UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI ROMA
"LA SAPIENZA"Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Laurea in LettereTESI DI LAUREA
LA COMUNITA'
EBRAICA DI ROMA
ASPETTI DELLO "SPIRITO PUBBLICO" A ROMA
1930-1939
RELATORE
Prof. Luciano Marrocu
LAUREANDO
Nicola Bertini
Matr. n° 10079333
CORRELATORE
Prof. Franco De FeliceANNO ACCADEMICO 1993/1994
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LA COMUNITA' EBRAICA DI ROMAA differenza di altri paesi europei, in particolare quelli centro-orientali, la presenza degli ebrei in Italia é sempre stata numericamente ridotta e territorialmente concentrata in ben definite zone. E' stato calcolato che gli ebrei italiani, lasciando da parte quelli stranieri residenti in Italia e quelli nelle colonie, negli anni Trenta fossero tra i quaranta e i cinquanta mila1.
Solamente in alcune città dell'Italia centro-settentrionale le comunità raggiungevano livelli percentuali significativi rispetto al totale della popolazione: Trieste in particolar modo, e in misura minore Ancona, Ferrara, Livorno e Venezia. Comunità cospicue, in termini assoluti ma quasi inesistenti rispetto alla popolazione totale, si trovavano anche a Milano, Torino, Firenze, Genova e Roma.
In generale queste comunità erano composte da individui le cui attività si concentravano prevalentemente nella libera professione, nel commercio all'ingrosso e al minuto, nella cultura, nelle arti, senza mai diventare anche all'interno di queste professioni una presenza maggioritaria o preponderante, proprio per l'esiguità numerica delle comunità stesse.
Piccole minoranze urbane, disperse geograficamente, con un alto livello di istruzione e più o meno agiate, queste comunità anticiparono comportamenti da "società avanzate", fra l'altro riducendo i tassi di mortalità e di fecondità. Questo invecchiamento delle comunità e, insieme ad esso, l'aumento dei matrimoni misti ( a dimostrazione di un alto grado di assimilazione degli ebrei tra le popolazioni delle città di residenza ) portarono ad un vero e proprio rischio di estinzione per molte comunità.
Da questo schema si discostava significativamente la comunità ebraica di Roma, la quale forte di quasi tredicimila aderenti ( molti rispetto alle altre comunità ma percentualmente insignificanti rispetto alla popolazione di Roma ), era la più numerosa d'Italia2. La comunità romana presentava un livello economico-sociale-culturale sensibilmente più basso rispetto alle altre comunità, dovuto ad una forte ed inconsueta percentuale di proletari e sottoproletari, quasi completamente in simbiosi con il vecchio Ghetto. Inoltre era caratterizzata da una minore mobilità interna ed internazionale e costituiva un gruppo etnico-culturale particolarmente omogeneo. << A monte di tali differenze socio-demografiche, - chiarisce molto bene Sergio Della Pergola - un ruolo determinante fu probabilmente svolto dalle condizioni politiche e sociali alle quali furono sottoposti gli ebrei romani nel XVIII e XIX secolo. In concomitanza con la presenza a Roma della Chiesa cattolica, gli ebrei locali subirono colà una discriminazione e una clausura assai più dura di quella riservata ai loro correligionari in altre località italiane. Gli ebrei romani vissero a lungo in condizioni di alloggio e di igiene peggiori, ebbero meno possibilità di scelta e di avanzamento nel campo dell'istruzione e del lavoro e, di conseguenza, un reddito inferiore. Allorchè, nel 1870, fu finalmente concesso loro di abbandonare il vecchio quartiere del ghetto, la maggior parte degli ebrei nel resto d'Italia avevano conseguito da diversi decenni la propria emancipazione politica e si stavano inserendo rapidamente nella vita socio-economica generale del Paese. Vi fu quindi, per gli ebrei di Roma, un ritardo nell'inizio del processo di modernizzazione che, unito a taluni fattori psicologici e culturali, giustifica la preservazione del carattere tradizionale di quella comunità in quanto entità più compatta e pressochè autonoma sul piano sociale >>3.
Con una tale strutturazione sociale, con un tale attaccamento, "fisico" oltre che morale e religioso, al Ghetto non é difficile comprendere le ragioni per cui le idee sionistiche, che si stavano diffondendo nel resto d'Italia e nell'Europa sulla scia della "Dichiarazione Balfour", non seppero coinvolgere a Roma che pochi elementi, per lo più appartenenti ai ceti più elevati. Il riscatto degli ebrei romani non poteva avvenire, almeno per il momento, con il ritorno in Israele, ma principalmente attraverso un programma di elevazione sociale e culturale da cominciare subito e a Roma. La scuola ebraica era il mezzo con cui raggiungere un duplice obiettivo: da una parte l'insegnamento della lingua e della letteratura ebraica avrebbe fermato il processo di assimilazione pericoloso per la vita stessa della comunità, dall'altra avrebbe permesso agli ebrei romani, per lo più appartenenti alle classi più umili, di conseguire attraverso l'istruzione anche un riscatto socio-economico.
Gli anni Venti furono caratterizzati da un fervore culturale ed organizzativo sia della Comunità romana, sotto la spinta del Rabbino maggiore Angelo Sacerdoti, sia soprattutto di gruppi autonomi. Furono proprio quest'ultimi, i Gruppi Avodah (Lavoro) e l'Associazione per la Difesa del Culto Ebraico a Roma che si posero per primi il problema dell'elevazione morale e materiale del Ghetto e dei suoi abitanti4.
