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Capitolo 4

UN PROBLEMA EPISTEMOLOGICO:
LA PEDAGOGIA E' SCIENZA O NON E' SCIENZA?

di Alessandra dott. Signorini

-una tesi di laurea-

 

Indice
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6


CAPITOLO IV


UN PROBLEMA EPISTEMOLOGICO: LA PEDAGOGIA E' SCIENZA O NON E' SCIENZA?


4.1 LA PEDAGOGIA NEL CAMPO EDUCATIVO


Il secondo Dopoguerra, per la Pedagogia italiana, ha finalmente costituito il contesto storico e socioculturale perché essa potesse avviare la propria emancipazione dalla visione riduzionistica e sminutiva alla quale l'aveva abituata l'ideologia neo-idealistica.
Una delle esigenze di fondo alle quali essa è andata incontro, in quest'opera di conquista della propria autonomia, è stato rappresentato dal ridefinire il proprio rapporto con la scienza; ci si riferisce ovviamente alle "Naturwissenschaften".
Nei decenni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, ed in particolare presso Giovanni Gentile e Benedetto Croce, non si era operato un ostracismo nei confronti della parola "scienza". La visione teoretica che si era sviluppata, semmai, era tale che non vi avesse posto, per analoghe ragioni di principio, né la componente natura umana costituito dalle Scienze della Natura, per lo meno inteso come forma di conoscenza con le proprie valenze teoretiche, né la pedagogia come sapere autonomo.
Nell'affrontare invece queste e altre problematiche di fondo, sarebbe stato opportuno il costituirsi di quella che si chiama (anche con un termine tecnico dell'epistemologia contemporanea) una comunità scientifica di pedagogisti: è solo nell'ambito di una comunità scientifica che "ogni teoria pedagogica può dimostrare la sua validità, confrontandosi con i fatti e con le teorie".1
La locuzione rimanda all'epistemologia di Thomas S. Kuhn: " una comunità scientifica consiste di coloro che condividono un certo paradigma.", e i paradigmi sono "esempi di effettiva prassi scientifica riconosciuti come validi, che forniscono modelli che danno origine a particolari tradizioni di ricerca scientifica con una loro coerenza". Nel caso della pedagogia, potrebbe trattarsi anche di una comunità che lavora su una pluralità di paradigmi.
Una comunità scientifica dei pedagogisti dovrebbe applicarsi ad una ricerca di risultati trasferibili intersoggettivamente, per tali dichiarati prima e sottoponibili al vaglio dell'esperienza futura, con un linguaggio comune, ed un lessico di base adeguato allo scopo.
Una prima convergenza si è avuta negli anni '60 con le riforme di struttura che hanno caratterizzato quel decennio, una seconda, più profonda ed essenziale, si è avuta con l'avvio di quel ciclo di riforme che è andato dal 1971 (L.118, L. 820) o dal 1973 (L. 477) fino alla riforma degli orientamenti per le attività educative nella scuola materna o per l'infanzia (1991); si passa poi alla riforma della scuola media (1977- 1981), della scuola elementare (1985-1990).
L'evoluzione della pedagogia, scolastica e non, in un senso scientifico e democratico, richiede dunque un'attenzione per la scienza, che s'ispiri al pluralismo che ha proprio nel contesto della cultura scientifica un esempio da imitare.
C'è chi afferma che la pedagogia è scomparsa: la pedagogia come ricerca in campo educativo è l'unica a dare un sostegno all'educazione, considerando sia l'aspetto sociologico sia quello educativo, in quanto conosce tutte le scienze dell'educazione.
La ricerca pedagogica non da " ricette " ma criteri d'ordine generale che possono servire a chi opera in quel momento.
L'operatore deve avere strumenti concettuali e metodologici per fare una ricerca (vedi la ricerca -azione e deve far emergere i principali problemi educativi, come:

* La valorizzazione del soggetto;
* La libertà/autonomia;
* I valori, intesi come impegno e progettazione di sé nel futuro.


