racconti - stories


 
La strada del cimitero
di  M. Trial

 

Presentazione:
Siete mai incappati nella letteratura del periodo, così chiamato, Decadentismo? E vi è capitato in periodo adolescenziale? Se ne siete sopravvissuti, l'avete mai riscoperta dopo anni accantonata in qualche angolo della casa insieme ad un fumetto di Topolino?

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LA STRADA DEL CIMITERO
liberamente ispirato ad un racconto di Thomas Mann, sperando che non si adiri
di Marck Trial

La strada del cimitero correva parallela allo stradone e lo costeggiava sempre, fino alla meta, cioè fino al cimitero.
Era una strada in salita cosparsa di ghiaia, il che le conferiva un piacevole aspetto di sentiero. Era primavera, quasi estate, un po' più primavera che estate, e la terra sorrideva, il cielo sorrideva. Il sole irradiava allegro da quel paesaggio bucolico, e le rondini si rincorrevano chiassose, felici nel tepore dell'aria.
Insomma, tutto era gioia! E tutto sembrava essere fuori luogo su quella strada del cimitero, tutto fuorché... un uomo.
Camminava adagio, a capo chino, appoggiato ad un bastone nero. Quell'uomo si chiamava Piepsam, Graziadio Piepsam, proprio così. Lo può confermare il mio maestro! E ne diciamo il nome, perché poi si comportò nel modo più strano.
Piepsam era vestito di nero, portava un cilindro peloso nero, la giacca resa un po' lucida dal logorio del tempo, i pantaloni troppo stretti e corti ed un paio di guanti neri consunti.
Ora... l'uomo, invece, era pallido. La sua magrezza aveva ottenuto grandi successi sul suo corpo: sulle sue guance, dove si stendeva una barba lunga di quattro giorni tutta sale e pepe; e sul collo, dove aveva lasciato come monumento a ricordo delle sue campagne vittoriose un gran pomo d'Adamo sporgente. Tale sporgenza aveva un rivale solo nel naso: un bell'esemplare aquilino,... ma rosso! Era una vera anomalia in quella scala cromatica. L'insieme era un perfetto equilibrio di contrasti evidenti, esenti da ogni colore. Un giusto alternarsi di chiaroscuro, magistralmente ritmata... poi arriviamo al volto e tàh! Semaforo rosso!
Bene, ora che siamo al volto immaginate la bocca. Una bocca con labbra sottilissime, quasi inesistenti, e da tempo incurvate verso il basso... forse per solidarietà con l'insieme.
E gli occhi... avete un'idea di com'erano gli occhi?
Neri chiaramente, ma infiammati!
Insomma al mio maestro di vita tale uomo gl'ispirava la più viva simpatia. Ed io non ho mai osato contraddirlo... ma vi giuro che un tipo simile avrei paura ad incontrarlo da solo di notte... di giorno, di pomeriggio, sera, al bar ed in chiesa.
Secondo il mio maestro l'aspetto di Graziadio Piepsam non era, però lieto. E mal si adattava a quell'incantevole mattina.
Ed io adoro queste cristalline deduzioni del mio maestro, che mi fanno sentire allievo prima e uomo poi.
Piepsam, mi diceva il maestro, prima di tutto beveva! Poi... era vedovo, solo e derelitto e nessuno lo amava molto. Sua moglie... era morta sei mesi prima per dare alla luce un bimbo... nato morto. Però, Piepsam, aveva avuto da lui due figli nati vivi, vivissimi... ma morti più tardi: uno per difterite, e l'altro... (oh Dio!)... non si sa... forse per simpatia.
Io, vi giuro, mi sento un verme a fare il cronista di  una simile storia... più volte ho cercato di sviare il mio maestro da questo capolavoro del dolore per sdrammatizzare il tutto.
Si può dire che l'intera famiglia di Piepsam era al cimitero.
Ed io, disperato, bianco in volto e con gelidi rivoli di sudore sulla fronte e sulla schiena, mi facevo coraggio abbozzando un sorriso e chiedevo se per caso Piepsam si stesse recando ad una funzione famigliare.
Il mio maestro odiava queste uscite.
Esplodeva in un urlo lancinante e paonazzo in volto mi rimproverava:
-il dolore! Tu non conosci il dolore!- e giù una valanga di riferimenti: S. Antonio Abate, le torture dell'inquisizione spagnola, l'attimo del condannato a morte prima della "dipartita"... .
 Si placava solo quando mi vedeva terrorizzato in un angolo. Poi, con magistrale flemma, riprendeva il racconto come se non fosse successo nulla.
Ah! Piepsam aveva perso il lavoro per il bere. Scambiava, forse, i calamai per fiaschi mignon... ma questo non l'ho chiesto al maestro.
