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Che cos'è la Pedagogia professionale

 

Franco Blezza
Facoltà di Scienze Sociali - Università "Gabriele d'Annunzio - Chieti
Facoltà di Scienze della Formazione - Ateneo telematico "Leonardo da Vinci" - Torrevecchia teatina CH

 

Conferenza tenuta presso l'Università di Treviso nell'ambito delle attività della Società Dante Alighieri, 27 febbraio 2008

Dalla Pedagogia generale e dalla Pedagogia sociale alla Pedagogia professionale
Abbiamo chiuso la conferenza dell'anno scorso rimarcando come una professione, la professione di Pedagogista, trovi un suo fondamento prossimo nella Pedagogia sociale nell'Otto-Novecento, e un fondamento remoto nella Grecia classica due millenni e mezzo fa, per la precisione nei Sofisti come esercizio professionale, e in Socrate e nella sua scuola, ma più in generale nel complesso di quella cultura, come dottrina.
Si tratta di una professione la cui necessità sociale è sempre più forte, e la consapevolezza in materia cresce, sia pure con lentezza e gradualità. Le supplenze si sono a lungo cercate in professionisti le cui competenze sono ravvicinabili, dagli Psicologi agli Insegnanti e uomini di scuola, dagli Assistenti Sociali ai Medici di alcune specialità; e proprio una tale ricerca sempre più affannosa e sempre insoddisfacente di supplenze di questo tipo dimostra la necessità essenziale, di titolarità: dell'aiuto specifico e preciso del Pedagogista.
Dedicheremo agli aspetti più direttamente relativi a tale professione e al relativo eesercizio questo nostro contributo alla "Dante Alighieri" trevigiana per il 2007/2008.
Coerentemente con il suo etimo , di termine coniato tra la fine del Medio Evo e le origini dell'Evo Moderno , la Pedagogia è anche impegno, un farsi carico dell'educazione e non solo uno studiarla e un teorizzare su di essa o condurvi meta-discorsi. La Pedagogia, per come è nata e si è sviluppata, esige di essere esercitata e di evolversi in diretto ed organico rapporto con l'esperienza sistematica nel concreto della realtà educativa; essa non può ammettere alcuna sorta di "distacco clinico", "otium", disimpegno od altro simile atteggiamento. È possibile essere Filosofi dell'Educazione nel contesto pedagogico, anzi la Filosofia dell'Educazione integra un valido e legittimo modo di articolare la Pedagogia generale; tuttavia esso non può ridurvisi né ricondurvisi in modo diverso che non sia quello di un primum inter pares. Valgono considerazioni assolutamente analoghe per l'Epistemologia Pedagogica e per l'Etica e Deontologia Professionale specifiche: tutte branche della Pedagogia generale che non possono certo svolgersi sul vuoto esperienziale.
Queste esigenza, come tutto ciò che riguarda comunque l'educazione, va attentamente contestualizzata in senso storico e culturale. In particolare, oggi essa va riferita alle mutate esigenze educative della transizione secolare ed epocale intercorsa negli ultimi decenni, che richiedono professionalità specificamente formate e sempre più avanzate. Lo sviluppo di tali professionalità ha radici prossime nella nascita e nei primi passi della sozial Pädagogik, cioè a quello stesso mondo culturale mitteleuropeo e a quella stessa seconda metà del XIX secolo nella quale hanno avuto radici altre scienze dell'uomo, della cultura e della società come la Psicologia scientifica, la Psicanalisi, la Sociologia , l'Antropologia culturale, alcune delle quali si sono poi affermate nelle professioni corrispondenti. Essa tuttavia, come branca della Pedagogia generale e come esercizio professionale, può vantare duemilacinquecento e più anni di storia, come la Medicina Chirurgia, la Giurisprudenza e poche altre scienze.
In questo senso, si può completare l'aforisma di Laeng secondo il quale la Pedagogia "Comprende l'arte dell'educazione, la scienza di quell'arte, e la filosofia di quella scienza." , aggiungendo che "la Pedagogia è anche una professione", una professione intellettuale superiore dell'area umana e sociale, o se si preferisce delle Geisteswissenschaften.
La concretizzazione di tale professione hic et nunc, in un periodo storico particolare e nel contesto italiano che ha a sua volta le sue particolarità, integra un vero e proprio programma di ricerca scientifico, nel senso di Lakatos . Richiede una definizione e un profilo professionale preciso, il riferimento ad un contesto teorico, culturale, metodologico saldo e ben fondato, l'allestimento di un complesso di tecniche, procedure, lessico scientifico e professionale che sia effettivamente esperito nella sua organicità attraverso l'esercizio professionale, un lavoro nell'associazionismo di categoria, e un riconoscimento sociale e normativo.
A tutto ciò si è lavorato negli ultimi vent'anni.
Le attività di ricerca di base hanno avuto origine negli ultimi anni '80, e hanno trovato una prima sintesi generale in alcuni saggi del decennio seguente .
L'impegno entro la S.I.Ped., cioè il sodalizio che raggruppa i Pedagogisti accademici, data con la XII legislatura (1994/96) e la prima seria proposta di legge per il riconoscimento della professione che prevedeva l'istituzione dell'ordine e del relativo alto professionale. Questo si esplicato attraverso una serie di documenti e di consultazioni con il Presidente pro tempore Piero Bertolini e il senatore Luciano Galliani che si era assunto l'onere della presentazione . Peraltro, disegni di legge in materia erano stati presentati anche nella legislatura precedente da differenti parti politiche, e senza rilevanti differenze o diversificazioni riconducibili a ragioni ideologiche o di schieramento.
L'impegno entro l'associazionismo di categoria si è concretizzato nella collaborazione organica prima con l'A.N.Pe., quando era l'unica associazione di Pedagogisti di professione, per la quale (fra l'altro) si sono scritti numerosi saggi e si sono organizzati ed anche presieduti i primi tre ed unici congressi scientifici (Roma 10-11/10/1987 , Napoli 24-25/10/1998 e Bari 18-19-20/11/1999), e poi con la F.I.Ped. , collaborazione che attualmente continua con intensità. In parte, tale lavoro si è svolto grazie alla generalizzazione degli strumenti telematici ed informatici, e relativi dibattiti in rete. Questo impegno si è concretizzato anche in una seconda serie di saggi che hanno seguito il divenire della materia .
L'impegno accademico ha avuto una sua parte nel lavoro presso la sede triestina e le sue sedi staccate per la riforma del C.d.L. in Pedagogia e della Facoltà di Magistero, negli anni '90 e fino al 2001.
Come base empirica, si è scelto di esercitare volontaristicamente in forma libero-professionale, trattando problemi di vita quotidiana, coppia, famiglia, genitorialità e traducendo il tutto in saggi organici che compendiano la materia professionale e la casistica clinica , non senza studiarne le ricadute sulla Pedagogia scolastica e sulla Pedagogia generale . D'altra parte, la prospettiva di formazione iniziale di professionisti di cultura pedagogica esige che almeno una parte rilevante dei docenti universitari sia impegnato nell'esercizio professionale, come avviene per la formazione accademica ad altre professioni.
In questo saggio prenderemo in sintetico esame lo stato dell'arte, con riguardo sincronico al lavoro fatto ma soprattutto con apertura agli sviluppi futuri. Ovviamente, rimandiamo alle opere già citate e a quelle che citeremo nel seguito per tutti quegli sviluppi e quei dettagli che, pur necessari, non trovano qui né la sede adatta né lo spazio necessario.
La materia è in divenire rapido, ancorché frenato da troppe inerzie. Ma ricordiamo sempre che il fatto stesso di muoversi in qualche mezzo comporta un'inerzia, la quale si oppone sempre al moto, e cresce al crescere della velocità se ci si muove in un mezzo fluido come forse si può ipotizzare nella fattispecie. Lo constatiamo qui e in questo caso.
Se non incontrassimo inerzie, dovremmo pensare che stiamo muovendoci nel vuoto, oppure che ci illudiamo di muoverci ma in realtà stiamo fermi.
Definizione e profilo
Il Pedagogista è il professionista apicale della cultura pedagogica.
La sua formazione iniziale si articola in un quinquennio accademico (laurea specialistica o magistrale, con equipollenza per la laurea quadriennale v.o.) e in un periodo di formazione ulteriore che potrebbe indicarsi in Master di II livello o Scuole di Specializzazione, in un congruo periodo di tirocinio sul campo o di servizio o di volontariato specificamente pedagogico e sotto la supervisione, la gestione, la programmazione di un Pedagogista, od in una opportuna temperie tra formazione continua e formazione sul lavoro. L'idea predominante sembra essere quella che indica la durata di riferimento di tale periodo in due anni. Ovviamente, come in ogni disciplina nuova, andranno previste delle normative transitorie che consentano di accedervi anche da chi fosse in possesso di altri titoli di più elevato livello, ad esempio titoli accademici o di ricerca: certo non sarebbe pensabile una disciplina che escludesse Maria Montessori, o Jerome Bruner, o John Dewey, o Ovide Décroly, o molti dei nostri Maestri della Pedagogia italiana.
Per altre figure professionali, non si avverte il bisogno di distinguere il professionista in esercizio dall'accademico: né per figure forti e ordinate dalla storia paragonabile alla nostra, come il Medico Chirurgo o l'Avvocato, né per figure dalla storia recente come lo Psicologo o l'Ingegnere. In questi casi, al contrario, si riconosce comunque e con accentuazione notevole e talora massima che la formazione iniziale fornita dall'Università non sarebbe pensabile se una gran parte dei docenti non fossero comunque professionisti in esercizio. Il caso limite riguarda la gran parte dei concorsi di area medica, che sono gli unici a prevedere un determinato titolo di studio e fin una determinata abilitazione; ma la prassi è molto evidente negli altri corsi di studio della Sanità, nei corsi di laurea dell'area giuridica o di quelli dell'area ingegneristica, e in genere dei corsi di laurea a ciclo unico. Ma questa distinzione non viene avvertita come necessaria neppure per professioni non ordinate né riconosciute al pari della nostra, quali sono ad esempio la professione di Sociologo o la professione di Antropologo.
Per il Pedagogista in esercizio professionale si impiega correntemente l'aggettivo "clinico" nel senso etimologico e metodologico che vedremo più avanti, cioè "casistico" e situazionale e la cui professionalità consente il riconducimento dei casi particolari ai casi generali ("casistiche", appunto) per abduzione, cioè attraverso la mediazione umana del professionista qualificato ed esperto. Qui però si riscontra un equivoco, che vorrebbe tale aggettivo come sinonimo o parasinonimo di "sanitario": si tratta di un equivoco facile quanto destituito di fondamento, ma che tuttavia andrebbe prevenuto. Di conseguenza, può servire allo scopo proprio l'aggettivo "professionale" che non si presta neppure a simili giochi di parole, e consente una distinzione rispetto a quanti considerano alternativa più o meno esclusiva l'essere Pedagogista "accademico".
Con questa dizione, la voce è stata recepita nell'Enciclopedia pedagogica .
Tutto ciò non toglie che si possa condividere l'idea, o l'auspicio, che la qualifica di "Pedagogista" potrebbe essere enunciata in assoluto anche nel campo professionale. Ci si potrà arrivare in forma canonica, quando i Pedagogisti accademici saranno anche e per ciò stesso professionisti in esercizio, esattamente come avviene per i nostri colleghi Medici Chirurghi, Ingegneri, Avvocati, Commercialisti, Psicologi e via elencando, con l'evidente beneficio per tutti che nessuno mette in dubbio.
