Osservazioni sul mistero della morte
di Mussolini e Claretta Petacci
di Ambrogio Viviani
GEN. (RIS) ON. DOTT. AMBROGIO VIVIANINato a Cremona nel 1929 in famiglia di tradizioni militari, sposato ha tre figli.
Principali studi: Accademia, Scuola di applicazione, Scuola di Stato Maggiore italiana e tedesca, Istituto Stati Maggiori interforze, Centro alti studi difesa
Principali Comandi: 3° reggimento bersaglieri, Brigata meccanizzata Goito, Brigata paracadutisti Folgore.
Principali incarichi: Addetto militare in Germania, 0landa, Danimarca, Capo sezione controspionaggio del SISMI.
Brevetti di paracadutista; civile, militare italiano e tedesco, Forze speciali USA.
Appassionato di studi storico-militari. Ha pubblicato tra l'altro: Storia del 3° reggimento bersaglieri, Storia e cronaca del Corpo dei bersagheri, Storia dei Servizi segreti italiani, Storia della Massoneria lombarda, Manuale della controspia (pubblicato anche in Russia e in Polonia), la battaglia di Novara 1849, la battaglia di Magenta 1859.
Partecipa a convegni di studio, tiene conferenze, collabora a pubblicazioni varie.
Nel 1986 per protesta ha dato le dimissioni dall'Esercito.
Già Deputato della X.a Legislatura.
Laurea di dottore in Scienze strategiche presso l'Università di Torino.
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Molte sono, ancor oggi, le ipotesi su la morte di Benito Mussolini, ma la verità giace ancora negli archivi di quegli organismi informativi che burocraticamente continuarono a funzionare passando con meritevole indifferenza alle dipendenze di un Governo, o di un altro. All'epoca (ed ecco gli archivi dove scavare) operavano nel nord Italia:- il SIS (Servizio segreto di informazione ) britannico, poi M16 (branca per l'estero) oggi D16;
- l'OSS (Office of strategic service) degli USA, poi CIG, oggi CIA;
- il NKGB (Comitato del popolo per la sicurezza dello Stato) poi MGB, poi KI (Comitato per le informazioni), poi KGB (Oggi SVR e FSK poi FSB)
- il NKVD (Ministero del popolo per gli affari interni, operante anche all'estero) poi MVD, poi KI, poi KGB, etc.
-Il Direttorato esteri (poi KI) del GRU (Servizio segreto militare sovietico di informazioni, oggi in parte russo);
-Distaccamento di Como del Reparto Delta del SID (Servizio informazioni difesa, della RSI poi Centro di Milano del SIM, poi del SIFAR, poi del SID (della Repubblica attuale), oggi Centro di Milano del SISMI;
- Centro di Como del Reparto Sigma del SID della RSI, già Centro della GNR della RSI, poi Centro di Como del Servizio di informazione dei Carabinieri;
- Ufficio informazioni del II reparto dello Stato Maggiore esercito, già SIM (Servizio informazioni militari), dal giugno 1945 nuovamente SIM e per ultimo SIOS (Servizio informazioni operativo situazione) dell'Esercito)
- Servizio informazioni della Guardia di Finanza che all'epoca faceva il triplice gioco operando per la RSI, per il Regno del sud e per il CVL.
L'archivio più importante rimane in ogni caso quello del PCI, oggi PDS, che gelosamente custodisce con la documentazione di comodo anche quella riferita alla verità.
E veniamo ai fatti limitatamente al periodo di interesse dalle 2.45 alle 17.48 del 28 aprile 1945.
Verso le ore 5 del giorno 28, dopo vicissitudini varie, Mussolini, arrestato alle 15.30 del 27 aprile a Dongo da Urbano Lazzaro (Bill) vice commissario politico della 51a Brigata partigiana, e Clara Petacci, arrestata dallo stesso Bill, arrivano in casa Lia e Giacomo De Maria, in località Giulino di Mezzegra.Essi, partiti da Dongo alle 2.45 sono accompagnati da:
- Luigi Canali (Neri) Capo di Stato Maggiore della 52a Brigata della Divisione "Garibaldi" del CVL, da tempo amico dei De Maria;
- Pier Luigi Bellini delle Stelle (Pedro) comandante (forse ad interim) della 52a Brigata ;
- Michele Moretti (Pietro) commissario politico della stessa 52a;
- Giuseppina Tuissi (Gianna) staffetta della 52a;
- Giuseppe Frangi (Lino), nipote dei De Maria, e Guglielmo Cantoni (Sandrino o Menefrego) partigiani della stessa 52a;
- due autisti non noti (uno era detto Carletto).