Sulla stessa strada si mise la Comunità, anche se con un certo ritardo, sotto la spinta di queste iniziative autonome, istituendo la Scuola Elementare Israelitica e aprendo un circolo culturale, il Convegno di Studi Ebraici, nel tentativo di coinvolgere tutta la popolazione ebraica di Roma.
Questi stessi anni videro l'incontro, in qualche caso lo scontro, tra fascismo ed ebraismo. In effetti nel suo rapporto con il mondo ebraico il fascismo ebbe come interlocutori privilegiati la Comunità ebraica di Roma e il suo Rabbino. Il regime non ancora pienamente strutturato accoglieva in sè opinioni e posizioni a volte antitetiche, che Mussolini non aveva interesse a chiarire, e che provocarono incertezze all'interno della comunità ebraica italiana: di qui qualche tensione, qualche litigio, qualche scontro. Soprattutto il sionismo era ritenuto, da certi circoli violentemente nazionalistici e da alcune frange del fascismo, inconciliabile con la concezione monolitica della nazione che gli ideologi del regime stavano costruendo. Malgrado Mussolini approvasse ed incoraggiasse una tale visione dello Stato, tentò allo stesso tempo di strumentalizzare il sionismo, con il duplice scopo di sganciarlo dall'Inghilterra e di inserirsi da protagonista nel ridisegno di tutta la geografia politica del Vicino Oriente5.
Il lavorio per inquadrare la comunità ebraica nella visione autoritaria del fascismo, il timore che tra gli israeliti vi fosse un'alta percentuale di pericolosi oppositori, le accuse acrimoniose intorno allo scarso spirito nazionalistico che avrebbero avuto i sionisti, i malumori destati dalle resistenze degli ebrei libici ( nel 1923 si ebbero a Tripoli duri scontri tra ebrei e fascisti, che ebbero una grossa eco anche in Italia ), furono altrettanti elementi di tensione e occasioni per i circoli antisemiti di "soffiare sul fuoco". Tuttavia l'abile prudenza, il desiderio di collaborare, il rifiuto di ogni atteggiamento che avrebbe potuto irritare le autorità e, alla base di ciò, la convinzione che con le autorità fosse possibile collaborare, fecero sì che i dirigenti israeliti riuscissero sempre ad aggirare e risolvere le difficoltà.
Un rapporto privilegiato con l'autorità lo ebbe sempre la Comunità di Roma, attraverso il suo Rabbino Sacerdoti che seppe ottenere personalmente da Mussolini assicurazioni distensive e pacifiche, contraccambiate da ampie dichiarazioni di fedeltà. Sacerdoti tentò di far diventare i continui contatti con le massime cariche dello Stato, oltre che - come ho appena detto - una reciproca assicurazione di non-belligeranza, anche una sorta di investitura della Comunità romana come centro dell'ebraismo italiano. << Roma ebraica - ha notato Filomena Del Regno - si affiancava alla Roma capitale eletta del regime e il riassetto giuridico dell'ebraismo italiano fu un'eccellente occasione per tentare di ridefinire questo ruolo guida dell'ebraismo romano. Angelo Sacerdoti, strenuo sostenitore di una centralizzazione delle istituzioni ebraiche, nel 1927 propose significativamente l'istituzione di un gran rabbinato, fissando così una rigida gerarchia rabbinica per imporre una salda e decisa azione di controllo religioso e culturale in un quadro non più locale, ma nazionale >>6. Questo progetto avrebbe provocato un duplice cambiamento all'organizzazione delle comunità ebraiche, uno sul piano nazionale un'altro su quello internazionale, ovvero << conferire all'ebraismo romano una posizione di guida esemplare a livello nazionale, da una parte; assicurare all'ebraismo italiano un ruolo di primo piano in ambito internazionale, dall'altra >>7.
Questo progetto di istituzione del gran rabbinato, che veniva indubbiamente ad assumere l'aspetto di una sorta di papato ebraico, un progetto evidentemente lontano dalla tradizione dell'ebraismo, fu giudicato improponibile dai rabbini delle altre comunità italiane.
Malgrado l'insuccesso del progetto di Sacerdoti, l'esigenza di una centralizzazione e di un gerarchizzazione dell'ebraismo italiano fu recepita dalla nuova legge delle Comunità, varata nell'ottobre 1930 e completata nel 1931. De Felice giustamente osserva come fosse inderogabile l'attuazione di una riforma:<< al momento della conquista fascista del potere le Comunità israelitiche ( variamente denominate, Comunità, università, unione fraterna, associazione ) non avevano un'organizzazione e uno status giuridico omogeneo. Loro scopo essenziale era provvedere al culto e all'istruzione religiosa e alla beneficenza; tali fini erano però perseguiti organizzativamente e giuridicamente in base a costituzioni e statuti che risalivano ai tempi precedenti l'unificazione e, pertanto, differivano anche notevolmente gli uni dagli altri >>8. Era stato sì costituito un Consorzio tra queste Comunità nel 1924, ma non essendo obbligatoria l'adesione e non avendo chiare possibilità di rappresentanza ed intervento questo organismo rimase una facciata priva di contenuto.
