L’arresto.
Giovanni Frignani, Raffaele Aversa e Paolo Vigneri:
ecco, per la storia, i nomi dei tre ufficiali dell’Arma che affrontarono
la tremenda responsabilità di arrestare l’uomo al cui illimitato
potere aveva dovuto soggiacere per oltre vent’anni il popolo italiano.
E con i tre suddetti ufficiali era la schiera dei
loro dipendenti: sottufficiali e carabinieri che, fedeli pedine del rischiosissimo
gioco, diedero tutta la loro modesta ma efficace cooperazione.
I capitani Aversa e Vigneri, rispettivamente comandanti
delle compagnie della Capitale: la Tribunale l’Aversa e l’Interna il Vigneri,
vengono telefonicamente convocati, verso le ore 14 del 25 luglio, nell’ufficio
del tenente colonnello Frignani, comandante del gruppo da cui dipendevano.
Malgrado l’odore di crisi acuta che tutti fiutavano
nell’aria dopo quanto era trapelato dalla drammatica seduta del Gran Consiglio
del fascismo della notte innanzi, essi si affrettarono verso il luogo del
convegno senza nulla presagire di quello che si voleva da loro. Già
le chiamate del genere si facevano sempre piú frequenti in quel
periodo cosí gravido ed inquietante sia per il rapido progredire
dell’invasione del territorio nazionale da parte delle armate alleate sbarcate
in Sicilia e sia per il bombardamento aereo di appena pochi giorni prima,
del quartiere S. Lorenzo che tanto aveva terrorizzato la popolazione della
Capitale. Lo confermano i rapporti agli ufficiali ed al personale in genere,
che erano diventati sempre piú frequenti, per non dire quasi quotidiani.
Dal Comando Generale frattanto era stato diramato
l’ordine di tenere consegnati, dalle ore 16 in poi, tutti i militari dell’Arma,
in attesa d’una autorevolissima visita nelle rispettive caserme dell’Urbe.
Alla sede del Comando di Gruppo in viale Liegi,
dove giunsero separatamente sia il tenente colonnello Frignani che i due
capitani, si trovavano già il comandante generale dell’Arma Angelo
Cerica ed il commissario di P.S. Carmelo Mazzano - sottotenente di complemento
dei Carabinieri - direttore dell’autodrappello del Ministero dell’Interno.
Il generale Cerica, calmo pur nel pallore del viso
che tradiva la sua intima commozione, fissa negli occhi i suoi dipendenti
e dice all’incirca:
«Vi affido un compito di estrema gravità per il quale
so di non fare invano appello al vostro alto senso del dovere. Oggi, fra
qualche ora anzi, voi dovete arrestare Mussolini che, messo questa notte
in minoranza nella seduta del Gran Consiglio del fascismo, si recherà
dal sovrano e sarà sostituito nelle sue funzioni di capo del governo...»
Nessuna consegna forse apparve piú ardua
di questa ai bravi ufficiali che tuttavia senza batter ciglio rispondono,
quasi ad una sola voce ed in tono fierissimi, con due parole: «Sta
bene...»
Si appartano poi in un’altra stanza dell’ufficio
del Gruppo ed il tenente colonnello Frignani espone, illustra e commenta
nei piú minuti particolari ai due capitani, le modalità esecutive
dell’ordine ricevuto.
Poco dopo giungono in viale Liegi il questore Morazzini,
addetto alla Casa Reale, in autoambulanza con a bordo, oltre al conducente,
tre agenti di P.S. in abito civile, armati di mitra ed un automezzo destinato
al trasporto dei militari dell’Arma.
In attinenza alle precise istruzioni concretate,
i capitani Aversa e Vigneri con i due automezzi si portano al Gruppo squadroni
nella vicina caserma Pastrengo e fanno approntare un plotone di 50 carabinieri
che asseritamente debbono rimanere agli ordini dell’Aversa per ricercare,
affrontare e catturare nuclei di paracadutisti alleati lanciati nei dintorni
di Roma.
Il pretesto, giacché di pretesto si tratta,
al fine di evitare ogni possibile indiscrezione che avrebbe potuto nuocere
alla massima segretezza delle missioni predisposte, è facilmente
accreditato dalle circostanze del recente bombardamento aereo della capitale.
Nessuno pensa minimamente a vicende diverse. Soltanto si chiedono maggiori
particolari d’impiego e questi vengono dati con pronta disinvoltura lavorando
una volta tanto d’impostazione e di fantasia.