Per la figura professionale intermedia, la cui formazione iniziale corrisponde alla laurea n.o., sembra ormai invalsa la dizione "Educatore" con ulteriore specificazione aggettivale (professionale, sociale, territoriale, …) oppure perifrastica (della prima infanzia, dei media, di strada, …). Propriamente, l'Educatore professionale è per legge il laureato della classe SNT/2 (Classe delle lauree in professioni sanitarie della riabilitazione), con laurea abilitante alla professione sanitaria, cui la legge 1/2/2006 n. 43 ha offerto anche la prospettiva dell'Ordine professionale e dell'Albo, e cui gli ordinamenti accademici prefigurano anche una figura apicale. La denominazione adottata prima per i DD.UU. e poi per il II indirizzo del C.d.L. in Scienze dell'Educazione v.o., nei pochi anni di funzionamento di quest'ultimo, non ha invece sortito esito alcuno nel mondo del lavoro e delle professioni intellettuali. Non rimane che prenderne atto.
Non esiste, allo stato, un profilo del Pedagogista professionale stabilito per normativa di legge: la S.I.Ped. con le associazioni di categoria è attualmente impegnata in un difficile compito di elaborazione e mediazione in tal senso. Solo l'Università, in effetti, può offrire una organica e fondata garanzia di scientificità, che è imprescindibile nei confronti della società, del mondo del lavoro, dell'utenza e degli stessi nostri studenti.
Storia remota e storia prossima
Come ci insegna il Dewey più noto, la storia della nostra materia risale ai Sofisti come esercizio professionale, e a Socrate e ai dialoghi più socratici di Platone come dottrina e come strumenti d'impiego . Non si tratta di una rivendicazione di un vuoto blasone in sé assai nobile, cosa che ci interesserebbe poco: a quelle radici remote è giusto e necessario ricondurci perché ad esse risalgono importanti strumenti concettuali ed operativi di evidente attualità. Potremmo esemplificare con il dialogo con l'ironia e la maieutica, la cittadinanza come socialità e come partecipazione attiva alla vita politica ( ), il ruolo della Retorica, la Logica e le sue regole, il o nosce te ipsum, con il senso delle proprie potenzialità e dei propri limiti, e la condanna della , e via elencando, considerandovi anche quanto vi hanno apportato Platone ed Aristotele oltre a Socrate e ai Sofisti, in originale e liberati di tante estremizzazioni successive. Il che spiega perché noi consideriamo essenziale nella nostra formazione un approccio storico, che sarebbe utile anche per altri ma che nella formazione iniziale di gran parte dei professionisti intellettuali è subordinato e marginale se pure vi è. Certo, difficilmente sarebbe funzionale e fin giustificabile a questo riguardo un approccio storico alla Pedagogia che muovesse da Rousseau.
Siamo quindi gli eredi dei Sofisti e di Socrate, dei Pedagoghi nelle loro diverse concretizzazioni nella storia , di una vasta e diversificata famiglia di figure di educatore di professione che ha preso i nomi più vari e le dignità più disparate (promotore e conduttore di sedi educative, precettore, aio, governatore, prefetto, …). Anche il termine "maestro" potrebbe avere una sua ragguardevole applicabilità nello specifico, purché fosse chiaro che non si starebbe parlando in alcun modo di sedi e situazioni educative di tipo scolastico, bensì di sedi sociali: proprio cioè come lo erano quelle del tempo di Socrate, dei Sofisti e delle ?????? della Grecia classica.
La professione di Pedagogista ha avuto anche una sua storia prossima come fondamenti scientifici nel secolo XIX, al pari di altre professioni. Qui sembrerebbe più indicata un scansione secolare della storia in linea con le grandi evenienze storiche e culturali piuttosto che non con la nuda cronologia: culturalmente i "secoli" hanno senso qualora se ne retrodatino le decorrenze di alcuni decenni rispetto a quelle cronologiche le quali, come noto, non hanno neppure il senso cristiano cui nominalmente si richiamano. Così l'Ottocento può considerarsi iniziato con le rivoluzioni borghesi, rivoluzione industriale compresa; e terminato (indicativamente, come ipotesi di lavoro) tra la guerra Franco-prussiana, il II Reich, la fine del potere temporale dei Papi, Roma capitale d'Italia, la Comune di Parigi, od anche il Congresso di Berlino. Così cade l'ipotesi del "secolo breve" di Hobsbawm , e il secolo XX si può considerare il secolo dell'apice della Mitteleuropa, seguito dalla caduta prima dell'Österreich e poi del II Reich sotto la spinta dei nazionalismi colonialisti e révanchisti prima, e delle grandi potenze ascendenti poi, fino al rimanere sul campo di un'unica grande potenza in un mondo in rapida globalizzazione e all'ascesa di nuovi internazionalismi su base di adesione volontaria come l'UE, ma anche la NATO e simili.
In questo senso e ciò precisato, il XX secolo culturalmente inteso ha visto la fondazione della Pedagogia sociale come branca autonoma della Pedagogia generale, sulla base di premesse fondate al termine del secolo precedente, e in quella Mitteleuropa che di lì a poco sarebbe crollata: esattamente come avvenuto per la Psicologia scientifica, o per la Psicanalisi componente anche della preesistente Psichiatria dalla quale veniva il fondatore Sigmund Freud, o come per altre analoghe Scienze della cultura. Nonostante che i due grandi imperi della Mitteleuropa abbiano conosciuto una triste e ben nota fine nella seconda parte del secolo XX così inteso e ridefinito, da tale elaborazione originaria è scaturita una proliferazione di professioni e specialità rapidamente diffusesi nel mondo, e tra queste anche la professione di Pedagogista. Come noto, già nel 1844 Karl Mager aveva proposto di parlare di sozial Pädagogik, in contrapposizione a "Individualpädagogik" ed in alternativa a "Collectivpädagogik", quindi ancora nel secolo XIX culturalmente inteso. Ma avremmo dovuto attendere Friedrich A. W. Diesterweg perché la concettualità e la locuzione avessero una diffusione ampia; e l'impulso decisivo di Paul Natorp che pubblicò nel 1898 o nel 1899 il saggio dal titolo Sozialpädagogik; tutto ciò, senza dimenticare Durkheim : il che è a dire, il secolo XX culturalmente inteso e scandito, appunto.
Si può discutere sulla particolarità della cultura italiana tra le due guerre mondiali con la pesante egemonia neo-idealistica nelle sue due versioni, coerentemente avverse a queste come ad ogni scienza dell'uomo che non fosse filosofica e non prescindesse proprio da quella matrice mitteleuropea. La cosa è nota e peraltro dichiarata. Rimarrebbe da appurare coma mai tanto si sia tardato a recuperare il Gap così maturato nel secondo dopoguerra, come riflettevamo nella conversazione dello scorso anno dal titolo Che cos'è la pedagogia sociale. Concludevamo osservando che il ritardo si è fatto ancor più grave dopo il '45; ma anche che ci sono le risorse e la buona volontà per lavorare a colmarlo.
Contesto teorico e generale di riferimento
Prima di tutto, si propone di non adottare la dizione "teoretica" e derivati in questo contesto, come indice o veicolo di una rinnovata o riconfermata sudditanza alla Filosofia. Si può parlare, invece, di "teoria" e derivati a rigore, come esistono ad esempio una "fisica teorica" o una "teoria economica" (o, se si preferisce, un esame di "teoria" per la patente di guida).
La cornice teorica e metodologica più generale disponibile a questi fini rimane costituita dal Pragmatismo classico, ed in particolare dalla Strumentalismo deweyano, per le professioni di cultura pedagogica come per altre professioni sociali e culturali, senza per questo ignorare gli sviluppi del Razionalismo Critico filosofico come metodologia unica per le Scienze della Natura e della Cultura od Umane, se ed in quanto queste seconde possono essere chiamate "scienze" in senso stretto e con lo stesso significato che il termine ha per le prime (e che non costituisce, è palese, la traduzione piena né di Wissenschaft né di ???????? né di ????? ).
Con questo, non si possono ignorare i decenni trascorsi né la transizione secolare occorsa successivamente, che può esser pensata addirittura come una nuova transizione epocale come quella al termine dell'evo medio o dell'evo moderno. Non per questo si è nella necessità di ritenere la pur cospicua figura di Bruner come quel superamento del Pragmatismo nelle sue idee fondamentali che pure in Italia si è a lungo asserito : ciò, specie se si ha riguardo per il problema metodologico rimasto aperto e irrisolto, con una delega di fatto da un lato ai disciplinaristi, e dall'altro all'ultima reviviscenza induttivistica ad opera di quei Neopositivisti logici che erano riparati negli USA in seguito delle persecuzioni razziali o politiche (o di entrambe le nature) cui il Nazismo li aveva fatti oggetto.
Allora, più che non cercare un "dopo Dewey" in Bruner (od altrove), risulta più fecondo e rigoroso pensare concretamente ad un "neo Dewey" e, più in generale, ad un Neopragmatismo filosofico e pedagogico, i due personaggi fondamentali del quale sono rispettivamente Hilary Putnam e Richard Rorty. In Italia vi erano dei significativi precedenti, ad esempio in Ferruccio Rossi-Landi , e il lavoro è stato autorevolmente ripreso dalla Scuola fiorentina di Franco Cambi .
È avviso dello scrivente che il Neopragmatismo abbia informato significativamente anche le riforme della scuola italiana intervenute tra il 1977 e il 1991, cui è mancato come grado la Scuola Media Superiore . Tuttavia il dominio di applicabilità è più generale.
Come linee di sviluppo di un Neopragmatismo pedagogico rispetto al Pragmatismo - Strumentalismo originario avevamo indicato fin dagli anni '90 "in sintesi, alcune idee-guida di questa neo-dottrina pedagogica:
" un profondo ripensamento dell'aspetto metodologico - generale, con riguardo sia agli sviluppi novecenteschi dell'Epistemologia, sia al divenire della realtà della ricerca scientifica (nel campo naturalistico e in quello della cultura umana) e relative suggestioni normative:
" una nuova teoria del lavoro e delle sue valenze educative, nonché della sua essenzialità nell'educazione, dopo la "seconda rivoluzione industriale", e nella transizione in corso dal modello Ford - Taylor al modello Toyota - Q.T. nell'industria e nei servizi (Bruner è davvero il pedagogista di riferimento del "dopo Dewey"? O non rappresenta bene l'esigenza di un neo- anziché di un post-Pragmatismo?);
" una risistemazione su una base scientifico - naturalistica (soprattutto biologica) profondamente evolutasi nei suoi fondamenti nell'ultimo secolo (Fisica quantistica e relativistica, Chimica quantistica, Biologia molecolare, nuove teorie geologiche, cosmologiche, …), secondo linee largamente divulgate ma che poco hanno inciso sulla cultura diffusa;
" una analoga risistemazione sulla base altrettanto evolutasi, dalla fine dell'Ottocento alla fine del Novecento ed oltre, di quelle Scienze della Cultura Umana che sono metodologicamente coerenti con le Scienze della Natura e che possono integrare il dominio delle Scienze dell'Educazione, come in particolare la Psicologia, la Sociologia, l'Antropologia:
" il superamento di tanti insidiosi riduzionismi o rischi di riduzionismo, da quelli dell'evoluzione culturale nell'evoluzione biologica, al carattere di costruzione umana delle diverse teorie logiche, che rimangono fondamentali nel discorso epistemologico come in quello pedagogico proprio nelle loro pluralità, costruttività, fallibilità, criticabilità, evolvibilità;
" la ridefinizione rigorosa del rapporto tra problematizzazione e creatività umana, con un'attenzione per quest'ultima che non si esaurisca né nel filosofico - estetico né nello scientifico - psicologico pur tenendo in conto essenziale entrambi gli aspetti umani, e con una distinzione tra le innumerevoli situazioni problematiche che sono nella realtà ambientale e dei rapporti tra vivente ed ambiente, e quelle poche che solo l'uomo può scegliere di porre come problemi.
Si tratta, è chiaro, solo di un'esemplificazione, seppure significativa e a spettro ampio: né qui né altrove vi è alcuna pretesa di sistematicità e di esaustività" . Esse, peraltro, erano scandite con riguardo particolare proprio per la Pedagogia professionale, data anche la sede.
Domini di esercizio
Qui non possiamo andar oltre una sintetica disamina riepilogativa per tutto quanto attiene alle sedi di esercizio per la professione di Pedagogista, reali o figurative.
La nostra esperienza di esercizio libero-professionale volontaristico ci ha permesso di scandire, come nel volume citato La pedagogia sociale, le sedi di esercizio come segue:

