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L’INCULTURA SCIENTIFICA PERMANENTE

Alcune riflessioni pedagogiche dei primi anni ‘90

sulla ricerca di didattica delle scienze in Italia


di Franco Blezza

Al tempo, Ricercatore di Pedagogia e Didattica nella Facoltà di Magistero

dell’Università di Trieste

Oggi, Ordinario di Pedagogia Generale e Sociale presso la Facoltà di Scienze Sociali dell’Università “Gabriele d’Annunzio” di Chieti

 


Questo scritto mi era stato specificamente richiesto durante l’anno accademico 1992/93 dal Direttore di una rivista pedagogica, al tempo prestigiosa, e che ha interrotto le pubblicazioni qualche anno dopo, come contributo su quella che era una delle questioni maggiormente avvertite nella ,loro gravità nella scuola e nella cultura italiane: la carenza istituzionale per quel che riguarda la scienza. Si poteva parlare tranquillamente di “incultura scientifica diffusa”, e si sperava che le riforme della Scuola Superiore, al tempo ancora ritenute possibili secondo quello che si chiamava il “progetto Brocca”, avrebbero potuto avviare una seppur parziale correzione di questa stortura,
L’articolo non è stato pubblicato.
Oggi, dopo una legislatura con la maggioranza di centro-sinistra (1996/2001) e la riforma Berlinguer – De Mauro, dopo il blocca della sua attuazione ad opera della maggioranza di centro-destra uscita vincitrice alle elezioni del 2001, e alcuni anni di legislazione con il ministro Moratti, il problema rimane tale e quale: del tutto irrisolto, e del tutto ignorato.
Per questo, ritengo opportuno (agosto 2004) metterlo in rete come sta e giace, dopo oltre dieci anni. Chiaramente, le citazioni e i riferimenti normativi non sono aggiornati. Ma che pensano i lettori, circa le idee?
E circa il problema?


Un buon punto di partenza: l'esame del documento su "L'impegno didattico della Società Italiana di Fisica" del 1982


