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Pablo Picasso, l’artista dai volti spigolosi
(Málaga 1881- Mougins 1973)

(Dott. Placido Fallica)

Per descrivere correttamente l’arte di Picasso, urge in primo luogo far riferimento al “Cubismo”[1], movimento pittorico del XX secolo, che rivoluzionò nettamente il modo di rappresentare i soggetti e che per tal motivo esercitò un’influenza determinante sullo sviluppo artistico del XX secolo.
Anziché descrivere in modo fedele il mondo circostante, i pittori cubisti lo scomponevano in piani e forme geometriche elementari e sintetizzavano in un’unica composizione punti di vista diversi, che nella realtà non potrebbero essere adottati simultaneamente.
Questo rivoluzionario approccio, forniva un’attenzione nuova agli aspetti minori e più “essenziali” della natura, la conoscenza dell’arte tribale africana e dell’Oceania, con la sua scarsa attenzione alla resa realistica delle pose e della figura umana, e l’opera del pittore postimpressionista Paul Cézanne, che dava risalto alle strutture geometriche della realtà circostante.
Il termine “cubismo” fu usato per la prima volta dal critico Louis Vauxcelles che, recensendo alcune opere di Braque esposte nel 1908, mise in evidenza che erano costituite da cubi. Si possono distinguere due fasi del cubismo: il cubismo analitico[2] (1909-1910), caratterizzato dall’accentuata frammentazione di piani e forme geometriche, che risultano quasi dissolte, e dall’uso di colori spenti e di composizioni monocrome; e il cubismo sintetico[3], sviluppatosi a partire dal 1912, che attuò un parziale recupero del colore e delle forme, ormai completamente svincolate dalla concezione spaziale tradizionale.
Il Cubismo è presentato come una scuola di filosofi della forma, che riunisce i temperamenti artistici più speculativi: non diversamente, nel 1913, Guillame Apollinaire, il poeta amico dei pittori cubisti, afferma che ciò che differenzia il Cubismo dalla pittura antica è il fatto che esso non è un’arte di imitazione, bensì un’arte concettuale che tende a elevarsi fino alla creazione (il Cubismo si differenzia dall’antica pittura perché non è arte di imitazione, ma di pensiero). Il Cubismo scientifico è definito da Apollinaire come:
“l’arte di dipingere degli insiemi nuovi con elementi presi a prestito non dalla realtà della visione, ma dalla realtà della conoscenza [...]” [4].
L’aspetto geometrico, che ha tanto colpito quanti hanno visto le prime tele scientifiche, proveniva dal fatto che la realtà essenziale vi era resa con purezza estrema e che ogni elemento accidentale, visuale o aneddotico che fosse, vi era stato completamente eliminato.
In questo nuovo tipo d’arte i soggetti si dipingono non come si vedono ma come si conoscono. Si tende perciò a rappresentare gli oggetti non da un solo punto di vista - secondo i canoni della prospettiva - ma da diversi, secondo le sue svariate sfaccettature. Di conseguenza i cubisti realizzano, nei loro quadri, una molteplicità di combinazioni tra i diversi piani ed angoli, dove lo scuro si divide dal chiaro, la faccia dal suo rovescio.
Il Cubismo intese rinnovare la ricerca su basi scientifiche e indirizzare il processo di creatività artistica verso una lucida e razionale visione intellettuale.
Uno dei principali esponenti di questa nuova corrente artistica è Pablo Picasso (1881-1973)[5]. Egli nacque e studiò in Spagna e successivamente si trasferì in Francia dove, a Parigi, conobbe i maggiori esponenti della cultura nazionale d’avanguardia, di cui ben presto divenne uno dei maggiori animatori.
La sua lunga ed intensa attività la si può distinguere in cinque periodi.
Periodo blu e periodo rosa. Il “periodo blu” appare caratterizzato dall’intonazione cromatica dominante nei dipinti, il pittore si dilettava nell’utilizzare il blu in tutte le tonalità e sfumature possibili: i soggetti da lui rappresentati in questo periodo sono prostitute, vecchi, mendicanti, quindi personaggi emarginati dalla società; con questa scelta Picasso denota una particolare sensibilità verso i problemi sociali. Il celeberrimo pittore ritraeva i personaggi preferibilmente a figura intera, in posizioni isolate e con aria mesta e triste. Ne risultavano immagini cariche di tristezza, accentuata dai toni freddi (blu, turchino, grigio) con cui i quadri erano realizzati.
Dal 1905 alla fine del 1906, Picasso schiarì la sua tavolozza, utilizzando le gradazioni del rosa che risultano più calde rispetto al blu.
Iniziò quello che, infatti, viene definito il “periodo rosa”. Oltre a cambiare il colore nei quadri di questo periodo cambiarono anche i soggetti. Ad essere raffigurati sono personaggi presi dal circo, saltimbanchi e maschere della commedia dell’arte, quali Arlecchino.