4.2 FONDAMENTI STORICO- EPISTEMOLOGICI DEL CONCETTO DI SCIENZA

Il concetto di "scienza" nasce con F. Bacone nel 1600 ed era fondato sull'idea che attraverso l'esperienza si poteva trovare le grandi, universali ed eterne leggi della natura.
GALILEO trova il linguaggio con cui codificare queste leggi universali della natura: essa è stata scritta con il linguaggio dei numeri che è universale - ciò che si può tradurre in formule matematiche è legge!
Anche il rapporto ricercatore-realtà è cambiato da allora: la realtà è di fronte al ricercatore, esterna e s'indaga attraverso gli esperimenti matematici
La scienza diventa " forte " e gli scienziati diventano "i dominatori dell'universo!", perché si pensava (1850, POSITIVISMO) che una volta scoperte le leggi della natura si potessero dominare i fenomeni! - (( ((ì(((((( ciò che appare, la realtà).
(FIDUCIA nel progresso come processo lineare e finito)
Nella Seconda metà dell'Ottocento nascono e si fondano come scienza la sociologia (Compte).
Il metodo usato dalla ricerca scientifica è:
* Avere un metodo sperimentale;
* Elaborare un sapere organico;
* Avere un oggetto fermo (la natura).
Sfortunatamente questo metodo di ricerca scientifica (in senso tradizionale) non va bene per la ricerca pedagogica (= cercare leggi universali e applicarli alla pedagogia non la rende una scienza!), perché la pedagogia è sempre in EVOLUZIONE, in cambiamento come la società.
In educazione l'oggetto in analisi non è fermo, statico, ma CAMBIA e quindi per fondare una " scienza dell'educazione " non si può applicare il metodo scientifico in senso tradizionale.
Con Karl R. Popper (1980) invece la visione di ricerca scientifica cambia radicalmente, si arricchisce e si adatta ai tempi e modi della realtà odierna: " io metterò certamente come empirico, o scientifico, soltanto un sistema che possa essere controllato dall'esperienza.[....] In altre parole: da un sistema scientifico non esigerò che sia capace d'essere scelto, in senso positivo, una volta per tutte; ma esigerò che la sua forma logica sia tale che possa essere messa in evidenza, per mezzo di controlli empirici, in senso negativo: un sistema empirico deve poter essere confutato dall'esperienza".2
In questo senso, egli si poneva in dichiarata antitesi con la teoria neopositivista, sintetizzata dal "principio di verificazione" di M. Schlick (il senso di una proposizione è il metodo della sua verifica).3
Secondo Popper, infatti, il processo di ricerca scientifica non va avanti aggiungendo interpretazioni alle spiegazioni precedenti.
Le nuove leggi, sono NUOVE TEORIE, falsificando la teoria precedente (processo di FALSIFICAZIONE e non più di VERIFICAZIONE!): se in passato l'eccezione si metteva da parte, con Popper anche l'eccezione deve essere spiegata dalla nuova Teoria, perché la ricerca scientifica non cerca più leggi universali, ma tenta di formulare nuove ipotesi che sappiano dare spiegazioni sempre più AMPIE, ORGANIZZATE, COMPLESSE (com'è complessa la realtà).
La scienza diventa, quindi, una ricerca continua.
Per Popper, il sapere della scienza è il risultato di un sapere continuo e che non è mai giunto alla fine.
L'epistemologia razional-critica di Popper ha avuto seguito in Italia con l'attività di ricerca e divulgazione di Dario Antiseri, Francesco Barone, Massimo Baldini e molti altri.
Inoltre, in una delle sue opere fondamentali, Dewey scriveva a riguardo della scienza: "E' frase contiene un numero dispari di virgolette. significativo che la filosofia Europea abbia avuto origine in Atene sotto la pressione diretta di problemi educativi; La storia più antica della filosofia svolta dai greci in Asia Minore e in Italia, quanto all'oggetto della riflessione, è prevalentemente un capitolo della storia della scienza più che della filosofia come s'intende oggi la parola. Aveva per oggetto la natura e speculava sul modo in cui le cose sono state create e mutano". 4
Questa nuova scienza necessita anche di METODI QUALITATIVI e non più solo di metodi quantitativi.
Il sapere scientifico diventa TRANSPECIFICO, e diventa fondamentale il concetto di TRANDISCIPLINARIETA', perché la realtà è dominata dalla complessità e le spiegazioni sono complesse e non semplici, integrate dalle diverse discipline e legate al campo d'indagine.
In questa nuova visione di ricerca scientifica, insieme alla nuova visione dei fenomeni come complessi s'inserisce quindi la possibilità di una pedagogia come scienza, di un insieme di " scienze dell'educazione " che si basano su metodi quantitativi e sulla ricerca di risposte " complesse ", interdisciplinari e sempre in atto, perché il sapere è sempre in via di riorganizzazione.

4.3 NON SOLO UN NUOVO CONCETTO DI SCIENZA, MA UNA NUOVA VISIONE DELL'UOMO, DEI FENOMENI E DELLA REALTA'.

Le teorie scientifiche sono riformulate e vanno incontro ad un processo di Falsificazione, il ricercatore non guarda più a saperi assoluti, ma a spiegazioni soggettive, non nel senso di arbitrarie, ma passibili di evoluzione, cambiamento, nuove interpretazioni.
Il ricercatore inoltre è DENTRO la ricerca, DENTRO il contesto e non fuori!
Per esempio il ricercatore nella scuola stessa segna la ricerca stessa (RICERCA-AZIONE).
La scienza ha bisogno di un soggetto stabile, di strumenti precisi, deve formulare teorie interpretative; ma questa stabilità non è UGUALE nelle scienze dell'educazione perché esse hanno un oggetto (l'uomo, la realtà) che è la cultura sempre in cambiamento, sempre IN EVOLUZIONE.
L'educazione non avrà mai delle certezze, e questo è un bene, perché significa che l'uomo è libero.
La coerenza non solo in educazione, ma a rigor di logica, non è non imparare dai propri errori, mantenere ferme le proprie convinzioni anche di fronte a qualsiasi evidenza contraria; coerente è chi modifica le proprie convinzioni ogni qualvolta la realtà gliene riscontri l'opportunità: il che significa disponibilità organica all'autocorrezione, un insegnamento importante della scienza. E' questo nella sostanza il concetto " di apertura" come condizione di educabilità e interlocuzione pedagogica, formulato a partire da "Educazione 2000" e poi ripreso negli scritti degli ultimi anni sulla pedagogia professionale.5 La pedagogia non è riducibile nè a prescrittività né a descrittività, né a filosofia, né a scienza.
Essa è collocata propriamente su un piano intermedio, quello della mediazione tra nomotetico e idiografico, tra filosofico e storico.
Vi è un'evidente analogia con la collocazione della pedagogia professionale, emergente da poco più di un decennio, su un piano di mediazione tra teoria e prassi: il piano che si è proposto di chiamare dell'applicabilità.
Ma vi è un'analogia altrettanto evidente con una visione dell'insegnante: come un mediatore tra istanze centrali e di vertice ed istanze contestuali e relative agli studenti, alle loro famiglie, al territorio; anche questa è mediazione.
La pedagogia in questa visione, è attrezzata anche per riferirsi alla filosofia senza alcun pericolo di riduzionismo; ed è, insieme, per fruire appieno nel contributo della scienza anche in via essenziale, metodologica, dei fondamenti, senza la riproposizione dei limiti con i quali ciò è avvenuto nell'Ottocento e delle possibili critiche fatte nel Novecento, in particolare da B.Croce e G. Gentile.
Tutte le scienze oggi, quindi, non operano più da sole, hanno bisogno di fare appello ad altre scienze per capire problemi più complessi!

