Archiviopoesia - poetry

 

GIGLIO DI GUERRE
di Toni Armenti
(1991)

A Gigliola
FUTURO

Che sorte avresti
se non lasciassi che il futuro
le viscere t'apra
con le mani biforcute di nebbia
e le ossa poterti
raccogliere: seminate
tra l'erba come anguille
acquitrinose?

Vuole te,
solo, il futuro
questo uccello di attimi
smarrito tra le nubi.
Pur se lo scruti
da una torre d'acciaio
come un falco notturno,
verrà! Fra i tuoi atomi
inviperiti
dalla cattura,
per esigere
il nutrito
midollo
fattosi etere.

Voci.
E tu brancoli
per corridoio
bruno, senza scampo,
in cerca di molte parole
che ti sfuggono
come fossero tentacoli.

oOo



 INVERNO

Come lunghe dita nere
in fila:
discorrono
queste acque.
Trasparenze
impiccate
a gronde
ghiacciolanti sterco,
però da lampi lustrati.

oOo

 BAGDAD*

Muri distrutti
fra scalpelli
e da fili puntuti
sopra mattoni mattonelle
calce intarsiata
e munta con intonaco
viscerale forte
ma leggero
dentro
le rughe

Non è sotterraneo il principio
per cui si abbattono piramidi:
ora che se ne impasta la polvere
per coprire il nero alabastro
penetrato dal mare sulla terra.
Questo golfo
è cemento
sanguigno di colla
sturata
fra i gabbioni,
qui la morte
è un cantiere.

Non esplodi in città
ancora una volta il fornello
risuonando
le infide macerie sul tegame
di cucine abbattute,
perché già pronto è sul tavolo
il cuore imbandito con la sua fiera
minestra.

Bolle
diruta qualunque ispida
brodaglia impolverata di macerie.
Nella malta
bagnata in caldarelle colme
di arsura corrono alterne mani
a coprire le crepe doloranti,
acute per i morsi
degli uccelli fatti carogna.

Solo una betoniera
sembra venga a raccogliere i morti
qui per strada,
come fosse pedante consigliera
di un catasto
infallibile
privo di ansia
ma sterile nei propri schizzi
di ceralacca omicida.

Ovunque, le incontri
codeste macchine
fradice
di piscio e di miele;
noti anch'esse alla morte
avviate da tendini
operosi, incollati
ai martinetti cigolanti
di una fabbrica...
-Un corpo
che batte-
come fosse
una dentiera mozza
estorta
al più temibile
piastrellatore.

oOo

 COMPASSO DI CENERE

Voglio te solo
ma non tutta
la tua famiglia
dai torrenti castigata
sugli occhi, acri,
e battente le ciglia ferite
su questa pietra di volti
che ti scruta nella bora.
Io! Un volto:
focolare ansimante.

Primaverili
corpetti suicidi
copriranno i calzari
sotto il vomere
inumato, della terra.

Fuggi.
Qui crebbe il tuo corpo
incorruttibile.
Eppure il cerchio
di cenere
batte!
Virile, come circonciso
lamento
di un ricordo.

oOo

ORGANO

Per vicoli cerchiati
da sterpi, il nero
e il buio passa cavalcante
gli indigeni capelli saturnini.
Le ciglia soprattutto
ritte sotto le froge,
eccole, sono costrette
a mordere l'intatto
sapore
metallico
dei vespri, inchiodati
su la porta.

Polpastrello antico
emerge
sommesso
fra l'urlo
di un organo, riottoso,
per il profumo dei suoi cardini.
Il pigro ascoltatore
geme
allorché i mantici fremono
l'unghie tra le ance
di velluto.

oOo

SEMENZE

I coltivatori
del sibilo dubbio
hanno un cuore che munge
il desiderio
-ottobrino-
tra vampe burlate
di pula, come fossero
grano i pensieri.

oOo

 IL RITORNO DI ORFEO: MURATORE.

