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Via Rasella
L'altra faccia delle Fosse Ardeatine
INCONTRO CON
ETTORE GALLO
EX PREDIDENTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
LE INTERVISTE
di Enzo Cicchino
DOPO MEZZO SECOLO
L'INCONTRO
CON
I PROTAGONISTI
(1994)
Adattamento ed elaborazione dall'intervista originale realizzata dal regista Enzo Cicchino nel corso della sua inchiesta sull'azione partigiana di Via Rasella e andata in onda per il programma della RAI TV- MIXER di Giovanni Minoli.
D.: Cosa si intende nella tradizione giuridica europea per -RAPPRESAGLIA-?
La rappresaglia è un vero e proprio istituto giuridico che viene dal Medioevo, cioè dal tramonto dell'Impero Romano; quindi nasce dalla giustizia, diciamo... latina, ed ha avuto una sua base giuridica. Era disciplinata già da trattati di carattere medievale, da intese tra i piccoli Stati che allora attraverso il feudalesimo si formavano, scomparivano, si riaccorpavano nell'Italia di quei tempi. È un istituto giuridico che in sostanza come tale ha avuto la sua disciplina, le sue regole giuridiche. E a questo ci si deve attenere se si vuole che poi, insomma, anche la guerra, che è uno degli istituti che contraddice la civiltà, conservi in qualche modo una parvenza civile.
D.: Quali sono queste regole?
Innazitutto è da chiarire che pur prendendo in considerazione tutte le convenzioni elaborate intorno a questo istituto esse oggi sono inaccettabili e del tutto contrarie a quanto stabilito dalle Nazioni Unite. Addirittura una rappresaglia risulterebbe impensabile. Sta di fatto, tuttavia, e purtroppo! le rappresaglie continuano, perché in fondo, quando si vanno a bombardare le basi dei terroristi in altri Stati, questa è una forma di rappresaglia.
In realtà ogni forma di rappresaglia andrebbe sostanzialmente bandita dall'ordinamento internazionale.D.: Quale era la situazione durante la Seconda Guerra Mondiale?
All'epoca della Seconda Guerra Mondiale, queste nuove regole non esistevano. Quelle che c'erano, erano state stabilite dalla Società per le Nazioni, o erano di carattere pattizio, cioè stabilite fra Stato e Stato.
Vediamo un primo aspetto.
Innanzi tutto la rappresaglia non è un rapporto fra lo Stato occupante e il cittadino, fra lo Stato belligerante e il cittadino, ma in sostanza è un rapporto fra Stato e Stato. Quindi, la responsabilità dell'atto illecito compiuto da uno dei belligeranti risale allo Stato di quel belligerante, quindi è nei confronti di quello Stato che la rappresaglia andrebbe espletata.D.:E come invece fu intesa ed applicata dalle truppe naziste nel caso di Via Rasella?
Qui la situazione era complessa. Perché qui, sul territorio dove si svolgevano queste cose, c'era uno Stato che era stato istituito dai tedeschi, che noi chiamiamo Stato fantoccio, noi diciamo che non aveva legittimità però aveva una sua esistenza di fatto, che, in definitiva, proprio per il suo essere di fatto, spiegava degli effetti giuridici di fatto.
Supponga il decreto del Governo che non venga poi dalle Camere convertito in legge: decade. Però, come situazione di fatto ha conseguito degli effetti giuridici che vanno rispettati. Difatti, le Camere salvano sempre gli effetti giuridici, pur se non sempre i decreti.
Così, in questa situazione internazionale del 1944, la Repubblica Sociale Italiana, che era sicuramente un governo di fatto instaurato dai tedeschi, di fatto svolgeva una sua attività e quindi creava dei rapporti e degli effetti giuridici.
In Italia però -se vogliamo applicare la regola che definisce la rappresaglia come rapporto fra Stati- c'era una situazione stranissima!
Responsabile di quello che accadeva nel territorio occupato dai tedeschi, era lo Stato a cui apparteneva di fatto quel territorio legittimamente, in questo caso la Repubblica Sociale Italiana, che era anche uno Stato legittimamente riconosciuto dai tedeschi.