LA RICERCA OGGI OPERA PER EQUIPE; il concetto collaborazione è diventato essenziale e la sua attività è dimostrata .
La pedagogia come scienza non può più rifarsi solo a Piaget, c'è la necessità di una collaborazione interdisciplinare e il compito dell'educatore è quello di FARE RICERCA INTERDISCIPLINARE E SUL CAMPO, e poi essa dev'essere incanalata nell'ambito dei processi formativi!.
Inoltre, sappiamo che spesso la teoria di riferimento condiziona la ricerca, mentre l'educazione avendo la possibilità di studiare molte discipline (tra cui la pedagogia di riferimento) riesce ad avere la visione delle diverse e possibili risposte al problema e poi poter condurre il tutto ad un aspetto educativo: cioè che TUTTO DEVE SERVIRE PER VALORIZZARE L'UOMO, come ESSERE LIBERO, RESPONSABILE e sempre in evoluzione.
Ma quali strumenti, allora, possiamo usare? L'educatore dev'essere un osservatore - ricercatore con una metodologia di ricerca che non sono più quelli di tipo quantitativo-statistico (e non solo!) ma anche di metodi quantitativi.
La ricerca qualitativa consente alla pedagogia di essere Scienza e di ottenere risultati scientificamente validi e non inferiori a quelli di altre scienze.
Anche l'educazione può diventare oggetto di studio e abbiamo, ad esempio, diversi metodi qualitativi:
* Metodo autobiografico;
* Metodo dimostrativo - argomentativo;
* Di ricerca - azione;
* Ermeneutico.
Questa nuova visione di educazione e di ricerca scientifica a loro volta si fonda su nuovi concetti e visioni dell'uomo, dei fenomeni, della realtà umana nel suo complesso, elaborati da filosofi, scienziati semiologi.
Nel passato si osservava l'uomo come individuo singolo, come soggetto in sé (Piaget etc...), oggi invece si è passati a una concezione dell'uomo inserito nel contesto, ciò che si porta dentro e come vive nel contesto.
UOMO CHE VIVE NEL CONTESTO
* I valori sono visti nel contesto;
* Responsabilità del contesto nell'educazione
"Il contesto non è uno sfondo statico dove si trova il singolo che agisce, ma uno scenario dove si recita, si entra e si esce con un rapporto molto superficiale."
Nel caso specifico, invece, della complessità è proprio in questo senso che si può parlare di "vera scoperta": nel senso che la presa di coscienza e la comprensione effettiva di questo aspetto della realtà si caratterizza per un mutamento profondo nel rapporto che si è fino allora elaborato nei confronti della conoscenza.
Chi si avvicina alla conoscenza come un esploratore non si sente messo in pericolo dalla scoperta della complessità, anzi ne è stimolato ed entusiasmato: non vi è più un ordine solenne della natura, il "fatto ineluttabile" della scienza tradizionale, ma una fuga di tanti ordini diversi quante sono le posizioni che l'osservatore può assumere. Il problema ora è quello di capire il PERCHE' una cosa, pur potendo accadere in un'infinità di modi diversi, è accaduta com'è accaduta (ELKANA).
Non si tratta quindi di "non svelare" nessuna legge fatale, o, come nel caso della pedagogia di trovare la "ricetta giusta" per risolvere un problema, bensì di formulare una descrizione di quell'avvenimento contingente, tale che soddisfi il nostro modo di pensare, il nostro senso estetico e la nostra suscettibilità morale del momento; in un altro momento quella descrizione potrebbe anche essere diversa, senza che ciò debba suscitare scandalo, c'è un balzo improvviso verso nuovi orizzonti di un salto di livello entusiasmante nella ricerca di quel sentimento di coerenza che guida la costruzione della nostra conoscenza.
Le teorie dei sistemi complessi ci chiedono invece di cambiare completamente la natura del nostro rapporto con il sapere.
Ci chiedono di abbandonare ogni pretesa di controllo sull'evoluzione di quei sistemi (fisici, biologici, socioeconomici, politici, psicologici) costitutivi del mondo assieme al quale stiamo vivendo.
L'imprevedibilità non è più da considerarsi come un errore di stima o come il risultato di una conoscenza imperfetta: l'imprevedibilità è la caratteristica essenziale e irriducibile di ogni sistema organizzato allorquando supera un certo livello di complessità. E ciò può far paura; paura dell'incertezza, paura di perdere il controllo, paura di non sapere: le scienze nella complessità da noi un nuovo tipo di rapporto nei confronti del sapere da loro prodotto: un rapporto pronto ad accettare l'incertezza non come un errore da correggere, ma come una caratteristica inevitabile, pronto a vivere nell'impermanenza, ad accettare il mutamento, a privilegiare i percorsi più che i traguardi, a non cercare affannosamente la risposta definitiva
La ricerca educativa quindi oggi è influenzata anche dalla Teoria ermeneutica (Sergio de Giacinto), perché l'esegesi testuale di tipo ermeneutico tiene in considerazione le condizioni dei soggetti coinvolti nel processo interpretativo (gli educatori).
L'educazione che si vuole analizzare è costruita da soggetti ricchi di una loro storia e di loro peculiarità esistenziali.
Tutti gli eventi possiedono una loro storia, questa è irripetibile e perciò va interpretata a partire dalla sua autonoma peculiarità e mai appiattita in nome della supposta similarità ad altri eventi.
Il discorso ermeneutico vuole ripensare, costruire, tradurre e poi decostruire, rivisitare criticamente. Per fare ciò occorre abitare quella spirale di problematizzazione che è il circolo ermeneutico : come in un dialogo cooperativo tra testo e lettore, l'interprete del testo-evento educativo entra in contato con un contesto che, sebbene gli sia estraneo, non gli apparirà mai del tutto.
I suoi sforzi ermeneutici non propendono per una classificazione di eventi (come faceva l'interpretazione strutturale), ma tentano di COMPRENDERE e da lì si sforza di raggiungere la SIGNIFICAZIONE.
L'approccio ermeneutico-pedagogico, a differenza di quello strutturale, non procede per selezioni o trasceglimenti.
Dunque la significazione non consiste mai in una sintesi, ma piuttosto si identifica con gli sforzi dell'analisi. Ecco perché l'interpretazione è già comprensione, costruendo il senso degli eventi, costruiamo anche noi stessi!.
La comprensione, a differenza della spiegazione, non esercita alcun diritto di prelazione; poiché le storie e le loro interpretazioni trattano significati, e i significati sono intransigentemente multipli : la regola è la polisemia. (Bruner - la cultura dell'educazione) -
I significati narrativi, inoltre, dipendono solo in modo superficiale dalla verità, intesa in senso stretto di verificabilità, il loro requisito è piuttosto la verosimiglianza, che è un insieme di coerenza e utilità pratica.
Uno dei nostri principali strumenti è LA NARRAZIONE, narrare di "cosa si tratta".
In breve, le interpretazioni narrative possono essere o no basate su dei principi, anche se questi non poggiano, come nel caso delle spiegazioni scientifiche, sulla sola verifica rigorosa.
Come il metodo esplicativo adottato dalla scienza può e deve essere insegnato con cura e con rigore, anche i metodi interpretativi e narrativi della storia, degli studi sociali e dell'educazione possono essere insegnati con cura e rigore.
Un rispettoso rigore verso diverse " storie ", diverse interpretazioni delle cose, di come sono, di come possono essere arrivate ad essere e dove potrebbero andare, non è per niente in antitesi con il pensiero scientifico.
Le spiegazioni scientifiche sono complementari all'interpretazione narrativa e viceversa: dopo tutte le storie si occupano fra l'altro dei significati umani delle teorie, in alcuni casi, anzi, gli spazi teorici delle scienze sociali sono arricchiti, perfino chiariti da una narrazione responsabile.


