Per una didattica come Atelier del mondo

di Gennaro Tedesco

 


Una domanda essenziale ed essenzialistica, "ontologica", sovrasta, s'impenna e si aggira, come un ultimo spettro minaccioso e pure necessario e rivoluzionario allo stesso tempo, uno spettro localizzato e terribile, che ha scelto come luogo prediletto e privilegiato delle sue "epifanie" i luoghi più sacri ed inaccessibili dell'Europa contemporanea, le scuole, anzi le istituzioni scolastiche del vecchio e sonnacchioso Continente; esso aleggia su questi immacolati, inviolati e invitti "santuari" europei del sapere e della formazione. La domanda inquietante, tenebrosa e perfida, risuona e riecheggia per valli, monti e mari del nostro glorioso Continente, "patria della Civiltà", "libidinosa" e desiderosa di scalfire e aggredire i pacifici e "giusti" sonni e la dolce quiete dei templi del sapere scolastico, essa, questa domanda, suona malvagia e indicibile, oserei dire, barbarica e selvaggia per taluni, forse per quanti abituati al "placido Don" del fluire silente, quotidiano, accomodante e passivizzante, per non dire, narcotizzante e paralizzante per milioni di allievi in età adolescenziale, la domanda impertinente e forse sconvolgente, l'interrogativo fastidioso e assordante per milioni di docenti vetero-continentali, compresi gli italici, o, se preferite, italioti, è il seguente: perché oggi i giovani, gli adolescenti in particolare, sono annegati nel "brutto", bruto e brutale presente, perché essi non avvertono più il richiamo e il fascino del passato?
Perché non onorano più il "padre", o meglio ancora, la "madre", la "Memoria"? Insomma perché la Scuola non riesce più, come una volta (Quando? Quando la Scuola era il "Liceo" con la lettera maiuscola e i presunti interessati appartenevano a una ristretta elite intellettuale di ceto e di censo privilegiati, "entusiasti idolatri" dell'approccio erudito e classista alla "Grande Storia", quella delle battaglie, degli eroi e dei trattati diplomatici, graziosamente concessi
ed elargiti sulla testa e alla faccia dei devoti e repressi sudditi del "Regno"?) ad attrarre al "Grande Gioco" della Storia?
Adesso il mondo è cambiato, la globalizzazione incalza, la Scuola e i docenti devono fare i conti con adolescenti computerizzati, "massificati", ipertestualizzati, che chiedono, anzi pretendono di essere protagonisti dell'apprendimento e nell'apprendimento dei loro "Saperi", dei "Nuovi Saperi".
La Globalizzazione biogenetica ed informatica ha mondializzato le modalità e le occasioni di apprendimento dei Saperi, che si sono radicalmente rimodellati e rimodulati su criteri epistemologici e pedagogici (ma è possibile ancora parlare oggi di pedagogia?) non lineari, non formali, informali, laboratoriali, non costrittivi ed esperienziali. Sono in particolare proprio le "logiche cibernetiche" che hanno reso gli adolescenti esperienziali ed esperienziati navigatori
ondivaghi e pure abili "acrobati" e spericolati costruttori di formidabili rotte informatiche, capaci comunque di non perdere la rotta sapientemente costruita e perseguita. E alla fine dell'accidentato e complesso percorso cibernetico, raggiunto il porto "sicuro", padroni di saperi attivamente e protagonisticamente raggiunti, essi, gli adolescenti, acquisiscono la consapevolezza di un cammino senza fine, dove l'unico vero risultato raggiunto è l'acquisizione di un metodo, di una via per ricominciare ad apprendere e la certezza che di porti "sicuri", tranquilli e definitivi nell'Oceano della Sapienza e della Vita non ne esistono e, se esistono, qualcuno inganna e si prende "gioco", non riuscendoci, della loro intelligenza di viandanti plurimi e infiniti nell'Universo inattingibile dei Saperi mai totalmente raggiungibili.

Allora di nuovo la domanda ritorna, ma, forse, meno virulenta e meno drammatica, se riusciamo a sintonizzarci come docenti, ma anche come opinione pubblica, sulla lunghezza d'onda delle nuove generazioni di adolescenti.
La Società mondializzata del Terzo Millennio, la società dell'immagine e dello spettacolo, del flusso neo-odisseico di onde elettromagnetiche, di impulsi elettronici e parabole satellitari, ha schiacciato su un presente problematico e complesso la vita quotidiana degli adolescenti, dei loro bisogni. L'ibridazione, la contaminazione, la precarizzazione, l'incertezza dei loro (e nostri) stili di vita corrispondono esattamente ai processi tecnologici messi in atto dal mondo globalizzato e ipertecnologizzato in cui viviamo. Le immagini che affollano lo specchio della loro mente sono immagini di tempi spezzati e frammentati di vita frenetici e contorti, scissi, stressati, scomposti e ricomposti all'infinito, come essi imparano ad apprendere dalle logiche frante dell'universo elettronico e socio-politico che li avvolge e li permea.
E allora, ancora una volta, per l'ennesima volta, quale Storia, quali percorsi di storia, in questo contesto magmatico, fluido e friabile, proporre, ammesso che sia ancora possibile, a degli adolescenti? Quali piste di didattica della storia offrire a degli adolescenti in cerca di guide esperte, quasi alla pari, più che di risposte e ricette che non esistono, di cui però purtroppo, ingannandoli e perdendoli, il loro (il nostro) mondo è sovrabbondante e straripante? Essi sembrano chiedere non la salvezza delle loro "anime", non la risoluzione dei loro dilemmi dilaceranti, ma almeno, molto più modestamente e concretamente una via, un metodo, certamente problematico e complesso, per potersi muovere all'interno dell'Oceano tempestoso della vita e della formazione.
Allora la Storia, la Didattica della Storia, potrà indicare qualche barlume di speranza, proponendo il "non luogo" del mondo antico greco-romano come una "terra incognita" totale e totalizzante, da riconquistare e ricostruire, da riscoprire e da rivivere in modo personale, attivo e protagonistico, decontestualizzandolo e ricontestualizzandolo, destrutturandolo e ristrutturandolo incessantemente, evidenziando di essa i "vuoti" che la ricerca laboratoriale, comunitaria e virtuale di Internet può colmare. Recupereremo e potenzieremo tale dimensione, volendo anche acquisire contemporaneamente e consapevolmente solidità e solidarietà di gruppo non solo di classe scolastica, ma anche e soprattutto di gruppo amicale ed esistenziale coniugate ad un robusto arricchimento delle capacità e competenze individuali indirizzate pedagogicamente alla necessitante ricerca di un proprio autonomo, protagonistico, costruibile e ricostruibile percorso didattico.


I quattro percorsi didattici

Presentiamo qui quattro percorsi didattici, la falange oplitica e macedone, la centuriazione romana, il fuoco greco e un sintetico micromodello di sviluppo urbano e territoriale dall'antichità al medioevo. Essi sono accomunati da una forte valenza interdisciplinare, laboratoriale e interattiva e sono tutti rivolti al tentativo di rinnovare, anche solo parzialmente, discipline antichistiche, che continuano, in gran parte, ad essere affrontate dal punto di vista della lezione frontale soprattutto, ma non esclusivamente, nei Licei del Bel Paese.

 

Il primo percorso: la falange oplitica e macedone.