Ancora nel 1982 la Società Italiana di Fisica proponeva in un suo documento alcune istanze relative al nostro tema. Queste, pur partendo da un settore disciplinare scientifico-naturalistico, ci offrono un buon punto di partenza per un'analisi più strettamente pedagogica. Va detto subito che quel messaggio non ha trovato in Italia una corrispondenza adeguata né nello stato dell'arte, né presso presumibili destinatari
Esso aveva per titolo "L'impegno didattico della Società Italiana di Fisica" [1]. Era ricco di elementi evolutivi e positivi, come vedremo: forse la scarsità (di fatto) della sua influenza sulla comunità scientifico-didattica è un risultato, comprensibile, della scarsa attenzione che quella Società ha sempre prestato al problema pedagogico (sia prima che dopo) e, quindi, dello scarso ascolto specifico sul quale si poteva ragionevolmente contare.
In tale documento si riaffermava fondamentalmente la necessità che la didattica della fisica fosse condotta secondo un metodo scientifico "finito", con il rigore e il fondamento empirico che debbono esistere in tutte le scienze, e conducendo una critica incisiva e molto opportuna a modi di fare fin troppo diffusi (tutte le evidenziazioni sono nostre): "La didattica della fisica, ossia la scienza che si propone di esporre e spiegare la fisica perché altri l'apprenda, spesso non viene trattata con la dignità e l'impegno di un settore scientifico propriamente detto. [...] Questi contributi [...] ben di rado vengono impostati con una metodologia simile a quella con cui, magari gli stessi autori, sono soliti esporre le loro attività di ricerca nel settore della fisica. Inoltre anche i cosiddetti lavori di ricerca nel campo della didattica fisica risultano molto spesso carenti di questa o quella parte, che risultano viceversa indispensabili per poter identificare un'attività culturale come <<attività di ricerca>>" [2]. Su tale punto, evidentemente cruciale, il documento si diffondeva ampiamente in seguito.
Dovendosi opportunamente considerare e trattare la ricerca didattica come una forma di ricerca scientifica a pieno titolo, essa ha per suo fine il progresso della conoscenza. O per meglio dire, tutto ciò che attiene alla deontologia del ricercatore in fisica è opportuno che venga assunto integralmente dal ricercatore in didattica della fisica (e delle scienze in genere), come intellettuale pertinente alla sfera scientifica non solo e non tanto nella sua formazione, quanto nella sua specifica applicazione professionale.
Fra l'altro, si noti bene che si parla di contributi nel campo della didattica della fisica paragonandoli a quelli "nel settore della fisica", che è quindi un settore diverso. La didattica della fisica può essere una scienza come la fisica, ed è opportuno che lo sia: ma non è fisica.
Per questo, prosegue il documento, va evitata ogni visione "riduzionistica", come sono quelle che vorrebbero limitare le competenze necessarie a fare ricerca didattica alla pura conoscenza della materia: in particolare, a considerare la didattica della fisica come un sottoprodotto della fisica stessa, o comunque a praticarla per tale. Pur essendo indubbiamente necessario che vi siano delle competenze nello specifico disciplinare, occorre anche ben altro. Ad esempio "le metodologie per valutare il grado di apprendimento e verificare i risultati ottenuti [...] esigono, per la loro corretta applicazione, competenze propriamente didattiche, che sono al di fuori della preparazione e della competenza professionale del fisico. Si richiedono infatti competenze tipicamente interdisciplinari [...]" [3].
L'esemplificazione non è certo esaustiva, ma ha un profondo significato professionale. Anche l'impiego un po' disinvolto del termine "interdisciplinare" acquista un suo significato se lo si intende come "non ristretto all'interno alla fisica come disciplina". Del resto, gli estensori non sono né hanno alcuna pretesa di essere pedagogisti e didatti: quanto dei fisici, scienziati cioè che si preoccupano perché la ricerca didattica riferita alla disciplina di propria competenza ottimizzi il proprio significato di conoscenza in evoluzione con competenze specifiche: "[...] uso corretto di strumenti quali test, elaborazioni statistiche anche sofisticate dei loro risultati, ecc. che non sempre sono noti e familiari ai fisici. Costoro molte volte commettono una sopravvalutazione delle proprie capacità, ritenendo di poter applicare, senza apprezzabili mutamenti, la propria competenza nelle metodologie tipiche della fisica anche allo studio della realtà didattica, realtà che, per i suoi aspetti sociali, riferiti primariamente agli allievi, va affrontata con metodologie sociologiche piuttosto che fisiche. [...] E' altresì assai importante che gli argomenti vengano inquadrati dal punto di vista storico-critico, valendosi di competenze non necessariamente richieste a chi compie ricerche nel campo della fisica." [4]. Il campo della didattica della fisica, insomma, è diverso da quello della fisica,
Anzi, a riprova diremmo che in questo stesso documento si sente bene la mano di chi parla da fisico ma non è competente di pedagogia e didattica: in particolare, per il condizionante peso di un'epistemologia operazionistica [5] la quale difficilmente è applicabile senza residui alla materia educativa, come è noto a chi di questa si occupi. Ciò nulla toglie all'importanza che l'Operazionismo può avere nella didattica (speciale) della fisica [6], o ad alcuni settori seppur non esaustivi della didattica generale.
Il documento, in sostanza, esclude quanto pure da qualcuno ipotizzato, che la didattica della fisica sia una branca della fisica. Mentre invece essa è, in tutta evidenza, rigorosamente e propriamente una branca della didattica. Tra gli altri suoi punti che richiamano la nostra attenzione, possiamo segnalare ad esempio: la definizione della ricerca didattica come ricerca applicata; l'uso ripetuto del termine didattica fisica in luogo di "didattica della fisica", con scelta evidente per una visione scientifica della didattica [7]; la necessità di distinguere la ricerca didattica dall'aggiornamento e dal perfezionamento dei docenti, che sono due attività certamente connesse e non disgiunte, ma distinte in linea di principio, e che è deontologicamente necessario distinguere, in quanto si propongono, istituzionalmente, obiettivi differenti.
Questo documento raccoglie in modo organico istanze e principi di dominio ampio; e, d'altra parte, vale a riaffermare quella centralità che la fisica ha esercitato nell'ambito della didattica delle discipline scientifiche, ed alla quale si fa riferimento costante per la validità delle acquisizioni del saggio presente.