Qualunque episodio sarebbe accaduto sul territorio controllato dal governo di Mussolini dunque, sarebbe ricaduto sotto la sua responsabilità, vale a dire sotto la responsabilità della Repubblica Sociale Italiana che i tedeschi stessi avevano legittimato e riconosciuto.
Dunque lo Stato che avrebbe dovuto rispondere nei confronti dei tedeschi di quanto era accaduto a Via Rasella, sarebbe stato la Repubblica Sociale Italiana, perché era quella che deteneva il governo, sia pure di fatto, in quello Stato!
Ed è chiaro che tutto questo era assurdo. Era impensabile che i tedeschi se la potessero prendere con il loro Stato protetto ed alleato, anche perché sapevano benissimo che erano proprio i nemici di quello Stato che avevano compiuto quell'azione di via Rasella.D.: Ma in Italia c'erano due stati, uno a Nord, governato ufficialmente da Mussolini, uno a Sud dal Re?
Certo, quasta è un'altra delle questioni che si pose il tribunale militare e il tribunale supremo militare nel processo contro Kappler.
Invece che la Repubblica di Salò, forse non avrebbe dovuto rispondere invece dell'accaduto lo Stato Italiano del Sud, il cui Governo fu poi considerato legittimo, successivamente!?
Ma lo Stato del Sud come poteva rispondere di ciò che avveniva in un territorio occupato proprio dal nemico che aveva ricevuto il danno e che egli non poteva controllare!?
Si potrebbe soggiungere: sì, non poteva controllarlo però in fondo aiutava i movimenti partigiani. C'erano quei famosi lanci di munizioni, di armi, quindi sotto questo aspetto una certa responsabilità poteva esser vista, però in fondo era un aiuto così sporadico che solo in un momento successivo avrebbe sortito qualche effetto. All'epoca dell'attacco di via Rasella ancora non esisteva questo legame vero e proprio tra il movimento di liberazione, di resistenza e il governo del Sud.
Questo legame è venuto successivamente, lentamente, un po' obtorto collo, ed è avvenuto attraverso intese col Comitato di Liberazione Alta Italia, il cosiddetto CLAI, accordi che intervenivano col governo legittimo del Sud. In un primo tempo neppure con gli Alleati, che non volevano riconoscere questo movimento partigiano, anche perché con i movimenti partigiani avevano fatto brutte esperienze in Grecia, quindi un po' ne diffidavano.
Poi, successivamente le cose andarono diversamente ma in un primo tempo c'era questa diffidenza. Però, in ultimo, poi anche gli Alleati diedero il loro assenso a queste intese: nel senso che -al Nord- i Comitati di Liberazione avevano praticamente il governo e la conduzione della lotta contro i tedeschi, quindi erano i rappresentanti del governo legittimo italiano.
Da questa situazione giuridica indistricabile, quindi, nella sostanza sarebbe stato impossibile individuare un qualunque trattato, accordo, patto fra stati che contemplasse e potesse legittimare la terribile scelta fatta dai nazisti in quella particolare circostanza. Essa non aveva alcun appiglio giuridico, fu fatta deliberatamente, con una decisione di parte.D.: Tornando alla RAPPRESAGLIA delle Fosse Ardeatine si è messa in evidenza molte volte la 'non proporzionalità'!
La proporzionalità era una condizione essenziale che non poteva essere ignorata in modo assoluto. Era previsto espressamente che la rappresaglia dovesse avere un contenuto di proporzionalità e non superiore rispetto alla lesione che il nemico aveva ricevuto. Ecco, questo era inderogabile! e infatti le sentenze dei tribunali militari in qualche modo superano perfino le altre questioni dicendo: bè, insomma, questi qui in qualche modo si dovevano difendere, però quando arrivano a questo punto dicono: -ma non c'è stata la proporzione-!.
Perché il discorso dell'1 a 10 è un discorso che sta nella mente feroce dei nazisti, nella prassi che esercitavano, non sta in norme giuridiche.
D.: Nel dopoguerra quale fu allora la strategia processuale di Kappler?
Kappler aveva una munita difesa giuridica, avvocati di valore. E capì presto - anche perché il Pubblico Ministero contestava le cose che diceva - che doveva abbandonare la linea principale della vera e propria rappresaglia perché mancava la legittimazione; fra l'altro le vittime non erano nemmeno legate da un rapporto di contingenza a quello che era avvenuto perché erano in prigione da tempo, facevano sì parte della lotta di liberazione, ma ne tagliati fuori, in sostanza. Eppoi c'erano degli ebrei che erano stati arrestati solo perché tali e quindi non c'entravano proprio!