4.4 LA CULTURA UMANA

La cultura modella anche la mente dei singoli individui, la sua espressione individuale è legata al " fare significato " all'attribuzione dei significati alle cose e alle situazioni diverse e in occasioni concrete.
E' questa collocazione culturale di significati che ne garantiscono la negoziabilità e, in ultima analisi, la comunicabilità.
E' la cultura che fornisce gli strumenti per adattarsi al mondo; la cultura pur essendo essa stessa una creazione dell'uomo al tempo stesso plasma e rende possibile l'attività della mente umana.
Da questo punto di vista l'apprendimento e il pensiero sono sempre situati in un contesto culturale.
Sembra che esistano due modi principali in cui gli esseri umani organizzano e gestiscono la loro conoscenza del mondo, anzi strutturano la loro stessa esperienza immediata: per trattare le cose fisiche, il pensiero logico-scientifico, per trattare delle persone e delle loro condizioni il pensiero narrativo.
La loro universalità suggerisce che affondino le radici nel genoma umano e che siano dati dalla natura del linguaggio.
Se, dunque, la narrazione deve diventare uno strumento della mente capace di creare significato, richiede lavoro da parte nostra: leggerla, farla, analizzarla, capirne il mestiere, sentirne l'utilità, discuterla.
Ma che rapporto c'è tra "discorso ermeneutico" e il "discorso pedagogico"?.
Gadamer ci ha aiutati a liberarci definitivamente dall'ossessione positivista di una spiegazione scientifica di ogni evento.
L'interpretazione ermeneutica non è una tecnica né tanto meno può essere usata come un normale metodo scientifico, " essa è soltanto una Teoria, una teoria possibile della prassi " (Gadamer). E'quindi una riflessione che si colloca " oltre " i limiti dei domini della scienza, che non esclude la scienza, ma la relativizza, che non emargina la spiegazione scientifica, ma l'integra.....
L'educazione e i suoi linguaggi possono essere quindi ermeneuticamente (( (((((((ì(( interpretazione, spiegazione) interpretati.
Questa scelta obbliga però la pedagogia ad avviare un rapporto - fecondo se corretto nelle premesse - con l'ermeneutica.... l'intersezione tra pedagogia ed ermeneutica da così luogo a un preciso ambito di ricerca che denominiamo " ermeneutica dell'educazione" -