Tra il 1900 e il 1902, Picasso visse nel vivace ambiente artistico e intellettuale di Barcellona e, dopo tre viaggi a Parigi, si stabilì nella capitale francese nel 1904. Frequentando gli ambienti artistici conobbe Kees van Dongen e Henri Matisse, e la sua opera si avvicinò al postimpressionismo di Paul Gauguin e dei pittori nabis con suggestioni fin-de-siècle che gli venivano da Edgar Degas e Henri de Toulouse-Lautrec. Di quest’ultimo condivideva l’interesse per i soggetti tratti dalle strade e dalla vita notturna, che Picasso rappresentò con immagini dolorose e malinconiche, per qualche anno dominate dal colore blu (Bevitrice d'assenzio).
Poco dopo il suo arrivo a Parigi, Picasso prese alloggio in una casa detta il Bateau-Lavoir, dove visse con Fernande Olivier, la “belle Fernande” di tante opere. La sua tavolozza ora prediligeva le sfumature del rosa: di qui prese il nome il periodo tra il 1904 e il 1905. I suoi soggetti sono spesso tratti dal circo, come in Famiglia di acrobati (1905).
Risalgono a questi anni le sue prime prove importanti di incisore, come pure la conoscenza dei poeti Max Jacob e Guillaume Apollinaire, dei mercanti d'arte Ambroise Vollard e Henry Kahnweiler e della scrittrice statunitense d'avanguardia Gertrude Stein. Di tutti dipinse importanti ritratti.
Periodo cubista. La svolta cubista avvenne tra il 1906 e il 1907. In quegli anni vi fu la grande retrospettiva sulla pittura di Cezanne, da poco scomparso, che molto influenza ebbe su Picasso. E, nello stesso periodo, come molti altri artisti del tempo, anche Picasso si interessò alla scultura africana, sulla scorta di quella riscoperta quell’esotico primitivo che aveva suggestionato molta cultura artistica europea da Gauguin in poi.
Da questi incontri, e dalla volontà di continua sperimentazione che ha sempre caratterizzato l’indole del pittore, nacque nel 1907 il quadro “Les demoiselles de Avignon” che segnò l’avvio della stagione cubista di Picasso: da quest’opera partirono le ricerche che diedero vita al movimento cubista. In questo dipinto è assente ogni tradizionale procedimento prospettico e chiaroscurale.
Stimolati dalla grande mostra retrospettiva di Paul Cézanne, l’anno seguente, nel 1908, Picasso e Georges Braque dipinsero paesaggi in uno stile descritto dai critici come composto di piccoli cubi: di qui il termine cubismo. Inizialmente i due artisti scomposero e analizzarono le forme giungendo al cosiddetto cubismo “analitico”, che rappresenta i soggetti da vari punti di vista contemporaneamente e con immagini monocromatiche, come nel “Ritratto di Ambroise Vollard”.
La fase cubista fu un periodo di grande sperimentazione, in cui Picasso rimise in discussione il concetto stesso di rappresentazione artistica.
Il passaggio dal cubismo analitico al cubismo sintetico rappresentò un momento fondamentale della sua evoluzione artistica. Il pittore appariva sempre più interessato alla semplificazione della forma, per giungere al segno puro che contenesse in sé la struttura della cosa e la sua riconoscibilità concettuale.
La fase cubista di Picasso durò circa dieci anni. Nel 1917, anche a seguito di un suo viaggio in Italia, vi fu una inversione totale nel suo stile. Abbandonò la sperimentazione per passare ad una pittura più tradizionale. Le figure divennero solide e quasi monumentali. Questo suo ritorno alla figuratività anticipò di qualche anno un analogo fenomeno che, dalla metà degli anni ’20 in poi, si diffuse in tutta Europa segnando la fine delle Avanguardie Storiche.
Nel 1912, incollando carta e tela cerata alla tela e combinandole con zone dipinte, Picasso creò il suo primo collage, “Natura morta con sedia impagliata”.
Questa tecnica, che egli avrebbe praticato tutta la vita, segnò il passaggio al cubismo “sintetico”: nella rappresentazione dell’essenza di un oggetto, il pittore tornò a usare il colore senza più adattarlo necessariamente alle forme. Picasso applicò anche alla scultura il principio dell’autonomia dell’opera d’arte rispetto alle apparenze visive, realizzando una serie di opere con i materiali più disparati, tra le quali “Mandolino e clarinetto” una combinazione di legno, metallo, carta e altri materiali.
Periodo realista e surrealista. Durante la Grande Guerra, Picasso andò a Roma, Napoli e Pompei, collaborò con Sergej Diaghilev e disegnò costumi e scenografie per i Ballets Russes. Una delle ballerine, Olga Koklova, diventò la sua prima moglie. Dopo aver esplorato le possibilità del Cubismo, Picasso operò un recupero del figurativo dipingendo immagini plastiche talvolta provenienti dal repertorio classico, in uno stile che è stato definito “neoclassico”.