La difesa di Kappler, una volta resasi conto che da un punto di vista tecnico -Non esiste, l'atto internazionalmente illecito riferibile al Governo legittimo italiano e conseguentemente già per questo la rappresaglia era illegittima- ha allora subordinatamente sostenuto che potesse trattarsi di un'altra misura coercitiva che si chiama repressione collettiva e che è disposta dall'occupante ai sensi dell'articolo 50 del regolamento dell'Aja. Quindi, invocava una norma internazionale. Però, questo articolo 50 invocato, dispone - è scritto in francese, lo traduco - "che nessuna pena collettiva, pecuniaria o di altro genere, potrà essere stabilita contro le popolazioni a causa di fatti individuali di cui esse non potrebbero essere considerate come solidarmente responsabili".
Allora, intanto, si tratta di vedere che significa "pena pecuniaria o altre".
Bè, è difficile pensare che, mettendo come voce principale la pena pecuniaria, poi l'altra potrebbe essere la pena di morte! non è pensabile che l'articolo 50 avesse indicato la pena di morte, quindi già questo scartava un eccidio di quel genere.D.: Quale sarebba la natura giuridica appunto di questo articolo?
Questo articolo 50 è inserito negli articoli che vanno ovviamente dal 48 al 53, che riguardano "il prelevamento di imposte e contributi, la richiesta di prestazioni e le requisizioni pretese dall'autorità militare occupante sul territorio nemico occupato". Ora, è impensabile che per la violazione alle requisizioni, ecc. addirittura si pensi alla pena di morte, ad un eccidio del genere. E' chiaro che quando l'articolo 50 parla di pene pecuniarie, vuol dire che si tratta di infrazioni di scarso valore e intensità, in sostanza, e quindi mai punibili con una pena del genere.
Ma poi mancavano le condizioni per una repressione collettiva, in quanto dovevano essere considerati, come dice l'articolo, "solidarmente corresponsabili". Ora, che si possa parlare di una corresponsabilità etica perché quelli pure erano membri della guerra di Liberazione; che si possa dire degli ebrei che psicologicamente, certo, non erano a favore dei tedeschi; ma non era affatto possibile che fossero "solidarmente corresponsabili" di quello che era accaduto a via Rasella! Questi non ne sapevano niente, quindi è inaccettabile sul piano giuridico un principio di solidarietà corresponsabile addirittura da parte di gente che era in galera da tempo o da parte di ebrei per il solo fatto che erano ebrei.
Che i fucilati non c'entrassero per nulla lo sta a dimostrare il fatto che erano rinchiusi in carceri diverse, erano imputati di tutt'altra natura e addirittura, come gli ebrei non erano colpevoli di nulla.
D'altra parte, poi, per Diritto Internazionale, non può farsi luogo a repressione collettiva se non esista una previa norma dell'occupante che la preveda espressamente, specificando la specie di pena in relazione a una certa casistica tipica". Cioè l'occupante, se vuole applicare l'articolo 50 di repressione collettiva, e deve riguardare un'intera comunità non persone singole, deve previamente stabilire i casi e la pena che vuol dare. E invece tutto questo non c'era, anche perché i tedeschi avevano altro da pensare che stabilire queste cose, anche perché erano infrazioni minime, non gliene importava niente.
In conclusione, quando la difesa di Kappler si attacca a questa subordinata, non tiene conto che l'articolo 50 era del tutto inapplicabile in una specie del genere.D.: Tirando le somme, gli argomenti dei tedeschi come sono da giudicarsi ?
Beh, non è che dal loro punto di vista non avessero ragioni per fare quello che hanno fatto.. Solo che erano ragioni che in parte erano fondate soltanto su di una prassi che non aveva alcun valore giuridico e che purtroppo era una prassi feroce, una prassi di sangue: quel famoso rapporto di 1 a 10 non esiste nelle convenzioni internazionali. Esiste il contrario.
D.: Mi può chiarire ancora una volta come è nato il concetto giuridico di RAPPRESAGLIA e come esso in effetti sia molto diverso da come lo applicarono i nazisti?