Il capitano Vigneri, al quale il superiore ha commesso in termini drastici
la consegna di «catturarlo vivo o morto» sceglie, personalmente,
tra i militari del Gruppo squadroni tre sottufficiali di particolare prestanza
fisica e di pronta intelligenza che dovranno prestargli man forte, in caso
di necessità, prima di ricorrere «ultima ratio» alle
armi; precisamente i vicebrigadieri: Bertuzzi Domenico; Gianfriglia Romeo
e Zenon Sante. Essi si dimostrarono subito animati da ferma volontà
ed assai lusingati dal favore della scelta.
I militari salgono sull’autocarro che viene chiuso
accuratamente col tendone, mentre i due capitani, i tre vicebrigadieri
e i tre agenti di P. S. prendono posto nell’autoambulanza che viene anch’essa
chiusa ed ha gli sportelli coi vetri smerigliati. I due automezzi, senza
che nessuno, ad eccezione dei due capitani, conoscesse la destinazione,
si dirigevano alla volta di Villa Savoia preceduti dalla vettura del questore
Morazzini, che, data la minuta conoscenza dei luoghi, si era assunto il
compito di far entrare il convoglio nell’interno della residenza reale.
Dopo una brevissima sosta al cancello di via Salaria vengono ancora percorsi
un centinaio di metri e gli automezzi si arrestano. Il questore Morazzini,
come d’intesa, picchia ai vetri dell’ambulanza per avvertire i due capitani
che si è giunti nel luogo stabilito. Essi discendono ed altrettanto
fanno i loro dipendenti che si raggruppano silenziosi, ma visibilmente
commossi di trovarsi nel parco di una Villa.
Il questore Morazzini dà alcune sommarie
indicazioni sulla topografia della località, che bastano ad orientare
i due ufficiali in rapporto ai loro compiti. Il punto dove ora essi si
trovano è nel lato settentrionale della villa reale, cioè
nella parte opposta all’ingresso principale, dove fra breve dovrà
entrare Mussolini.
È qui che si deve aspettare il momento di agire. Il questore
stringe calorosamente la mano agli ufficiali con atteggiamento di favorevole
auspicio e si allontana da quella parte che costituirà la scena
del dramma imminente.
Lo spettacolo inusitato apparso cosí all’improvviso,
non sfugge a chi sta nell’interno della villa. Qualche viso s’intravede
dietro le finestre del primo piano, protette da fitte reticelle metalliche,
ma per un solo attimo; poi l’ombra scompare. Un famiglio sbucato tra gli
alberi del parco si arresta all’improvviso e sta quasi per tornare indietro,
incerto e fors’anche un po’ smarrito.
Sotto il sole infuocato e nel silenzio inusato del
meriggio gli ufficiali riuniscono il personale in un piccolo cerchio ed
il capitano Vigneri rivela loro, a bassa voce, e finalmente, la grande
consegna. S’impartiscono rapidamente le istruzioni di dettaglio. Poi torna
il silenzio, rotto solo da un sordo acciottolio proveniente dalle non lontane
cucine reali. I carabinieri, che in un primo tempo nella caserma Pastrengo
avevano accolto con qualche perplessità l’annuncio fittizio del
rastrellamento dei paracadutisti lanciati dagli aerei nemici, ora intuiscono
di essere i modesti protagonisti d’un grande evento, si rianimano commossi,
bisbigliano tra loro qualche commento, ma si mostrano seriamente decisi,
pronti e risoluti.
L’attesa è tuttavia snervante. I due capitani,
compagni d’accademia e vecchi amici, si scambiano qualche impressione e,
reciprocamente, si ripetono i dettagli dell’impresa imminente. Giunge finalmente
- com’era atteso - il ten. colonnello Frignani, che veste l’abito civile.
Avverte i due ufficiali che Mussolini, il quale aveva avuto in precedenza
fissata l’udienza dal Sovrano, arriverà in ritardo sull’ora prevista.
Entra poi nella villa dall’ingresso secondario -
a levante - per prendere gli ultimi accordi con i funzionari della Real
Casa e, dopo qualche minuto, ritorna presso i suoi uomini.
Si dimostra però turbato e contrariato, perché
vi sarebbero delle riluttanze per l’arresto del Duce sulla soglia della
villa reale. Tuttavia si ricompone subito, deciso e risoluto, esclama:
«noi in ogni caso lo arrestiamo ugualmente». Il ten. colonnello
Frignani ha nelle vene sangue generoso, che piú tardi bagnerà
il luogo sacro del martirio ardeatino. Egli sente indubbiamente la passione
dell’ora che volge: egli intuisce la necessità di non dare tempo
al capo del governo spodestato di riaversi dal duro colpo e di scatenare
o di tentare di scatenare un movimento di reazione, le cui conseguenze
potrebbero riuscire fatali per il nostro Paese. Ma, da vero soldato, si
rende conto che è indispensabile saper frenare i generosi impulsi
del cuore ed agire con tempestiva ponderatezza. Rientra di nuovo nella
villa e ne esce poco dopo con la notizia che Mussolini si trova ancora
a colloquio col sovrano e che l’arresto si farà. Ma non c’è
tempo da perdere ormai. Il questore Marazzini intanto, col pretesto di
una urgente chiamata telefonica, ha attirato in un punto lontano dalla
villa l’autista del Duce, che cosí è stato immobilizzato.