 

Contemporaneamente creò immagini mostruose e deformate, dalle teste piccole e le pose contorte “Donna in riva al mare” (1930). Benché non si sia mai riconosciuto nel movimento surrealista, molte sue opere di questi anni ne mostrano alcune caratteristiche.
Negli anni seguenti invece, Picasso, con Braque, approfondì gli studi sui problemi della forma e del volume che saranno poi i temi fondamentali della ricerca cubista.
Guernica. “Guernica” fu dipinto in seguito al bombardamento avvenuto il 26 aprile 1937. Completato in meno di due mesi, il quadro denuncia, attraverso immagini cariche di significato, gli orrori della guerra.
Il 1937 è un anno cruciale per il processo artistico di Picasso, e più in generale rappresenta l’inizio di un periodo che vedrà l’uomo raggiungere uno dei picchi più bassi d’umanità di tutto il suo percorso esistenziale.
La situazione politica era arrivata ad un punto di rottura. Dopo aver tollerato l’imponente e più che mai minaccioso riarmo tedesco e l’inutile colpo di forza italiano in Etiopia, l’Europa assisteva inerte all’aggressione fascista in Spagna.
Si era coscienti che un’eventuale vittoria fascista avrebbe significato la fine della democrazia in continente, ma tra le potenze europee vigeva un tacito accordo, secondo il quale non bisognava intromettersi negli affari politici interni d’altri stati.
E’ proprio in questo clima così teso e surreale, che si apre a Parigi una grande “Esposizione Internazionale” dedicata al lavoro, alla pace, al progresso. La Spagna Repubblicana vi partecipa con un preciso messaggio politico: invocare la solidarietà e l’aiuto delle altre potenze europee, ed inoltre dimostrare che il suo era un processo che doveva portare allo sviluppo della democrazia in un Paese socialmente arretrato; ma soprattutto partecipa per lanciare un monito che era quello di avvertire l’opinione pubblica che il conflitto in atto si sarebbe allargato, interessando così il mondo intero.
Il padiglione spagnolo doveva essere ornato da un dipinto murale di Picasso, il quale aveva già meditato per una vasta composizione allegorica.
Nei giorni precedenti l’inaugurazione dell’Esposizione, si apprende la notizia dell’avvenuto bombardamento nazi-tedesco sull’antica cittadina di Guernica; quest’atto aveva semplicemente lo scopo di fare una strage e di seminare il terrore tra la popolazione civile.
A questo punto Picasso decide che l’opera che doveva apparire nel padiglione spagnolo sarebbe stata la risposta all’atrocità di quell’eccidio. Nasce così, in poco tempo, “Guernica”, che può considerarsi come uno dei pochi quadri storici del nostro secolo. Ciò non perché rappresenta un fatto storico, ma perché lo è.
Da questo dipinto emerge una visione lucida di Picasso: tale bombardamento non è semplicemente un episodio della Guerra Civile spagnola, ma è l’anticamera di una tragedia che presto andrà in scena sul palcoscenico europeo. L’intento di Picasso nel denunciare tale misfatto, non è suscitare pietà e sdegno, ma porre una così grave operazione bellica davanti agli occhi dell’opinione pubblica per farla sentire corresponsabile costringendola così ad intervenire.
In “Guernica” non c’è colore: solo nero, bianco e grigio. E’ escluso che Picasso abbia utilizzato il monocromato per dare al dipinto una connotazione cupa e triste: le linee, infatti, sono precise, tutto è chiaro, si notano benissimo i piani destinati alla colorazione che non c’è.
Nel quadro è presente invece la morte, ma vista non come la naturale conclusione della vita, ma come un evento tragico, inaspettato. “Guernica”, inoltre, possiede lo “scheletro” del quadro storico classico, ma solo quello, perché l’arte classica
caratterizzata dalla pienezza delle sue forme e dalla vivacità dei colori, adesso è andata via: è stata distrutta dalla brutalità dell’evento.
Nel quadro è presente la simmetria: l’asse mediano del muro bianco, i “pilastri” verticali del toro, le braccia alzate sulla destra; prospettiva: i piani prospettici di fondo, lo strombo della finestra, le figure dei caduti in primo piano; ritmo crescente: dalla nobile figura del caduto che stringe in mano la spada spezzata, al nitrito lacerante del cavallo ferito a morte.
In questo periodo l’Europa non è espressione di democrazia, di libertà, di pace, ma di violenza e di guerra.
Un amaro Picasso risponderà così ad alcuni critici tedeschi che gli parleranno di “Guernica” durante l’occupazione tedesca a Parigi: “Non l’ho fatta io, l’avete fatta voi”.