Il primo "fuoco" del nostro approccio interdisciplinare riguarda la falange oplitica-macedone. Può sembrare un gioco, infatti è anche un gioco, ma un gioco terribilmente serio e didattico e non c'è migliore modo per cominciare a coinvolgere degli adolescenti di un Biennio Superiore, partendo proprio dalle avvolgenti e coinvolgenti suggestioni che evocano strategie, tattiche, evoluzioni e movimenti della formazione oplitica e macedone poi.
L'importanza e la valenza didattica, oltre che educativa, dell'attività ludica sembrano oltremodo ancora ridimensionate o addirittura ampiamente sottovalutate nella nostra scuola. Essa, l'attività ludica, nella migliore delle ipotesi, sembra essere presa in considerazione e sviluppata con una certa coerenza e relativa proficuità didattica quasi esclusivamente dai gradi inferiori del nostro ordinamento scolastico, soprattutto nelle materne ed elementari, qualche volta nelle medie, raramente, se non mai, nelle Superiori. E pochi, pochissimi, soprattutto nelle Superiori e specificamente nei Bienni, riflettono sulle potenzialità moltiplicatrici ed esperienziali delle applicazioni didattiche del "ludico" al mondo virtuale e simulativo del computer. Per esempio la possibilità di moltiplicare all'infinito i giochi di ruolo, le simulazioni di casi storici, di grafici, modelli e moduli che incorporino la interdisciplinare possibilità di formulare, replicare, sondare, moltiplicare, esplicitare, virtualizzandole, ipotesi complesse, accorpandole e scorporandole: alla ricerca di nessi e nodi quantitativi, matematici e non, e qualitativi, che diversamente, senza l'uso "ludico" e potenziatore del computer, mai e poi mai sarebbero potuti venire in superficie, a galla e soprattutto in luce, una luce tale, però, da riverberarsi, con i suoi profondi e tentacolari raggi, fin dentro una matassa problematico-didattica, che mai avrebbe potuto essere illuminata in tutti i suoi angoli più riposti e spigolosi senza l'approccio pregnante e, forse risolutivo, della ludicità virtuale, interprete moderna ed ipertecnologica della "giocosità". E tale giocosità dell'allievo adolescente sarà incanalata dalla mano "invisibile" e pur tuttavia sapiente, impercettibilmente vigile ed esperta,
del docente.
Le possibilità dinamiche offerte dall'invenzione strategica e tattica, nonché tecnologicamente avanzata, della falange oplitica e macedone nelle sue evoluzioni sui campi di battaglia dell'antica Grecia, e non solo di essa, consolidano le innate capacità che gli adolescenti posseggono nel calarsi direttamente nei "role-play", che li rendono protagonisti di tattiche e strategie militari, che essi, poi, grazie alla guida esperta, vigile e solerte dei docenti, ritrovano simili, a distanza di oltre duemila anni, nei campi di battaglia del Golfo Persico, incuriosendoli e sollecitandoli a moltiplicare e rafforzare interesse e motivazione allo studio. E nei giochi seri di simulazione non vi può essere migliore alleato "strategico" del computer con le sue potenzialità simulative plurime e infinite. Tale approccio immediatamente abolisce la distanza "storica" tra passato e presente, consentendo di cogliere il meglio della continuità storica, logica e scientifica.
Ma come se non bastasse, il gruppo di ricerca che si è costituito all'IRRE-Lombardia per studiare nuovi approcci all'insegnamento-apprendimento dell'antico, nel suo procedere virtuale-elettronicosimulativo,si è imbattuto nella "riscoperta" illuminante e proficua, anche dal punto di vista operativo, di un denominatore comune tra la tecnologia dell'era informatica e "biotech" e un "mondo perduto", ma da noi e, per "transfert" simulativo-cibernetico, dagli allievi-adolescenti,
sempre più rapiti, affascinati ed estasiati dalle malie e magie elettroniche, cercato, ricercato, ritrovato e ricostruito in un contesto di virtualità cibernetico-storico-interdisciplinare, che ha evidenziato più le continuità storico-interdisciplinari che le discontinuità.
Questa difficile operazione didattica nel tentativo di un rinnovamento dell'approccio all'insegnamento-apprendimento dell'antico nella Scuola superiore italiana e quindi nella conseguente e coerente direzione della riconferma strategica delle potenzialità funzionali e molteplicità didattiche dell'informatica ha posto le condizioni minime per lo sviluppo e l'utilizzo protagonistico di una necessaria autonoma costruibilità personale di un proprio percorso didattico individuale oltre che contestualmente direttamente interdisciplinare e indirettamente comunitario degli allievi.
Il laboratorio virtuale in cui è nato e si è sviluppato il nostro lavoro didattico ha avuto ed ha il vantaggio, per sua intrinseca natura, di costituire una procedura e un procedimento non solo facilmente documentabile elettronicamente e ripetibile nella scansione dei suoi stadi e delle sue fasi (moduli?), ma anche quello di poter fermare il "gioco" in qualunque momento (per poi ripartire) per fotografare e registrare, non solo elettronicamente, un nodo e uno snodo improvvisamente balenato davanti allo specchio (ai riflettori) della nostra mente, acuita e ripotenziata dall'informatica e, per transfert didattico, degli allievi.
Ad esempio, analizzando attentamente, quasi al microscopio (elettronico) la falange oplitica e poi macedone, la "scoperta" o la "riscoperta" della logica non lineare, multilineare, transazionale, combinatoria alla base della formazione a falange, matematicamente predisposta e determinata in cui i falangisti, specialmente macedoni, a ranghi serrati, armati con la "sarissa" (picca), nel caso di perdite, vengono "automaticamente" sostituiti da altri militari ad essi vicini, consentendo la perpetuazione e la marcia serrata e offensiva della macchina "umana" costituita dal compatto blocco militare macedone.
Filippo II era soddisfatto della "sua" falange, la potente macchina da guerra con la quale riusciva a vincere ogni battaglia. Com'era nata questa idea? come trasformare un nugolo di soldati vulnerabili in una testuggine compatta? Fu un lampo! Formò grossi reparti di opliti che procedevano in formazione chiusa, come un sol uomo, muniti di lunghe picche, le sarisse, tenute orizzontalmente da cinque soldati uno dietro l'altro.
Il problema era quello di mantenere in combattimento la falange anche quando gli opliti che reggevano le sarisse venivano colpiti; e ciò capitava spesso, malgrado i formidabili scudi che venivano tenuti eretti a protezione. Filippo ebbe una seconda idea vincente: fu sufficiente imporre una semplice regola: ogni soldato doveva attestarsi a fianco di un altro e tenere la posizione; le prime file erano occupate dagli opliti che reggevano le sarisse; dietro vi era una schiera di soldati protetti da scudi; quando un soldato era colpito quello che occupava una posizione dietro di lui doveva avanzare e coprire la posizione lasciata scoperta; alle spalle della falange, poi, vi era un consistente numero di soldati di riserva che dovevano subentrare quando si apriva qualche vuoto in
coda alla falange per scorrimento in avanti dei primi guerrieri.
La falange risultava quindi invulnerabile e inarrestabile: ogni perdita era subito rimpiazzata da un soldato di riserva; la falange poteva così presentarsi come un unico combattente.
La falange può essere osservata, in termini di sistemi combinatori d'ordine, sotto due aspetti: la direzione di marcia, da un lato, e il mantenimento della struttura, dall'altro.
Relativamente al primo aspetto, la direzione di marcia della falange può essere interpretata come l'effetto di un sistema combinatorio d'ordine: il movimento della falange è provocato da quello dei soldati che la formano ma questo è condizionato dalla posizione e dalla direzione della falange stessa; la direzione della falange dipende sia dalle istruzioni ricevute sia dalla provenienza del nemico; il "caso" può far dirigere la falange in una data direzione ma "di necessità" questo
condiziona la direzione dei soldati che la compongono.
A noi non interessa tanto la direzione di marcia della falange quanto, piuttosto, la logica di conservazione di questa struttura che può essere interpretata, in termini di sistemi combinatori, con il seguente modello euristico:
REGOLA MICRO = FATTORE NECESSITANTE: soldati delle prime file: seguire il comandante o i graduati che daranno la direzione di marcia della falange; soldati in posizione più arretrata:
seguire il compagno che precede; se questo è colpito e libera il proprio posto, spostarsi in avanti per occuparlo; se non ricostituisci la falange allora corri il rischio di essere ucciso dal nemico; se fuggi, sarai colpito dai tuoi stessi compagni che ti stanno alle spalle; ogni soldato agisce con informazione
limitata in quanto conosce la posizione dei compagni vicini e di quello che lo precede nella falange;
REGOLA MACRO = FATTORE RICOMBINANTE: colmando i vuoti, la falange rimane compatta e consistente e si può dirigere verso il nemico secondo le istruzioni tattiche in possesso dei comandanti; se la falange è compatta garantisce l'invulnerabilità dei suoi componenti;