Devo riconoscere che quello che cercava d'inculcarmi il mio maestro, era di non farmi sfuggire la sfumatura della vita.
Una sventura cambia l'individuo, ma non si può sapere in quale direzione. Può darsi in meglio, può darsi in peggio. Può darsi che una serie di sventure, ben attrezzate come un battaglione di marines, può uccidere la dignità umana...
Ed era in momenti come questi, che il mio maestro assaporava l'attimo. Sembrava gustare, guardando in alto, una torta di crema e pan di spagna. Poi l'occhio, quello più favorito verso la vittima, aveva un guizzo. Guardava di traverso il malcapitato... (dal sabato pomeriggio al lunedì sera toccava sempre a me.).. e declamava:
- E' sempre bene conoscere un po' queste cose!
Il mio maestro aveva ragione quando mi ricordava che è inutile che l'uomo affermi la propria innocenza di fronte a se stesso.
Che cerchi, disperatamente, di autoconvincersi che non è responsabile del suo stato e che c'è sempre un fattore esterno a dare una brutta svolta alla sua vita. E' più facile identificare un nemico "esterno", che riconoscere allo specchio la vera causa. Può cercare di camuffare questa situazione, ma il suo vero "io" conoscerà sempre la verità. E si consumerà lentamente senza rendersi veramente conto di avere già in mano la chiave per uscirne. Per lo più, si disprezzerà proprio perché è infelice. Diviene un ciclo chiuso, un serpente che si morde la coda.
Piepsam, beveva perché non aveva stima di se stesso, ed in questo dolore cercava oblio nell'alcool. E come ultima via di fuga teneva in casa, nascosta nell'armadio  insieme agli abiti lisi, una piccola ospite. Silenziosa, immobile, paziente, ma pronta ad entrare in azione al momento adatto. Era una piccola bottiglietta con uno strano liquido giallo...
-Un limoncello...?- non resistetti dal chiedere incoscientemente. Nella penombra della stanza si videro gli occhi del maestro accendersi di un rosso vivo, ed il biancore dei denti si stese in un ringhio funesto:
-E' precauzione non conoscere la sua natura!- poi si eresse in tutta la sua figura torreggiante e minacciosa, ed in un soffio aggiunse: -Non sono piacevoli queste storie, ma sono istruttive!-
Ecco, sovente, cosa mi ritorna in mente in questi giorni: storie come quella di Piepsam sono istruttive. Il dolore è istruzione... e l'istruzione è dolore.
Un ciclo chiuso, per l'appunto. Soltanto l'espiazione porta ad alti livelli di conoscenza. Le sventure forgiano l'uomo e aprono gli occhi sugli aspetti rilevanti della vita.
E a volte mi ritrovo a guardare dalla finestra della mia camera con espressione attonita e due occhioni sgranati in una muta domanda: "...e perché?".
Mi stupisco sempre meno, allora, al dilagare di una bassa cultura (ignoranza, come diceva il mio maestro). Soffrire per cosa? Per avvicinarsi alla conoscenza? Avere una raccolta di sventure per essere migliore? ...ma io vado in discoteca!
Ed ecco i due mondi che si incontrano:
Piepsam, che non aveva seguito bene le lezione del dolore e che si andava perdendo verso gli esami di riparazione; e un ciclista spensierato, un ragazzo che arrancava dietro di lui scampanellando allegro per chiedere strada.
Drin, drin! Drin, drin! Via dalla città e da quel "scassamarroni" di professore! La campagna, l'aria primaverile! Drin, drin! Camicia a fiori coloratissima, pantaloncini bianchi e sandali! In testa un bel berretto a scacchi marroni, con una visiera che avrebbe fatto schiattare d'invidia un papero! Drin, drin! Ehilà, "Mortimer", mi fai passare?
La Vita Giuliva era piombata alle spalle della Vita Triste, e con tono assordante gli chiedeva: "va tutto bene, allegrona?"
Era un diretto. Un treno merci improvviso. Fu un impatto così violento che stordì Graziadio Piepsam. Era rimasto paralizzato in mezzo alla strada, non riuscendo a realizzare cosa succedeva. Il ciclista, un po' seccato, dovette sterzare con difficoltà sulla ghiaia per passare. Guardò con aria irritata Piepsam quasi volesse dirgli "antipatico!" e via! L'oltrepassò come non avesse una relativa importanza su questo mondo complicato.
Piepsam guardò rapidamente la matricola della bicicletta nuova fiammante, allora equivaleva ad una targa di veicolo e si poteva risalire al proprietario.
-Numero 9707!- disse con enfasi Piepsam, e guardò per terra.
Con un po' di disagio, sentì salire lo sguardo di quella Vita Giuliva verso di lui.