 

Seconda guerra mondiale e ultime opere. Con l’inizio del secondo conflitto mondiale, la tavolozza di Picasso si incupì e la morte diventò il soggetto di molte opere, come “Natura morta con bucranio” (1942). Per uno dei tre congressi mondiali per la pace, cui partecipò, Picasso disegnò la celebre “Colomba della pace” (1949).
Negli ultimi anni dipinse molte opere “d’après”: ossia rivisitazioni, in chiave del tutto personale, di famosi quadri del passato quali “Les meninas” di Velazquez, “La colazione sull’erba” di Manet o “Le signorine in riva alla Senna” di Courbet. Gli ultimi anni della vita di Picasso trascorrono assieme alla nuova compagna Jaqueline Roque che incontrò nel 1953 e che sposò nel 1961[6], e con la quale si trasferì vicino a Cannes.
Picasso, oltre a dipingere, fu molto attivo come incisore e, dal 1947, anche come ceramista. Numerose anche le sculture, eseguite assemblando materiali d’uso quotidiano. Una delle più note è “La capra” (1950).
Le mostre dell’opera di Picasso sono innumerevoli: ricordiamo quella del 1971 al Louvre, in occasione del novantesimo compleanno del pittore.

Ritratto di Sabartés, (1901)

Il 1901 ha inizio, con dipinti come i ritratti di Jaime Sabartés e di Mateu Fernandez de Soto: il “periodo blu”. Nel dipinto, il caro amico del pittore, sembra essere ritratto in posa di meditazione. Il dipinto sembra essere un invito a distaccarsi dalla tradizione accademica cercando una nuova strada e un nuovo modo di comportamento differenti dalla vita privata. Picasso insieme al suo amico erano soliti frequentare case private ed osterie ed erano continuamente tormentati da amori tempestosi.


Les demoiselles d’Avignon, (1906-1907)

L’opera che inaugura la stagione cubista di Picasso è il quadro “Les demoiselles d’Avignon”. Il quadro è stato realizzato tra il 1906 e il 1907. Le numerose rielaborazioni e ridipinture ne fanno quasi un gigantesco “foglio da schizzo” sul quale Picasso ha lavorato per provare le nuove idee che stava elaborando.
L’importanza di quest’opera è riconosciuta soprattutto per il rovesciamento di ogni principio codificato di ritmo e bellezza[7]. Il quadro non rappresenta un risultato definitivo: semplicemente ad un certo punto Picasso ha smesso di lavorarci. Lo abbandona nel suo studio, e quasi per caso suscita la curiosità e l’interesse dei suoi amici. Segno che forse neppure l’artista era sicuro del risultato a cui quell’opera era giunta. Anche il titolo in realtà è posticcio, avendolo attribuito il suo amico André Salmon

Il soggetto del quadro è la visione di una casa d’appuntamento in cui figurano cinque donne. In origine doveva contenere anche due uomini, poi scomparsi nelle successive modifiche apportate al quadro da Picasso. L’analogia più evidente è con i quadri di Cézanne del ciclo “Le grandi bagnanti”. Ed è praticamente certo che Picasso modifiche continuamente questo quadro proprio per le sollecitazioni che gli vengono dalla conoscenza delle opere di Cézanne.[8]
Il risultato a cui giunge è in realtà disomogeneo. Le due figure centrali hanno un aspetto molto diverso dalle figure ai lati. In queste ultime, specie le due di destra, la modellazione dei volti ricorda le sculture africane che in quel periodo conoscevano un momento di grande popolarità tra gli artisti europei.
Ciò che costituisce la grande novità dell’opera è l’annullamento di differenza tra pieni e vuoti. L’immagine si compone di una serie di piani solidi che si intersecano secondo angolazioni diverse.