A nulla valsero le forze
costruttrici
di alveoli
dai cupi cilindri rotanti,
qui fra le viuzze e fra i palazzi,
Orfeo;
nè lisciare bianche làmie
col fracasso metallico schivo
alle stagioni; e neppure
i cacciavite universali
che urtano l'energia
dei padroni riusciranno
a trattenere le volte, Orfeo,
tu costruttore dei suoni
più acuti
che permangono
tra gli inferi adulti
e il vero.

Dunque -sù- torna
o alto edificatore
della penombra
e musico
tra le notti.

Qui albergano sol
lupi e loro morsi,
non leoni. ...Forse
-Laggiù-,
nei sotterranei cerchi di Proserpina
raccolti:
e qui si frangono le orme.

Certo crolleranno
i muri,
senza che occidente pianga
lor frastuono.

La semenza è coperta di luce
nel paese dei cavalli,
neri, che sgambettano
l'eclisse.
Percorreranno,
Orfeo, il mondo
frantumato
incinto
di paura.

oOo

VENDEMMIA

Quaggiù
ancor sommerso
è il -capo-, ubriaco
dall'uve, colto
da gialli rancori,
e fustigato
perrombi
diuturni
scoppi.

Gli acini
caduti
dai sarmenti
creperanno
sotto i calci
di un bambino.

oOo

 TREGUA

Tutto il bene,
si arresta
nel piombo,
oltre il carro
incerbiato
dell'oro,
o muta stella
da marciapiede
che ascolti.

oOo

FIGLIO

Dove sei bambino
che vuoi esistere
nel grembo della mia pietà
e della mia carne;
che sei nascosto
nella nebbia dorata
dell'immenso
dove la ricchezza non è
che la fiaba e l'eterno,
e dove la morte non è
incisa per entro
il sillabato
lunario.
E dimmi
perché vuoi venire
qui tra me e la storia
ed incedere poco a poco
sulla strada
per coprirti dello sputo
dell'umanità?

Perché non vorresti
essere atomo felice
che ripercuote
questa fragile
terra, che nessuno
più perdona?

Perché le cateratte
degli occhi vuoi correre
qui a sfidare!
Quando potresti
coagulare la vita sotto
le forme di una stella
che irradia l'Universo.
Vorrei figlio, che tu
restassi incantato
nella tua inesistenza
per non vederti
mai morire.

Eppure vorrei toccarti,
non mi basta della vita unicamente
il respiro! vorrei cogliere
di te ogni sorriso,
le tue labbruzze.
Ma poi non accada
che persino questa bocca
immaginata
del più fino avorio
debba, co 'l fiero sudore
degli anni, tradursi in terra
e melma verminosa
indifferente.
Quel che chiamano amore
paterno non sarà per caso
brutalità verso gli atomi
e le molecole
intercambiabili dell'essere?

Può unicamente il mio tatto
e la mia vista, ed il mio arbitrio
fuoco
di contemplare te,
decidere
di immolarti?
E chiamare
paterno amore questo
mio possesso attraverso te,
della morte?

E le madri, queste madri
impossibili che non sanno
trattenere il respiro senza
poter pensare a te,
e strapparti
la perfezione in cui sei
per scaraventarti
quaggiù, nella mia casa
in affitto, o appena
comprata
con i debiti le rinunce
e la miseria
dell'imperfezione.

Eppure lei insiste, tua madre,
e chiama tutto questo
orrore
-fiducia nella vita-.
Quale mai contraddizione
esiste
nel concepimento!
Quale crudeltà
inconsapevole
esprime l'aver voluto
continuare
a perseguire
e popolare
la terra, senza risparmio
di energie
o rinunce!

Tutti muoiono.
Soltanto i propri figli
li si considera
eterni.
Ma ...lo sono, figlio mio ...
soltanto se tu resti là.

oOo

 ELECTRON

Giah! Cariati elementi di gru
metalliche, non trattengono
più gli spasimi
di un elettrone accelerato
nel vuoto,
che magnetico inverso
fuggitivo
-finalmente-
torna ad essere
incantato
per anelli boreali
stretti
come un lampo.