¢ la coppia, e problemi di Partnership;
¢ la famiglia con problemi di genitorialità e di altre relazionalità prossime;
¢ il mondo della formazione;
¢ l'universo digitale, considerabile sotto altra prospettiva come dominio strumentale;
¢ il territorio;
¢ la società nelle sue varie istanze e concessioni.
Apparato concettuale ed operativo
La stessa esperienza ci rende disponibili numerosi strumenti concettuali ed operativi per l'esercizio professionale che possa dirsi specificamente e rigorosamente pedagogico . Su questo ci intratterremo in alcuni dettagli, rimandando ancora alle opere citate per una trattazione più completa ed organica nonché per la necessaria esemplificazione.
La relazione d'aiuto del Pedagogista professionale è una forma di intervento dialogico, di un let's talk. Anche per questo motivo essa può essere scambiata, ad uno sguardo superficiale, per una sovrapposizione a certi interventi psicologici, ma si tratta di una cosa molto differente, come cercheremo di illustrare.
Il pedagogista non ha pazienti né (se non in senso molto lato) clienti: ha interlocutori..
L'interlocuzione del Pedagogista è una interlocuzione educativa che si svolge sempre e comunque sul piano culturale, in ordine a dimensioni essenziali dell'uomo come soggetto di cultura, di storia, di evoluzione culturale, come sono ad esempio
" il progetto di vita
" la relazionalità intersoggettiva
" la coerenza logica e metodologica
" l'evolvere, propiziare il divenire
" l'educare all'attività,
e via elencando. Sono elementi sviluppabili a partire dalla più che bi-millenaria Storia della Pedagogia, tenendo conto del suo Trend evolutivo degli ultimi decenni (quello che interpreteremmo, si è accennato, come una transizione epocale).
Si deve trattare di un dialogo esplicito, nel quale il Pedagogista mette chiaramente in discussione le proprie tesi e le proprie posizioni, come chiede di fare all'interlocutore, affinché ciascuno le presenti e le tratti per quelle che sono cioè per delle posizioni personali che non ambiscono ad alcuna forma di "verità" o di primazia. Non è praticabile questa interlocuzione se, ad esempio, qualcuno pretende di presentare le proprie posizioni come quelle "di tutti", o quelle "tradizionali", "naturali", "sempre esistite" come si faceva nei due secoli trascorsi per posizioni storicamente determinate ma da prendersi e da passarsi per indiscutibili.