In effetti, nel diritto internazionale, nelle convenzioni pattizie, esiste questo concetto. Così, genericamente, naturalmente; discorsivamente, diciamo. Perché? Perché la rappresaglia è un vero e proprio istituto giuridico che è nato nel Medioevo, quando è finito l'Impero Romano e quindi la giustizia latina, questi Stati feudali, i Comuni, i piccoli Stati che si andavano formando dalla disgregazione dell'Impero Romano e dalle invasioni barbariche, si trovavano in questa situazione, che il cittadino che da cittadini di altri Stati fosse stato depredato, truffato, rapinato, e poi quelli si rifugiavano nel loro Stato, non aveva alcuna difesa perché gli Stati non riconoscevano la giustizia degli altri né alcuno voleva che il proprio cittadino fosse toccato nel suo Stato. Finiva per essere ragione di guerra se fossero andati a tentare di prelevare quei cittadini. E allora che cosa succedeva? Che se altri cittadini, che non ne sapevano niente, di quello Stato, ritornavano in questo Stato, questo faceva la cosiddetta "ripresaglia", si riprendeva le cose che altri gli avevano però rubato! Ed era ritenuto una cosa legittima nel diritto barbarico.
Solo che spesso questo finiva per dare luogo a screzi anche fra gli Stati e allora finirono per esserci delle intese fra gli Stati, per cui la rappresaglia cessò di essere un istituto di diritto privato e diventò un istituto di diritto pubblico perché gli Stati la disciplinarono e fissarono delle regole; davano addirittura delle lettere patenti per esercitare la rappresaglia ai propri cittadini, però con delle regole che erano concordate anche con gli altri Stati.
Una di queste regole, che poi la troveremo riprodotta nei trattati dell'Aja, e quindi valevoli nel secondo conflitto mondiale, è la assoluta proporzione tra l'atto illegittimo compiuto dapprima e la ritorsione, la rappresaglia che segue all'atto illegittimo. Occorre una assoluta proporzione, non può essere superato questo limite della proporzione.
Ma nelle elaborazioni che poi la Società delle Nazioni ne aveva fatto attraverso le convenzioni dell'Aja c'era qualcosa di più: cioè che la rappresaglia era un atto ostile che veniva compiuto nei confronti di un altro Stato, non nei confronti di singole persone; veniva compiuta cioè nei confronti di uno Stato che a sua volta aveva già compiuto degli atti ostili. Quindi, la premessa, perché la rappresaglia -anche bellica, anche in tempo di guerra- fosse legittima, era che chi ne doveva rispondere era lo Stato in guerra, o lo Stato che aveva compiuto il primo atto illegittimo. E qui nessuno di questi aspetti è presente.D.: Permette un'osservazione? Se chi ha il legittimo diritto di compiere la rappresaglia sono solo gli Stati in guerra, -praticamente- non sarà mai applicabile questo diritto perché difficilmente i belligeranti hanno confini stabili; durante una guerra ci saranno sempre territori la cui amministrazione è illegittima, o almeno non riconosciuta dagli uomini che lottano e si ribellano all'occupante!
R.: Innanzitutto non sempre Stati che si combattono occupano l'uno il territorio dell'altro; se sono agli inizi della guerra sono ancora dentro i propri confini ma hanno armi per colpire l'altro all'interno, armi aeree, artiglierie, ecc., quindi non è detto che sempre debba ricorrere la situazione del territorio occupato.
Nel caso invece del territorio occupato, la regola è che:
Lo Stato A che ha la signoria sul territorio C occupato dal nemico B, risponde a B di quanto accade sul territorio occupato C, in quanto si ritiene che lo Stato A diriga le operazioni contro lo Stato occupante B, perciò ne risponde direttamente. Questa è la condizione per cui diventa legittima una rappresaglia di B sul territorio di A, territorio non ancora occupato.
Nel caso di Via Rasella tutto era invece estremamente complicato. L'attacco era avvenuto sì in un territorio occupato dai tedeschi, ma, su questo, la signoria di fatto era esercitata da uno Stato, la Repubblica Sociale Italiana, che era stato istituito dagli stessi tedeschi e che era loro alleato. Quindi avrebbe dovuto rispondere di quel fatto proprio la Repubblica Sociale, che a quel tempo aveva la signoria su Roma, dove era avvenuto l'attacco. Ma era assurdo che la Germania ne chiedesse conto proprio alla RSI, sua alleata dei fatti avvenuti.