FEEDBACK MICRO - MACRO. CASO E NECESSITA': la consistenza della falange è effetto del micro comportamento di sostituire i compagni caduti ma questo è condizionato dalla consistenza della falange stessa. La consistenza dipende sia dalle istruzioni ricevute sia dalla forza del nemico; il "caso" può fare attaccare la falange da un dato numero di nemici che infliggono perdite ma "di necessità" il mantenimento della consistenza condiziona il comportamento dei soldati che la compongono; se i caduti sono in numero superiore a quello dei soldati di riserva allora la falange si riduce o si sfalda;
RINFORZI, INDEBOLIMENTI E CONTROLLO: il mantenimento della consistenza della falange risulta rinforzato da premi per i soldati che conquistano la posizione, oppure dalla forza del nemico che impone il mantenimento dell'ordine, pena la sconfitta. Un nemico con una evidente superiorità rappresenterebbe, invece, un fattore di indebolimento perché incentiverebbe la ritirata con sfaldamento dell'ordine.
Il modello del sistema della falange macedone può essere considerato un prototipo di tutti i sistemi biologici che derivino dall'aggregazione di individui monocellulari che si compongono in individui pluricellulari che possono anche differenziare le loro funzioni, come avviene, per esempio nel ciclo
dell'ameba, dei coralli, delle spugne. Anche il sistema che spiega il fenomeno del formarsi delle nuvole di pesci è del tutto analogo a quello appena illustrato(1).
Certo è difficile evidenziare fino a che punto nell'"invenzione" del congegno tecnologico macedone ci sia consapevolezza dell'oscillazione del pendolo logico-epistemologico in direzione di quella che noi pomposamente e forse arrogantemente definiamo (o meglio autodefiniamo) la "modernità". Ma rimane il fatto incontrovertibile e logicamente, storicamente e didatticamente verificabile della pratica di uno strumento militare la cui sofisticazione intellettuale e materiale si propone, anzi impone la necessità di rivedere il nostro approccio al mondo perduto e ritrovato degli arsenali bellici e non solo bellici della così detta società schiavistica, come direbbe il filosofo della modernità per antonomasia, Karl Marx.
La falange greco macedone, per complessi e complicati motivi politici e sociali, fu un fattore di grande evoluzione tecnologica oltre che umana, in quanto determinò una presa di coscienza comunitaria e civile, originata dalla "macchina" stessa che imponeva la necessità della compattezza,
saldezza e solidarietà militare facilmente trasformatasi in coscienza di classe collettiva di chi, ingranaggio indispensabile di una macchina, forse suo malgrado, percepisce la possibilità e l'opportunità di volgere questa sua oggettiva e contemporaneamente soggettiva condizione e condizionamento a beneficio di una inevitabile inclusione e totale integrazione nei ranghi politici della società prima greca e poi macedone.
Si è detto della logica, non lineare, combinatoria, transazionale, cioè di quella stessa logica alla base dell'odierna informatica e delle sue sofisticate applicazioni.
Già questo, crediamo, sarebbe un punto notevole da approfondire e da sollecitare interesse e motivazione in allievi adolescenti. Essi, opportunamente e didatticamente stimolati dalla guida esperta del docente, anzi, meglio, da un gruppo interdisciplinare di docenti, faranno sbizzarrire la loro fantasia e creatività in direzione di un passato che tendenzialmente comincerebbe ad apparire ad essi sempre meno lontano e incomprensibile, avvicinandoli invece ad un mondo antico sempre più "domestico" e "umano". E anche attraverso le coinvolgenti e proficue discussioni tra gruppi di pari e attraverso le analogie tecnologiche moltiplicate dalla pratica didattica informatica dei non difficili confronti e non peregrine simulazioni non solo grafiche, rendersi conto in prima persona, da
protagonisti, delle "scoperte" didattiche interdisciplinari e storiche, evidenziando che ieri come oggi, spesso, anche se non sempre, sono le esigenze militari che spingono l'uomo al così detto "progresso", che, ad Atene, a Pella, come a Londra e a Washington, celavano e celano dentro di esse una terribile ambiguità, una primordiale ed ineliminabile ambivalenza ancora una volta e contemporaneamente nel mondo perduto e nel mondo presente.
Invitando e invogliando gli allievi ad una ulteriore ed approfondita ricerca storica nella "biblioteca" virtuale universale di Internet, con la discreta "consulenza" del gruppo interdisciplinare dei docenti, e sollecitandoli al "gioco" delle similitudini e delle metafore e alla conseguente e coerente riflessione sugli eventuali "portati concettuali" e "simbolici" dell'idea e della pratica della falange nella società moderna e contemporanea, essi, gli alunni, potrebbero imbattersi, anche grazie all'abuso sportivo del termine e ad eventuali influssi mass-mediologici, nell'"usurazione politica" del termine in Spagna ad esempio con la nascita e la formazione del movimento falangista franchista e del falangismo etnico-razzista in Medio-Oriente. E qui l'intervento ricollocativo ed interpretativo del gruppo interdisciplinare dei docenti sarebbe necessario oltre che risolutivo per riorientare la ricerca degli allievi al gusto filologico e interpretativo di concetti e strumenti prodottisi nell'antichità e nella contemporaneità e annegati nell'indistinto retorico e mitologico della globalizzazione mitopoietica. E sempre con l'ausilio di Internet gli allievi potrebbero imbattersi, una volta preso gusto al gioco senza fine della ricerca storico-elettronica, in un trattatello greco-bizantino sulla tattica della falange applicata agli schieramenti ed alle evoluzioni in battaglia navale ("Strategicon" di Siriano da "Scritto sulla Tattica Navale, di anonimo greco, per la prima volta tradotto e pubblicato dal Cav. Prof. F. Corazzino"), sbizzarrendosi a riprodurre e sintetizzare e a rinnovare graficamente al computer gli schemi di tali tattiche marine. Tale trattatello consente agli allievi di cimentarsi con una fonte storica e di poterla eventualmente smontare e rimontare pezzo
per pezzo, avviandoli, anche se solo superficialmente, a una prima e non tanto generica presa di contatto diretta con il problema delle fonti e della loro interpretazione, che ovviamente potrebbe innescare un altro non piccolo laboratorio. Ma questa sarebbe un'altra "storia".
Sul modo oplitico rinnovato di concepire l'approccio della falange bizantina, utile agli alunni per evidenziarne la costante evoluzione e trasformazione e per enfatizzare nuovi atteggiamenti e simbologie concettuali, vale la pena di riportare un commento di un bizantinista, che, vedremo, va al di là del suo settore di specializzazione storiografica in direzione di un tentativo di una didattica storica comparativistica ed interdisciplinare. "Che i cavalieri corazzati di Niceforo (l'imperatore bizantino Niceforo II Foca) fossero destinati esclusivamente alla soluzione di una battaglia campale non può essere messo in dubbio: i clibanarii sono dei veri e propri Panzer, e come tali vengono utilizzati, con una tattica d'impiego che ricorda fin dalla disposizione dei singoli elementi nella
formazione triangolare a cuneo la teoria dello Schwerpunkt di più recente applicazione nella guerra lampo del nostro secolo, quintessenza di una concezione dell'arte della guerra che potremmo definire "dell'approccio diretto", tipica - come vedremo meglio tra breve - della civiltà occidentale"(2). "Nel conflitto tra Oriente e Occidente… entrano in gioco anche due opposte concezioni della guerra. Da una parte - come nota già Ernst Jùnger… - l'uso dello spazio come
arma, della diversione della dilazione del momento decisivo e dell'indebolimento indiretto dell'avversario; dall'altra la scelta dell'annientamento, lo scontro frontale e risolutivo, l'enfasi sull'efficacia distruttiva del guerriero e delle sue armi. L'origine del sistema occidentale è stata indagata dallo statunitense Victor Davis Hanson, che ha analizzato il modo di combattere degli opliti greci di età arcaica e classica giungendo a conclusioni non dissimili da quelle proposte in altro contesto da Ernst Jùnger, giustificandole in modo del tutto convincente sulla base della struttura sociale ed economica dell'Ellade antica. Un popolo di
agricoltori-soldati non poteva permettersi di abbandonare a lungo i suoi campi, né di lasciarli devastare al nemico offrendo spazio in cambio di tempo, stanchezza, logoramento; lo spazio, esiguo e vitale, andava difeso, le giornate di lavoro nei campi (nella buona stagione, che era anche quella