I contenuti glieli attribuì la legge sulle Comunità, voluta all'unisono dalle alte cariche ebraiche, civili e religiose, e dall'autorità statale: le autorità civili ebraiche per stare al passo organizzativamente e giuridicamente con il risveglio di iniziative - scuole, associazione culturali e benefiche, ecc. - che si ebbe negli anni Venti, e quelle religiose per stabilire <<...i criteri di appartenenza alla Comu-nità...svolgendo una precisa funzione chiarificatrice soprattutto presso gli assimilati...>>9. Da parte del regime si intendeva organizzare questa miriade di comunità sparse secondo i dettami dello stato totalitario, sottoponendole ad un controllo più stretto e in modo da avere un unico ed autorevole interlocutore. Il pericolo che questa legge poteva portare alla libertà di coscienza e di fede fu visto solamente da elementi ultraortodossi e da antifascisti dichiarati, mentre essa fu accolta positivamente dalla maggioranza della popolazione israelita, che la interpretò come una testimonianza dell'interessamento del regime agli ebrei e alle loro comunità.
Stabilizzati i rapporti tra ebraismo e fascismo, i primi anni Trenta videro continui contatti tra le massime cariche della Comunità di Roma e dello Stato. Sacerdoti rimase un interlocutore privilegiato fino alla morte, nel 1935.
La Comunità romana passò da un decennio, come abbiamo visto, ricco di fermenti culturali ed organizzativi rivolti principalmente alle classi più umili, ad una nuova fase durata almeno fino alle leggi razziali, in cui rivolse la sua attenzione ai grandi avvenimenti nazionali ed internazionali, con la presunzione di condizionarli in qualche modo.
Si assistè anche ad un consolidamento dei rapporti tra popolazione ebrea romana e gerarchie fasciste inferiori. Continui e, se non proprio cordiali, privi di scontri erano i rapporti con i gruppi rionali fascisti intorno al Ghetto:<< al Gruppo venivano trasmessi i risultati della elezioni consiliari, compresi i verbali di chiusura delle votazioni; ogni anno i dirigenti del gruppo si recavano a commemorare gli israeliti caduti per la patria; infine, e questa sembra fosse l'attività più diffusa, con assoluta regolarità il Gruppo chiedeva alla Comunità fondi per inaugurare monumenti, organizzare intrattenimenti, sostenere insomma l'opera assistenziale del regime...>>10. Allo stesso modo ebrei romani parteciparono alla guerra d'Etiopia, sia direttamente come combattenti sia indirettamente attraverso la campagna antisanzionistica e l'offerta del loro oro alla patria.
Gli anni dal 1930 al 1937 possono definirsi di quiete e di sostanziale normalità, un'epoca perfino di soddisfazione nelle gerarchie fasciste per il comportamento sicuramente "nazionale" degli israeliti; di appoggio della stragrande maggioranza dei dirigenti israeliti al regime; di passiva acquiescenza di quasi tutti gli altri. Nè, d'altro canto, in una comunità idealmente guidata e controllata, e in gran parte composta, dalla media borghesia sembra potersi immaginare un comportamento diverso, anche perchè gli ebrei più poveri, quelli dell'ex Ghetto ;di Roma in particolare, erano più accostabili al sottoproletariato per sentimenti ed atteggiamenti che ad un proletariato consapevole e cosciente della propria condizione di classe.
Per tali motivi, neanche episodi quali l'arresto a Torino nel marzo 1934 del gruppo di antifascisti israeliti ( Sion Segre, Attilio Segre, Giuliana Segre, Marco Segre, Leo Levi, Riccardo Levi, Giuseppe Levi, Gino Levi, Carlo Vercelli, Leone Ginzburg ) e i nuovi incidenti di Tripoli dell'inverno 1936-37 con le campagne di stampa che li accompagnarono, turbarono effettivamente la buona armonia tra autorità statali e Unione delle Comunità Israelitiche. L'Unione, paradossalmente, dovette subire gli attacchi più duri dall'interno delle sue fila, da quegli ebrei ultrafascisti che tentarono di farle prendere un indirizzo ancora più decisamente filofascista. In seguito agli arresti del '34, dalla comunità torinese si staccarono Ettore Ovazza, fascista della prima ora, e il generale Guido Liuzzi che attraverso il loro giornale "La nostra bandiera" marcarono il loro distacco da ogni idea sionistica e dalla linea, a loro parere, non sufficientemente schierata dei dirigenti dell'Unione11.
A questo tentativo, velocemente riassorbito grazie alla mediazione di Sacerdoti, fece seguito nel 1937 la costituzione del Comitato degli italiani di religione ebraica, sempre nel tentativo di smentire, o almeno di affievolire, il coro di voci antisemite alzatosi l'anno precedente. Questa volta il Comitato seppe incidere maggiormente e sfruttando il desiderio degli ebrei di mostrarsi quanto più fascisti e buoni italiani possibile, per paura ma anche per convinzione, vinsero le elezioni consiliari a Roma e in molte altre città. Mussolini avrebbe potuto cogliere facilmente l'occasione per screditare l'Unione e per appoggiare il Comitato formato da tanti zelanti camerati, ma non lo fece. De Felice giustamente così valuta questo gesto :<<...decisa ormai la campagna antiebraica, preferiva avere a che fare con gli uomini "infidi" dell'Unione che non con i superfascisti de "La nostra bandiera" con i quali gli sarebbe stato, almeno moralmente, più difficile agire contro la collettività ebraica italiana >>12.