4.5 CHE COSA INTENDERE PER "EDUCAZIONE" E PER "PEDAGOGIA "

E' chiaro che tutti questi argomenti potrebbero essere esaminati anche da altri punti di vista ed in differenti prospettive: risulta immediato pensare, ad esempio, a quella psicologica.
Si tratta, però di una prospettiva essenzialmente differente: nella nostra prospettiva, quella pedagogica, si studia il contributo culturale nel senso evolutivo che riguarda l'educazione e la finalizza, e il vissuto soggettivo ha un significato secondario.
Inoltre, siamo in una prospettiva sintetica e non analitica; propositiva e non terapeutica; di progresso e non di normalizzazione; di progetto e non di restauro.
Dal nostro discorso anzi si scopre " un campo di intervento professionale tutto da esplorare ed in gran parte vergine, quello del pedagogista al servizio dei singoli casi di problemi umani 6" come quelli che stiamo qui esemplificando. Il che non toglie, ovviamente che sia molto utile e produttivo, e forse spesso necessario, valersi appieno, funzionalmente ed anche in via essenziale, dei contributi di altre discipline per la soluzione di problemi della pedagogia: in particolare di discipline scientifiche, come la psicologia, o ad esempio la sociologia, l'antropologia, la psicologia genetica; ed in certi casi differenti, di varie discipline che intervengono più ampiamente, ad esempio nel campo scolastico.
Questo però deve essere fatto in modo non riduzionistico: va cioè operato con il preciso convincimento che la pedagogia ha una sua autonomia, come abbiamo ben spiegato nelle pagine precedenti, un suo specifico sia come oggetto di studio , sia come dominio di problemi (i problemi della comunicazione interpersonale che consentono tale evoluzione, peculiari per l'uomo).
Aldo Visalberghi, negli anni '70 scriveva in una sua opera sulla quale si sono formati molti educatori professionali, "....Il processo di trasformazione della pedagogia tradizionale, basata sulla filosofia, un po' nel buon senso, in qualcosa che abbia fondamento o natura "scientifica" è un processo che dura da molti decenni, anzi da secoli.
Tuttavia sarebbe sbagliato, a nostro avviso, parlare di "morte della pedagogia", quasi che al di là delle singole "scienze dell'educazione", alla fine non resti, o non resterà, nulla che continui il tipo di problematica generale propria della pedagogia. Al contrario, lo sviluppo stesso delle scienze dell'Educazione rende tale problematica generale più complessa ed impegnativa2.
Si comprende altresì come il dominio della pedagogia venga a ricevere un ampliamento considerevole, rispetto a quello che le era attribuito tradizionalmente.
Si tratta di un ampliamento di situazioni ed ambienti, e di un ampliamento di fasce d'età, in quanto problemi e situazioni si presentano in tutte le età, pur se in ciascuna con forme specifiche relativamente differenti.
Di conseguenza, possiamo considerare "educazione" qualunque forma di comunicazione interpersonale la quale concorra, o sia suscettibile di concorrere, alla perpetuazione della storia e dell'evoluzione culturale come prerogative essenzialmente umane.
La pedagogia si ridefinisce quindi, come lo studio dell'educazione condotto con qualsiasi strumento concettuale e qualsiasi metodologia (metodi qualitativi -ricerca azione) che sia di principio compatibile con la peculiarità umana d'essere soggetto di storia e d'evoluzione culturale.
Si può comprendere, di conseguenza, come oggi si sia cominciato a parlare di ampliare "l'educazione permanente", di pedagogia della famiglia, dello sport, della salute.
Il pedagogista, si applica alla scuola e alle relative fasce d'età: queste ultime, fra l'altro, continuano ad ampliarsi, sia in basso sia in alto. Tale istituzione rimane un elemento fondamentale dell'educazione dell'uomo e dell'evoluzione culturale umana in genere.
Tuttavia esso non si occupa più solo o prevalentemente della scuola, né è più ristretto ad un riferimento esclusivo alle età scolari.


4.6 VERSO LA CONSIDERAZIONE DELL'ODIERNA EDUCAZIONE EVOLUTIVA - DEMOCRATICA - PLURALISTICA.

E' chiaro che il constatare un ritmo lento dell'evoluzione nella richiesta educativa non esime dal rilevare che la società civile, come tale si evolve, e non può non evolversi.
Non esistono umanità, società, cultura, storia senza evoluzione: dirlo è pressoché un'ovvietà e forse lo è del tutto.
Tuttavia, va aggiunto che tale evoluzione può esplicarsi con un ritmo talmente lento da potersi supporre che per un determinato periodo la situazione sia in quiete, in stasi, in equilibrio.
Condizione necessaria è che si tratti di un periodo comunque finito.
Il lavorare educativamente in una simile ottica, era reso ancora più facile proprio dal fatto che, tra il Settecento e il Novecento, come del resto anche in altri periodi, l'educazione durasse relativamente poco rispetto all'intero arco della vita umana.
Tant'è che il pregiudizio è ancora emergente e molto diffuso: e capita, a chi da pedagogista sia chiamato ad occuparsi di un caso nel quale siano coinvolti adulti, di sentirsi opporre quell'atteggiamento diffidente e sbalordito assieme, tipico di chi crede che il pedagogista si occupi solamente di bambini e fanciulli; o al massimo, di problemi entro la scuola e le varie età scolari.
E' meno raro di quanto si creda che il pedagogista si occupi di consulenza familiare, di sessuologia, di problemi giudiziari, di servizi sociali, di consultori, di problemi dell'adulto, di politica, di quelle che si chiamano "PEDAGOGIE SPECIALI" (educazione in situazioni di handicap, di violenza, di droga....), di carceri, di comunità terapeutiche, di recupero delle tossicodipendenze e via dicendo.
E' giusto dire che il pedagogista si occupa di riprogettazione continua della vita: di una funzione difficile, che è chiamata a svolgere di continuo, in qualche caso anche con evidente difficoltà, perché solo raramente è assistito da chi abbia le competenze necessarie.
L'educazione, altissima funzione umana, solo la considera in alcun modo limitato né limitabile né da limitarsi entro determinate fasce d'età quali esse siano; al contrario, la pensiamo come elemento essenziale di tutto l'arco della vita umana.
Il dominio dell'educazione, ed il campo d'intervento del pedagogista (come studioso e come operatore), non hanno alcun limite d'età.
L'educazione, oltre ad essere ampia e senza limiti di età, è sempre bidirezionale (o non è): ad esempio, nel momento in cui un adulto educa in ogni modo un bambino, per questo solo fatto in sé nell'atto stesso, il bambino educa l'adulto (già i greci sapevano che l'educazione era bidirezionale); ciò per come l'educazione va intesa oggi. Tutti, a rigore, sono educandi.
L'educazione avviene sempre (e solo) reciprocamente, nei due versi: non esiste mai un flusso di informazione considerabile come educativo da un soggetto (educatore) ad un altro (educando) senza che esista un flusso reciproco e parimenti educativo.
Potranno essere flussi differenti, e magari potremo studiarne privilegiatamente l'uno rispetto all'altro, o viceversa: nel senso che potrebbe interessarci in dato momento studiare un certo modo di agire, una certa figura, ad esempio quella dell'insegnante, o del genitore, o del medico, o del consulente. Ma si tratterà di un'individuazione fatta soltanto per ragioni di studio, di esposizione o di operatività, e comunque condotta " sulla carta": in realtà, i due poli dell'educazione sono reciprocamente inescludibili, diciamo complementari. L'uno non sarebbe educazione, se non fosse educazione anche l'altro.
Educare è sempre e comunque l'interazione tra due o più persone; come tale non si può concettualmente dare l'educazione dell'uno nei confronti dell'altro senza che si dia anche, in modo ovvio, "canonico" e fin banale, l'educazione dell'altro nei confronti dell'uno.