Quindi questa era una cosa complicatissima e di fatto impossibile parlare di legittimità di rappresaglia, in questa situazione.
D.: Secondo le norme del diritto, che tipo di rappresaglia potevano attuare i tedeschi dopo l'attentato di via Rasella? Cosa avrebbero potuto fare?
R.: Bè, innanzi tutto avrebbero potuto ricercare i colpevoli e una volta trovati li potevano giudicare e anche fucilare. Ma in ogni caso la rappresaglia doveva avere quella condizione della proporzione. Ammesso che si potesse superare tutto il resto e dire: va bè, comunque era territorio occupato e gli italiani ne dovevano rispondere di questo, e quindi far rispondere la popolazione anziché lo Stato, diciamo, ma quanto meno doveva esserci la proporzione.
D.: I morti a via Rasella sono stati 33, quindi...
R.: Eh! E alle Fosse Ardeatine? Sono stati 335. Hanno superato pure la cifra che si erano proposti! I tedeschi, non sono andati tanto per il sottile sui conti. Di vittime ce n'erano di più. La proporzione è mancata. Non solo, ma poi la fucilazione è stata eseguita, su gente assolutamente estranea a quel fatto. È gravissimo sul piano proprio della barbarie giuridica.
Ma c'è stato anche il modo inumano con cui è stata eseguita la strage, perché queste ondate successive di gruppi che venivano portate al punto della fucilazione nelle caverne delle Fosse Ardeatine, erano costrette a salire sui gruppi dei cadaveri dei loro compagni. Ecco, questo è anche l'altro aspetto inumano; e attendevano, via via che si facevano le fucilazioni degli altri gruppi. Tutto questo è veramente inumano, quindi è stata condotta in un modo estremamente barbaro, violando le leggi generali sulla rappresaglia, e particolarmente violando il principio della proporzione.
D.: Allora, non è vero che Kappler sia stato condannato solo per i cinque in più?
R.: Noo. Assolutamente! È una favola questa, che Kappler sia stato condannato per i 5 in più: neanche per sogno! Basta leggere le sentenze del tribunale militare e ci si rende conto che è stato condannato: prima, perché è stato riconosciuto che la rappresaglia che è stata eseguita dai tedeschi in quella occasione alle Fosse Ardeatine non era legittima, cioè non era conforme alle regole stabilite dalle convenzioni internazionali.
Poi è stato condannato anche perché fu respinta la subordinata avanzata da Kappler; Kappler aveva detto: va bè, se non è valida la rappresaglia così come è prevista dalle convenzioni internazionali, io credo però che mi si possa applicare l'articolo 50 del regolamento... E questo era inapplicabile.
Quindi il tribunale ha respinto anche questa subordinata e ha dichiarato il Kappler colpevole dell'intero fatto delle Fosse Ardeatine, non soltanto, quindi, dei 5 in più: è stato dichiarato colpevole dell'intero fatto delle Fosse Ardeatine e come tale condannato.
D.: Ma se Kappler avesse rispettato la proporzione cioè: 33 prigionieri per i 33 tirolesi morti... allora?
R.: Se fosse stata rispettata la proporzione numerica, nel senso cioè che ai 33 altoatesini uccisi dalla bomba di via Rasella fosse stata contrapposta la fucilazione di 33 ostaggi che erano nelle loro mani, nelle loro carceri, ecc., certo questa condizione principale della proporzione sarebbe stata rispettata. E io aggiungo che probabilmente il tribunale militare di Roma, con le premesse che aveva fatto, probabilmente sarebbe dovuto arrivare all'assoluzione di Kappler, se ci fosse stata la proporzione; perché in realtà, per il resto, il tribunale in qualche modo aveva superato le difficoltà di trovare la legittimità, diciamo, per questa azione contro persone che non c'entravano, eccetera. In qualche modo nella motivazione l'aveva superata; sono io che dico che in realtà invece non era superata, che è erronea quella parte della motivazione e che illegale comunque sarebbe rimasta la rappresaglia perché violava altre regole convenzionali della Società delle Nazioni. Ma il tribunale credo che sarebbe potuto arrivare veramente all'assoluzione di Kappler se ci fosse stata questa proporzione.