Comunque, i dirigenti israeliti - gran parte di loro, almeno - mossi dalla loro sincera adesione al regime furono portati a sottovalutare il fallimento della politica tatticamente filosionista del fascismo in Palestina, non si resero conto di come gli attacchi al sionismo stessero dilatandosi ( trasformandosi poco a poco in vero antisemitismo ), non avvertirono delle ripercussioni contro gli ebrei che avrebbero potuto derivare dalle impostazioni razziste emerse in occasione della guerra d'Africa, chiusero gli occhi davanti alle implicazioni di una alleanza sempre più impegnativa con la Germania nazista.
Malgrado che, come sostiene De Felice, << in politica estera e nei rapporti del "duce" con i suoi collaboratori più vicini ( per esempio quelli de "Il popolo d'Italia" ) le prime manifestazioni del nuovo corso antisemita risalissero a tutto il 1937 e addirittura alla seconda metà del 1936 >>, é nel 1938 che l'antisemitismo entra a far parte legislativamente e istituzionalmente dello Stato fascista.
Non v'é dubbio che il famigerato Manifesto degli "scienziati" razzisti del 14 luglio 1938 e poco dopo, nell'autunno, i primi provvedimenti antisemiti caddero sulla testa della maggioranza degli ebrei, e ancor più sui dirigenti dell'Unione, totalmente inaspettati. Stando a quanto riferivano i fiduciari e la questura, la popolazione israelita romana non faceva alcuna eccezione rispetto al resto d'Italia; lo sconcerto e l'incredulità per una decisione così grave é il tema dominante in molti rapporti.
Malgrado periodiche campagne di stampa, in genere portate da giornali di provincia e con limitata tiratura ( anche se dall'inizio del 1938 il fatto che si fossero aggiunti giornali ben più autorevoli e a tiratura nazionale avrebbe dovuto mettere sull'avviso gli ebrei ), la popolazione israelita rimase certa che mai sarebbe stato istituzionalizzato l'antisemitismo.
Una prima indagine sugli umori degli israeliti romani, sempre attraverso le solite informazioni fiduciarie, venne effettuata subito dopo l'ascesa al potere in Germania di Hitler e le prime manifestazioni di ostilità dei nazisti nei confronti degli ebrei tedeschi. Questo sondaggio, se per un verso riportava umori decisamente contrari alla politica nazista, dall'altro confermava la convinzione che una cosa del genere non potesse mai accadere in Italia. Ecco un primo esempio del 29 marzo 1933:Ebbene, non nella massa lavoratrice, ma fra i dirigenti e persone colte israelitiche di Roma, da giorni circolano notizie allarmistiche sulla "gravissima" situazione degli ebrei tedeschi in Germania...gli ebrei avvicinati, in cuor loro dovrebbero nutrire un profondo odio per gli hitleriani.
Tanto il Comm.Tagliacozzo, quanto il Prof.Sestieri, hanno spontaneamente fatto l'elogio del Duce e del Fascismo italiano, che hanno sempre rispettato i culti e tutte le religioni, senza mai procedere, anche in tempi più difficili, a violenze o boicottaggi contro gli ebrei!...13Un mese dopo un informatore, alla notizia di una protesta delle Comunità israelitiche inoltrata presso il capo del governo sulla situazione tedesca, negava decisamente che un tale gesto rappresentasse per gli ebrei un atto di sfiducia verso il fascismo ma, anzi, arrivava a dire essere considerato un atto dovuto, in quanto richiesto dalle comunità ebraiche degli altri paesi:
I giornali riferiscono di una protesta avanzata dalle Comunità Israelitiche Italiane al Capo del Governo, contro i provvedimenti antisemiti adottati in Germania.
La protesta votata dall'Unione della Comunità Israelitiche Italiane, rappresenta dunque un atto di adesione verso gli ebrei tedeschi...
Siccome da qualche indagine che noi avevamo in proposito condotta e della quale demmo notizia, ci era sembrato che gli ebrei italiani non condividessero il fanatismo dei loro correligionari stranieri, e preferissero mantenersi estranei alla lotta tra Germania ed ebrei, in quanto non toccava il campo della religione, abbiamo voluto ancora cercare qualche impressione nuova che meglio ci chiarisse la situazione.
Il Signor Duranti, commerciante ebreo abbastanza introdotto nelle comunità israelitiche di Roma, ci afferma che in Italia gli ebrei non condividono affatto l'atteggiamento dei loro correligionari tedeschi i quali non sanno neppure loro che cosa vogliono...
E venendo a parlare degli ebrei italiani...dichiara che in Italia il Governo Fascista ha dato così larghi riconoscimenti ai cittadini ebrei, che questi ultimi non possono che sentirsene soddisfatti e grati e non potrebbero mai scendere a quelle manifestazioni che si sono verificate tanto in Inghilterra, quanto in Francia.
L'ordine del giorno che il Rabbino Capo di Roma ha presentato al Capo del Governo a nome delle Comunità Israelitiche Italiane ed in appoggio agli ebrei tedeschi, é dunque da considerarsi una formalità voluta da necessità contingenti, la quale non risponde però ai sentimenti ed alla convinzione degli ebrei italiani.