Ogni angolazione è il frutto di una visione parziale per cui lo spazio si satura di materia annullando la separazione tra un corpo ed un altro.
Le singole figure, costruite secondo il criterio della visione simultanea da più lati, si presentano con un aspetto decisamente inconsueto che sembra ignorare qualsiasi legge anatomica. Vediamo così apparire su un volto frontale un naso di profilo, oppure, come nella figura in basso a destra, la testa appare ruotata sulle spalle di un angolo innaturale. Tutto ciò è comunque la premessa di quella grande svolta, che Picasso compie con il cubismo, per cui la rappresentazione tiene conto non solo di ciò che si vede in un solo istante, ma di tutta la percezione e conoscenza che l’artista ha del soggetto che rappresenta.
Le demoiselles non sono certo delle ragazze aggraziate dell’epoca classica, Anzi, suggestionano parecchio con i loro spigoli e i loro occhi asimmetrici. Le teste sembrano scolpite, le bocche sono fisse in una smorfia inquietante.

Ma, se osserviamo bene il quadro, noteremo la vitalità di quest’opera che sta appunto nel fatto di non imitare passivamente una realtà costituita, ma di ricostruire quest’ultima attraverso l'istinto e gli impulsi più originali.
Negli anni successivi, Picasso crea dei quadri in cui l’istinto e la ragione sembrano, non sempre, trovare un equilibrio.
Intelletto e ragione organizzano ciò che viene suggerito da istinto e intuizione: le figure tendono a riprodurre forme geometriche semplificate.


La contadina, (1908)

Le forme geometriche nelle sculture tradizionali hanno attirato l’attenzione dei primi cubisti. L’iterazione dei motivi geometrici conferisce armonia all’opera. Diversa dall’arte delle società occidentali, l’arte tradizionale africana a cui Picasso si ispirò nel suddetto dipinto, è funzionale e parte intrinseca della vita di ogni giorno.

Sarebbe impossibile capire le culture africane senza la conoscenza della loro arte. Nelle società tradizionali africane tutto è strettamente correlato: religione, politica, educazione, lavoro, divertimento. Tutte le arti, musicali, orali, plastiche, sono parti essenziali del tessuto culturale e sociale, ed hanno un ruolo centrale nell’unire tutti i membri della comunità attraverso attività corporative. L’arte é la chiave dell’anima africana. Capire l’arte africana significa entrare nella mente e nell’intimo di un popolo. Imparando ad apprezzare le loro opere d’arte, impariamo di fatto a conoscere meglio i popoli che li hanno prodotti e la loro umanità e vitalità: lotte, paure, speranze, timori. In questo particolare periodo, Picasso opera un cambiamento: l’attenzione alla struttura concettualmente coerente della composizione mette ora in secondo piano l’influenza “africana”, porta al rifiuto della seduzione del colore delle sue varietà (c’è chi ha parlato di “periodo verde”),

e spinge Picasso a ricercare esiti analoghi a quelli pittorici anche nelle scultura, linguaggio che periodicamente lo tenterà in diverse epoche della sua vita.

Vaso, frutta e zucca su un tavolo, (1909)

Agli inizi del Novecento, la natura morta si affermò come una delle principali forme di espressione e sperimentazione artistica nell’ambito di cubismo, fauvismo ed espressionismo, a opera di grandi maestri. Anche Picasso ne fu affascinato.
Per “natura morta”, intendiamo un’immagine composta da elementi naturali inanimati, come frutti, fiori o da oggetti, come libri e strumenti musicali, generalmente disposti su una superficie piana[9].
Siamo nel periodo del cubismo, il dipinto è caratterizzato da una vasta gamma di elementi spigolosi e geometrici, la tematica sembra voler richiamare l’opera di Matisse “Le zucche”, pur esprimendo emozione alcuna.

Arlecchino, (1915)

Il dipinto rappresenta il punto d’approdo del cubismo sintetico. Negli anni precedenti Picasso ha realizzato opere che sempre più spesso contenevano frammenti di realtà, soprattutto ritagli di giornale. Si tratta dei celebri papier-collé, dove la frantumazione parossistica del cubismo analitico lascia il posto a superfici più ampie e distese.
L’Arlecchino è interamente dipinto a olio e riproduce con la tecnica pittorica l’effetto tipico del collage. Si nota una sovrapposizione di campi cromatici nettamente delimitati, come fossero ritagliati, che presentano colori vividi, molto diluiti e stesi in modo uniforme. Il ritorno del colore dopo un lungo periodo di riduzione cromatica e le ampie superfici paralelle, in una composizione di grande respiro, mostrano l’evoluzione del cubismo nella prima metà del decennio. Ed è interessante il confronto tra questo arlecchino e i molti personaggi circensi del periodo rosa.