Qualche considerazione generale circa lo status epistemologico, e quello disciplinare, della didattica delle scienze e della storia del pensiero scientifico


In anni non lontani, è stato anche affermato in occasione di un congresso della Società Italiana di Fisica (e poi subito corretto, a dire il vero), che "la storia della fisica è una branca della fisica": al di là, comunque, di affermazioni esplicite, non v'è dubbio che molti in Italia agiscano come se così fosse.
In effetti, quest'affermazione sarebbe davvero difficile a sostenersi, considerata (non foss'altro) l'essenziale diversità dei problemi che una scienza, e la storia di quella scienza, hanno il compito di tentare di risolvere. Chi agisce secondo il convincimento predetto non fa "storia della fisica", ma fa un tipo di fisica vera e propria, seppure molto meno reputata di altre branche di ricerca e d'applicazione di questa disciplina [8].
Altrettanto può affermarsi in linea di principio, per la storia della chimica [9], o delle scienze naturali, o delle scienze della terra e dell'universo.
Invece, le metodologie rispettive potrebbero presentare elementi comuni molto forti: anche le discipline storiche, infatti, sono riconducibili alla metodologia scientifica in genere; anzi, oggi emerge anche empiricamente quanto altamente sia positivo che esse vengano condotte in modo rigorosamente scientifico.
Questo offre l'occasione di una riflessione ulteriore, a partire dal quesito omologo (avendo sempre di fronte la questione generale): può la didattica della fisica considerarsi una branca della fisica? Può la didattica di una scienza considerarsi una branca di quella stessa scienza?
E' questo un convincimento radicato, nei fatti se non nella consapevolezza: per cui si considera la realizzazione pratica di un apparato sperimentale, o la riformulazione di una dimostrazione di una legge fisica, come "didattica della fisica"; laddove semmai lo sarebbero gli studi, ad esempio, su come impiegarli, come inserirli nel curriculum, come interagire con gli allievi in occasione del loro impiego, e così via.
Tuttavia, considerazioni parallele conducono alla stessa conclusione negativa, sia per l'omologa diversità dei problemi, sia per i fatti che inficiano questa tesi corroborando la tesi contraria: in particolare per la necessità, nella risoluzione dei problemi di didattica della fisica, di strumenti concettuali ed operativi che non sono interamente di pertinenza della fisica; come, del resto, era affermato anche nel documento S.I.F. sopra citato. Il discorso si propaga canonicamente ad altre discipline scientifiche; e si fa più interessante se si considera quella "dimensione intermedia" (tra la didattica generale e le varie didattiche speciali) che è prevista dalla legislazione italiana per tutta la scuola di base 3-14 anni, con sviluppi ulteriori previsti), vale a dire per la didattica delle scienze (integrate).
Certo, sia la storia della fisica che la didattica della fisica richiedono una forte preparazione in fisica. Ma esse si collocano molto più propriamente (anche per ragioni epistemologiche, oltreché per quelle cui s'è accennato) nell'ambito delle branche della storia del pensiero scientifico, e della didattica scientifica.
La cosa, di per sé, potrebbe anche essere poco importante, ridursi ad un fatto puramente nominalistico o di incasellamento convenzionale: se non ci fosse troppa gente che continua a credere (come credevano anche i neo-idealisti italiani della destra hegeliana) che basta conoscere bene una disciplina, ed impegnarvisi, ... per diventarne un perito didatta; od un perito storico; o magari un perito metodologo; e via dicendo. Gente che, poi, agisce di conseguenza: con risultati che andrebbero presi con un po' di quel genuino senso critico che dovrebbe essere tipico della scienza. Diciamo che esso è fin definitorio della scienza, ma non sempre è in possesso di chi fa scienza.
Solo per dare un ordine di esempi, tra gli innumerevoli e tra i più evidenti: se scorriamo quelli che avrebbero dovuto essere "Convegni in onore di Ettore Orlandini" (indimenticato uomo di scuola) organizzati come congressi di didattica della fisica dalla peraltro benemerita Associazione per l'Insegnamento della Fisica per le prime quattro edizioni (dal 1986), otteniamo una serie di titoli del genere: Il II principio della Termodinamica, La radioattività, Il laser, Le particelle elementari, con la semplice aggiunta "nella didattica della fisica" o poco di più [10].