Il Signor Renato Abbina, altro commerciante ebreo...afferma con convinzione che in Italia gli ebrei sono prima italiani e poi ebrei e con questo vuol significare che essi non anteporranno mai le questioni religiose agli interessi della Patria Italiana; e quindi non compiranno alcun gesto mai, in adesione od in appoggio a loro correligionari stranieri che non sia gradito al Governo Italiano.
Anche il Signor Abbino é pertanto del parere che l'ordine del giorno delle Comunità Israelitiche, per la situazione degli ebrei in Germania, non ha nè carattere di protesta, nè di adesione da parte degli ebrei italiani, ma deve considerarsi più che altro un gesto al quale le comunità israelitiche stesse si sono dovute piegare, per accontentare e soddisfare in qualche modo le insistenti sollecitazioni che venivano loro mosse da parte della altre Comunità straniere, in nome di una fratellanza religiosa.
In complesso però abbiamo ancora tratto l'impressione che un tale atto di protesta non risponde affatto allo spirito ed alla convinzione degli ebrei italiani14.A parte questi rari accenni dovuti, come si é visto, a fatti internazionali, la comunità ebraica e i singoli ebrei non apparirono, in quanto ebrei, nelle carte della polizia fino a poco prima della promulgazione delle leggi razziali.
Dall'esame del materiale dell'Archivio Centrale dello Stato si ha una conferma del fatto che solo con le leggi antisemite del novembre '38 le comunità ebraiche furono oggetto di uno specifico e pressante interessamento da parte degli organi di polizia. Al maggio 1938, infatti, risalgono i primi rapporti trimestrali della questura sulla situazione politico-economica della provincia di Roma e del commissariato Campitelli, sui quali appare un paragrafo "Ebrei"; allo stesso modo, solo dal maggio 1938 la Divisione Polizia Politica aprì un fascicolo "Ebrei italiani dal 1938 al 1940"; e anche tra le carte della Divisione Affari Generali e Riservati il fascicolo "Razzismo Roma" si trova solamente a partire dal 1939.
In un rapporto della questura, anteriore anche al manifesto della razza, rivolto a una prima ricognizione degli umori e delle tendenze politiche degli ebrei romani, c'é brevemente e chiaramente scritto quello che ho, con molte più parole, affermato nelle pagine precedenti: gli ebrei non si comportavano in nulla e per nulla diversamente dagli altri romani (o italiani):...I numerosi ebrei residenti nella Capitale sono da tempo divisi in due tendenze delle quali la più numerosa ed influente ha assunto atteggiamento di adesione al Fascismo, mentre l'altra tiene contegno di neutralità in linea politica...15
Nella prima tendenza si possono far rientrare le gerarchie civili e religiose della Comunità ( "la più influente" ), oltre a tutte quelle persone che avevano fatto carriera all'interno e grazie al regime: funzionari del Partito e dei sindacati, impiegati ministeriali, dipendenti comunali, ecc.. Nella seconda tendenza probabilmente vi erano quegli ebrei romani, che abbiamo già definito più accostabili al sottoproletariato che al proletariato ( per lo più cenciaioli e robivecchi ), a cui mancava la tradizione, l'organizzazione e la cultura per opporsi al fascismo e che vengono definiti "neutrali".
Certo é che, per chi aveva creduto nel fascismo, le discriminazioni razziali furono un colpo ancor più duro da subire rispetto agli altri. E' il caso riportato, sempre dalla questura, di funzionari ebrei costretti a lasciare le loro cariche, pur continuando a "credere" nel fascismo:...Anche i giudei iscritti al PNF che occupavano delle cariche, hanno lasciato le loro funzioni senza dare luogo ad incidenti; anzi nella maggioranza, nell'atto di lasciare l'Ufficio hanno tenuto a professare la loro fede nel Fascismo...16
...e nel duce
...molta é la fiducia che, almeno apparentemente, viene riposta, nella persona di S.E. il Capo del Governo17.
Con le leggi razziali del novembre 1938 anche le ultime speranze di affievolimento della campagna antisemita cessarono tra gli ebrei, eppure non si ebbero reazioni violente ad alcun livello. L'unica reazione, registrata dagli informatori, fu un certo avvicinamento verso chi in quel frangente seppe levare una ferma, seppur inascoltata, parola in loro favore: Pio XI e alcune gerarchie della Chiesa cattolica ( sicuramente non i gesuiti, che da sempre si erano contraddistinti per il loro antisemitismo18 ). L'esistenza nella Curia romana di tendenze ostili alla legalizzazione dell'antisemitismo é il dato saliente della nota fiduciaria riportata di seguito. Ma altrettanto importante é, a me pare, la scissione di responsabilità che si ipotizzava, all'interno degli stessi ambienti, tra fascismo e leggi razziali ( come se ad emanarle fosse stato qualcun altro ) e l'accusa che questi provvedimenti erano l'effetto di una realpolitik spinta all'eccesso. Corollario a tutto questo era la fiducia che si rinnovava al "duce":
Viene confidenzialmente riferito che i noti provvedimenti del Governo Fascista contro gli ebrei, sarebbero tuttora oggetto di aspri commenti da parte degli ambienti religiosi della Capitale, sia italiani che stranieri.