Contadini addormentati, (1919)

Quando dipinge quest’opera, nel 1919 a Parigi, Picasso ha ancora vive nella memoria le immagini del suo viaggio in Italia, compiuto nel 1917. Ricorda i gruppi di giovani che, vestiti in modo pittoresco, in Piazza di Spagna, durante la stagione estiva, aspettano di fare da modelli a fotografi, pittori e turisti. Picasso è attratto sia da questi soggetti semplici, sia dalle cartoline e dalle stampe di bottega vendute nella piazza. Lo attraggono la freschezza di queste immagini e la semplicità astilistica del linguaggio usato, proprio ciò che l’artista sta cercando in questo periodo. La sperimentazione dell'ultima fase cubista si è ormai esaurita e Picasso è in cerca di nuovi stimoli. Ritorna così allo studio della figura umana, la cui struttura e volumetria sono indagate in questi primi anni ‘20. Si riavvicina alla rappresentazione mimetica, intesa però non come semplice realismo, ma con un forte intento conoscitivo

Le deformazioni e le sproporzioni di questi due contadini addormentati derivano dalla volontà di rappresentare i loro corpi in tutta la loro concretezza e solidità. L’effetto ottenuto è quello di due figure massicce, monumentali, arcaiche nella purezza dei loro volumi.

Grande nudo su poltrona rossa, (1929)

Ritorna in quest’opera uno dei temi più cari a Picasso, quello del nudo femminile. La donna picassiana, se paragonata alle forme vitalistiche di Miró e alle odalische di Matisse, risulta apparire come un corpo svuotato della sua fisicità e ridotto a uno scheletro disarticolato che s’abbandona languidamente sulla poltrona purpurea. L’artista manipola il dato reale dell'anatomia, la esaspera, trasformandola grazie a una simbiosi tra l’umano e l’animale, in un elemento puramente evocativo. La testa della figura ha le sembianze di una piovra nell'atto di liberarsi in un grido di dolore, mentre il corpo contorcendosi in un labirintico e tentacolare movimento, dialoga con gli altri elementi della tela. Il contorno nero, l’utilizzo di colori saturi, il gioco ritmico della linea concorrono a dare al tutto un’apparenza ornamentale, non giungendo mai a una totale astrazione. Come dichiara lo stesso artista: “Non esiste un'arte astratta. Si deve sempre cominciare con qualcosa, e dopo si può eliminare ogni traccia della realtà. Allora non si corre più alcun rischio, perché l’idea della cosa ha lasciato nel frattempo un segno incancellabile: quello che ha messo in movimento l’artista, che ha stimolato le sue idee, ha dato slancio ai suoi sentimenti”.

Bagnante in riva al mare, (1932)

Sembra che Picasso si diverta a giocare con le forme e a storpiare le figure per creare composizioni bizzarre.
Colori contrastanti, proporzioni distorte, corpi deformati fino all’inverosimile, volumi scomposti: tutto contribuisce ad allontanare la rappresentazione dalla natura e a rendere i soggetti difficilmente riconoscibili. Sogni, desideri, emozioni, fantasia e forza espressiva prendono il sopravvento sulla realtà e avvicinano l’artista spagnolo al Surrealismo.

Donna che dorme, (1934)

Fu proprio l’influenza la vicinanza con Marie-Therese che parallelamente alle nuove sperimentazioni formali, lo portò a scoprire una nuova e sensuale versione del femminile.
In questo dipinto traspare la dolcezza della figura dormiente . I toni brillanti si spengono in tinte pastello che giocano sui contrasti. Similmente a “Nudo in giardino” in cui è rappresentata l’anticonformista modella Marie-Therese, la figura dai colori caldi come il giallo dello sfondo e la capigliatura, predominano in tutto il dipinto il quale è privo di sfumature evidenti. La figura giace addormentata con le braccia piegate e la testa inclinata da un lato

Jacqueline con i fiori, (1956)

Nell’analizzare la copiosa produzione di Picasso non si può prescindere dalle grandi passioni amorose della sua vita: tutte le donne con cui entra in relazione diventano oggetto della sua arte[10].
Come già è stato precedentemente accennato, Picasso sembra essere particolarmente attento alla sfera femminile, amò rappresentare Jacqueline Roque, ultima donna della sua vita utilizzando tratti essenziali e semplici mettendo in evidenza il lungo naso affusolato e la dolce espressione degli occhi. Il corpo sembra assumere una posizione rilassata, la figura sembra essere seduta in prossimità di un davanzale fiorito con lo sguardo rivolto verso l’esterno. L’accostamento della donna accanto ai fiori sembra voler mettere in evidenza il gentile sentimento che il pittore nutre verso la sua ultima compagna.