4.7 UN'EDUCAZIONE NON PIU' PER "MODELLI" MA DI "ESEMPI"


Naturalmente, così dicendo dell'educazione abbiamo già fissato anche alcune coordinate di riferimento per comprendere che cosa sia questa disciplina, la pedagogia, qual è chiamati ad accedere.
L'aver rimosso i modelli, è chiaro che non ha soppresso l'esigenza di un riferimento vivente nel quale esercitare quelle operazioni di identificazione, di ispirazione, di informazione di transfer e così via, che volta a volta sono irrinunciabili nell'educazione e nella vita.
Il concetto di modello ha in sé delle valenze di staticità e di adesione supina, passiva, nella quale il soggetto non mette nulla di sé salvo che la "materia prima".
Richiama immediatamente alla mente un fac-simile per realizzare qualche cosa di inanimato. E' per motivi come questi che il concetto stesso di "modello" lo consideriamo incompatibile con la visione realisticamente dinamica ed evolutiva dell'educazione odierna.
Si sostituisce a lui (o meglio, corrisponde logicamente e forse in parte e per certi aspetti anche funzionalmente) il concetto di esempio: (concetto poi molto antico usato dai greci e dai latini: "exempla" nel narrare la storia (Tucidide) la tragedia (Euripide) e nella poesia (elegie) che riprende l'idea di Bruner del "narrate umano".
Un modello, se preso e trattato rigorosamente come tale, è supporto di un'educazione oppressiva, dittatoriale, spersonalizzante, anche tirannica; mentre per crescere e maturare, per vivere e progredire, da uomini liberi, maturi, responsabili, critici, soggetti di cultura di storia e di vita umana, abbiamo bisogno di esempi: di più e più esempi. E ne abbiamo bisogno tutti: da adulti e da anziani, da insegnanti e da genitori, da dirigenti e da formatori, esattamente come ne abbiamo bisogno da bambini e fanciulli, da studenti e figli, da subordinati e da soggetti da formare.
"Oggi l'educatore non è e non può essere in alcun modo un modello, ma deve essere un esempio: esempio in tanti sensi. Ecco una delle funzioni alle quali tutti noi siamo e saremo chiamati3".
Si capisce anche che questo è uno dei casi nei quali il rigore nell'espressione è tassativo: nel linguaggio comune si sarebbe a volte tentati di scambiare i termini; in pedagogia, invece, si tratta di termini differenti ed anzi incompatibili, che non vanno confusi.
L'esempio può fare da guida, fornisce delle indicazioni di massima; importantissime ma che non esimono dall'autonomia, anzi la richiedono e stimolano ad essa.
E' necessario, e ne sono necessari molti; ma è l'educando che, sulla base degli esempi che gli sono offerti, si deve cercare e costruire la propria strada.
Il modello gli indica una strada ed una sola, ed in qualche modo lo costringe a seguirla, l'esempio non ha una ed una sola strada da indicare, quanto piuttosto indica l'esistenza e la realtà di più strade, il modo di camminar4e o di correre o entrambi, ed il modo di procedere nella scelta e nel cambiamento ad ogni possibile bivio o crocevia.
Il percorso e la scelta saranno compiti esclusivi dell'interlocutore educando.
L'esempio può aiutare a correggere dei possibili errori, ma non sanzionarli né punirli; può contribuire all'ottimazione del procedere, ma non ha un optimum, un " assoluto, da proporre né, tanto meno da imporre.
L'educazione odierna, democratica ed evolutiva, è educazione per via di esempi non è più educazione per modello e non lo può più essere.


4.8 IL TERMINE "EDUCAZIONE" COSA INDICA?

Da tutto quanto teorizzato discende un'ipotesi di lavoro interessante per ricercare sulla definizione della pedagogia e del suo dominio di studio e d'azione.
Essa può essere trovata facendo un riferimento diretto alla peculiarità, sostanziale se anche non assoluta, della specie uomo: quella di essere capace, unica tra tutte quelle esistenti sulla terra, di dare luogo ad un'evoluzione culturale del rilievo e dell'entità che ci sono ben noti.
Va rilevato nel nostro contesto che mentre per un animale possiamo parlare di imprinting alla nascita, relativamente alla specie uomo possiamo e dobbiamo parlare di ben altro.
L'uomo è certo biologia: ma è biologia anche con qualcosa di più e di diverso, che ne fa un'entità da studiarsi in modo, e con strumenti concettuali ed operativi, essenzialmente differenti.
Egli comincia a essere tale, e non solo una delle tante altre entità viventi, nel momento preciso in cui comincia questo "altro", cioè ad essere soggetto e parte della "grande" evoluzione culturale.
Qui si può collocare l'inizio dell'educazione.
L'ipotesi di lavoro assunta è proprio che tutto ciò che concorre a tale processo umano sia educazione, e quindi dominio della pedagogia. Nella visione assunta è educazione tutto ciò che è pertinente all'evoluzione culturale del vivente uomo inteso come specie, nello scambio interpersonale comunque svolto, praticato e veicolato.
Tutto quello che consente il proseguire e il divenire storico-critico di tale evoluzione, riguarda e pertiene direttamente all'educazione. L'evoluzione costituisce un'accezione molto generale dell'educazione. Essa massimizza l'applicabilità della pedagogia, e questo è per noi una prova a favore.
La pedagogia, studio dell'educazione così intesa e concepita, non è un dominio di competenza puramente filosofica, né biologica, e neppure antropologica od analoga.
E' semmai, anche, un dominio d'integrazione, interdisciplinarietà, , coordinamento e svolgimento ad un pensiero ed azione unitari dei contributi di queste discipline, e di altre ancora, dei rispettivi fini e dei rispettivi mezzi: e, proprio in questo carattere d'integrazione tra apporti eterogenei ma suscettibili di collimazione nei fini "dell'evoluzione culturale umana e della promozione dell'uomo", potrebbe essere cercata una prima importante delineazione del suo specifico, e quindi una legittimazione della sua autonomia.
Allora si dovrà operare una discussione dei fini di ogni atto volto all'evoluzione culturale (cioè di tutta l'interazione e la comunicazione interpersonale) che sia, da un lato, critica (nei riguardi di tali atti, nel senso di corrispondenza allo sviluppo della cultura e della specie umana); e, dall'altro, controllata con i fatti, per il suo svolgersi attraverso la sua interazione, effettiva e sistematica, con la realtà (umana-culturale) oggetto di studio.