I due prigionieri, dopo una sosta nella cucina, vengono rinchiusi al primo piano nella stanza dei figli De Maria che vengono mandati a dormire presso parenti.
Lino e Sandrino restano di guardia; Pedro ritorna a Dongo; Neri, Pietro e Gianna partono per Como dove arrivano verso le 6 e dove verso le 6.30 informano Dante Gorreri (Guglielmo) segretario della locale federazione del PCI alloggiata a palazzo Terragni, in merito alla posizione di Mussolini e degli altri prigionieri e in merito a tutto ciò che questi portavano con loro. Canali (Neri) informa anche i componenti del locale CLN sito in Prefettura.
La notizia della cattura di Mussolini era stata data a Milano alle 17.45 del giorno precedente.
Verso le ore 8 dello stesso giorno, con la 1100 targata BN 8840, guidata forse da Giuseppe Perotta o forse da un certo Barba, e con un automezzo tipo 121, partiti da Milano, arrivano a Como:- Luigi Longo (Italo ma al momento con il nome di battaglia di Valerio), comandante delle Divisioni Garibaldi, numero 1 del PCI al nord, qualificatosi per Walter Audisio colonnello partigiano;
- Aldo Lampredi (Guido) vice di Longo, numero 2 del PCI;
- Alfredo Mordini (Riccardo) ispettore partigiano di zona, fanatico comunista da sempre, commissario politico della 51a Brigata "Capellini" della Divisione "Gramsci" dell'Otrepò Pavese, entrata in Milano alla sera del 27 aprile;
- Orfeo Landini (Piero) commissario politico della 3a Divisione "Aliotta";
- 20 partigiani (secondo altri 12 o forse 14) della 51a Brigata, mai identificati, alcuni dei quali ancora oggi viventi e finalmente noti.
Per raccogliere ogni informazione Longo si presenta al CLN locale sito in Prefettura; Lampredi con Mordini alla federazione comunista locale dislocata a palazzo Terragni.
Il gruppo asserisce di avere il compito di trasferire Mussolini e i prigionieri a Milano ma in realtà Longo vuole, o deve, fucilarli sul posto per evitare possibili interferenze straniere o italiane.
Né il CLNAI né il CVL hanno emanato un ordine del genere; forse l'ordine verbale a Longo è stato dato da un "Comitato insurrezionale" autocostituitosi in Milano con Pertini, Sereni, Valiani e lo stesso Longo.
L'ordine scritto per la fucilazione verrà dato dal CLNAI nel pomeriggio del 29 aprile e cioe' a cose fatte.
E' da ritenere comunque verosimile che l'intenzione iniziale del Comitato, o di chi per esso, sia stata quella di fucilare almeno 15 prigionieri, Mussolini compreso, nel piazzale Loreto di Milano, dove il 14 agosto 1944 erano stati fucilati 15 partigiani per rappresaglia dopo la uccisione di 2 soldati tedeschi.
Verso le ore 9, al corrente della situazione, di comune accordo viene deciso di procedere come segue:- Longo (Valerio) si porterà a Dongo per riunire i prigionieri e predisporre per la loro fucilazione nella piazza del paese; sequestrato l'autocarro Fiat 634 della ditta Pessina e l'Aprilia 1500 targata RM 001 del Servizio segreto della Regia Marina della quale era dotato un Agente sul posto, verso le ore l2 quando finalmente é riuscito a disporre degli autoveicoli necessari, Longo parte, con la scorta per Dongo dove arriva verso le ore 14;
- Lampredi (Guido) e Mordini (Riccardo) andranno a Bonzanigo a prendere Mussolini e Clara Petacci per trasferirli a Dongo; essi sono accompagnati da Moretti (Pietro) come guida e forse hanno lo stesso autista Perotta; con la 1100 di Valerio verso le ore 9.30 partono per casa De Maria;
E' logica la preoccupazione di Longo di assumere al più presto con due elementi fidatissimi (che partono prima e con la sua 1100) il controllo di Mussolini ancora affidato a due giovani partigiani, e la sua decisione di organizzare personalmente a Dongo una teatrale fucilazione dei prigionieri unitamente al recupero di documenti e di altri valori.