RECAPITI

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[1] La rivoluzione cubista ha inizio nel 1907 presso il quartiere parigino di Montmartre con Picasso, Braque, Lèger. Prende il nome dalla parola finale (“cubo”) di un articolo di Matisse; quest’ultimo aveva utilizzato tal espressione con una valenza negativa, poiché descriveva l’opera dei neonati cubisti come un processo che tendeva a ridurre tutto a schemi geometrici, a cubi appunto. In realtà non doveva essere questa particolare struttura geometrica, intesa nel suo aspetto delimitante a caratterizzare l’opera cubista, ma le sue diverse sfaccettature. Per questa sua complessità risulta difficile spiegare la poetica del Cubismo e le sue teorie culturali così complesse; di conseguenza solo gli interventi di alcuni protagonisti - artisti, intellettuali, critici - sono riusciti a mettere in risalto i tratti salienti di questa nuova coscienza artistica.

[2] Nigro Covre Jolanda Cubismo Milano, Mondadori 1991

Gli oggetti, pur mantenendo una morfologia cubica, aumentano le sfaccettature con il moltiplicarsi dei piani e quindi dei punti di vista. Braque e Picasso fanno uso di brani di scrittura da inserire nell'opera e introducono l'effetto trompe l'oeil, imitando le venature del legno.
I soggetti sono prevalentemente ritratti.
I colori, pur mantenendo una tendenza al monocromo, diventano metallici, leggeri e sfumati ai bordi.

[3] Ibidem.

Gli oggetti divengono sempre più immateriali abbandonando la forma reale per lasciar posto all'idea che ognuno possiede dell'oggetto. Il disegno si fa sempre più esile, lasciando ampi spazi vuoti che vengono riempiti dal trompe l'oeil, collages, inserti di scritte.
I soggetti sono prevalentemente nature morte.

La tavolozza si mantiene quasi immutata rispetto al periodo precedente, mentre aumenta l'uso del collage e la differenziazione dei materiali utilizzati: Braque usa il papier collé più rispondente al carattere mentale delle sue opere, mentre Picasso, più concreto, usa materiali plastici più forti, come ad esempio pezzi incollati di tela incerata che simulano l'intreccio della paglia di una sedia.

[4] Guillaume Apollinaire, Les peintres cubistes, Hermann, Paris, 1980.

[5] Picasso nasce il 25 ottobre 1881, di sera, a Malaga, in Plaza de la Mercede. Suo padre, Josè Ruiz Blasco, è professore alla Scuola delle Arti e dei Mestieri e conservatore del museo della città. Durante il tempo libero, però, è anche pittore. Si dedica soprattutto alla decorazione delle sale da pranzo: foglie, fiori, pappagalli e soprattutto colombi che ritrae e studia nelle abitudini e negli atteggiamenti - in modo quasi ossessivo - tanto da allevarli e farli svolazzare liberamente in casa. Si racconta che la prima parola pronunciata dal piccolo Pablo non sia stata la tradizionale “mamma”, ma “Piz!”, da “lapiz” che significa matita. E prima ancora di incominciare a parlare Pablo disegna. E gli riesce talmente bene che, qualche anno dopo, il padre lo lascia collaborare ad alcuni suoi quadri, affidandogli, strano il caso, proprio la cura e la definizione dei particolari. Il risultato sorprende tutti: il giovane Picasso rivela subito una precoce inclinazione per il disegno e la pittura. E il padre favorisce le sue attitudini, sperando di trovare in lui la realizzazione delle sue ambizioni deluse.

[6] Galluzzi Francesco, Pablo Picasso, Ed. Giunti,

[7] G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo, il primo Novecento e il periodo tra le due guerre, Ed. Paravia, Torino, 1994

[8] Galluzzi Francesco, op. cit.