Nel dialogo, ciascuno dei due (o più) interlocutori, compreso il Pedagogista Professionale, mette in gioco quelle che potremmo chiamare le proprie visioni. Il termine però indica almeno due concetti differenti, per i quali si possono proporre, come termini tecnici, due sostantivi tedeschi.
Una cosa sono le Einsichten, cioè quelle "visioni" che sono presupposte all'esperienza e il cui possesso consente che l'esperienza abbia luogo. Queste non sono empiriche, ma precedono l'empiria, non potendosi più riproporre l'equivoco positivistico dell'"esperienza pura". Sono strumenti concettuali auto-evidenti ed inconfutabili ma insieme necessari per il processo educativo (gli uomini sono uguali, cercare il meglio, evolvere, relazionarsi, ...): "Unter Einsichten werden Aussagen verstanden, die det Urteilsart der apriorischen Sätzen entsprechen. Dieses Vorausgehen gilt natürlich nicht im Sinn der physicalischen Zeit, sondern als logisches Vorausgehen." . Va precisato che queste si distinguono dalle Erkenntnisse: "Erkenntnisse sind Urteile a posteriori, d.h. sie folgen aus der - unmittelbaren oder vermittelten - Erfahrung und ihrer Reflextion." . Invece, "Unter Kentnissen (Wissen, Information) wird hier das Lehren und Lernen von Wörtern verstanden, die erwas bezeichen." . Non si tratta né dello Insight psicologico-cognitivo, cioè dell'illuminazione subitanea che consente di risolvere razionalmente un problema posto, ad esempio percependo relazioni essenziali; né dello Insight psicanalitico, vale a dire la capacità di guardare dentro di sé motivazioni, dinamiche, significati interiori. Semmai, dalla Psicanalisi si può mutuare a questo riguardo la concettualità degli Archetipi, ad esempio.
Sono Einsichten, ad esempio ulteriore, le immagini del maschile e del femminile che così fortemente hanno impregnato di loro stesse la cultura dei due - tre secoli trascorsi: il maschile come proiezione esterna, veloce, tendente al conseguimento subitaneo del risultato, su terreno altrui, e anche con sacrificio dell'altro; il femminile come proiezione interna, comprensiva, tendente al conseguimento del risultato a tempi lunghi, nel proprio terreno, anche con proprio sacrificio. Visioni che hanno una metafora nella fisiologia degli apparati riproduttivi e in questo senso precedono l'esperienza, ma che non hanno nulla a che vedere con i maschi e con le femmine reali come soggetti di cultura, se non per un'educazione a ciò mirata.
Altra cosa, quanto a ciò che chiameremmo sempre "visioni", sono le visioni generali della realtà oggetto di studio e, nella fattispecie, di interlocuzione pedagogica. Quelle si chiamano Anschauungen. Viene da pensare alle Welt-anschauungen, probabilmente il termine composto più noto e diffuso tra quelli che vi si possono formare; tuttavia, quest'ultimo designa più propriamente una visione filosofica, od ideologica, dell'universo mondo. A noi invece interessano piuttosto delle visioni dell'umanità, dell'essere uomo, delle caratteristiche intrinseche dell'uomo in quanto tale, che in un termine composto si renderebbero con Mensch-heit-anschauungen.
Tipico l'esempio, nei rapporti di coppia, del confronto tra Anschauungen diverse tra uno dei Partner che intende una vita di impegno esterno nel lavoro, nella cultura, nell'arte, nello sport e quant'altro, e l'altro che la intende come impegno interno nella casa, nella stabilità del rapporto e nei figli: questa diversità aveva una sua composizione canonica nella coppia "a sovrapposizione" della famiglia nucleare propriamente detta, attraverso una asimmetria spinta all'estremo con divisione dei compiti rigida, indiscutibile, ed imposta da un'educazione a ciò mirata, la quale la passava come fosse "naturale"; oggi vanno ricercate altre possibili soluzioni, e questo è un impegno tipicamente pedagogico-professionale .
Queste, a differenza sostanziale rispetto alla precedenti, sono risultato anche di esperienza, ed anzi continuamente rivedibili e evolvibili alla luce dell'esperienza come di qualunque altra attività umana.