Verso le ore 11 Lampredi e Mordini sono a casa De Maria. Moretti rassicura i coniugi e Lino con Sandrino che a turno sono stati di guardia sul ballatoio davanti alla stanza dei prigionieri.
Mussolini e Clara Petacci stanno ancora cercando di riposare e sono sommariamente vestiti, non avendo altro, ed essendo gli abiti ancora bagnati per la forte pioggia. Passati i momenti più critici dalla cattura avvenuta circa 20 ore prima, ritenendo ormai di venire sottoposto ad un processo, rinunciato ad un possibile tentativo di fuga (la stanza aveva una finestra solo di tanto in tanto controllata), Mussolini in parte ripresosi fisicamente e spiritualmente, trovandosi di fronte due sconosciuti rifiuta di obbedire all'ordine di seguirli.
Segue una colluttazione durante la quale Mussolini viene gravemente ferito da alcuni colpi di pistola Beretta cal. 9 sparati da Mordini. Anche Clara Petacci (coinvolta) viene ferita con due colpi della stessa arma il cui caricatore contava 7 colpi.
Urbano Lazzaro (Bill) al momento dell'arresto sostiene di avere disarmato Mussolini della sua pistola "Glisenti" secondo altri ne era ancora in possesso. Nella stanza venne poi ritrovato un coltello da cucina che era stato sottratto ai De Maria.
Lampredi, Mordini e Moretti si trovano ora di fronte ad un grave problema e ripartono subito per Dongo per riferire a Longo. Arrivati in paese verso le 14.30, Lampredi sulle scale del Municipio informa Longo e tra i due scoppia naturalmente un violento alterco.
La fucilazione dei prigionieri viene sospesa in attesa di rimediare in qualche modo al fallito trasferimento di Mussolini.
Verso le ore 15.30 Longo, Lampredi, Mordini e forse Canali (Neri) partono per casa De Maria utilizzando una 1100 guidata da Giovanbattista Geninazza occasionalmente sulla piazza di Dongo, anziché una delle cinque disponibili autovetture della 52a Brigata anch'esse sulla piazza e guidate da partigiani. E' evidente che Longo non vuole con se testimoni qualificati.
Arrivati sul posto completano la vestizione di Mussolini e di Clara Petacci, li trascinano al vicino cancello (a 350 metri) di villa Belmonte. Geninazza viene allontanato, Lino e Sandrino vengono lasciati in casa De Maria.
Mussolini viene necessariamente disteso a terra e la donna gli é in qualche modo accanto.
Segue una raffica di mitra cal. 7.65 e cioé la fucilazione "ufficiale". E' di scarso interesse, sapere chi abbia effettivamente sparato. Longo nella veste di Walter Audisio dichiarò di averlo fatto; la stessa cosa sostenne anni dopo Moretti; Lampredi diede il colpo di grazia con la pistola di Moretti.
Alle ore 17.48 dello stesso 28 aprile in Dongo ebbe luogo la fucilazione di 15 prigionieri ad opera di un plotone di esecuzione comandato da Alfredo Mordini (Riccardo) con il vice comando di Orfeo Landini (Piero).
La "fucilazione" di Mussolini e di Claretta Petacci era stata fatta necessariamente senza testimoni (per cosi' dire di nascosto) essendo impossibile farla in pubblico insieme agli altri.
Clara Petacci venne eliminata perché non testimoniasse su quanto era accaduto in casa De Maria.
Giuseppe Frangi (Lino), nipote dei De Maria, venne trovato morto pochi giorni dopo, il 6 maggio, alle ore 2.00. A quell'ora lo trova Luigi Canali (Neri) con il quale aveva evidentemente un appuntamento. Neri viene ucciso a sua volta tre giorni dopo; Giuseppina Tuissi (Gianna) che indaga sulla sua scomparsa viene uccisa il 23 giugno.