D.: Ma da molti è detto che in realtà Kappler ha obbedito a degli ordini espliciti di Hitler e di Keitel e che in assoluto non poteva dire di no.
R.: Bè, lui ha ritenuto, come i nazisti ritenevano per la loro disciplina, di dover obbedire anche ad ordini manifestamente illeciti, però ne risponde. Avrà obbedito al suo superiore, magari se avesse vinto la guerra sarebbe stato decorato dai suoi superiori, ma la guerra l'ha persa e vale il diritto delle genti, in sostanza, il quale dice di no, che non lo poteva fare. Del resto oggi, per esempio, nell'ordinamento militare, c'è una precisa norma che dice che il soldato non può eseguire l'ordine manifestamente illecito del superiore. E ne risponde se lo esegue.
D.: Però questa è una norma che è stata stabilita ora, dopo la II Guerra Mondiale.
R.: Sì, questo è vero. Però lì, sa, quest'ordine è di una carneficina, in sostanza. Che viene dato dall'alto - ammesso che poi sia vero perché non abbiamo nessuna prova; questo è asserito, affermato, non è venuto nessun generale però a dire: "sì, è vero, l'abbiamo ordinato noi", anche perché l'avrebbero reso corresponsabile, quindi difficilmente si sarebbe trovata una testimonianza del genere. Comunque nessuno è venuto a discolparlo. Anche perché questo genere di rappresaglie non è vero che vengono ordinate... Vengono assunte dal comandante della zona operativa dove la truppa opera e ha bisogno di difendersi. Sono provvedimenti che vengono presi sul campo dal comandante della zona operativa. Si immagini se per una cosa del genere questi andavano a chiedere il permesso a Hitler.
D.: Però in quel caso, nel caso di via Rasella, ci furono delle telefonate esplicite da parte di Hitler allo Stato Maggiore tedesco e poi a Kappler e a Meltzer, qui a Roma.
R.: Io questo non lo so. A me non risulta. Se lei dice che ci furono, ne prendo atto. E comunque dico: era così evidente che quello che facevano era un massacro, insomma, era illecito, era illegittimo, era contro ogni diritto delle genti. Che senso aveva? Trenta persone, solo perché sono tedeschi valgono 10 volte? Ma insomma, ha un senso di fronte a che? Qual è il diritto delle genti che può concepire e rendere compatibile un principio del genere?
D.: E' vero, però ci sono stati gesti di crudeltà assoluta anche da parte degli Alleati nei confronti di eserciti fatti prigionieri e popolazioni occupate.
R.: Ma di quali alleati?
D.: Degli americani. Per esempio...
R.: Lei parla del Vietnam forse...
D.: No, per esempio si è scoperto che c'è stata una nave carica di prigionieri italiani, rinchiusi nelle stive e fatta affondare nel Mediterraneo, così, deliberatamente.
R.: Volontariamente?
D.: Sì.
R.: Ah bè, questo episodio io non lo conosco, lei me lo dice. Ne prendo atto. Ma comunque sia, non è che giustifichi i tedeschi, questo. Sarebbe come dire: sì, è vero, ho rubato, eh, ma ha rubato anche quello lì, quindi... Che vuol dire? Che non è più reato?
D.: E' vero, però rende piuttosto ambigua la giustizia dei vincitori.
R.: Ma, sa, la giustizia dei vincitori, Dio mio! È la giustizia compatibile con la situazione. Chi altro può fare giustizia se non colui... Perché la giustizia dipende da un potere, è l'esercizio di un potere. Quindi soltanto chi ha il potere può fare giustizia. Chi la poteva fare, i vinti, la giustizia? Evidentemente no. Per lo meno, sotto questo aspetto, intanto, questa giustizia è stata fatta, è stata resa giustizia a 335 persone massacrate così ignobilmente dai tedeschi. Poi, se ci sono altri... soprattutto se lei mi dice che sono italiani, che attendono ancora giustizia da quell'affondamento, può darsi che il tempo venga anche per quella giustizia - tanto l'omicidio non si prescrive - venga, e sennò che ci pensi un'altra giustizia per quello.
D.: Grazie.