e aggiungendo "Se tutte le produzioni musicali di oggi fossero come quelle della Nina, i maestri di musica a giusto titolo si potrebbero chiamare produttori delle virtù, eliminatori dei vizi, e rettificatori dele usanze, e la musica meriterebbe ancora onori e le lodi che i legislatori delle nazioni e gli antichi virtuosi popoli le attribuirono".
Quali sono state queste incredibili e tanto decantate bellezze in questa opera?
Prima di tutto bisogna tenere conto il storico momento che inquadra il lavoro musicale di Giovanni Paisiello tra il "settecento e ottocento" in un periodo politico pieno di importanti cambiamenti sociali nel quale si troverà coinvolto anche Paisiello. Grande attenzione e diffusione artistica sul piano culturale, a quei preziosi discorsi su natura e ragione.
I musicisti italiani anche se ancora fermi per vocazione a ruoli di esercitare un mestiere d'arte non potevano rimanere del tutto fuori alle nuove correnti e alle particolari suggestioni proposte dal dibattito estetico che si svolgeva negli altri paesi. Spesso i nostri autori si misero in condizioni di ricevere confrontandosi positivamente con i paesi che per lavoro hanno visitato. L'esperienza avuta durante la sua lunga permanenza presso la Corte della Zarina Caterina II la grande, in Russia per Paisiello è stata in tal senso decisiva, così anche se pur breve ma intenso soggiorno a Vienna , che è stato fatto a seguito del viaggio di rientro da Pietroburgo in Italia. E fu proprio in questo periodo che il musicista raggiunse la più alta maturità perfezionando meravigliosamente il suo stile compositivo. Si crede che sia stato il suo prolungato distacco dall'Italia, i contatti e di aver visto altri generi musicali e letterari, che gli hanno permesso un'analisi complessiva più distaccata sui problemi del melodramma italiano. Queste osservazioni non l'hanno certamente trasformato in altre idee, ma ha avuto una più ricercata e sensibile interpretazione che compaiono proprio nelle opere buffe o serie composte in Italia dopo il rientro dalla lunga permanenza in Russia.

Sono circa 94 le opere di Paisiello che si conoscono, con una grande quantità di melodie, con la loro delicata bellezza e ancora oggi tanto apprezzata. Fra tutte forse la più conosciuta aria è "Nel cor più" dalla Molinara che è stata anche immortalata da Beethoven. Realizzò anche 51 composizioni strumentali e svariati pezzi separati. La sua musica sacra comprese ben otto Messe oltre ad altri numerosi lavori minori.
Il 5 giugno 1816 muore a Napoli in miseria dimenticato da tutti assistito solo dalle sorelle.

Don Chisciotte
fu rappresentata per la prima volta a Napoli
al teatro Fiorentini nel 1769



La trama
(atto primo)


In una radura boscosa la duchessa, la contessa, Don Platone, e Don Calafrone, prendono parte ad una partita di caccia. I due uomini cacciatori maldestri e ridicoli, fanno loro goffamente la corte e le donne si prendono gioco di loro. All'improvviso arriva Sancio seguito da Don Chisciotte che ha confuso un gregge di pecore per un esercito di mori, e ha assalito gli animali a lancia in resta, ma viene gettato giù dal cavallo.
Sancio racconta al padrone che la dama immaginaria, la bella Dulcinea che Don Chisciotte ha nominato a signora del suo cuore è stata cambiata in una brutta r rozza villana, dal mago Frestone nemico dei cavalieri erranti. Certamente si tratta di una menzogna inventata lì per lì dallo scudiero per evitare l'ostacolo dopo che Don Chisciotte lo aveva incaricato di una impossibile impresa, quella di recapitare una lettera alla immaginaria Dulcinea. Don Chisciotte crede di impazzire seguendo l'esempio di Orlando paladino e comanda a Sancio di leggergli il passo dell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto dove si racconta l'episodio.
Nel frattanto il gruppo dei cacciatori si incontra col cavaliere e Don Chisciotte suo scudiero crede di riconoscere nella serva Carmosina i lineamenti della bella Dulcinea e da in smanie.
La duchessa e la contessa decidono di divertirsi della strana coppia, invitandola a un banchetto che si svolge tra le buffonate e stravaganze di ogni genere.



ATTO SECONDO quadro primo

Alla presenza della duchessa, Sancio viene eletto governatore dell'isola Barattaria. Quindi continua una successione di scherzi preparati dalle dame e dai loro uomini di corte, per divertirsi alle spalle del cavaliere errante e del suo scudiero. Sopra un carro giungono all'improvviso la contessa e Carmosita rispettivamente travestite da maga Melissa e da Dulcinea e dietro un corteo di cortigiani, tra i quali c'è anche Don Platone in abito femminile e barbe finte.
A Don Chisciotte la contessa maga spiega che lo stesso incantatore malefico che ha mutato Dulcinea in una grossolana contadina ha cambiato alcune belle dame in orribili donne barbute. Don Chisciotte per vincere l'incantesimo dovrà raggiungere a cavallo del ipogrifo il settimo cielo, invece Sancio dovrà ricevere 3.500 bastonate. Il cavaliere e il suo scudiero riluttante per via delle bastonate, salgono con gli occhi bendati su un cavallo di legno, e tra lo spasso di tutti iniziano il loro viaggio immaginario attraverso gli spazi degli astri.