Guglielmo Cantoni (Sandrino o Menefrego), l'altro sorvegliante di Mussolini, si rifugia per alcuni anni in Svizzera.
Luigi Longo, dapprirna intenzionato ad assumere la veste di "eroe nazionale" nella ottica comunista, di fronte a quanto accaduto conferma la sua copertura iniziale di colonnello ragioniere Walter Audisio (Valerio) il quale da buon comunista si presta al gioco.
Il 30 aprile 1945 il professor Caio Mario Cattabeni fece l'autopsia della salma di Mussolini insieme a medici americani, la cui documentazione scritta, fotografica e filmata è tutt'ora inedita e conservata nell'archivio della CIA (come indicato all'inizio).
Mussolini era stato colpito da 9 colpi, tutti a brucialpelo, dei quali 4 di mitra cal 7.65 concentrati sulla spalla sinistra e 5 di pistola cal. 9 dispersi sul fianco destro con diverse angolazioni di entrata.
Aldo Lampredi (Guido) il vice, di Longo, qualificandosi per il generale medico Piero Bucalossi (Guido anch'egli) vietò l'autopsia della salma di Clara Petacci; presente era anche il prof. Alberto Cavallotti (Albero) commissario politico della Divisione "Gramsci".
Nel maggio del 1956 venne riesumata la salma di Clara Petacci e durante la conseguente autopsia vennero trovati due proiettili di pistola cal. 9 e nessuno di mitra.
Alfredo Mordini (Riccardo)*** al momento della sua morte alcuni anni fa, consegnò la sua pistola Beretta cal 9 matricola 778133 (da lui conservata illegalmente trattandosi di calibro vietato ai civili) alla moglie (ora deceduta) dichiarando a voce e per iscritto che con quella pistola era stato ucciso Mussolini. La moglie consegnò la pistola all'amico Piero Boveri già staffetta della 51a Brigata la stessa di Mordini. Boveri consegnò a sua volta la pistola ad una persona di fiducia.
La pistola é ora conservata in una Banca. Oltre ad essere un cimelio storico, consente un confronto con i proiettili recuperati dalle salme di Benito Mussolini e di Clara Petacci.
Il mitra cal 7.65 mod 38 matricola 20830 è conservato nel museo del KGB in Mosca dove i comunisti italiani ritennero doveroso inviarlo e dove il sottoscritto ha avuto la possibilità di vederlo e di sentirne la storia.
Il criminale e indiscriminato massacro del 28 aprile 1945, con la barbara esposizione del giorno dopo a piazzale Loreto, fu non l'unico ma certo il più importante incentivo per i tanti assassini dei mesi successivi.
Gen. Ambrogio Viviani
***Enzo Cicchino, il direttore de "L'Archivio", giorni dopo la pubblicazione in Rete
di questa pagina, il 23 dicembre 2002 ho ricevuto via e-mail, da un amico, questa
lettera:
Caro Enzo, mi permetto di segnalarti una piccola precisazione circa
l'articolo del Gen. Ambrogio Viviani "La presunta pistola con cui sarebbe
stato ucciso Mussolini".
Nel libro di Fabrizio Bernini "Così uccidemmo il Duce" (C.D.L. Edizioni -
1998), nella nota n° 26 a pag. 164, Bernini dice che "Guido" (Aldo Lampredi)
sparò a Mussolini con una Beretta 34 calibro 9, indicando come la matricola
della pistola fosse 778133 e che a Dongo, dopo l'esecuzione del Duce, la
diede a "Riccardo" (Alfredo Mordini) perchè la conservasse per ricordo.
Alla sua morte, la moglie la cedette al partigiano varzese Piero Boveri che
la conservò fino al 1983, quando decise di cederla al Museo Storico di
Voghera (PV).
La foto a pag. 160 del predetto libro mostra appunto la Beretta 34 di
Lampredi, conservata (dice sempre Bernini, nel 1998) presso il Museo Storico
di Voghera (PV). Come si può ben notare, intorno alla morte di Mussolini,
più passa il tempo, più si infittiscono i misteri.Ciao. Paolo