Ma i fili
elettrici della macchina
locomotrice
spogliati della loro pelle
di gomma
rieccoli,
nudi e piatti,
per fuggire oltre
la stazione.

Passeggeri incompiuti
si affollano
intorno al muricciolo
a strapiombo
con gli occhi fissati
ai tralicci
che ronzano.
Fili stesi
premuti a velocità
dello statore.

Giù, le mani raccolgono
i falliti indumenti
da lavoro
ma con pensiero elettrico.
-Il salvavita
incorporato
nella macchina
è a prova
d'estintore!-

Chi tra i binari consuma
la tenebre
ha infinite speranze...
Di cuoio.

oOo

 PIOPPETO

Grattacieli
                    di foglie,
                    abbattuti.
                    Catene
                    metalliche
                    corrono
 qual dighe
                    laminate
                    sferzanti
                    la scorza.

                    Sul fiume.

                    Occhi
                    di segatura
                    galleggianti
                    del pioppo
                    fra le acque
                    senza cenere.

 Il fumo
 tarlato
 avventa
 sensazioni rancide.

 Bitume
                    fottuto
 dilaga
 per crespa
 fanghiglia.

 Scende
 contro
                    i tuoi specchi
 di lacrime.

oOo






TELEGRAMMA

Quando gli aerei partono
si resta sulla pista
a rimirare il kerosene
in fumo che hanno perso.

Non è un fiume che passa
ma il puzzo -semplice-
della memoria sotterranea
ferma
nel ricordo a gas.
Decollato
per infinite
combuste orme
di nitrite molecole
a reazione.

La vita cui diede forza
il combustibile
antico
è nel cordoglio ora
acuto dei superstiti
frullati ad Ustica.

oOo

ROMORE

Belati
finestre
muggiti
lamenti
dietro i campi di ginestra.
Ha voce ancora
quell'infido cerchio
che nasce dalle stoppie d'agosto
e avviluppa sconosciuti
nidi: quaglie, calandre.
Uno spaventapasseri
è inchiodato
nel cappello.
Il fuoco
sputa
carole
brune
taglienti
sull'erbe: pagliuca
spraina
belladonna
criola
serpenti:
capelli pasciuti e secchi
ma corteggiati
dal rimorso. Ridi? Intanto
la corda ti strozza
vigorosa intorno al ricordo
che furono le tue urla.

oOo

SCONFITTO

Lungo quei croccanti
passi e tacchi
dell'umida prostituta
ora s'inerpica
l'angoscia
con il suo portatore d'otri
marocchino; bevila!
Finché non creperà
la superbia
che attanaglia
uomo: codesto
infinito vagito
che mai strozza
il pietrificato
orgoglio
in terra infisso.

oOo

PERCHE'

Perché l'-io- dei fiumi
che non sanno
scendere a valle
è bagnato ancora
-dalla puttana miseria-
condottiera
delle molte memorie?

Perché le grige acque
discendono vispe, impudìche
tra le guglie
dei voltafaccia
trasparenti?

Perché
la foglia del più pio
albero è distorta
in un letto genuflesso
d'artifizio?
Perché tu l'angoscia
cadente nel fiume
non raccogli?

E lasci che dalle braccia
aperte caschi il feto
dell'anima, perché affondi
nel limo ossidato
le proprie
uniche radici.
Perché?

oOo

ISOLACASA

A Peppino Belvisi, di lui
ospiti a Pantelleria.
Trasuda
ogni notte
fra le sue rocce
Pantelleria
di lacrime
lascive.
E sfida
l'acquosa
brizzolata
foresta di pomice
vitrea,
con i suoi alberelli
tremuli, estorti
al fulvo ululare
dei favoni.
Marziale è questa terra
ignuda
fra le pantesche viscere lontane
saccheggiate di lapilli.
Forse i fondali
marini corrodono
coloro che al vespero,
oltre il dammuso,
cercano il pianto
in cui s'annega la vergine
isola abbandonata...
ma non il corpo
intarsiato
nel porfido monte
battuto
 e salato
con miele.
Grano di grani
fra i muri
e di capperi spogli
di nettare
e fumi!
Calda
come questa polla
forastica
è la muta
pietra, isola
di un amore.
                                         Karebbe, 28 luglio 1990
oOo
 RITROVARSI