delle armi) non potevano essere trascurate a lungo. Così la Grecia arcaica sceglie la guerra a lei più congeniale: un urto risolutivo, una "giornata" in cui tutto è in gioco, in uno spazio ben definito, dove i contendenti non possono più sottrarsi alla lotta, il cui esito distruttivo non ammette prolungamenti. E da questa scelta, in qualche modo resa necessaria dalle condizioni più generali della vita, nasce a poco a poco un sistema di valori, un modo di concepire il ruolo dell'uomo in guerra: il coraggio, la forza, la capacità di combattere "viso aperto" cercando la soluzione rapida e definitiva divengono le caratteristiche essenziali e positive del guerriero, la facies nobile ed eroica dello scontro. È una linea di azione che dalle Termopili e da Maratona arriva - con molte diversioni, naturalmente - fino all'immenso potere distruttivo dispiegato dagli americani in Vietnam, vanamente in cerca di un nemico che accettasse queste stesse regole del gioco...."(3 ) . A questo punto del nostro percorso didattico sarebbe quanto mai opportuno e "strategico" riproporre ai nostri allievi la visione e la revisione di un film emblematico e un capolavoro assoluto dell'arte contemporanea, "Apocalypse Now" di Francis Ford Coppola del 1979, regista e produttore cinematografico statunitense, che ha lasciato il segno su una intera generazione. Esso, il film, è non solo il concentrato tecnologicamente avanzato dello spirito "oplitico" che rinasce e ritorna in continuazione nella società occidentale, ma anche la sua sublimazione artistica alla massima potenza attraverso l'ipertecnologia totalizzante e aggressiva delle immagini cinematografiche e dei ritmi onirici, ipnotici e parossistici delle colonne sonore che schiacciano lo spettatore dentro la regressione primordiale delll'impulsione e compulsione tanto simile all'isterismo rituale, collettivo e individuale, dello scontro frontale oplitico. E' probabile che, dopo la proiezione del film, gli adolescenti possano rendersi conto meglio, con profonde e dettagliate discussioni corali incoraggiate dal gruppo interdisciplinare dei docenti, di che cosa significhi la suggestione delle immagini, come si manifesti alla sua massima potenza distruttrice e autodistruttrice il fantasma dell'"oplitismo occidentale" e in che modo la didattica e la scuola possano contribuire al ridimensionamento e al controllo di questa malattia sociale che attraversa il mondo contemporaneo, insinuandosi nel corpo vivo sociale e politico della collettività. "In tutta la storia dell'Occidente sono assai più frequenti i casi di perfetta adesione alla way of war "oplitica", che nel nostro secolo hanno prodotto i peggiori disastri e, con il progresso tecnologico
dell'era nucleare, uno spostamento della strategia dell'annientamento su scala ormai inadeguata alla stessa arte della guerra. Come che sia, la western way of war, pur nelle sue molteplici attuazioni, richiama subito alla mente i guerrieri medievali, la cavalleria pesante feudale che, fidando nella potenza risolutiva dell'assalto, è divenuta quasi un simbolo dell'essenzialità e della rozza violenza del combattimento.Il mondo medievale occidentale ha prodotto anche un sistema di valori eroico -cavallereschi adatto a supportare questo modo di combattere, e soprattutto capace di giustificare la preminenza sociale di chi se ne faceva protagonista: per molti aspetti siamo ancora diretti discendenti di quei valori- chi, infatti, non ha mai pensato di essersi comportato da "coraggioso" o
da "vigliacco" per aver saputo affrontare o meno a viso aperto un avversario, come se la sola scelta "onorevole" fosse quella di accettare lo scontro anche nella probabilità di un risultato sfavorevole?
Chi non ha mai messo da parte la propria intelligenza, che consigliava un "approccio indiretto", per "caricare a fondo" il suo nemico del momento e magari uscirne svantaggiosamente, ma con l'intima soddisfazione di aver "tenuto il campo" in maniera degna? E' un caso macroscopico di influsso culturale che si prolunga nel tempo ben oltre la sua funzione nella realtà; e che ci può far discernere con una certa immediatezza le ragioni dell''ncomprensione reciproca tra l'Europa occidentale e Bisanzio, che emerge nettissima ogni volta che i due mondi entrano a contatto sul campo di battaglia. Teniamo presente l'etica della western way of war - etica guerriera in senso stretto, che fa dell'uso della forza e del coraggio le virtù supreme, perché deve giustificare il predominio sociale di chi si ritiene massimamente dotato di esse -e proviamo a rileggere in questa prospettiva gli autori bizantini. L'inconciliabilità è totale: in Occidente non sarebbe mai stato possibile accogliere i principi espressi, ad esempio, da Leone VI nei passi in cui sconsiglia di cercare la vittoria con la forza quando la si può ottenere con l'ingegno: perché accettare la possibilità di un combattimento non dominato dalla presenza fisica e dal coraggio avrebbe minato alla base la struttura sociale del mondo che comunemente indichiamo col termine "feudale", fondato proprio sull'uso esclusivo delle armi da parte della ristretta categoria dei milites. In oriente, almeno finchè resiste la struttura dell'esercito mediobizantino, non vi è ovviamente alcun bisogno di enfatizzare il ruolo dei
combattenti, e prevale quindi... .l'atteggiamento etico-religioso di condanna della violenza, la volontà di dominare con la ragione e la tecnica le forze terribili che la guerra è in grado di scatenare, e di ridurre comunque al minimo i rischi che essa comporta, quando sia necessario affrontarli"(4).
"Gli Occidentali, da quando cominciano ad avere a che fare più da vicino con gli eserciti bizantini, liquidano spesso il loro atteggiamento strategico e tattico come esempio di codardia, doppiezza, inaffidabilità: anzi, viene il sospetto che proprio i luoghi comuni applicati dall'Occidente a Bisanzio abbiano una radice di questo genere - che, in altre parole, proprio l'impossibilità di comprendere il modo orientale di combattere sia uno degli elementi - chiave all'origine del generale atteggiamento di ripulsa nei confronti dei Greculi. Specularmente, a Bisanzio si coltiva il proprio complesso di superiorità verso gli Occidentali anche grazie alla considerazione della loro selvaggia passione per la guerra e il sangue, tradizionalmente attribuita… ai barbari d'oltre confine, estranei al vivere civile. L'evoluzione divergente delle due culture della guerra assume quindi un rilievo particolare sia nella storia dei rapporti tra i due mondi sia per l'individuazione della reciproca alterità. Dalla stessa radice - la tradizione greco-romana - credo si debba ammettere come in un caso l'innesto della spiritualità cristiana orientale, nell'altro quello del sistema di valori propri dei popoli germanici conducano ad esiti inconciliabili: più vicino allo spirito originario dell'azione risolutiva quello occidentale, più innovativo quello propriamente bizantino" (5)
"Fa uso della collera per confonderli, dell'umiltà per renderli arroganti; fa crollare loro i nervi con l'arguzia, sii fra loro motivo di discordia. Attaccali quando sono impreparati, sferra il colpo quando meno se lo aspettano. Sii tanto sottile da essere informe, tanto silenzioso da essere impercettibile:
solo così potrai essere artefice del destino dei tuoi nemici" (6).
"Se non nella forma, certo nella sostanza queste frasi tratte dal più celebre testo di arte militare dell'Estremo Oriente, L'arte della guerra di Sun Tzu, potrebbero essere uscite dalla penna di uno qualsiasi tra i maggiori scrittori bizantini di strategia. I principi sono gli stessi: inganno, dissimulazione, sfruttamento delle debolezze dell'avversario e del fattore sorpresa - tutto quanto possa servire a " rendersi artefici del destino del nemico", espressione certo più suggestiva, ma in sostanza analoga al kratein ton extron…., nello stesso senso di fine ultimo che giustifica il ricorso ai mezzi più diversi. Curiosamente, gli Occidentali hanno commesso - e continuano a commettere - almeno due volte lo stesso errore, rifiutandosi di comprendere questi principi, peraltro illustrati in modo così limpido: nel lungo confronto con Bisanzio, verso la cui condotta militare non riuscirono mai a dimostrare null'altro che un superficiale disprezzo, e nel più recente confronto con il Giappone, anche al di fuori della sfera più propriamente bellica"(7) .
"… Se è vero… che le culture dell'Est asiatico, tanto lontane dalle nostre, ci risultano il più delle volte misteriose e incomprensibili, altrettanto vero è che raramente si considera che l'utilizzazione, inizialmente voluta poi divenuta inconscia, dell'inganno e della mistificazione affonda le proprie radici nell'antica arte della guerra…. Gli sforzi degli occidentali, volti ad appropriarsi delle ricchezze del Giappone…. hanno sempre dovuto fare i conti con questo singolare uso della finzione, singolare proprio perché estraneo alla nostra cultura"(8) .
"… Evidente è l'analogia tra l'arte orientale della guerra e i precetti dei teorici bizantini di strategia.
Considerando lo stretto legame che esiste tuttora tra arte della guerra e cultura giapponese, l'orientalista statunitense Thomas Cleary ha scritto che per comprendere la seconda è assolutamente necessario conoscere a fondo i principi della prima; parallelamente, mi sento di dire che per giungere ad una valutazione equilibrata della civiltà bizantina e ad una vera percezione della sua specificità, bisogna non soltanto, in questo campo, limitarsi ad analizzarne le strutture militari ed il loro funzionamento, ma tenere sempre a mente i principi-guida della loro effettiva utilizzazione in guerra. Il modo di combattere dei Bizantini - quell'essere in senso etico soldati loro malgrado, e in senso tecnico talvolta più guerriglieri che guerrieri -, se è vero che li ha resi per secoli invisi
all'Occidente, non deve renderli ancora estranei a noi: al contrario, può costituire una chiave importante per penetrare il senso più profondo della loro civiltà (9) .