Quadro secondo

Una campagna con sullo sfondo dei mulini a vento, secondo il solito Don Platone e Don Calafronte si contendono i favori delle due dame, le quali prendendosi gioco dei due fingono di acconsentire.
Questa finzione coinvolge anche Don Chisciotte del quale le donne dichiarano essere innamorate, ridestando la gelosia dei due corteggiatori. L'atto finisce con la disastrosa impresa di Don Chisciotte contro i mulini a vento



Atto terzo

Don Platone e Don Calafrone vengono persuasi da Cardolella e Carmosina a rappacificarsi con le dame ciò che avviene tra la contentezza generale. E non solo dopo aver per tanto tempo simpaticamente scherzato con loro, la duchessa e la contessa ora si sentono attratte sinceramente dai due uomini e pronte a sposarli. Dopo un ridicolo duello, viene loro offerta l'occasione per dichiararsi ai futuri sposi, in cui Don Chisciotte interviene in qualità di arbitro con il quale essi intendono decidere la loro sorte di innamorati.
Dopo aver pagato di persona un ultimo scherzo, credendo di essere diventato una statua di pietra, Don Chisciotte insieme a Sancio lascia la compagnia veso nuove avventure.

Alla biblioteca del "Britisch Museum" furono donati da Domenico Dragonetti, manoscritti delle partiture di molte sue opere.

A Napoli nella biblioteca dei "Girolamini" si trova una raccolta interessante di manoscritti con i quali Paisiello regustra le sue opinioni sui compositori a lui contemporenei, e ci viene presentato come un critico spesso severo, specialmente del lavoro di Pergolesi.


vero... o non è vero?

Il melodramma italiano ha certamente un destino come minimo assai curioso!
Vediamo grandi autori come: "Paisiello" "Cherubini" "Spontini" "Piccinni" "Cimarosa" e altri ancora, che nella loro carriere sono stati rispettati e presi ad esempio persino da Beethoven, ma non solo questo, ma sono stati anche tra il settecento e l'ottocento ospiti nelle più prestigiose corti d'Europa dove hanno riportato grandissimi successi, oggi questi grandi personaggi che tanto hanno dato, si trovano dal grande pubblico del canto lirico messi ai margini della grande arte dell'opera e vengono considerati dei piccoli satelliti quasi sconosciuti attorno ai molto celebri personaggi dell'opera come: "Verdi" "Bellini" "Puccini" "Rossini" e "Donizetti" dei quali vengono riempiti i cartelloni di tutti i teatri del mondo e anche quando non sarebbe il caso.
E tutte le loro opere continuano ad avere edizioni musicali con orchestre e case discografiche di grande prestigio, con direttori e numerose compagnie, mentre per gli altri nelle stagioni dell'opera in qualche volonteroso teatro viene allestito qualche opera di questi compositori e musicisti, ma non hanno l'appoggio della popolarità. Non sono conosciuti! Anche se sono numerosissime le loro composte. E molto raramente esiste un'incisione e quelle che si trovano in circolazione sono realizzate da compagnie di secondo piano, con orchestre scadenti e direttori mediocri. Ci troviamo dunque davanti ad una parte di arte e storia completamente dimenticata dai studiosi della storia della musica e dagli operatori di mercato. Tra questi c'è anche Paisiello compositore e musicista vissuto tra il 1740 e il 1816 autore di oltre cento opere e acclamata in tutta Europa, musicista di Caterina II di Russia, di Ferdinando IV, del re Stanislaw di Polonia, dell'imperatore Giuseppe II, e soprattutto adorato da Napoleone del quale è diventato il maestro di cappella e lo ha voluto con se anche a Parigi fino al giorno della sua incoronazione, per la quale compose una Messa solenne e il Te Deum.
Ma Paisiello non era soltanto amato e apprezzato dalle corti reali come potrebbe sembrare, invece era il contrario, questi regnanti lo stimavano proprio perchè presso il popolo otteneva grandi successi.

Tuileries: Palazzo di Parigi costruito a più riprese come residenza dei reali o loro parenti, fra il 1564 e il 1664. Vi ebbe la sua residenza Luigi XVI dopo il 6 ottobre 1789.
Fu incendiato e distrutto durante la comune nel maggio del 1871. Ora resta solo il parco.

 

 



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