SCIUSCIA' A KABUL di Antonio Carella (1997)
PREMESSAHo scritto questo articolo nell'agosto 1997, di ritorno da un viaggio a Kabul, dove con una troupe televisiva ho realizzato un reportage per RAI 3. La trasmissione per cui ho lavorato era FILM VERO, che dedicò una serata al problema delle mine anti-uomo. L'Afganistan è uno dei paesi più colpiti al mondo da questa presenza devastante.
I dieci giorni trascorsi in quel paese hanno lasciato un ricordo forte e indelebile dentro di me.
Sono rimasto talmente colpito da ciò che avevo visto che sentii il dovere morale, appena tornato in Italia, di scrivere alcuni articoli che proposi a quotidiani e riviste. Nessuno mi diede risposta, nonostante facessi presente la gravità delle condizioni in cui vivevano gli abitanti di Kabul. Non c'è stato giornale, all'epoca, che ritenesse degno di attenzione un paese lontano da noi come l'Afganistan.Ho accettato di pubblicare questi articoli per L'ARCHIVIO perchè mi auguro possano contribuire ad una più approfondita riflessione sulle condizioni terribili in cui da più di vent'anni è costretto a vivere questo popolo che sta subendo una violenza dietro l'altra, prima dai sovietici, poi dai talebani, ora dai seguaci di Bin Laden e dagli americani. Quando, il popolo afgano potrà ritrovare un poco di pace?
oOo I loro sguardi ti inseguono dappertutto: in ogni angolo di strada, dietro le strade distrutte dalla guerra, fra le variopinte e povere bancarelle del bazar. Sono sguardi di un'innocenza violata dall'orrore della guerra.
I bambini a Kabul sono una presenza invadente: in una città praticamente devastata da 20 anni di guerra, dove la lotta per la sopravvivenza è pratica quotidiana, la loro è una testimonianza di speranza, ma anche un terribile atto d'accusa.
La maggioranza, nel migliore dei casi, ha perso qualche parente, molti sono senza padre o madre. La loro casa è la strada. Hanno dai 4 ai 14 anni. Ti avvicinano, ti rincorrono, ti circondano lanciandoti un'unica parola che è grido e invocazione: "bakhshish", che significa "regalo". Che cosa si può regalare quando la guerra ha rubato loro ogni cosa?
" Ho 14 anni - mi racconta Shir Zanan - e finora ho visto solo guerra... in famiglia siamo in otto. Mio padre è morto... cosa ricordo della guerra? l'esplosione delle mine... mi viene in mente mio cugino che è saltato in aria su di una mina mentre stavamo salendo su una collina... ha perso tutte e due le gambe... una si è spappolata subito, l'altra gliel'hanno amputata in ospedale... dopo qualche mese l'hanno portato in un altro ospedale dove gli hanno applicato delle protesi... avevo altri due cugini che lavoravano in città e sono stati colpiti da un razzo... son stufo della guerra... in Afghanistan se non ci fosse la guerra si starebbe bene... invece tutto è caro ed io fatico a trovare i soldi per aiutare mia madre..."
Molti si aggirano per le strade con dei grandi secchi ricolmi d'acqua, che faticano a portare. La vendono a chi ha sete, utilizzando come bicchiere un barattolo di latta. Ne incontriamo un paio, nella parte nord-ovest di Kabul, dove, ai piedi di una collina si erge uno dei più estesi cimiteri di guerra. Fra le tombe, disseminate come funghi, sventolano delle bandiere verdi, arancioni e bianche che indicano se il defunto è un soldato, una donna o un bambino. Veniamo circondati da un un gruppo di bambini, con l'aria timida e incuriosita.
" Mi chiamo Mirwaise... ho 10 anni, siamo in nove in famiglia.... mio padre non c'è più... vengo al cimitero tutti i giorni a vendere l'acqua... mio zio è morto durante un bombardamento, quando a Kabul governavano gli altri... nella mia famiglia non ci sono più uomini e mio nonno è vecchio... sono rimasto solo io a portare qualcosa a casa... prima dei combattimenti qui il cimitero era vuoto, poi si è allargato sempre più e si è riempito di tombe... la guerra porta solo morti... io non posso più studiare perchè devo pensare a mantenermi da vivere... mi piacerebbe studiare così potrei imparare un mestiere..."
" Anch'io vorrei che finisse la guerra - interviene una bimba di 8 anni con gli occhi spaventati - ho molti amici senza braccia e senza gambe a causa delle mine..."
E' nelle strade del centro di Kabul, dove c'è una parvenza di attività commerciale, con un bazar, delle bancarelle e dove si accentra la maggioranza della gente, ed è soprattutto dinanzi alle sedi delle delegazioni di ONG internazionali ( volontariato ), che si trovano frotte di sciuscià, di tutte le età che si offrono di pulire le scarpe agli occidentali, visto che gli afghani usano solo sandali.
" Mi chiamo Mazid, ho 10 anni - mi racconta uno sciuscià - siamo 6 in famiglia. Avevo un fratello più grande che è morto qualche tempo fa a causa di una bomba ed un altro più piccolo, che pulisce scarpe anche lui... mio padre è anziano non può più lavorare ...Noi prima stavamo a Kandahar... poi dopo i bombardamenti siamo venuti a Kabul... prima abitavamo fuori città... qualche mese fa ci hanno bombardato la casa ed ora ci arrangiamo in città.... no, non vado più scuola... come potrei? chi mantiene la mia famuglia?"
Salutandoci, con un sorriso lieve, gli sentiamo sfuggire dalle labbre un "ciao paisà".
Oltre a 20 anni di guerra e più di un milione di morti, l'Afghanistan ha un altro triste primato: la più alta mortalità infantile del mondo.