Gli ecclesiastici in genere, si domanderebbero come mai il Capo del Governo italiano, Uomo di lungimiranti vedute politiche e pieno di umanità, abbia potuto assecondare la politica tedesca in fatto di razzismo, politica che ha prodotto e continua a produrre unanime indignazione e giustificato risentimento in tutta la opinione pubblica mondiale...19Pur con tutte queste cautele, qualche perplessità traspariva e veniva recepita dalla gente. Ecco come si spiega il fatto, in sè strano, di ebrei romani che comperavano l'"Osservatore Romano", come riferiva un fiduciario:
...gli ebrei della capitale per reazione contro il provvedimento adottato a loro carico, acquistano esclusivamente l'Osservatore Romano e molti di essi sono abbonati...20
Oppure come la morte di un Papa potesse venire accolta con dispiacere dalla comunità ebraica:
Vi assicuro, che, la morte del Santo Padre, ha prodotto nella comunità ebraica profondo e sentito dolore...gli ebrei avevano per il defunto Pontefice spiccata simpatia per l'atteggiamento assunto allorquando fu emanata la nota legge sulla razza...21
Un'altra via d'uscita da questa situazione fu vista da molti ebrei nella "discriminazione", cioè nel cambiamento di religione. Questo cambiamento veniva decretato dal Ministero dell'Interno, più propriamente dalla Divisione Demografia e Razza, in modi non proprio ortodossi. A questo riguardo, conferma De Felice, << si svilupparono e prosperarono i casi più clamorosi di favoritismo e di corruzione. Le discriminazioni e soprattutto le arianizzazioni furono infatti oggetto a Roma di un vero e proprio mercato >>22. E di questo mercato erano a conoscenza i romani, ebrei e non, come dimostra questa nota fiduciaria:
Si dice che gli ebrei che vogliono essere discriminati, possono raggiungere il loro desiderio purchè oltre i requisiti voluti paghino delle forti somme. Si dice perfino che chi non paga un pedaggio ai burocratici, anche con tutti i requisiti, non riesce ad essere discriminato23.
Questi episodi di corruzione finivano per essere per tutti, non solo per gli ebrei, una conferma che la campagna antisemita non aveva nulla di ideale, non era stata fatta a maggior gloria del fascismo nè tantomeno dell'Italia, ma rappresentava un pedaggio che veniva pagato all'alleanza con la Germania ( che abbiamo visto in quale considerazione fosse tenuta ), oppure più prosaicamente e cinicamente una sorta di tassa obbligatoria che il regime richiedeva agli ebrei. Addirittura, nella prima nota citata si paragona la politica razziale ad un qualsiasi aumento delle tariffe ferroviarie o postali!:
...E ovunque si dice: Il Regime deve arrampicarsi ai vetri per andare avanti. Ed ecco con la scusa della razza la spoliazione degli ebrei, l'aumento delle tariffe ferroviarie al quale quanto prima si aggiungerà quello delle tariffe postali e telegrafiche...24
Le vociferazioni pietistiche a favore degli ebrei continuano un pò dappertutto e sembrano incoraggiate dal fatto che nella stampa si é osservata una certa détente...C'é anche chi dice che risolvendosi questa lotta nell'incameramento di buona parte del capitale di pertinenza degli ebrei, sarebbe stato preferibile chiedere ciò che si voleva agli ebrei, i quali lo avrebbero dato sicuri di potersi rifare col proprio lavoro...25
La campagna antisemita non mostrò solamente la corruzione imperante ai massimi vertici dei ministeri e delle gerarchie del PNF, ma anche l'ignoranza e l'approssimazione con cui si cercava di dividere la parte "sana" degli italiani da quella "malata", cioè gli ebrei. Un informatore riferisce il metodo quantomeno aleatorio con cui venivano discriminati gli israeliti all'Anagrafe di Roma:
ELENCO DEI COGNOMI DI 9800 FAMIGLIE DI EBREI IN ITALIA
Trattasi dell'appendice al notissimo libro "I protocolli dei saggi di Sion" ( io ne posseggo un rarissimo esemplare russo ): mi risulta che all'ufficio Anagrafe di Roma, prima di rilasciare certificati, consultano sempre tale elenco quando il cognome sembra un pò..sospetto...26Tutti questi episodi fecero ulteriormente scendere tra la gente la considerazione verso i provvedimenti antisemiti che, come abbiamo visto, non erano stati favorevolmente accolti fin dalla loro promulgazione. Nacque così il "pietismo", come spregevolmente era definita dalle autorità la solidarietà che i romani mostravano verso la comunità israelitica; un sentimento che contraddiceva quello spirito "razziale" che il fascismo, nell'anno XVI E.F., era convinto di aver ormai inculcato negli italiani:
...Si nota come un'infinità di ebrei delle provincie d'Italia si sono stabiliti a Roma, specie quelli di Ancona, Ferrara, Livorno...A Roma c'é troppa gente ariana, affatto in buona fede, che ancora l'avvicina e ne prende le difese!...27
Il "pietismo" tra la gente era favorito anche dal comportamento di una stampa troppo pedissequamente schierata sul fronte antiebraico, di una stampa che quotidianamente offendeva la comunità ebraica attribuendole ogni genere di nefandezze, tra cui quella di avere un comportamento fondamentalmente antitaliano.