Ciò che qui più conta, delle une e delle altre "visioni", è che ciascuno degli interlocutori (pedagogista compreso) apporti le proprie, e che esse divengano oggetto di interlocuzione oltreché condizioni necessarie per essa. Per meglio dire, condizioni necessarie sono l'esplicitazione piena e senza riserve delle une e delle altre visioni, e la disponibilità a metterle in discussione in modo altrettanto pieno e senza riserve.

Questa seconda condizione è aspetto importante di una premessa necessaria per l'interlocuzione, come per qualunque intervento propriamente educativo.
In effetti, perché un'interlocuzione possa essere attivata, è necessario presupporre negli interlocutori quella prerogativa che si può chiamare apertura, vale a dire la disponibilità piena e senza riserve a cambiare, a divenire e al divenire evolutivo; a rimettersi sempre in discussione come idee di fondo e come progetto di vita, a ripensare le proprie scelte, specie quelle fondamentali; a rimettere in discussione anche le cose considerate e prese come le più fisse, tra le quali sé stesso, a cominciare da sé stesso; e un convincimento profondo del valore del pluralismo e della divergenza. Di fronte ad un interlocutore che, in un modo o nell'altro, si rifiutasse di aprirsi per parti rilevanti del dialogo, il Pedagogista in linea di principio non potrebbe far nulla: in pratica, qualche cosa si può fare per via indiretta, o come ricerca di spiragli d'apertura là dove sembri non esservene.
Il dialogo, chiaramente, è sempre bi-direzionale, o pluri-direzionale quando siano più di uno i soggetti che chiedono l'aiuto del Pedagogista, o quando egli ritenga di coinvolgere nel dialogo altre persone, e vi riesca. Ma parte di questo dialogo è il Pedagogista stesso, che deve per primo dimostrare apertura, e testimoniarne la positività umana. Sono sempre e comunque le idee per l'uomo (tutte), il viceversa non essendo accettabile nella Pedagogia d'oggi.

Un progetto di vita c'è sempre, in qualunque uomo. Certo, esso non dovrebbe essere rigidamente immutabile, e tante difficoltà nascono proprio quando il soggetto rimane chiuso in esso, e incatenato ad esso, indipendentemente dalle sue contraddizioni od interne (ad esempio logiche) od esterne (ad esempio confutate dalla realtà dei fatti).
A parte questo, spesso vi sono in esso degli aspetti impliciti, o hidden, che come tali non evidenziano la contraddittorietà con la realtà o con i progetti di vita degli altri soggetti vicini, anche quando tale contraddittorietà sarebbe evidente. Tipico il caso di aspetti sottintesi, implicitati, dati per scontati, nel proprio progetto di vita relativamente ad obblighi o funzioni che dovrebbe rivestire il Partner, e rispetto ai quali non vi è mai stata la benché minima discussione.
La coerenza, o comunque la compatibilità, tra progetti di vita dei contraenti qualunque sodalizio umano deve essere considerata condizione necessaria: vale per la coppia, la famiglia, la scuola, la formazione, l'associazionismo, la cooperazione, e via elencando.
Il Pedagogista ha un compito importante nell'esplicitare ciò che è implicito, cioè nel cambiare le attribuzioni e le proprietà di una sorta di hidden File. Si badi bene che si tratta di abitanti del conscio: lo scavare nell'inconscio non è compito del Pedagogista, bensì dello Psicologo in qualche sua specialità

Qual è il destinatario dell'aiuto pedagogico? Il soggetto umano, inteso come soggetto di storia e di cultura, come sede di valori e come òatpre di un proprio senso della vita o Lebenssinn (non estrinseci, quindi), e nodo di comunicazione interpersonale complessa: vale a dire, con termine tecnico rigoroso, la persona. Il termine, di origine latina, è entrato decisamente nella Filosofia e nelle discipline dell'uomo nel secolo scorso: esso ha avuto un successo maggiore nell'ambito della Filosofia e della Pedagogia cattoliche, ma da tempo è all'attenzione di pedagogisti laici: e del resto, Mounier stesso ne individuava le radici in Socrate, Kant, Leibniz, Pascal. D'altra parte, Renouvier può considerarsi l'iniziatore del Neo-kantismo.
La cosa richiede attenzione, innanzitutto, perché in altri contesti si impiega il termine individuo: l'impiego di questo termine non è scorretto, di per sé, quando si intenda parlare dell'elemento di una popolazione avendo attenzione prioritaria per la popolazione; ma il pedagogista fissa la sua attenzione sull'interlocutore. Come scriveva Mounier, "Il personalismo si distingue rigorosamente dall'individualismo, e sottolinea l'inserimento collettivo e cosmico della persona." .
Ma l'attenzione è dovuta, quindi, soprattutto quando si parla di un "aiuto", ad esempio, "alla famiglia", "alla scuola", "all'azienda", "al sodalizio", "alla società sportiva", "alla coppia", … Il pedagogista aiuto le singole persone, o le persone in gruppo, anche quando l'aiuto è riferito al loro essere all'interno di questi od altri sodalizi umani aventi rilevanza pedagogica. Si tratta, quindi di una sineddoche: il tutto per le sue parti. Quando un Pedagogista è investito di un aiuto, poniamo, "alla coppia", egli aiuta in realtà il sig. Mario e la sig.ra Maria ad affrontare problemi relativi al loro essere coppia, al loro relazionarsi reciprocamente in coppia.
Anche qui, il discorso è tutt'altro che puramente nominalistico. Ad esempio (e sono casi frequenti e dei quali si ha ampia esperienza): quando si avvia una relazione di aiuto per un caso di coppia, è ben altro il discorso se si aiuta l'uno o l'altro Partner, e questo perfino quando sono entrambi ad interpellare il Pedagogista professionale; in un caso di genitorialità, è ben diverso il discorso se si è chiamati ad aiutare i genitori (o uno dei genitori) ovvero il figlio. I due Partner non sono caratterizzati dal medesimo "inserimento collettivo e cosmico", e lo stesso dicasi di genitori e figli. Le situazioni problematiche, in casi come questi, potrebbero anche essere le stesse e non è neppure detto tanto: ma questo non può dirsi per i problemi, e comunque non per la particolare relazione d'aiuto da attivarsi.