Il secondo percorso: la centuriazione romana

Se il modello della falange oplitica e macedone con la sua logica multilineare e transazionale sembra prefigurare, fin quanto consapevolmente è difficile dire, uno squarcio di futuro nel passato, a testimonianza di un mondo greco-antico molto più "moderno" e avanzato di quanto comunemente si pensi e si dica nella scienza e nella tecnologia soprattutto al servizio di un rinnovato e sempre "eterno", anche se storicamente determinato, sogno egemonico di dominio tattico e strategico nella sfera dell'azione politica e militare , non meno accuratamente e puntualmente determinato dal punto di vista tecnologico-militare, forse anche di più, appare un altro modello militare, un'altra "macchina", "inventata", sviluppata, perfezionata e tendenzialmente finalizzata alla conquista,
occupazione, colonizzazione, sfruttamento, difesa e protezione di un territorio sottratto a un concorrente militare e politico: la centuriazione romana.
Essa, la centuriazione, per parafrasare Marx, la forma più razionale e tecnologicamente avanzata per la ripartizione e suddivisione del territorio occupato e del lavoro ad esso subordinato. Essa, ancora una volta, non è una "scoperta" originale del mondo romano, ma una espansione elevata alla
massima potenza di un progetto concepito nel mondo ellenico. Focalizzando empiricamente, ovviamente, anche e soprattutto con l'uso della tecnologia
informatica, l'attenzione apprenditiva degli adolescenti di un Biennio Superiore, ponendoli nelle migliori condizioni di laboratorio , li renderemo operativamente protagonisti di una evidenza e di una emergenza, oltre che agro-tecnologica, anche didattica e storica: la necessità , insieme a un
gruppo interdisciplinare di docenti, di rivedere criticamente e concretamente i nodi e gli snodi, i modi e le forme di un approccio all'antico, che, pur non dimenticando le numerose e profonde modalità schiavistiche dello sfruttamento sociale, anzi a-sociale dell'uomo, ricerchi le caratteristiche di continuità, (là dove i suoi tratti schiavistici sembrerebbero essere la discontinuità), rappresentate dalle forme concretamente determinate della colonizzazione centuriata del territorio e della sua lunga durata ambientale e giuridico-sociale. Tra gli strumenti di indagine didattica a disposizione degli allievi ci saranno mappe, grafici e forme dell'incidenza e persistenza della centuriazione romana nel territorio in cui essi , gli allievi, vivono e apprendono e forme giuridiche e
usi e costumi, quasi identici nel presente, di un lontano passato che essi avvicinano, riappropriandosene e riattualizzandolo in qualche modo.
Ma la riprogettazione, la rimodellizzazione e la modularizzazione dell'ambiente, imposta dalla centuriazione romana, consente ai docenti e ai loro allievi di prendere operativamente coscienza, in primo luogo, della ricostruzione e ridefinizione di un territorio, spesso, anche se non sempre, ostile, della sua latente e stringente militarizzazione.
Tale militarizzazione si manifesta attraverso una non tanto "primordiale" standardizzazione ingegneristica, razionalmente livellatrice e "globalizzatrice" nei confronti di ecosistemi antropici gli uni diversi dagli altri nell'immenso coacervo dell'Impero romano. Questi ecosistemi per la prima volta vengono resi uniformi dalla mano "visibile" dell'uomo, volta a modificare e a trasformare ambienti naturali locali da millenni ancestralmente identici a se stessi anche nei modi e nelle forme dell'insediamento umano e delle sue dinamiche demografiche ed economiche.
E non poche volte al Romano invasore e "razionalista e razionalizzatore" devastatore, il "Barbaro" sconcertato, frastornato e sgomento apparirà "incomprensibile" e "testardo", perché sacralmente ,religiosamente e "sapientemente" rispettoso dell'ambiente in cui vive e muore dalla notte dei tempi. E così dall'interno del processo apprenditivo, nel suo vivo e palpitante "farsi", i nostri allievi, protagonisti di tale processo , nella dinamica di latenze storiche che divengono carsicodidattiche rispetto a una contemporaneità solo apparentemente schiacciata su se stessa, riscoprono e ritrovano il presente antagonistico nel "Barbaro" antimoderno e antiglobalizzatore, consapevole, più del "civile" Romano, della reciproca e inestricabile interdipendenza della sua esistenza con l'habitat non solo naturale in cui vive. E della romana centuriazione civilizzatrice, gli adolescenti, nel loro autonomo e protagonistico progresso formativo, cominceranno ad avere, dall'interno della loro, sentita e vissuta originale ricerca didattica, la percezione concreta, perché da essi sperimenta
nell'ambito del reperimento diretto, personale e allo stesso tempo comunitario, difficile e difficoltoso, delle così dette fonti storiche, dell'abbondanza straripante delle testimonianze a favore dei vincitori, cioè i Romani e dell'assenza quasi totale di "voci" alternative o antagonistiche dei vinti, i "Barbari". E allora, anche grazie alla sollecitazione del gruppo interdisciplinare dei docenti e al balenio e al prorompere quasi spontaneo di interne ed esterne similitudini e confronti ripresi dal "facile" e complesso immaginario mass-mediologico degli allievi, sovraccarico non solo di miti e mitologie, ma anche di buoni film, ottimi documentari e notevoli romanzi di genere avventuroso, ricchi di esaltanti metafore sul mondo passato come sul mondo presente e di sottili e fermentanti allusioni, potenziate, potenziabili e interpretabili anche grazie alla logica iperbolica e ipercinetica di Internet, vedremmo probabilmente equiparare la sorte degli Indios a quella altrettanto dannata e obliata dei "Barbari". E questa non sarebbe un'altra storia per i nostri allievi, ma la dura realtà della storia, uscita, tracimata, straripata dagli argini finalmente divelti di una virtualità certamente utile didatticamente a interpretare e capire i movimenti lenti e apparentemente impercettibili della storia, ma altrettanto meritevole di essere ridimensionata perché non divenga un fine, ma rimanga un mezzo di cui l'uomo e l'allievo dispongono per meglio comunicare ed agire.
Fine ultimo e malcelato del controllo e della protezione militare del territorio sottomesso era il suo incardinamento definitivo nell'immane scacchiere strategico globale romano che aveva la sua sede d'elezione e centro politico e militare nella capitale del mondo, Roma, la città eterna. Assistiamo
così a uno dei primi tentativi storicamente e tecnologicamente determinati e testimoniati di una diffusa e penetrante "civilizzazione" globalizzatrice perseguita e attuata con i mezzi più avanzati di una tecnologia agricola militarizzata.
In secondo luogo, la centuriazione romana, nel ridisegnare la geografia, i confini e i limiti del territorio conquistato, incide immediatamente sull'ambiente circostante e tende, per sua intrinseca "natura" ingegneristica e strategica, da isola o oasi di civilizzazione romana, ad espandersi prima a macchia di leopardo e poi a risucchiare e inglobare la regione circostante in questa operazione di espansione e colonizzazione, avendo due potenti punti di riferimento.
Il primo consiste nella tradizione colonizzatrice greca, anche se essa è forse più marittima e commerciale che agricola (il modello massaliota di penetrazione nella Gallia meridionale).