Due informatori, mettendo a frutto la loro indefessa opera di "ascolto", riferiscono che tra i romani si dubitava dell'autenticità delle accuse fatte agli ebrei o che perlomeno le si riteneva esagerate. Riferisce il primo informatore di aver udito in via Merulana......il seguente discorso svoltosi tra tre uomini, uno diceva: << Vi pare una cosa ben fatta quello che si é fatto contro gli ebrei, per un migliaio di colpevoli hanno messo a bando diecine di migliaia delle persone oneste molti di questi risentiti dell'ingiustizia fatta si sono persino tolti la vita >>.
Uno rispose:<< Il Fascismo é come il terremoto per punire i singoli distrugge tutto senza badare agli innocenti e ai colpevoli, per completare l'opera ora dovrebbero cancellare i nomi degli ebrei morti per la Patria>>.
Il terzo aggiunse: << Io non voglio prendere la difesa degli ebrei perchè tra questi c'é molto canagliume ma con tutto ciò dico che si é esagerato, basta vedere quel che scrivono sui giornali, avete forse osservato che per ogni fesseria commessa da un ebreo viene citata su intere colonne, ma non citano manco un caso dei nostri che trafugano e rubano a più non posso, e questo secondo loro é giusto, da qualche tempo da noi si comincia un pò troppo a scimmiottare il tedesco, ma bisogna pure che i nostri dirigenti si accorgano che l'Italiano non é tedesco...28Il secondo adombra la possibilità che le continue menzogne avrebbero ben presto fatto ricredere anche coloro i quali credevano nell'antisemitismo:
...E' di ieri l'altro il clamore fatto a torno la banda Finzi per aver tentato l'esportazione di valuta. La stampa dedicò all'affare numerose colonne d'improperi collettivi, di tremende minacce e di fulmini capaci di scomporre gli atomi.
E' di ieri l'arresto di tre donne che, invece, riuscirono a perfezionare il crimine e, quindi, ad arrecare danno effettivo all'economia nazionale. Pochi giornali ne hanno parlato e quei pochi scrissero sulla faccenda le scarse righe necessarie e nulla più. Si trattava di femmine ariane...
Si pone pertanto il dilemma: o egual trattamento per tutti o soppressione totale delle malefatte non compiute dagli ebrei poichè, in caso diverso, quella parte di pubblico sulla quale si é riusciti faticosamente a spalmare una patina d'antisemitismo finirà per perderla irreparabilmente...29Con il passare del tempo e la constatazione dell'irreversibilità delle leggi razziali, la tendenza a minimizzare e a sottovalutare la portata della discriminazione scemarono tra gli ebrei romani. Eppure la Comunità israelitica mantenne ugualmente un "profilo basso", cercando in tutti i modi di appianare possibili motivi di scontro con i fascisti. Anche quando, come nell'episodio trasmesso dalla questura, furono fatti oggetto di una vera e propria provocazione decisero solamente di non farsi vedere per non essere provocati di nuovo:
...reparti di Balilla Moschettieri e...altri reparti di ginnasti emisero fischi e gridarono inoltre "al fuoco", nel momento in cui uscivano i fedeli dal tempio. La Comunità Israelitica al fine di evitare il ripetersi di analoghi incidenti...ha stabilito l'entrata e l'uscita dei fedeli da via Catalana, anzichè dal Lungotevere Cenci30.
Infine, a ulteriore dimostrazione di quanto ho affermato fino ad ora - ovvero che gli ebrei romani non si sentirono mai un corpo estraneo al paese e non videro il fascismo come effettivamente antisemita, ma cercarono, una volta emanata la legislazione razziale, di non offrire spunti per una recrudescenza della campagna - si veda il fonogramma che la questura inviò alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza dove si faceva presente, ancora nell'ottobre 1939, la lealtà degli ebrei verso la patria e verso il fascismo:
Ieri ore 10,30 nelle scuole elementari israelite Vittorio Polacco al Lungotevere Sanzio 12 per l'inaugurazione dell'anno scolastico si sono radunati insegnanti e circa 420 scolari che dopo il discorso d'occasione pronunciato dal Presidente Comm.ASCOLI hanno sfilato dinanzi alla bandiera nazionale cantando l'inno a Roma, l'inno al Piave e l'inno Fascista...31
Note
1 Renzo De Felice, Storia degli ebrei sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1993, pag.6; Sergio Della Pergola, Anatomia dell'ebraismo italiano, Assisi-Roma, Beniamino Carucci Editore, 1976, pag.144.
2 R.De Felice,Storia degli ebrei, cit. pag.10.
3 S.Della Pergola, Anatomia, cit., pag.146.
4 Filomena Del Regno, Gli ebrei a Roma tra le due guerre mondiali: fonti e problemi di ricerca in "Storia Contemporanea", febbraio 1992 n°1, pp.11-15.
5 Addirittura venne adombrata in alcune sedi diplomatiche la possibilità di un passaggio di mandato in Palestina dall'Inghilterra all'Italia: in questa ottica si devono vedere i colloqui tra Mussolini e le massime cariche del sionismo mondiale: Weizmann, Sokolov e Jacobson. R.De Felice, Storia degli ebrei, cit., pp.93-95.
6 F.Del Regno, Gli ebrei a Roma, cit., pp.19-20.
7 ibidem, pag.20.
8 R.De Felice, Storia degli ebrei, cit., pag.101.
9 F.Del Regno, Gli ebrei a Roma, cit., pag.21.
10 ibidem, pag.27.