Quindi, si tratta essenzialmente di una serie di contenuti disciplinari, oltre a tutto finissimamente collimati. La realtà dei convegni è rispecchiata abbastanza fedelmente nei titoli: non vi si è parlato di didattica, quanto di fisica, di una fisica semplificata. Non si sono affrontati problemi di didattica o di educazione, come sarebbero La dimensione storica e l'insegnamento scientifico, o La scienza come componente essenziale dell'educazione dell'uomo o Didattica della scienza e società o Il rapporto tra la didattica della fisica e quella delle discipline tecniche o Che cosa sia e che funzione abbia un problema nella didattica della fisica (tanto per dirne alcuni a caso), cui far poi corrispondere uno o meglio più esempi disciplinari: si affrontano argomenti di fisica in senso strettissimo, con una virtuale apertura ad eventuali applicatività didattiche.
Ed ancora, la stessa Associazione nel 1993 ha pubblicato, come supplementi alla sua rivista "La fisica nella scuola" [11], una serie di "Quaderni" che avrebbero inteso essere "Materiali di aggiornamento". Lo erano: di aggiornamento in fisica e non certo in didattica od in educazione. I primi titoli apparsi (la rivista è trimestrale) sono stati "L'insegnamento sperimentale della fisica nel biennio della scuola secondaria superiore e l'impiego dell'elaboratore", "Proposte didattiche per l'insegnamento della fisica quantistica", "Fisica quantistica e cosmologia"; e i contenuti sono chiaramente tutti di fisica o di strumentazione tecnica, ben più di quel che gli stessi titoli lasciano capire.
Vediamo, come controesempio, quanto invece ha fatto la Società di Cultura Giovanni Polvani di Spoleto (PG) agli inizi degli anni '80, con una collaborazione della stessa A.I.F. che avrebbe potuto anche essere più attiva, e una collaborazione dell'università alquanto evanescente. Il tema generale era, appunto, non disciplinare ma didattico, e precisamente Come migliorare l'insegnamento della fisica nei vari tipi di scuola media superiore: impianto e uso del laboratorio"; i temi dei tre gruppi di studio nei quali erano suddivisi l lavori erano i seguenti: Ruolo dell'esperimento nell'insegnamento della fisica; Impianto e uso del laboratorio; Ruolo del <<problema>> in Fisica.
A parte il 2° tema che era piuttosto intermedio, indubbiamente il primo ed il terzo sarebbero ottimi esempi di studio effettivamente didattico relativo ad una materia scientifica, e non di fisica con applicabilità didattica. Poi, nel corso dei lavori, si è scelto di sviluppare questi temi su una branca della fisica, per la precisione l'acustica [12]. Naturalmente, tutto è dipeso dal modo in cui ciò è avvenuto: si sarebbe potuto benissimo limitare l'esemplificazione in un solo campo disciplinare di considerazioni didattiche, pur se sarebbe stato meglio differenziare le fonti dell'esemplificazione rispetto allo stesso problema; invece si è teso a parlare, nuovamente, anziché di didattica, di fisica.
Fintantoché le attività che vorrebbero essere "didattiche" saranno in realtà attività di fisica (seppure di una fisica "secondaria", con possibili ricadute didattiche), esse saranno sempre schiacciate da ricerche di fisica più di base e meglio reputate. Non di rado, si tratta di ricerche più propriamente di ingegneria minore, o di buon artigianato, oppure di matematica elementare applicata: e la ricerca didattica sarebbe tutta da fare a partire dai loro risultati. Ragioni consuetudinarie e pregiudizi sono tutto quanto ci è dato di considerare per cercare di spiegare com'è che ricercatori indubbiamente capaci non comprendano neppure una deduzione così semplice e immediata: se continueranno ad occuparsi di fisica (si dica quel che si vuole, questo è studiare ad esempio i caratteri distintivi del suono o il galleggiamento o la spettroscopia o un principio della Termodinamica o le particelle elementari o il laser o il computer), saranno sempre per tutti e canonicamente dei fisici di serie C o degli applicatori della fisica, sempre perdenti al cospetto dei fisici di base.
Solo quando si decideranno a fare i didatti sul serio, e quindi si occuperanno della didattica per problemi o del controllo fattuale o del senso teorico, con qualche esempio significativo su argomenti di fisica (e quindi smetteranno per ciò stesso di fare i fisici in senso stretto), allora diverranno indispensabili.