4.9 L'EVOLUZIONE CULTURALE DELLA SPECIE UMANA

L'uomo possiede tale facoltà perché è in grado di trasmettere qualcosa di più, di diverso e di meglio da una generazione all'altra che non quanto posseduto da tutti i viventi in quanto tali, cioè la sola eredità biochimica.
Egli è capace di passare alle generazioni successive le acquisizioni conoscitive, scientifiche, tecniche, artistiche della propria generazione (come dire di tutte le generazioni precedenti): Il che consente, appunto in una visione evolutiva, a ciascuna generazione di andare oltre la precedente.
Notiamo, in particolare che ad un fissismo di fondo che caratterizza la vita di relazione di ogni altra specie vivente (a meno che non intervenga l'ambiente modificato o l'uomo) corrisponde per contrasto un'evoluzione continua delle forme socioculturali della sola specie umana.
Il tutto si riconduce alla capacità dell'uomo di trasmettere ed elaborare l'informazione.
Tutto ciò, il complesso della comunicazione interpersonale che comunque entri nell'evoluzione culturale della specie umana, può essere considerato come costituente che correttamente va ad integrare l'educazione come la si intende oggi.
Si tratta, è chiaro, di un'idea di educazione finalizzata intrinsecamente al divenire, e non più od alla "quasi stasi". Educazione quindi, centrata sui processi anziché sui prodotti, intesi questi ultimi come stati di arresto: è questo un modo di dire invalso tra i pedagogisti e i didatti solo verso la fine cronologica del secolo XX, cioè quindi già dentro il secolo XXI culturalmente inteso, od alle sue soglie.
Bruner costituisce una delle principali figure di riferimento per tale spostamento di interesse, che è in fondo un modo diverso di porre i problemi pedagogici di fondo.
Questo era già in Dewey, che aveva presente la scienza come referente privilegiato come processualità e modalità relative, e non come prodotti sempre fallibili e sempre in evoluzione; ma è ripreso da Bruner sia come attenzione alle strutture delle discipline, sia come processi di conoscenza e relative dimensioni psicologiche (concetto di "narrazione", di cultura).
Notiamo come ne risulti ridefinita la stessa pedagogia: vale a dire, la materia di studio specifico dell'educazione.
Essa diviene lo studio di tutta la comunicazione interpersonale umana, comunque e dovunque veicolata, sotto l'aspetto di condizione dell'evoluzione culturale, e di tutti gli atti che si propongono deliberatamente di operare, o che di fatto operino, in favore dell'evoluzione culturale della specie umana.
Da questi primi elementi sta emergendo la pedagogia come un dominio, insieme, di studio e d'azione: un dominio nel quale ci si propone di risolvere funzionalmente i problemi dell'uomo come soggetto d'evoluzione culturale.
Alle domande se l'evoluzione culturale della specie umana sia un bene o un male, o quando sia un bene o un male, come uomini avremmo probabilmente bisogno di una risposta,; ma come pedagogisti possiamo tranquillamente rispondere che non lo sappiamo.
Dovremmo però, aggiungere subito che "proprio da pedagogisti prendiamo innanzi tutto atto che così è, realisticamente; e che altrettanto realisticamente constatiamo che tutti noi abbiamo deciso di occuparci, per un verso o per l'altro, di educazione, e che di conseguenza abbiamo deciso di metterci al servizio di essa e della sua perpetuazione5.
Chi ha deciso di impegnarsi comunque nel campo dell'educazione ha deciso, secondo dovere, di assumersi il compito di lavorare perché chi interloquisce con lui sia messo al passo, "a regime", con questo processo di evoluzione culturale continua: e da attore, non da passivo oggetto.
Ecco un'altra parola che troveremo spesso: in educazione ci si rivolge all'evoluzione "deontologicamente" dal punto di vista "deontologico", cioè del dover essere.
E' un compito senza limiti, se non sul piano pratico, il limite umano; è un compito senza fine in quanto l'educazione non finisce mai. Ed è, altresì, un compito senza fini: l'educazione serve all'evoluzione, ma l'evoluzione di per sé "non serve a nulla", non ha fine alcuno, è a-teleologica (( (((((( ( fine, più (((( ( parola - discorso, ( ( senza).
Questo è altresì un compito assai più arduo oggi che non per il passato, in quanto coinvolge situazioni sempre e freneticamente mutevoli. Ci si trova continuamente di fronte ad un complesso di nuove contingenze critiche, di nuove problematicità, di incerti ed incertezze, di crisi e di conflitti, di imprevisti.
Ciò rappresenta un adempimento impegnativo e talora temibile, ma che dobbiamo prendere su di noi in quanto fa parte della vita; ed è a quella vita che noi dobbiamo educare i nostri interlocutori, quale che sia la categoria cui appartengono o la funzione reciproca.


