racconti - stories


 
"KABUL... PER SEMPRE"
di  Antonio Carella
(1997)
 
 

 
PREMESSA

Ho scritto questo articolo nell'agosto 1997, di ritorno da un viaggio a Kabul, dove con una troupe televisiva ho realizzato un reportage per RAI 3. La trasmissione per cui ho lavorato era FILM VERO, che dedicò una serata al problema delle mine anti-uomo. L'Afganistan è uno dei paesi più colpiti al mondo da questa presenza devastante.
I dieci giorni trascorsi in quel paese hanno lasciato un ricordo forte e indelebile dentro di me.
Sono rimasto talmente colpito da ciò che avevo visto che sentii il dovere morale, appena tornato in Italia, di scrivere alcuni articoli che proposi a quotidiani e riviste. Nessuno mi diede risposta, nonostante facessi presente la gravità delle condizioni in cui vivevano gli abitanti di Kabul. Non c'è stato giornale, all'epoca, che ritenesse degno di attenzione un paese lontano da noi come l'Afganistan.

Ho accettato di pubblicare questi articoli per L'ARCHIVIO perchè mi auguro possano contribuire ad una più approfondita riflessione sulle condizioni terribili in cui da più di vent'anni è costretto a vivere questo popolo che sta subendo una violenza dietro l'altra, prima dai sovietici, poi dai talebani,  ora dai seguaci di Bin Laden e dagli americani. Quando, il popolo afgano potrà ritrovare un poco di pace?