Il secondo consiste invece in un processo di trasformazione territoriale che, in un senso non tanto metaforico, potremmo definire di "reticolazione". Che cosa intendiamo per reticolazione?
Ovviamente non immediatamente la recinzione materiale del territorio conquistato da trasformare.
Per reticolazione si intende invece anche la suddivisione del territorio attraverso la cosciente e razionale articolazione di una rete di coordinate tanto matematiche quanto agronomiche e strategiche. Queste ultime si incrociano e si snodano per formare un complesso armonico atto a ridefinire non solo le potenzialità agricole, ma anche quelle militari del territorio sotto la regia unica politica di chi, accentrando e "reticolando" il controllo delle acque, delle strade e dei campi, nonché del commercio, intendeva non solo razionalizzare, occupare e valorizzare un territorio, ma anche risolvere qualche problema sociale a Roma. Infatti si inviarono in massa nelle colonie centuriate cittadini romani in eccesso, scomodi o esuberanti, amalgamandoli con la popolazione locale sottomessa soprattutto per rinforzare e consolidare un primo bastione centuriato al fine non solo di difesa del territorio dai nemici, "Barbari" o meno che fossero , ma anche al fine di una avanzata rapida e definitiva in tutta la regione circostante, proprio attraverso il sofisticato congegno tecnopolitico
militare della reticolazione, strumento al tempo stesso "semplice" e complesso di accesso e intrusione "modulare-reticolare" dentro un ambiente per lo più nuovo e sconosciuto. A proposito poi dell'uso della matematica nel mondo antico e specificamente nella tecnologia romana della centuriazione ci sarebbe molto da dire sia per la carenza di studi storico-scientifici che di pratiche didattiche certe e consolidate. E allora ai nostri allievi si spalancherebbe tutto un abisso da esplorare e indagare. Essi così comincerebbero a intuire che anche nelle pratiche tecnologiche del mondo antico si era in qualche modo sperimentato e frequentato un primo sentiero di latente e potente matematizzazione delle strutture profonde del reale. E pure con mezzi neanche lontanamente paragonabili a quelli odierni si erano ottenuti risultati straordinari, tali da poter incidere pesantemente e durevolmente nella carne viva della natura con segni e trasformazioni talmente indelebili ed efficaci da poterne scorgere ancora oggi tra noi contemporanei i resti e soprattutto gli effetti persistenti e prepotenti. E nell'applicare a grafici e disegni e mappe reinventate, rivisitate e trattate informaticamente, schemi e modelli sia matematici che geometrici del passato, gli allievi rivivranno direttamente e in prima persona la straordinaria e caleidoscopica multiformità e versatilità di una tecnologia romana e prima greca, per nulla musealizzata e mummificata, ma concretamente viva, operante e operativa proprio grazie alle loro mani "incrostate" e "sporche" proprio di quella tecnologia un tempo, da non pochi obsoleti manuali di storia o di scienza, considerata, vecchia, sorpassata e improponibile.
Questo approccio "reticolare" ai nuovi ambienti della centuriazione romana non solo naturali, ma anche antropici ci consente di portare a galla, in superficie, una teoria e una pratica del territorio molto moderne. Sembra di intuire che i Romani avessero già "in nuce" una qualche non vaga idea,
più che di "laboratorio", di "atelier". Essi sperimentavano alla luce del sole, in ambiti territoriali sottoposti alla centuriazione, forme innovative interattive di equilibrio dinamico rispetto all'ambiente naturale e antropico, oggetto della trasformazione.
Queste forme di trasformazione "distrettuale", pur affondando le proprie radici in modelli greco -ellenistici, non potevano garantire e non garantivano probabilmente un adeguato e armonico sviluppo del territorio, poiché in parte tale sviluppo dipendeva da decisioni strategico-militari prese
e attuate nella capitale prima della Repubblica e poi dell'Impero, Roma.
In ogni caso, l'esperimento agro-strategico della centuriazione romana consentì, in qualche modo, l'applicazione di una pratica di "atelier", diversa da quella meno dinamica e più ristretta di laboratorio, anche sociale, consistente in una rimodulazione reiterativa di tecniche e pratiche sociali continuamente modificabili e perfettibili a mano a mano che si misuravano con contesti ecoantropici sempre più diversi e mutevoli.
Tale emergenza, in qualche modo ascrivibile alla spazialità razionale e reale di "atelier", ci obbliga a riflettere, come docenti, con gli allievi, sulla necessità di confrontarci in modo meno arrogante col mondo antico, prendendo atto che forse ne sappiamo veramente poco del nostro passato, forse per il prevalere di un approccio letterario, riconoscibile nella vetusta e passivizzante ideologia, propinataci come unico specchio della società greco-romana, della "lectio" frontale.
E allora la "scoperta" dell' "atelier reticolare" nell'ambito della teoria e della pratica della centuriazione romana, a maggior ragione ci induce, nella viva e palpitante operatività didattica, a proseguire con gli allievi, in una sperimentazione interattiva e transazionale che trasformi la nozione applicativa di laboratorio in quella più suggestiva e sofisticata e forse profittevole di atelier, che costituisce e costruisce, o meglio, tenta di costituire e costruire ambienti di apprendimento che tengano conto e soprattutto facciano i conti con le dinamiche sempre più mutevoli e imprevedibili, "caotiche", direbbe Mandelbrot, della realtà in cui siamo immersi fino al collo.
Quindi, a questo punto del nostro percorso di analisi didattica, come coniugare nell'apparente labirinto dell'atelier le esigenze meandriche della realtà "virtuale" e simulativa, insite nel mondo info-elettronico con la realtà fattuale, in fin dei conti forse l'unica competente, capace e abilitata al ruolo di interazione e di riequilibrio delle ipotesi ermeneutiche di partenza, qualche volta gravide di drammaticità?
Così lo spazio dell'atelier contemporaneamente intriso di virtualità e realtà, fa sì che, ad esempio, una ricostruzione simulativa di un paesaggio centuriato ad opera degli allievi, sempre sollecitati discretamente e sapientemente dal docente, o meglio, da un gruppo interdisciplinare di docenti, soggetti protagonisti di apprendimento, ma mai più oggetto di insegnamento, interferisca e si misuri con un ambiente centuriato concreto nella Pianura padana, attraverso le tracce letterarie ed archeologiche, ma soprattutto attraverso le "evidenze" evolutive del passato ancora rilevanti, operative e incidenti nel tessuto vivo, attuale, quotidiano, dinamico della comunità vivente e operante, per riconoscerne gli esiti e le trasformazioni. In questo modo gli allievi faranno esperienza
diretta e protagonistica di un progetto di ricerca didattico "inventato" e redatto da essi stessi in una logica di atelier che li renda artefici di una sana interazione con la realtà sia storica che quotidiana, acquisendo una metodologia didattica e mentale tridimensionale: "spendibilità" didattico-pedagogica,
propedeuticità ad una "ecologia della mente" dall'abito progettuale e reale, pragmaticità logico-operativa applicabile direttamente al mondo del lavoro attuale.