11 Sulla vicenda de "La nostra bandiera" vedi R.De Felice, Storia degli ebrei, cit., pp.151-158.
12 ibidem, pag.230.
13 Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Polizia Politica, fascicoli per materia, busta 44 (f.Germania-ebrei). Segnalazione fiduciaria del 29 marzo 1933.
14 ibidem. S.F. 29 aprile 1933.
15 ACS, Min. Int., Dir. Gen. PS, Div. Affari generali e riservati (AAGGRR), Categorie Annuali, 1941, busta 56, fascicolo Roma. Segnalazione fiduciaria ( S.F. ) in data 30 maggio 1938.
16 ibidem, S.F. 15 settembre 1938.
17 ACS, Min. Int., Dir. Gen. PS, Div. AAGGRR, Cat. Ann., 1939, b.7/F (f.Razzismo Roma). Relazione del commissario di PS Campitelli al questore, 11 settembre 1938.
18 Riguardo l'antisemitismo dei gesuiti nel periodo fascista, che aveva avuto i prodromi negli anni successivi la prima guerra mondiale e la rivoluzione bolscevica, si veda: Renzo De Felice, La Chiesa cattolica e il problema ebraico durante gli anni dell'antisemitismo fascista in "Rassegna mensile di Israel",
1957 n°1.
19 ACS, Min. Int., Dir. Gen. PS, Div. Pol. Pol., b.44 (f.Germania Ebrei). S.F. 19 novembre 1938.
20 ACS, Min. Int., Dir. Gen. PS, Div. AAGGRR, 1939, b.7/F (f.Razzismo Roma). S.F. 4 gennaio 1939. Le periodiche stigmatizzazioni delle violenze esercitate dalla Germania sui suoi cittadini di religione ebraica apparse sull'"Osservatore Romano" sono una possibile risposta del perchè dell'acquisto del giornale da parte degli ebrei. Ovviamente tutto ciò era notato dalla solita spia:<< Negli ambienti vaticani si osserva che la lotta contro gli ebrei effettuata dal governo tedesco, comincia ad esagerare, fino a cadere nel ridicolo. Anche l' "Osservatore Romano" di quando in quando, dice la sua parola in proposito, prendendo piuttosto le difese degli israeliti e scagliarsi contro la politica hitleriana...>>. ACS, Dir. Gen. PS, Div. Pol. Pol., b.44 (f.Germania-ebrei). S.F. Città del Vaticano, 9 luglio 1939.
Significativo fu anche il comportamento tenuto qualche mese dopo dal giornale vaticano, durante le dure persecuzioni avvenute in Germania in seguito all'uccisione del diplomatico tedesco Von Rath. La riprovazione del giornale é oggetto di attenzione dell'ennesima spia:<< Prosegue sull'Osservatore Romano la pubblicazione di tutti i commenti di giornali stranieri ai fatti antisemiti avvenuti in Germania, e più che mai si rileva la riprovazione generale di tutto il mondo per le barbarie compiute dagli unni sui "poveri" ebrei.
Si parla di migliaia e migliaia di uccisioni perpetrate dal Governo hitleriano, e si domandano tutti come il mondo civile può assistere impassibilmente a questa carneficina, e - più che altro - come possa permettere che la Germania torni a primeggiare nel mondo.
Intanto si rileva che in Italia la campagna e i decreti contro gli ebrei hanno paralizzato quasi completamente il commercio, e più che mai se ne sentiranno le conseguenze col passare del tempo.
Molte ditte israelite importanti hanno già licenziato vario personale, bene inteso, ariano; e sono già tante famiglie che si trovano sul lastrico.
Tutta opera questa del Governo Fascista; come viene messo in rilievo negli ambienti cattolici...>>. Ibidem, S.F. 18 novembre 1938.
21 ACS, Min. Int., Dir. Gen. PS, Div. Polizia Politica, fascicoli per materia, busta 219 (f.Ebrei italiani dal 1938 al 1940). S.F. 15 febbraio 1939.
22 R.De Felice, Storia degli ebrei, cit., pag.361.
23 ACS, Min. Int., Dir. Gen. PS, Div. Pol. Pol., b.219. S.F. 1 gennaio 1939.
24 ACS, Min. Int., Dir. Gen. PS, Div. Pol. Pol., b.220 (f.Situazione politica interna dal 1938 al 1939). S.F. 15 gennaio 1939.
25 ACS, Min. Int., Dir. Gen. PS, Div. Pol. Pol., b.219. S.F. 16 gennaio 1939.
26 ibidem, S.F. 23 febbraio 1939.
27 ibidem, S.F. 8 gennaio 1939.
28 ACS, Partito Nazionale Fascista, Situazione politica ed economica nelle provincie 1923-1943, busta 19 (Roma). S.F. 24 gennaio 1939.
29 ACS, Min. Int., Dir. Gen. PS, Div. Pol. Pol., b.219. S.F. 5 marzo 1939.
30 ACS, Min. Int., Dir. Gen. PS, Div. AAGGRR, 1939, b.7/F (f.Razzismo Roma). Fonogramma della questura di Roma alla Direzione Generale PS 1 giugno 1939.
31 ibidem, Fonogramma della questura alla Dir. Gen. PS 17 ottobre 1939.