-Prego?- domandò.
-Numero 9707!- ripeté Piepsam: -oh, nulla! Io la denuncerò!-
-Mi denuncerà?- chiese esterrefatta la Vita Giuliva: -E perché?-
-Lo sa benissimo.-
-Oh no. Non lo so.-
("Perché io sono sfigato in una maniera tremenda e tu no!" Avrei voluto interrompere il maestro con questa battuta. Ma un qualcosa dentro ed il racconto che si andava dipanando in un fiato, mi fecero trasalire.)
-Non faccia il finto tonto, lo sa benissimo!- ribatté Piepsam.
-Uffa! Non lo so e non mi interessa minimamente.- replicò la Vita Giuliva. E riprendendo a pedalare lo salutò: -Buona giornata, comunque!-
Bada!! Il ciclista era più sarcastico di me! un  autentico incosciente! "Buona giornata" a Piepsam!!!
Il saluto fu come un colpo al di sotto della cintura, e Graziadio Piepsam rimase un attimo senza fiato.
-Se in quel momento avessi visto la faccia di Piepsam ti saresti spaventato!- sottolineò il mio maestro avvicinandosi con portamento teatrale.
"Già fatto!" pensai io, fingendo vigliaccamente di prendere appunti.
Questa "Vita Triste", qual'era Piepsam, sbarrò gli occhi. Inspirò profondamente, e si getto dietro alla Vita Giuliva. In
poche falcate la raggiunse, e si attaccò alla tasca del sellino. Si creò un groviglio di corpi: la Vita Giuliva che cercava di mantenere l'equilibrio, e la Vita Triste che sembrava farsi prendere a rimorchio, come se volesse scorrazzare un po' anche lei.
Sììì! Anch'io in bicicletta! Nell'aria libera! Dirotta su Cuba, evviva!!
Ma non fu l'enfasi a guidare la Vita Triste. La bicicletta si inclinò, e i due ruzzolarono per terra.
-Mascalzone!!- sbottò in un crescendo minaccioso la Vita Giuliva: - La concio per le feste, capito? Ne prenda nota!- ed alzandosi diede una berrettata in testa  a Piepsam che cercava ancora di articolare i suoi arti. Poi volse la schiena, si calcò stizzosamente il berretto da papero in testa, alzò una gamba per rimontare in sella, e contemporaneamente...
-"... avea del cul fatto trombetta" verso Piepsam!-
-...come, maestro?- feci io perplesso.
- Uh?- il maestro mi degnò di un attimo d'attenzione rilassata.
-...mi scusi, maestro, ma non credo d'aver interpretato bene una delle frasi...-
-Mai sentito parlare del Grande Maestro Dante Alighieri?-
Rimasi un attimo in silenzio, cercando disperatamente con la memoria in quell'archivio caotico che è la mia istruzione.
Rovistai, metaforicamente, diversi cassetti prima di trovare il riferimento. E finalmente esultai:
-Ah, una loffa!-
Non avrei dovuto dirlo, lo so! Me lo sarei dovuto tenere per me, lo so! Il maestro sbiancò e avvicinò il suo sguardo come chi ha appena individuato un marziano.
-...loffa?- sibilò.-
-...bhe, maestro... ha cominciato lei!- mi difesi ingenuamente incastrato in quel maledetto angolo.
-LLLLLOOOOOOFFFFFFFFFFFFFAAAAAAAAAAAHHHH...?- il viso del maestro mi era vicinissimo, e sembrava sgonfiarsi come un pallone. Il biancore si spostava con decisione verso un rossore cupo, e gli occhi uscivano piano piano dalle orbite come ciliegie mature. Temetti veramente che ci fosse rimasto.
-Chi t'insegna simili termini, insignificante, rozzo, puerile, repellente, pseudo-adepto?-
Sono questi i momenti che vorresti essere solo una suppellettile o una decorazione dell'arredamento presente, come dire: "Chi io? No, no, si sbaglia!... Non ho parlato... sono una poltrona! Una poltrona che parla!"
- Conosci tu essere pusillanime, l'attimo in cui la vita diviene sgarbata? Riesce il tuo misero cervello a concepire il confine tra ragione morale e realtà inusuale? Sapresti spiegare la motivazione di come una situazione giusta può divenire intoppo scomodo non permettendo così una vita facile? Riusciresti ad essere giudice imparziale distinguendo tra rettitudine e faciloneria senza sentirti offeso dall'ingiuria di "moralista"?
Come mai da uno stato di ragione si può scivolare immediatamente nel torto? Chi stabilisce e rivoluziona i principi morali a suo interesse, e perché si segue tale falso profeta in questa strada di comodo, liberi da ogni dovere? E perché si abusa dei doveri, dimenticando consciamente, i diritti degli altri?
Ero seppellito! Non riuscivo a ribattere a quella valanga di principi, e ricordo che riuscii solo a pensare: "Speriamo di non soffrire molto!"