I cinquanta carabinieri vengono lasciati sul lato
settentrionale dell’edificio, pronti ad accorrere al primo cenno, mentre
i due capitani, i tre vicebrigadieri ed i tre agenti di P. S. armati di
mitra si portano sul lato orientale. Si fa avanzare l’autoambulanza fino
a pochi metri dall’ingresso dal quale uscirà Mussolini, ma in modo
da non essere notata.
Proprio nell’angolo sta fermo un famiglio fidato
con la consegna di allontanarsi allorché il capo del governo comparirà
in cima alle scale. È questo il segnale convenuto per agire. Sullo
stesso lato, a ridosso della siepe, è in sosta, priva dell’autista,
la macchina di Mussolini. A pochi metri di distanza il capitano Vigneri
dispone i tre agenti di P. S. con le armi pronte e con l’ordine d’intervenire
soltanto in caso di necessità e sempre al primo cenno. Poi, insieme
al collega Aversa, si colloca di fronte, presso il muro della villa, con
a tergo i tre sottufficiali.
Una ventina di metri piú indietro, sostano
il ten. colonnello Frignani ed il questore Morazzini, i quali si avvicineranno
solo quando Mussolini sarà salito sull’autoambulanza.
Ad un certo momento il famiglio si allontana. È
l’ora. Il piccolo gruppo, formato dai due capitani e dai tre vicebrigadieri,
avanza e - quasi contemporaneamente - si scorge il duce - mentre discende
gli ultimi gradini della scalinata insieme al suo segretario particolare
De Cesare. Vestono entrambi l’abito scuro: Mussolini con un completo blu
ed un cappello floscio. Egli deve aver notato all’ultimo istante l’insolito
apparato, tanto che trasalisce visibilmente.
Il capitano Vigneri gli va incontro e, stando sull’attenti, dice: «Duce
in nome di S.M. il Re vi preghiamo di seguirci per sottrarvi ad eventuali
violenze da parte della folla».
Mussolini allarga le mani nervosamente serrate su
una piccola agenda e con un tono stanco, quasi implorante, risponde: «Ma
non ce n’è bisogno!»
Il suo aspetto è quello d’un uomo moralmente finito, quasi distrutto:
ha il colorito del malato e sembra persino piú piccolo di statura.
«Duce, - riprende il capitano Vigneri, - io
ho un ordine da eseguire».
«Allora seguitemi», risponde Mussolini
e fa per dirigersi verso la sua macchina.
Ma l’ufficiale gli si para dinnanzi:
«No, Duce, - gli dice, - bisogna venire con
la mia macchina».
L’ex capo del governo non ribatte altro e si avvia
verso l’autoambulanza, col capitano Vigneri alla sua sinistra; segue De
Cesare, con a fianco il capitano Aversa.
Dinnanzi all’autoambulanza Mussolini ha un attimo
di esitazione, ma Vigneri lo prende per il gomito sinistro e lo aiuta a
salire. Siede sul sedile di destra.
Sono esattamente le ore 17.20.
Dopo, sale De Cesare e si mette a sedere di fronte
al suo capo. Quando anche i sottufficiali e gli agenti si accingono a montare,
il Duce protesta: «Anche gli agenti?! No!!»
Vigneri allarga le braccia come per fargli capire
che non c’è nulla da fare e, rivolgendosi deciso ai suoi uomini,
ordina: «Su ragazzi, presto!!»
Anche i due capitani salgono. Nell’autoambulanza
ora si è in dieci e si sta stretti. Il questore Morazzini si avvicina
e, prima di chiudere la porta dall’esterno, avverte che si uscirà
da un ingresso secondario e che un famiglio accompagnerà l’automezzo
sino all’uscita.
La macchina si muove, mentre l’autocarro con il
plotone dei cinquanta carabinieri rimane fermo. Ormai non c’è piú
bisogno di loro. Anche la missione del ten. colonnello Frignani e dei capitani
Vigneri e Aversa è finita.
L’uomo, già potente e temuto, va incontro
al suo fatale destino anche se ritardato da illusori eventi.
Ma anche due dei tre bravi soldati sono predestinati
al martirio, vittime purissime del dovere.