Un equivoco che non deve mai sussistere, e che si deve prevenire con ogni attenzione, riguarda il carattere culturale dell'interlocuzione pedagogica comunque intesa. L'intervento del Pedagogista non è mai una terapia, e il Pedagogista non va confuso in alcun modo con un terapeuta. Non esiste in Pedagogia una "fisiologia", la violazione di alcuni dei cui parametri standard integri una qualche forma di Patologia, curare la quale per ritornare a livelli fisiologici è compito del Medico, dello Psicoterapeuta o di qualche altra forma di terapeuta.
Quello che può fare il Pedagogista è, semmai, essere di aiuto alla terapia: il che, per quanto appena osservato, è un aiuto al terapeuta propriamente detto, oppure a chi si deve accostare alla terapia o deve seguire una terapia (ma non si deve parlare di proprio "paziente" neppure in questo caso), od anche a chi è vicino a colui che deve seguire una terapia. Tipici i casi del depresso (o dei familiari del depresso) che hanno bisogno di un intervento culturale per accostarsi razionalmente a quella che va considerata una malattia come un'altra; dei familiari di un affetto da sindrome da conversione (un tempo "isteria") che hanno bisogno di sapere come comportarsi in occasione degli accessi e al termine di questi; del ritorno alla vita quotidiana e ad ogni forma di relazionalità dopo interventi o patologie invalidanti; dell'opera di prevenzione in casi di situazioni potenzialmente patologiche da tenersi sotto controllo (ad esempio il diabete; o malattie che richiedono diete e regimi di vita particolari); e via elencando.
Sono casi nei quali il Pedagogista agisce largamente come un didatta (della cosiddetta "didattica non scolastica"…): casi nei quale egli può più facilmente mostrarsi come un uomo di studio e di cultura, lontano da ogni stereotipo del terapeuta, anche nei csi nei quali egli eserciti in una struttura sanitaria od a latere di essa.

È invece, possibile che il Pedagogista impieghi l'aggettivo "clinico", in senso metodologico. Nell'impiego di questo aggettivo, e del sostantivo corrispondente se del caso, si può ravvisare anche un lontano significato di tipo etimologico. In greco classico, impiegato anche da Claudio Galeno, l'aggettivo ???????? era riferito all'intervento sul lettuccio dove si trovava il paziente; come dire, un intervento propriamente "in situazione".
Questo aggettivo, con i derivati, si impiega per le evidenti ricorrenze nel dialogo educativo di elementi di comunicazione presenti proprio nel campo clinico: ad esempio il realismo, l'attenzione per il destinatario, la problematicità, la relazionalità diretta, la professionalità, l'attenzione per la dottrina, la possibilità di considerare ogni forma di variabilità individuale, la reciproca esclusione delle tipizzazioni "medie" che intervengono in procedimenti, anche pedagogici, di tipo statistico. Questo procedimento non è statistico, ma piuttosto richiama l'abduzione proposta a Peirce, il logico tra i fondatori del Pragmatismo classico: da alcuni elementi di un caso "clinico" particolare, l'esperto professionista trova il modo di risalire al caso generale.

Queste considerazioni ci portano nel cuore del problema metodologico. In effetti, sono molte le considerazioni sia di principio che di esperienza le quali conducono a ritenere che il Pedagogista debba considerarsi anche, e in modo sempre più forte, un metodologo.
Tra queste vi è la procedura consueta, fondata anche teoricamente ed epistemologicamente, che consiste nell'aiutare l'interlocutore ad operare la transizione dalla situazione problematica al problema.
Tecnicamente (e con qualche differenza sia dalla Pedagogia Pragmatistico-strumentalista, sia dall'Epistemologia Razional-critica o Falsificazionista) chiamiamo situazioni problematiche tutti i casi nei quali il vivente-uomo si trovi in conflitto, contrasto, contraddizione, squilibrio, discrepanza, comunque crisi nella sua interazione con l'ambiente; consapevoli che l'interazione è insopprimibile e la criticità è fisiologica, usuale, consueta, frequentissima. Solo quando vi sia da parte della persona umana la disposizione a reagire positivamente, costruttivamente, facendosene carico, parliamo propriamente di problema; e parliamo altresì non di "soluzione" di problema, ma di "tentativi (al plurale) di risolvere i problemi", consapevoli clom dobbiamo essere du non disporre di alcun criterio di verità.
Le situazioni problematiche sono nella realtà delle cose; solo l'uomo è in grado di porle come problemi, di farsi problema di una parte piccola, talvolta molto piccola, delle situazioni problematiche nelle quali si imbatte. È questo un aspetto della visione, propriamente antropologica dell'educazione e della Pedagogia (generale, e professionale).

Quanti si rivolgono al Pedagogista professionale, chiedendone l'aiuto, lo fanno adducendo uno o più di quelli che essi possono chiamare "problemi". In realtà, si tratta per lo più di situazioni problematiche propriamente dette, in quanto il rivolgersi al Pedagogista è una richiesta, in genere, di una soluzione presso di lui e da parte sua.
Il Pedagogista professionale, invece, per sue ragioni intrinseche è colui che aiuta l'interlocutore nei suoi (di questi) tentativi di soluzione. Anche se avesse delle possibili ipotesi di soluzione, dovrebbe presentarle semmai come proprie od astenersi del tutto da presentarle. Tutto il lavoro dialogico-interlocutorio deve consistere nel far sì che l'interlocutore cerchi di elaborare sue possibili soluzioni dei problemi.
Ciò senza dire che, in una casistica tanto ampia e frequente da far pensare che essa sia largamente prevalente, le situazioni problematiche per le quali gli interlocutori si rivolgono all'aiuto del Pedagogista professionale non sono quelle che, razionalizzate, divengono problemi: spesso, più spesso, il problema è altrove, e anche questo aggiustamento di rotta e di Target è parte importante del dialogo pedagogico. esso può anche esser effettuato più volte, comunque va effettuato tutte le volte che appare necessario, od anche solo opportuno.
Tipico il caso del genitore, o dei genitori, che ci si rivolgono per problemi dei figli (svogliati, indisciplinati, dallo scarso profitto scolastico, dalla socialità insoddisfacente, …) e che rivelano ben presto al dialogo come quelli non siano che sintomi di un problema che è nella coppia genitoriale.
Oppure quello della coppia "chiusa su sé stessa" che brucia in un reciproco rapporto onnivoro ogni risorsa umana, e presenta ogni sorta di problema esterno (dai vicini di casa irrispettosi, all'incomprensione nel lavoro, ad ogni sorta di nefandezze nelle famiglie d'origine, fino alla scarsa riuscita nello sport o nell'arte, e all'investimento inadeguato nei figli).