Il terzo percorso: il fuoco greco

La metodologia dell'ambiente-atelier potrebbe trovare ulteriore espansione concettuale, interattiva, transazionale e operativa, meglio simulativa e virtuale, attraverso la tecnologia informatica, in relazione a un altro tema storico-tecnologico-interdisciplinare, il fuoco greco, "tessera" essenziale del "mosaico" imperial-imperialistico dell'Impero bizantino al suo massimo apogeo, X-XI secolo.
"La tecnologia navale militare degli arabi fu sempre inadeguata rispetto alle possibilità dei Bizantini che in questo campo rivelarono doti pratiche e scientifiche degne della loro conclamata origine e tradizione greco-romana. I Romani d' Oriente ebbero sempre facile accesso alle materie prime
strategiche: le riserve di legname utili alla costruzione di navi militari abbondavano sia in Europa che in Asia Minore. Gli Arabi non disponevano di rilevanti risorse forestali nei loro territori, per lo più aridi, né seppero mai costruire navi della portata e della potenza di quelle romano-orientali. Le maestranze bizantine erano inoltre molto più esperte di quelle arabe in abilità e perizia marinaresca.
Ma l'arma segreta, l'arma totale, che diede alla flotta imperiale il dominio globale nel Mediterraneo non solo contro gli Arabi, ma contro tutti i nemici, compresi i Carolingi, per quello che potevano valere sul mare, cioè molto poco, fu il fuoco greco, un'arma terribile. Essa fu inventata da un ingegnere siriano, Kallinikos, profugo da Eliopolis, all'incirca nel periodo del primo assedio arabo di Costantinopoli nel 674-678. Fu scoperto giusto in tempo per consentire ai Romani d'Oriente di costruire una flotta attrezzata con una apparecchiatura per lanciare napalm. La flotta romanoorientale bruciò completamente le navi arabe e i loro equipaggi. Gli elementi costitutivi della miscela del fuoco greco furono gelosamente custoditi e tenuti segreti per lungo tempo. Soprattutto i Bizantini cercarono sempre di controllare, quanto meno indirettamente, tutta la regione dal Nord del Caucaso fino alla Mesopotamia settentrionale, perché in questa area erano reperibili e disponibili le più rilevanti riserve di "benzina" a cui neanche gli arabi poterono mai accedere anche quando si impossessarono del segreto del fuoco greco. Sotto l'ombrello protettivo di questa poderosa organizzazione militare ed economica fu relativamente facile alla elite dirigente di Bisanzio aprire e quasi monopolizzare i flussi commerciali del Mediterraneo" (10) .
"Tutta l'attività economica dell'Impero bizantino, ma anche altre attività, come quella culturale e religiosa, erano tutte finalizzate a una politica di prestigio. Gran parte della produzione e del commercio romano-orientale era considerato strategico ed essenziale alla politica di dominio globale dello stato Bizantino nel Mediterraneo e quindi soggetto ad un ferreo controllo dello Stato attraverso la sua massima espressione, l'imperatore. La produzione e il commercio del legname e del petrolio erano rigorosamente controllate e limitate. Conseguentemente le aree geografiche della Mesopotamia, del Caucaso e dell'Asia Minore assumevano un valore economico e strategico enorme nella politica bizantina, perché qui vi erano concentrate grosse riserve di legname e petrolio utili per la fabbricazione delle navi e del fuoco greco. Quando i Romani d'Oriente, attraverso il loro agguerrito e sofisticato servizio di informazioni venivano a sapere che alcune città autonome dell'Italia meridionale esportavano legname, materiale strategico, essi adoperavano in questi casi
l'arma dell' "embargo", cioè vietavano a queste città la vendita del materiale strategico" (11) .
Sul piano tecnologico l'Occidente, ma anche l'Islam, per lo meno fino all'XI secolo, si dimostrano nettamente inferiori ai Romani d'Oriente eredi della tradizione ellenistica, molto attenta alle sperimentazioni tecnologiche, messe però al servizio dello Stato, perfettamente in linea con Bisanzio.
Il fuoco greco, l'arma segreta e totale dei Bizantini, inventata da Kallinikos, ingegnere siriano, profugo da Eliopolis all'incirca nel 674-678 è probabile che corrispondesse abbastanza all'attuale napalm e sulle navi da guerra bizantine furono predisposte apposite apparecchiature molto simili al lanciafiamme per irrorare e bruciare le navi nemiche, per lo più arabe, ma anche occidentali" (12) .
"La flotta imperiale deve aver avuto anche accesso prioritario alla fabbrica in cui veniva prodotto questo composto, perché la produzione di quest'arma segreta deve essere avvenuta in condizioni di rigorosa sicurezza in un unico posto e questo posto deve essere stato dentro le mura di Costantinopoli. Quantitativi di fuoco greco debbono essere stati forniti a tutte le flotte romanoorientali, ma è probabile che questi quantitativi non siano stati abbondanti per garantirsi da rischi di eventuali ammutinamenti"(13) .
"Nella lunga e complessa storia di Bisanzio è capitato pure che le flotte militari si scontrassero tra di loro e a determinare l'esito favorevole dello scontro fosse il possesso o meno di questa micidiale arma. Addirittura pare che in una rivolta militare il fuoco greco, usato da uno degli opposti schieramenti, determinasse la disintegrazione di una parte notevole della marina da guerra bizantina, limitando per un certo periodo di tempo gravemente l'attività militare nel bacino del Mediterraneo"(14) .
"Cosa era il fuoco greco? E' molto probabile che la base del primitivo fuoco greco fosse petrolio liquido rettificato volatile…. I solidi erano resina di pino e zolfo"(15) .
"L'ingrediente essenziale era la benzina, non il salnitro o la calce viva" (16) .
"Sembra che il sifone attraverso cui il fuoco greco veniva scaricato sia stato una pompa premente a doppia azione. Se l'ingrediente base era la benzina, non si poteva scaricare in modo efficace senza essere condensato. La particolare miscela usata e i mezzi meccanici per lanciarla costituivano nel
loro insieme il segreto del fuoco greco" (17 ) .
E' probabile inoltre che a causa dei comprovati rapporti diplomatici intrattenuti da Bisanzio con la Cina per parecchi secoli non fosse ignota ai Romani d'Oriente un qualche genere di miscela assomigliante alla polvere da sparo scoperta già in Cina nel sesto secolo dopo Cristo" (18 ) .
Il gruppo di progetto simulato in atelier finge di aver ricevuto da una società privata dell'Impero bizantino una richiesta di un "report" approfondito e riservato sui rapporti tra le tecnologie militari bizantine globali, in particolare il fuoco greco, e società ed economia a Bisanzio. Lo scopo della