- Piepsam urlò solo in mezzo a quella strada ricoperta di ghiaia! Mentre la Vita Guliva si allontanò sbeffeggiandolo, Piepsam urlava "Lei smonta! smonta immediatamente, capito? Questo è un luogo di dolore!Qui la gente soffre e bisogna portare rispetto! Non c'è nessuno che lo butti nella polvere quel miserabile? Va a passeggio, eh? Sulla strada del cimitero! Ed è pure allegro! Ma di cosa diavolo deve essere allegro? Tiratelo giù quel dannato bell'imbusto! Perché...? Perché lui è felice ed io no? Ti avessi tra le mani! Il diavolo ti freghi, dannato incosciente! Incosciente! Incosciente!
Piepsam schiumava e vomitava le oscenità più turpi, mentre si agitava sempre più freneticamente. Dallo stradone parallelo si avvicinarono, incuriositi, tre bambini con un grosso cesto ed un piccolo cane che accompagnò abbaiando le urla di Piepsam.
Alcuni operai intenti a costruire dentro al cimitero una nuova palazzina di loculi, iniziarono la loro pausa di mezzogiorno gustando i loro panini assistendo alla scena.
Piepsam continuava a smaniare, e andava di male in peggio.
Cieco e furente, agitava i pugni verso il cielo e in tutte le direzioni. Dimenava le gambe, girava intorno a se stesso, piegava le ginocchia e poi si drizzava di scatto. Il cilindro nero volò via nelle sue acrobatiche piroette, e poco più in là passò una schiera di soldati della caserma vicina.
Cantavano a squarciagola motivetti militari, ma le urla di Piepsam erano più potenti.
-Venite tutti qui!- urlava Piepsam riuscendo ad ammutolire i soldati: -Non voi, non soltanto voi, anche quelli coi berretti a papero e le camicie a fiori! Vi griderò nelle orecchie verità che vi faranno rabbrividire in eterno, miserabili sventati!-
Ormai lo circondava una folla considerevole: il signore da ritorno dal mercato, i bimbi con la cesta enorme, il cagnolino (bau!, bau!), i soldati ancora in riga, ma esterrefatti. Gli operai che mangiavano silenziosi seduti sul tetto della palazzina in costruzione. In questa esplosione di rancore contro la vita stessa, di superficialità e di stupore, Graziadio Piepsam pestò più volte il suo peloso cilindro e con un calcio lo spedì in cielo. E mentre quello strano ammasso nero volava Piepsam ebbe un guizzo, scattò in un attenti che avrebbe fatto invidia al sergente della piccola schiera di soldati, puntò un dito nella direzione dove era sparita la Vita Giuliva ed urlò: - Turista!
Poi stramazzò al suolo. Il cilindro accompagnò la  sua caduta sulla bianca ghiaia, e la folla rimase un attimo perplessa ed immobile: era tutto finito?
-Ed in questa rappresentazione da teatro delle scimmie, sai tu dirmi, oh adepto, quale E' la morale?-
Il mio maestro era, ormai, un bagno turco, ed io ero quasi diventato un rotolo di carta da parati, appiccicato com'ero alla parete. Ma dovevo pur rispondere per placare quella furia che usciva come fumi dragheschi dalle narici del maestro, ed ecco la mia incoscienza che si fa ancora strada:
- ...maestro...
- Ssssìììì??
- ...maestro, lei... mi fa paura...!
E subito qualcosa d'insolito accadde all'improvviso. Il silenzio piombò sulla sala come un mattone sull'impasto di farina della governante. Il mio maestro strabuzzò gli occhi, come se un lampo gli fosse passato di fronte. Si drizzò come una molla e lentamente si girò e tornò a sedersi. Io rimasi a guardarlo dal mio angolo ancora timoroso, poi lui prese con lo sguardo assente un'albicocca dal cesto di frutta, e sovrappensiero l'addentò.
Io dovevo assolutamente andar via, ed abbozzai ancora tremante:
- Maestro...
- ...sì?- fievole risposta di lui.
- Maestro... io andrei...
- Oh, vai caro... vai
Mi alzai cercando di fare il meno rumore possibile, e mi avvicinai alla porta.
-Mi raccomando divertiti!- mi augurò all'improvviso  agghiacciandomi sulla maniglia, poi lesto l'aprii e sulla soglia dissi;
-Si maestro, grazie... farò un salto in balera a salutare gli amici!- e via! In un sol balzo sgattaiolai fuori, non senza sentire il nocciolo dell'albicocca frantumato dai denti del maestro.
Poi, fuori, tolsi la catena alla bicicletta e gettai un'occhiata distratta alla matricola: numero 9706!
Accidenti! Ancora un numero ed avrei conquistato il MIO Paradiso.
 
 

 M. T.
    a
 T. M.

                                                                                                maggio 1995


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