Il Pedagogista non ha soluzioni da offrire, ma una processualità che tende ad aiutarne la ricerca. All'interlocutore che ne chiedesse ("allora dottore, mio figlio a quale corso lo iscrivo?"; "Mio marito / mia moglie, lo/la pianto o no?", "cambio lavoro o resto dove sono?"), l'unica risposta che egli può dare è, in definitiva, "continuiamo a parlarne".
Certamente, egli può prospettare una sua ipotesi di soluzione, purché sia chiaro che di ipotesi si tratta, e purché sia una tra più eventualità date. Ma deve accuratamente astenersi dal farlo ogniqualvolta questa rischi di essere presa per quello che non è (una sentenza, una diagnosi, una perizia,…), ovvero rischi di diventare un alibi per l'interlocutore il quale vi si nasconde sotto e omette invece di discuterne ("l'ha detto l'esperto!"…).

Per il Pedagogista, ricercatore senza fine né fini, come non esiste una "Fisiologia" cui fare riferimento, non esiste neppure una "legalità" la violazione della quale integri un reato, da cui giudizio e condanna.
Anche per questo, il Pedagogista non ha da esprimere giudizi (come Pedagogista), e comunque non ha da irrogare sanzioni, né da sentenziare condanne (né assoluzioni). In certi casi, egli assume elementi esterni: la diagnosi di un Medico, la sentenza di un Giudice, la rilevazione di consuetudini e usi consolidati di un Sociologo… "esterni" non significa estranei, essendo ben noto che la cultura del Pedagogista è una cultura composita, che il Pedagogista deve sapersi fare risorsa specifica e propria di contributi proveniente da quel complesso di scienze che si configurano così come Scienze dell'Educazione.
A parte questo, che pure ha una importanza comprensibile, il Pedagogista esprime semmai pareri, nonché opinioni, punti di vista: i propri o quelli che recepisce da altri, sempre esplicitamente e dichiaratamente.

Quelle del Pedagogista non sono mai prescrizioni, bensì indicazioni.

Quelli del Pedagogista non sono propriamente consigli, piuttosto suggerimenti. Non ti dico di seguire una strada differente da quella che hai scelto: semmai ti dico che oltre a quella ce ne sono altre, e discuto con te quali esse possano essere.

E comunque, presentati ed argomentati i propri pareri, opinioni, punti di vista, ottiche, visioni (nel senso delle Anschauungen e nel senso delle Einsichten), indicazioni, suggerimenti e quant'altro di analogo, la fase successiva rimane il "parliamone ancora", sempre che l'interlocutore mantenga la necessaria apertura.

Le risposte che il Pedagogista può dare, e che è suo compito dare, sono risposte di metodo, e non di merito. Le volte che si trova a dare risposte di merito, e capita, non le dà come Pedagogista: bensì, come persona umana per la quale vale il terenziano "Homo sum: nihil humani a me alienum puto" . Relativamente al legittimo e comprensibile bisogno dell'interlocutore di trovare risposte di merito, il Pedagogista non può che avere un compito specifico: quello di aiutarlo a cercarle.

Sono risposte, metodologicamente parlando, che hanno la forma di imperativi ipotetici. La normatività della Pedagogia, nel caso della Pedagogia professionale (od almeno in questo caso) è una normatività che collega certe indicazioni alla sussistenza di certe premesse. Il tipo di risposta cui il Pedagogista professionale aiuta il suo interlocutore ad arrivare è del tipo "se… allora…".
L'ipoteticità è, a ben vedere, doppia. È ipotetica la sussistenza della premessa o protasi ("se… allora…" indica anche uno o più "e se non… allora invece…". Ma è ipotetico anche il nesso tra premessa e conseguenza, protasi ed apodosi, implicante ed implicato.
Quelli del Pedagogista, e probabilmente non solo del Pedagogista professionale, sono a ben vedere quindi degli imperativi doppiamente ipotetici (cioè della forma "se… allora forse…"): quando non si riesce a leggerli in questa forma, il che avviene spesso nella letteratura pedagogica, ciò può discendere dal fatto che si cela la premessa o protasi o implicante; o che si cela l'ipoteticità del nesso che si vorrebbe necessario e rigido, con un determinismo che è tipicamente positivistico e stride proprio in quanto critica il Positivismo per poi affermare qualche cosa di peggio; o da ambedue le cose insieme, magari con altro ancora.
È questa una via di superamento dell'altro dualismo, tipicamente filosofico e intrinseco alla Filosofia, tra prescrittività e descrittività, tra scienze normative e scienze descrittive, tra discipline nomotetiche e discipline idiografiche.

Il carattere ipotetico di questi essenziali passaggi della relazione d'aiuto pedagogica, e il superamento dei dualismo appena ricordati, sostanziano il recepimento anche nell'ambito pedagogico di quell'elogio del dubbio sistematico che è stato ben ripreso, nell'Epistemologia contemporanea, dal Razionalismo Critico.
Il dubbio pervade pareri, indicazioni, suggerimenti, visioni del Pedagogista professionale: nell'esprimersi e nell'agire in questi termini, egli rende ragione anche della non onnipotenza dell'educazione, e testimonia come esempio un modo di vivere e di affrontare i problemi significativo sotto il profilo strettamente pedagogico, come congruo sotto quello generalmente umano.

Parte essenziale della tecnica del Pedagogista nella relazione d'aiuto consiste nella sua capacità di coinvolgersi intimamente ed essenzialmente nel dialogo: il pedagogista non possiede, allo stato, né il "distacco clinico" né qualche cosa che vi assomigli, come si è anticipato, e probabilmente non può possedere alcunché di analogo per ragioni intrinseche alla propria specificità.
Ciò a cui fa ricorso sistematico ha molto a che vedere con l'Empaty-empatia, ad esempio come essa è stata trattata da Carl Rogers. Questi, pur ricordato giustamente nella Storia della Pedagogia, non era un Pedagogista bensì uno Psicoterapeuta: il che andrebbe ricordato, anche od in particolare a quanti pretenderebbero di trasferire al pedagogico quel Client Centered che era attribuzione di una Therapy (quindi, per quanto detto, di un intervento magari importante, ma comunque non pedagogico).
Ad ogni modo, quella cui è richiesto di far ricorso il edagogista è sostanzialmente differente: è un prendersi dentro la situazione problematica proposta dall'interlocutore, progettualmente e volontariamente, onde tentare di restituirla in un modo che possa essere per l'interlocutore stesso meglio risolubile.
Per questa, si è proposto di impiegare il termine Einfühlung, che può indicare una progettualità, una tecnica che si apprende e che si insegna, e che evoca un contesto teorico e professionale differente (come già Einsicht anziché Insight, ad esempio).

Il ricorso alla Einfühlung, e l'assenza di ogni sorte di distacco clinico, rendono per un verso importante il senso del limite all'intervento del Pedagogista professionale. Non sono proponibili, in questo contesto, relazioni d'aiuto che abbiano durate di mesi od anni, con cadenze settimanali o ancor più ravvicinate, come nelle psicoterapie, od anche in certe relazioni mediche. Od anche, in certi casi di relazioni d'aiuto con Assistenti Sociali. O nel rapporto tra docente e discenti, maestro e allievi; oppure tra istruttore e sportivo. E via elencando.
Il che, fra l'altro, corrisponde al profondo senso del limite umano che caratterizza questa come ogni altre relazione educativa. Limite umano, che indica la perfettibilità come altra faccia dell'imperfezione in quella medaglia che è la Menschheit; ma che indica anche, sul piano normativo o nomotetico, la deontologia della ricerca di quel "meglio" che è sempre possibile, e che è dell'uomo cercare e perseguire.