Ricerca pedagogica, e suoi rapporti con la scienza


Risulta quindi chiaro, da quanto argomentato, che questo saggio è di pertinenza essenzialmente pedagogica: per tale è stato pensato e scritto. Si tratta, semmai, di riflettere attentamente sul rapporto corretto da instaurarsi tra la scienza e la pedagogia.
Con tutto ciò, tuttavia, sarà necessario ammonire circa il pericolo (che sussiste anche se è estraneo alla nostra ispirazione teorica e alle idee che hanno mosso il presente lavoro) di ricadere nell'estremo opposto: cioè, ad esempio, in qualche vecchia o nuova forma di scientismo, come sarebbe ad esempio un qualche tentativo di riduzione ad una sola scienza dell'intero dominio educativo. Il fallimento in tale senso stretto del tentativo della pedologia, in termini di prodotti (e non certo di processi, peraltro), dovrebbe insegnare parecchio al riguardo [13].
E' molto equilibrata al riguardo la posizione assunto ad esempio da Mauro Laeng. In effetti, i suoi studi sulla pedagogia sperimentale sono rilevanti e di interesse generale, senza per questo pretendere alcuna estensione automatica di quanto ivi teorizzato alla totalità della materia educativa [14]. Con la sua dottrina pedagogica siamo al collegamento tra la pedagogia da un lato e certe scienze dell'educazione (la psicologia sperimentale, nella fattispecie) dall'altro; od, anche tra la pedagogia generale ed una parte di essa. Si può in sostanza condividere, con riferimento specifico all'Italia ma su scala mondiale, quanto Aldo Visalberghi affermava a conclusione di una attenta e dettagliata disamina di casistiche al riguardo dal secolo scorso ad anni recenti circa il costruire la pedagogia come scienza: che cioè "si tratta piuttosto di un'esigenza che di una realtà, o anche di una prospettiva a breve termine." [15].
Come scriviamo in Scienza e pedagogia, al termine di un'articolata riflessione, "In estrema sintesi schematica, potremmo dire che la pedagogia: ha contenuti scientifici sempre più ampi ed essenziali, ma non si riduce a scienza o a collettanea di scienze o loro parti: per certi aspetti, come dominio di riflessione, coordinamento e volgimento a finalità umane delle scienze dell'educazione, essa è ravvicinabile ad una specie particolare di epistemologia, senza identificarsi con essa: per certi altri, come volgimento di tutto un complesso di atti umani a finalità umanamente scelte, essa è ravvicinabile (non identificabile neppure qui) ad una specie particolare di tecnica, o di "tecnologia" se si preferisce: per altri ancora, contenendo in sé anche la critica sui fini che si pongono in educazione, per certi aspetti qualcosa di ancora diverso, non scienza non filosofia e neppure tecnica." [16].
La didattica può essere una scienza, nello stesso senso delle scienze della natura; e per tale trattata, nella ricerca e nell'applicatività. Che questo possa essere fatto per la pedagogia intera è discutibile, pur potendosi certo dire per sue parti sempre più estese; e comunque, non è attualmente reale. Né ci sentiremmo di affermare con qualche fondamento (teorico, od empirico): "non ancora".