4.10 COMPITI ESSENZIALI DELL'EDUCATORE, OGGI

In una sintesi compatibile con le finalità di questo compito, potremmo affermare che la pedagogia odierna prescrive alla deontologia dell'educatore, in particolare di quello professionale, il fornire all'educando delle risorse per la vita umana raggruppabili sotto un numero limitato di criteri ordinativi: il che significa più precisamente "per la vita dell'uomo come soggetto attivo di storia, di cultura e d'evoluzione culturale", un soggetto consapevole, responsabile, maturo e critico.
Le risorse umane, fornire e sviluppare le quali è compito dell'educatore oggi, le potremmo riordinare e scandire secondo quattro ordini.
Senza alcuna pretesa di esaurire così la questione, affermiamo che questa tassonomia di risorse può concorrere efficacemente a dare l'idea di quale sia la deontologia dell'educare oggi:
A. la maggiore pluralità possibile di opzioni (teoretiche, filosofiche, politiche, scientifiche, tecniche e pratiche), assieme all'elasticità nell'atteggiamento verso di essa, in quanto ciò lo mette nelle condizioni migliori di vivere liberamente ed attivamente in un mondo la cui evoluzione è imprevedibile;
B. un'ottimizzazione del possesso e dell'impiego degli strumenti concettuali della cultura, della critica e della razionalità umana (da intendersi in sinergia con altre prerogative dell'uomo), in modo da massimizzare la sua capacità di scelta matura, responsabile, autonoma, e quindi da consentirgli di essere nel mondo futuro soggetto attivo, cioè vero uomo;
C. quello che potremmo chiamare il "senso storico-critico", che gli permetta di trattare qualsiasi idea come soggetta essa stessa a divenire nel momento in cui sia riferita alla realtà temporale e materiale (nei suoi aspetti naturali, artificiali, umani). Si tratta sempre di "fare" la storia umana, educando attraverso la disamina critica di ciò che l'uomo ha fatto: la storia, insomma si fa anche con i "se". Il senso della storicità, in una visione attuale dell'educazione, deriva proprio da quel sano beneficio del dubbio, dallo scetticismo sistematico, che è inseparabile da tutto ciò che è umano, terreno, secolare, temporale, culturale e appunto storico. Così dicendo, ci si riferisce sia ad uno studio del passato (storiografico, critico), sia ad una comprensione del presente, sia e soprattutto a qualunque proiezione nel futuro, progettuale e costruttiva, all'educazione in vista delle res gestae - a venire.
D. e quella che potrebbe esserne considerata una conseguenza si particolare rilevanza, cioè il convincimento che l'uomo non va mai asservito ad un'idea, quale che sia; per noi, sono sempre e comunque le idee per l'uomo, e mai viceversa.

L'uomo evolve attraverso le idee, che sono create da lui stesso per risolvere i propri problemi; ed in particolare, esse non vengono da nessun "mondo" esterno, come sostiene Platone6.
Ebbene, questo creare non assolutizza mai nulla, ma va poi riferito alla realtà che è nella storia.
Esse evolvono con l'evolversi del mondo umano. Idee, ad esempio politiche, filosofiche, che pretendesse o di sovrapporsi ai fatti, o norme che non si ridiscutessero alla luce del reale modo d'essere dell'operare che intendessero regolare, vanno rifiutate, e non solo in educazione.
Vale quindi più in generale quanto Mauro Laeng concludeva a proposito di un campo di idee che per noi è molto familiare, e cioè quello della metodologia: "va dunque superata l'opinione che si possa dare un metodo " a priori " , per così dire " vuoto" , nel quale sarebbe poi calato a riempirlo di volta in volta il contenuto "?.
L'educazione , la pedagogia , sono referenti primari solo se sono intesi e considerati come " avviamento di processi " e non come prodotti finiti e definiti da far oggetto di un nuovo dogma: la conoscenza non è quella le cui leggi ed i cui contenuti ci hanno proposto i greci antichi, le norme non sono necessariamente né solo quelle del diritto romano, e la conoscenza va intesa in senso lato e non necessariamente fideistico,
E lo sono, altresì, a condizione che nessuno pretenda di imporre neppur a questi riguardi le proprie scelte ad altri: chi lo facesse in un qualunque esercizio dell'educazione, sfruttando condizioni privilegiate (genitore, insegnante, funzione pubblica, posizioni professionali, associazionismo, servizi sociali, possesso dell'informazione,....) commetterebbe una scorrettezza grave.
In casi del genere, semmai andrebbe detto che non di educazione si tratta, ma ad esempio d'indottrinamento, di asservimento dell'uomo a questa o a quell'idea.
Le idee, invece, hanno per l'uomo un'importanza irrinunciabile: senza idee, senza cultura, non si avrebbe uomo ma animale come un altro, incapace di fare storia.
E non avremmo neppure la facoltà di occuparci, comunque, d'educazione.
Ma in questo senso che le idee vanno prese nel dominio pedagogico: come strumenti necessari all'uomo perché egli possa essere qualcosa di più che un'entità biologica; strumenti che l'uomo educatore userà con l'uomo educabile (che poi, s'identificano perfettamente tra loro) con l'intento di far progredire se stesso e l'interlocutore, nel contesto del progresso storico e dell'evoluzione culturale de genere umano


Note

1 Antinori F., La lezione pedagogica della scienza, F. Angeli, Milano, 1988 (p.12).

2 K.Popper, Logica della ricerca scientifica, Torino, 1970, p22.

3 M. Schlick, Saggi Raccolti 1926-36, pubblicati postumi (1938).

4 J. Dewey, Democrazia e Educazione, La Nuova Italia, Scandicci ( FI), 1949, riedizione 1992.

5 F. Blezza, Pedagogia della vita quotidiana, Ed. Pellegrini, Cosenza, 2000.

6 Blezza F.-Educazione 2000. Idee e riflessioni pedagogiche per il secolo entrante- Pellegrini, Cosenza,1993.

2 Visalberghi A. -Pedagogia e Scienze dell'Educazione - Milano, Mondadori, 1981.p.15.

3 Blezza F. - Un'introduzione allo studio dell'educazione - Osanna, Venosa. 1996

5 Blezza F. - Un'introduzione allo studio dell'educazione - Op. Cit.

6 Abbagnano N. - Dizionario di filosofia - Utet. Torino, 1971


 
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