La relazione d'aiuto del Pedagogista Professionale ha limiti piuttosto stretti, anche per simili ragioni di logorio delle risorse umane: indicativamente, parleremmo di alcune settimane, od anche di relazioni pluriennali ma fatte di brevi e densi colloqui e di interruzioni di molti mesi costellate, semmai, da corrispondenze epistolari o da contatti telefonici. Ma è cosa da sperimentare.
Rimane il senso del limite stretto, che poi si coniuga con la specificità delle funzioni del Pedagogista professionale. Questi non ha lo scopo di offrire soluzioni, né giudizi, né consigli, né sanzioni, né null'altro del genere, si è detto: il dialogo quindi non sarà mai esclusivo e conclusivo nella relazione d'aiuto con il Pedagogista stesso.
Per come nasce e si sviluppa, questa relazione dialogica è pensata per avere un seguito in altri dialoghi o, meglio, nello sviluppo successivo di quello stesso dialogo in altre sedi e con altri interlocutori. Prima ancora che inizi la relazione d'aiuto, prima ancora che il Pedagogista professionale prenda il contatto con il possibile interlocutore, egli sa già che il dialogo che deve cercare di instaurare avrà un seguito oltre a lui.
E qui vi sono, in sostanza, due possibilità di fondo, non mutuamente esclusive.
Una riguarda la constatata necessità di continuare il discorso con un qualche altro specialista: uno Psicologo, un Medico, un Assistente Sociale, un Giurista, un Sociologo, un Terapeuta, un operatore scolastico, od altro. È deontologico, per questo, da parte del Pedagogista professionale, non solo assicurare un efficace reindirizzamento che sia più tranquillo e piano e a tempo giusto che sia possibile, ma anche fornire a questo ogni aiuto (come nel caso ricordato del cosiddetto aiuto alla terapia, ad esempio). Si tratta del reindirizzamento professionale.
L'altra, auspicabilmente più frequente, consiste nel propiziare il seguito della relazione dialogica nel contesto nel quale si sono rilevate le situazioni problematiche o con le persone con le quali esse si sono scatenate, o comunque con persone che possono esservi coinvolte positivamente. Il dialogo carente nella coppia, o nel lavoro, o nella famiglia, o nel sodalizio umano, il Pedagogista professionale farà sì che possa riprendere con nuova e più efficace vivacità ed apertura. È questo il cosiddetto reindirizzamento canonico.
Il reindirizzamento, comunque, può avvenire nei confronti di chiunque, e di qualunque sede di relazionalità umana, che possa avere qualche significato educativo per l'interlocutore.
Nel ricorso sistematico allo Screening e al Dépistage si legge molto bene la specificità della professionalità del Pedagogista, anche con riguardo alla sua essenziale e profonda cultura di ordine metodologico. Si coglie altresì l'alta affinità che consente a questo professionista, per ragioni intrinseche, di collaborare con altre figure professionali.
Prima ancora di cominciare la relazione d'aiuto, prima ancora di vedere l'interlocutore, il Pedagogista sa già perfettamente che dovrà pensare ad un dialogo a termine: il come ed il quando, ovviamente, va stabilito dopo, ma questa caratteristica di fondo deve essergli chiara e senza riserve.
Le due possibili vie per il riconoscimento della professione
Osservavamo ancora al XX congresso S.I.Ped. di Napoli (27-28-29 maggio 2005) come vi fossero due vie per il riconoscimento di una professione intellettuale: quella della creazione di un Ordine professionale che esprima al suo intermo uno o più albi con l'esame di stato ovvero il titolo accademico abilitante, in regime di monopolio; e quella della certificazione societaria previa abilitazione di qualità delle associazioni cerificanti che sono chiamate ad operare in regime pluralistico. La seconda è via europea, mentre la prima rimane via saldamente radicata nella cultura e nel mondo del lavoro e delle professioni italiano.
La via della certificazione era stata proposta dalla maggioranza di centro sinistra nella legislatura 1996/2001, con disegni di legge delega governativi che tuttavia non sono mai arrivati all'aula; la via dell'Ordine è invece più seguita dalla maggioranza di centro destra, la quale ha coronato in tal senso la legislatura successiva proprio con l'approvazione della ricordata legge delega 43/2006 la quale ha schiuso la via dell'istituzione di un congruo numero di nuovi ordini professionali, anche con più albi all'interno di ciascuno, alle professioni sanitarie non mediche, tra le quali quella di Educatore professionale propriamente detto. In quello stesso senso si sono pronunciate l'autorevolisssima S.I.F. per l'istituzione dell'Ordine Professionale dei Fisici con due sezioni, una per quanto riguarda la Fisica industriale, dei materiali e dell'informazione, la Fisica della Terra, dell'ambiente e del territorio e la Fisica medica, e una seconda per altre particolarizzazioni; e si sono avute proposte di legge di esponenti del centro destra per l'istituzione anche dell'Ordine Professionale dei Pedagogisti nelle ultime tre legislature, ma tali proposte non sono mai andate oltre le primissime calendarizzazioni in commissione.
La breve legislatura trascorsa 2006/2008, con una maggioranza assai debole e alla fine perdente al Senato come noto, non ha consentito alcun apprezzabile atto al riguardo, salvo che il rinvio dei termini per la promulgazione dei decreti delegati previsti dalla suddetta legge 43.
Ora rimane da vedere se il ritorno al governo di una maggioranza di centro destra, ampia in entrambi i rami del Parlamento, farà segnare una continuità e darà vita ad una politica coerente con atti concreti e risolutivi, che ora sono possibili.
Una ampia e autorevole rappresentatività societaria della categoria costituirebbe certo una eccellente condizione.
Rimane altresì da lavorare, e molto, per il riconoscimento sociale e professionale della categoria. Lì forse c'è il lavoro più impegnativo, in quanto è esperienza comune come i media e le stesse istanze politiche e sociali raramente o mai interpellino noi Pedagogisti neppure per problemi di natura essenzialmente educativa, che non siano in alcuni casi problemi strettamente scolastici; e come su ogni e qualsivoglia problema umano e sociale pontifichino di educazione un po' tutti come non si permetterebbero certo di fare in materie impegnative, ma non richiedenti meno perizia, come la Chirurgia, la Macroeconomia ovvero la Fisica nucleare.
Già nel '93, nel corso di una relazione ad un convegno di Pedagogisti, si ebbe modo di avanzare una sorta di provocazione, una provocazione dall'evidente "retrogusto" amaro: "L'Italiano un tempo era il popolo di poeti, santi e navigatori e via discorrendo; oggi è un popolo di 56 milioni di Commissari Tecnici della Nazionale di calcio, e di 56 milioni di Pedagogisti" . Si rifletteva altresì sulla disinvoltura con la quale nel nostro paese si parla di problemi educativi, come se il lavorare alla loro soluzione non richiedesse una competenza specifica: una disinvoltura paragonabile proprio a quella con la quale si parla di calcio in osteria, senza mai confrontare ogni incrollabile convincimento con la realtà dei fatti; ma ne sono ben più gravi le conseguenze sul piano pratico.
Il convegno era stato organizzato nei gg. 27-28-29/10/1993, in un momento che avrebbe dovuto segnare la tanto attesa istituzione dell'Albo professionale dei Pedagogisti.
Speriamo davvero di non dover ripetere una simile osservazione molto più a lungo. Qui non è in gioco un pur rispettabilissimo ed appassionante campionato europeo di calcio: sono in gioco la nostra società e il nostro futuro.


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