Ti è accaduto di sentirti
in petto l'angoscia
estrema
di gelosia
inenarrabile, che ti sferza,
taglio
dell'ultimo
rasoio.
L'aorta.
schioppa
energia feroce.
Ad ogni costo...
erompere
scardinando
il serpe
della propria vitalità.
Estensione dell'inguine
su schegge di vetro.

oOo

PICCOLO

Ma un giorno anch'io
sarò grande
e farò a meno di te,
o fratello immaginario
tu che vivi
su uno specchio
e vi rappresenti il mondo.
Zapperò
anche il mare,
e la muta spiaggia
sterile
di silicio non ancora disciolto;
solcherò
con le mie mani agresti
quei cavalloni
marchiati di fuoco!
percuoterò conchiglie
terrene,
con la punta d'acciaio
confitta
nella inguaribile attesa.

Nacqui da re
fuggito al lutto
dell'incoronazione.
Balsamico
principe avvolto
da cordone ombelicale
che l'-io- tagliò
con un solo squarcio,
per entrare nella vita.
Coltello mi fu padre,
imparziale.

oOo

INDIFFERENZA

Frescaccio e paludato
il miglior agente
capo-zona si è sposato
facendo invidia
ai molti debitori
che vorrebbero
correre qui
a batter cassa
per polizze scadute
rate e bonus malus.

La mia amicizia
perciò contatta occhi
intriganti
e li arma
di bocconi amari;
ecco:
va dissuaso chiunque!

L'assicuratore
ha garantito
la verginità della moglie
ma, ha vergogna
di parlarne...
ha ripudiato le parole.
Infatti
la situazione caotica
è motivo
di scempio volgare
e forse gratuito.

Peggio sarebbe stato
ingaggiare una compagnia
di attori smaliziati
con la fantasia
a compartimenti stagni...
L'unico chiodo?
fisso per tutti:
 -la speranza, pregna!-

Eppure quanta pudicizia
a programma
v'è in questi invitati!
perchè si preparano
alle divine cerimonie,
con trussardi
valentino
perfino un color brocco
è dal sarto un pò barocco.
fatto becchino.

Ma poi chi chiude la festa!
Anche l'essere più decente
è ubriaco
e se ne sta come sul tramonto
urlando mignottate!
Situation comedy
con vigilia scopereccia?
almeno a chiacchiere;
lo sposo infatti ha tanta
voglia di bonaccia:
tipica del sole quando
ha in appalto
l'illuminazione di un vicolo.

La poca luce del consorte
non sta bene?
allora b'è, s'attacca e tira forte!
Dove? dritto al...
O ché, s'è fatto ebbreo
pure lui?

E co' sta micragna
non c'è una scorza di marito
che sappia mettere a mollo
il canarino?
Ma no, è capace...
 solo che sembra
un bambinello
appena nato!
Di quell'età però...
a lei
-amico bello-
meglio portalle
un somarello!

La polizza vita...
comunque è dentro
la cassaforte: geme
con quel palpito
indifferente.

oOo

COMPLEANNO

Dolcemente
raccogli
prenotazioni.
E parti
ché il tempo
viaggiatore
apre
la sua carlinga.

oOo

ECO

Si, le parole
corrono
verso le tue mani
-antiche
perle
d'Africa-
in cerca
dei miei occhi.
Ora incastoneranno
foglie
tra le macerie;
palpiti
che l'anno
coprirà
di mutamento.
                                                      1989
 

* 17 gennaio 1991, prima guerra del Golfo, bombardamento di Bagdad


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