[9] Sia nell'antica arte romana (in mosaici e dipinti murali basati su modelli greci) sia in quella medievale italiana si riconoscono composizioni assimilabili alla natura morta; con spirito differente, anche l'arte cinese e giapponese si interessarono agli aspetti del mondo naturale, ritraendoli con molta sensibilità. Tuttavia, la natura morta intesa come forma artistica indipendente è un fenomeno precipuamente occidentale, che conobbe particolare fortuna in area fiamminga; in Italia, si indica spesso come primo esempio una tavola (1504, Alte Pinakothek, Monaco) raffigurante una pernice morta e un paio di guanti d'armatura in metallo, opera del pittore veneziano Jacopo de' Barbari.

[10] Nel 1904 Pablo conosce Fernande Olivier sua prima compagna. Picasso la ritrae da subito: compare il suo profilo in qualche schizzo preparatorio per “L’attore”, oggi al Metropolitan Museum di New York, dipinto in pieno periodo “blu”, ma già vicino al successivo periodo “rosa”. L’immagine di Fernande torna qualche tempo dopo per opere incentrate su di lei: tra i vari ritratti spicca il “Nudo a mani giunte” di Toronto. Lasciata Fernande nel 1912, si unisce a Marcelle Humbert (Eva). In questi anni l’arte di Picasso è totalmente dominata dal cubismo ma comunque la presenza di Eva si fa sentire: in molte opere inserisce la scritta “Ma jolie”, parole del ritornello di una canzone popolare con cui l’artista chiama affettuosamente la giovane amante. Tra i quadri di questo periodo con tale caratteristica va citato il famoso “Donna con chitarra” del Museum of Modern Art di New York. Il 1917 è l’anno del balletto “Parade” a cui Picasso collabora. L’artista si innamora della ballerina russa Olga Koklova che sposa nel 1918, con testimoni d’eccezione: Apollinaire, Max Jacob e Jean Cocteau. Dai due coniugi nel 1921 nasce il piccolo Paul, primogenito di Picasso. Tra i numerosi ritratti di Olga, dipinti tra il 1917 ed il 1923, un posto di rilievo è sicuramente occupato dalla splendida tela del museo parigino intitolato all’artista che la vede seduta in poltrona con un ventaglio in mano. Nel 1927 conosce per strada, all’uscita delle Gallerie La Fayettes di Parigi, la diciassettenne Marie-Thérèse Walter. Picasso le rivolge una frase: “Mademoiselle voi avete un viso interessante e io vorrei farvi un ritratto. Noi potremmo fare delle grandi cose insieme. Io sono Picasso”. L’incontro segna l’inizio di una numerosa produzione ritrattistica di una delle più riprodotte modelle del pittore, di cui diviene ben presto una nuova fiamma. Nel 1934 si separa da Olga e compie un viaggio in Spagna con Marie-Thérèse: l’anno sucessivo nasce la seconda figlia del pittore spagnolo Maria de la Concepciòn, chiamata da tutti Maya. A Mougins, presso Cannes, nel 1936 conosce la fotografa jugoslava Dora Maar con cui passa molto. Picasso ritrae Marie-Thérèse e Dora in diversi quadri praticamente contemporanei, forse attirato dalle differenze delle due donne. Esplicativo a tal riguardo è l’esempio di due tele del Museo Picasso di Parigi dipinte entrambe nel 1937: in una la notturna Dora, bruna, unghie rosse, un occhio verde ed uno rosso, vestita con un corpetto nero ricamato; nell’altra la solare Marie-Thérèse, bionda, immersa in colori freddi e chiari. Le due in quegli anni compaiono in molte opere di vario genere, non solo dipinti, ma anche in sculture e ceramiche: Picasso sembra non stancarsi mai di ritrarle. Dora così diviene “la donna che piange” mentre Marie Thérèse “la donna che dorme”, così chiamate per l’atteggiamento predominante di ciascuna nella produzione artistica del loro amato, pur se difficile risulta riconoscere i loro lineamenti, data la forte scomposizione e distorsione cui Picasso le sottopone. Nel 1946 Picasso trascorre quasi tutto l’anno sulla Costa Azzurra con la pittrice Françoise Gilot, conosciuta tre anni prima. Da questa compagna avrà due figli, prima di essere lasciato nel 1953: nel 1947 Claude, nel 1949 Paloma. La relazione con Françoise vivrà uno spiacevole seguito una decina di anni dopo, quando verranno pubblicate le memorie della donna intitolate “Vita con Picasso”, che provocano la rottura tra il pittore e i due figli Claude e Paloma. Nel 1954 si lega a Jacqueline Roque con cui trascorre l’estate a Collioure e Perpignan: nel 1961 Pablo, ottantenne, sposa a Vallauris la sua ultima donna.

 

 

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