Foto Afganistan

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C'è qualcosa di lieve, ma al tempo stesso di fortemente radicato che emana dalla figura allampanata di Alberto Cairo, avvocato torinese di 45 anni, che da 8 anni ha scelto di lavorare come fisioterapeuta per la Croce Rossa Internazionale, in Afghanistan, un paese, dove, da 20 anni, l'unica cosa certa è la guerra.
Venuto improvvisamente alla ribalta grazie ad un articolo che su di lui ha scritto John Burns una delle più prestigiose firme del New York Times, Alberto Cairo appare ancor oggi sconcertato dal clamore che viene fatto intorno alla sua attività.
"Non sto facendo nulla di eccezionale - ci racconta - ho semplicemente seguito un richiamo della mia coscienza che mi diceva di fare qualcosa per gli altri... ma non occorre venire in Afghanistan per aiutare gli altri." Non sarà eccezionale quel che Alberto Cairo fa, ma sicuramente non è da tutti abbandonare un'avviata carriera nell'ufficio legale della SIP di Torino (ora TELECOM ), e decidere di fare il fisioterapeuta, prima in Sudan e poi in Afghanistan, perchè  si vuole dare concretamente una mano ad alleviare le sofferenze dei più bisognosi.
"Sicuramente l'educazione è stata importante per me... fin da piccolo i miei genitori mi hanno insegnato ad essere attento ai bisogni degli altri... ma il ricordo più vivido è quello di mia nonna... abitavamo a Ceva, un paesino del Piemonte e ogni giorno arrivava da lei qualcuno con richieste di aiuto... mia nonna accoglieva tutti, li ascoltava e a ognuno riusciva a dare qualcosa... fin da ragazzo mi sono sempre interessato di fisioterapia... un pò per hobby, un pò perche così potevo  aiutare gli altri... ricordo che ho cominciato andando ad assistere gli anziani  negli ospizi e al Cottolengo di Torino e poi, a 28 anni,  dopo essermi laureato in legge  ed aver iniziato a lavorare con successo nell'ufficio legale della SIP... ho deciso di abbandonare la mia professione e di frequentare una scuola di fisioterapia a Bosisio Parini, in provincia di Lecco, una delle migliori in Italia... Terminata la scuola dopo due anni, ho fatto un pò di specializzazione in Francia ed Inghilterra  e poi ho iniziato... ma il mio vero desiderio era di andare a lavorare nel Terzo Mondo ed è quanto mi è successo..."
Alberto Cairo è diventato un punto di riferimento importante per i 350 mila amputati  afghani, vittime di mine o bombe. Si calcola che in Afghanistan siano 10 milioni le mine disperse nel territorio, molte di fabbricazione italiana. In 8 anni "mister Alberto", come lo chiamano i suoi pazienti, ha contribuito a costruire per la CRI tre centri di ortopedia nelle tre città più importanti dell'Afghanistan, Kabul, Herat, Kandahar.
"Noi qui accogliamo tutti senza nessuna discriminazione e non potrebbe essere diversamente... di fronte ai danni che la guerra produce si è tutti uguali."
"E' il padre di tutti noi amputati "  ci ha  detto uno dei suoi pazienti, a Kabul. In effetti Alberto Cairo per queste vittime della guerra  è una specie di nuovo padre, che insegna loro a ritrovare la gioia di camminare o di usare le braccia, con lo stesso amore che un padre potrebbe avere nei confronti del proprio figlio.
"E' molto più importante quel che ricevo io, di quanto io faccia per loro - confessa Alberto - questa gente ha risorse incredibili. E' la loro voglia di vivere,  di riuscire a ritornare, in qualche modo, normali, la molla che ci fa andare avanti. Molti di loro quando ricominciano a camminare piangono dalla gioia..."
Alberto Cairo non sente la nostalgia dell'Italia, anche se la vita a Kabul è tutt'altro che facile. Da 20 anni  in città alle otto di sera scende il coprifuoco e le per le strade deserte  si odono risuonare soltanto i colpi della contraerea e dei kalatznikov. Dal 1994 sono al potere i talibani, un gruppo di studenti integralisti islamici che controllano ormai l'80% del paese. I loro oppositori  sono tutt'altro che rassegnati alla sconfitta; così la guerra continua, è guerra civile. I talibani non hanno portato la pace, ma hanno abolito la televisione, vietato la musica, escluso le donne da ogni attività civile e sociale.
" Con l'arrivo dei talibani le cose per noi non è che siano cambiate di molto. Continuiamo a lavorare come prima. Certo mi manca la televisione, come mi manca il cinema o la possibilità di uscire di sera con gli amici, ma sono così tante le cose che ho da fare che non ne sento il bisogno. " La vita affettiva? " Io sono un solitario per natura, e poi ci sono tanti modi per colmare i vuoti affettivi... se faccio un bilancio fra ciò che ricevo in calore e umanità ogni giorno e quello che dò e di cui ho bisogno, ebbene alla fine chi ci guadagna sono io e di molto."
L'entusiasmo di Alberto è contagioso. E' questo suo entusiasmo e i successi da lui ottentuti, in un paese dove la guerra ha procurato finora un milione di morti,  che hanno costretto i funzionari della Croce Rossa internazionale a rivedere una delle loro norme disciplinari, che prevede una permanenza in uno stesso paese per un periodo non superiore ai due anni. Per "mister Cairo" hanno fatto un'eccezione: potrà rimanere in Afghanistan ancora per molto e continuare la sua attività senza correre il rischio di essere trasferito a prestare il suo aiuto in qualche altro paese.
" Può sembrare strano, ma io qua mi trovo bene... faccio un lavoro che amo... so di essere utile agli altri... sì i disagi sono molti... continuiamo a vivere con la guerra... ma l'importante è conoscere i propri limiti e non chiedere l'impossibile a se stessi... spero proprio di non dovermene mai andare.. .e poi gli afghani hanno qualcosa in comune con noi latini... sono vivaci, gesticolano come noi... se mi facessi crescere la barba verrei scambiato per uno di loro..." C'è sincerità ed orgoglio in queste sue parole e mentre ci saluta e ci chiede le ultime notizie su quel che sta accadendo in Italia, "Mi mancano un poco i film". Poi, quasi vergognandosi di questa leggerezza, scompare dietro la porta dell'ambulatorio.


 
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