commessa dichiarato della società al gruppo dell'atelier è quello di organizzare successivamente una campagna pubblicitaria attraverso retori, oratori, cronisti ed autori di romanzi e poemi popolari, tipo Digenis Akrita, il poema popolare più noto e diffuso nell'Impero bizantino, ma anche attraverso decorazioni e miniature dei manoscritti e nuovi cicli religiosi mosaicati o affrescati, particolarmente indirizzati al pacifismo. Tale campagna pubblicitaria sarebbe volta a chiedere il ridimensionamento della invasività e pervasività degli apparati militari nella società civile bizantina. Si scoprirà poi che questa società privata commissionante il report non è altro che un gruppo religioso eretico ed estremistico che, per la sua ambiguità dottrinale, è "contiguo" tanto ai pauliciani e ai bogomili, sette ereticali radicali rivoluzionarie bizantine, quanto agli islamici (una medievale Al Qaeda?)
Inoltre i finanziatori di questa società privata bizantina sono da rintracciare in esponenti di massimo rilievo del partito "civile" concentrato alla corte di Costantinopoli che, pur di ridurre o eliminare il potere del partito "militare", concorrente e avversario, dominante alla corte e nell'Impero bizantino e di sostituirsi ad esso, non ha la minima difficoltà a richiedere a gran voce e ufficialmente lo smantellamento delle tradizionali e strategiche strutture militari, che sono il cardine strategico dell'Impero la cui punta di diamante tecnologica è appunto il famoso o famigerato fuoco greco, l'arma "totale" ed "apocalittica", terrore di tutti gli "infedeli".
Confrontando determinate fonti del medioevo bizantino con l'ausilio "strategico" di Internet, che consente di entrare rapidamente ed efficacemente nei meandri delle biblioteche virtuali mondiali specializzate e attraverso il riferimento costante ai manuali di storia medioevale e moderna e alla stampa quotidiana, periodica e televisiva con la sua persistente informazione sulla contemporaneità non solo politica e sui fatti e "misfatti" del terrorismo islamico, con la guida esperta di un gruppo interdisciplinare di docenti, si costituirà un vero e proprio seminario di lavoro interdisciplinare. Tale lavoro sarà organizzato dagli allievi, che, di volta in volta, alla fine del lavoro di scavo e di ricerca dovranno contribuire a produrre e "confezionare" un "dossier" completo dei risultati della loro attività seminariale "sotto forma" di una conferenza, magari anche "videoconferenza", con qualche altra istituzione scolastica di pari grado. In questo modo, tra l'altro, essi, gli allievi, daranno non solo risalto e pubblicità alla loro benemerita e ben organizzata intrapresa e impresa culturale, volta anche a ottenere una eventuale gratificazione immediata di pubblico, non solo adolescenziale, ma cominceranno anche a porre le basi per una diffusione moderna e qualificata di un nuovo modo di apprendere correlato all'approfondimento di un approccio interdisciplinare a settori dello scibile
umano di solito poco avvicinati e "arati": in questo modo essi potrebbero dimostrare non solo ai loro compagni di studio "virtuali" il loro intrinseco ed estrinseco valore ermeneutico e didattico.
Ma torniamo al report e soprattutto al dossier richiesto agli allievi. Da esso dovrebbe prendere forma una visione molto "moderna" del mondo medioevale bizantino, grazie all'attivismo protagonistico, interattivo ed "elettronico" degli alunni del Biennio Superiore.
Il rapporto tecnologico, fuoco greco e società a Bisanzio verrà chiarito in questi termini: parte notevole delle condizioni di sviluppo e stabilità socio-economica dell'Impero bizantino saranno da ricercare nei continui "investimenti" finanziari che gli imperatori bizantini saranno costretti a fare nella costruzione di una flotta militare e di una rete complessa di fortezze altrettanto costosa alle casse dell'erario imperiale , per lo più marittime, atte a rifornire una marina da guerra ampiamente e profondamente dipendente dalla rapidità di movimento associata, grazie a questa dinamicità, al lancio micidiale dai "tubi" (starei per dire "rampe") dei "lanciafiamme" adibiti al bombardamento chimico-esplosivo del fuoco greco.
Il legname e gli "additivi chimici", petrolio e sostanze resinose, ma non solo, necessari al mantenimento, all'efficienza e all'efficacia di questo poderoso e sofisticato complesso militare, includente anche i conti per la costruzione e la manutenzione delle fortezze marittime saranno, nell'ottica del report e della conferenza o della videoconferenza degli allievi, i propulsori di una dinamica economica e sociale, all'interno dell'Impero bizantino, capace di mettere in moto e movimentare una ingegnosa rete di interconnessioni, interazioni e retroazioni che coinvolgeranno in un circolo, a volte vizioso, a volte virtuoso, tutti i sudditi rurali bizantini. Tali sudditi saranno costretti a pagare tasse e tributi per mantenere in funzione in modo efficace questa intricata macchina organizzativa. Tasse e tributi a loro volta profusi poi dal vertice imperiale per cercare le materie prime strategiche, legname, petrolio, resine, ecc…. indispensabili per il funzionamento del complesso militare, che, a sua volta, grazie anche a questi investimenti militari, eserciterà, fino a un
certo punto, benefici influssi in tutti quei sudditi non rurali, artigiani, commercianti, armatori, marinai, soldati, carpentieri, muratori, che, in una ottica politica ed economica diversamente concepita ed impostata, mai avrebbero potuto sperare di essere socialmente ed economicamente inseriti ed integrati nel groviglio intricato e complicato dell'Impero bizantino.


Note

(1) P.Mella , Razionalità e libertà nel comportamento collettivo . La mano invisibile dei sistemi combinatori . Franco Angeli , Milano , 1999 , pp..143-145 .
(2) G.Breccia , "Con assennato coraggio…" . L'arte della guerra a Bisanzio tra Oriente e Occidente , in "Medioevo greco . Rivista di storia e filologia bizantina" , 1 (2001) , p.71 .
(3) Idem , pp..73-74 .
(4) Idem , pp..74-75 .
(5) Idem , p.76 .
(6) Sun Tzu , L'arte della guerra , Napoli , 1988 , p.69 .
(7) G.Breccia , op.cit. , pp..77-78 .
(8) T.Cleary , L'arte giapponese della guerra , Milano , 1993 , p.9 .
(9) G.Breccia , op.cit. , p.78 .
(10) G.Tedesco , Quello che non c'è nei libri di storia , in "Valore Scuola" , 18-2001 , pp..42-43 .
(11) Ibidem .
(12) G.Tedesco , op.cit , p.44 .
(13) A.Toynbee , Costantino Porfirogenito e il suo mondo , Firenze , 1987 , p.364 .
(14) G.Tedesco , op.cit. , p.44 .
(15) A.Toynbee , op.cit. , p.365 .
(16) G.Tedesco , op.cit. , p.44 .
(17) A.Toynbee , op.cit, pp..365-366 .
(18) G.Tedesco , op.cit. , p.44 .


 

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