La didattica scientifica in senso proprio e sue conseguenze: ricerca teorica e ricerca sperimentale


In realtà, a ben vedere l'esigenza di scientificità sistematica è propria di qualunque didattica speciale (anche di quella di discipline non scientifiche, o non considerate o non trattate come tali; o comunque, non ancora) e della stessa didattica generale; requisiti scientifici possono avere altresì un'indicazione molto estesa nel dominio educativo più generale.
La scientificità della didattica ha una serie di conseguenze; ci soffermeremo solo su alcune di queste, in quanto maggiormente influenti sul nostro discorso relativo al progresso dell'insegnamento delle materie scientifiche.
Innanzitutto, perché la didattica possa essere definita come una scienza, perché si possa parlare correttamente di "didattica scientifica", il processo della ricerca che si svolge nel suo contesto va ad articolarsi su due versanti: uno studio che potremmo definire "teorico", relativo ai fondamenti di carattere disciplinare (teoria, filosofia, metodologia delle discipline scientifiche e del loro insegnamento; trame concettuali, loro rapporti con le rappresentazioni mentali; ...), a quelli di carattere generale (didattica generale, pedagogia, filosofia della scienza, scienze dell'educazione, storiografia e critica storica della scienza, ...) e relativi alle proprietà, alle finalità e agli obiettivi (generali e particolari) dell'insegnamento disciplinare, e agli obiettivi di diverso livello (educativi, formativi, culturali, cognitivi, di contenuto, applicativi, tecnici, pratici, ...) il cui conseguimento può rientrare nelle competenze della didattica; e uno studio correttamente qualificabile come "sperimentale", con la raccolta dei risultati delle sperimentazioni didattiche, svolte dal corpo docente anche nel quadro di grandi progetti sperimentali, e con la raccolta delle rappresentazioni mentali negli allievi, spontanee ed indotte, e delle relative modificazioni; il tutto, seguito ovviamente dall'analisi e dall'elaborazione dei dati ritenuti significativi per la ricerca e che ne è stato possibile trarre, e dalla loro elaborazione, alla luce di tali teorie e con riferimento alla realtà culturale e strutturale della nostra scuola, della nostra cultura e della nostra società.
Il lavoro di ricerca su entrambi i versanti va visto, come è corretto e deontologicamente indicato nell'ambito scientifico, nella sua essenziale prospettiva storico-critica: lo si diceva anche nel documento S.I.F. citato. Prospettiva che è, poi, in fondo quella di ogni ricerca umana, attività creativa senza fine ed in divenire continuo.
La ricerca "teorica" e la ricerca "sperimentale", nella didattica come in didattica generale od in ogni branca della ricerca scientifica, vanno integrate organicamente, vanno reciprocamente riferite l'una all'altra e coordinate, e in ultima istanza ricondotte alla finalità comune ed unica: l'evoluzione della conoscenza.
Tutto ciò, va concepito ed attuato senza che vi sia alcuna necessità che le due modalità di ricerca, tra di loro complementari, siano condotte dalle stesse persone, o dagli stessi gruppi: anche questo, talvolta, si sente invece affermare, o adombrare, tra i didatti delle scienze italiani, con il malcelato obiettivo di svalutare la ricerca teorica al cospetto di quella sperimentale (o chi conduca la prima e non la seconda, od anche solo la prima con maggiori energie ed attenzione che non la seconda). Ciò significa, con tutta evidenza, non comprendere che quest'ultima senza la prima non ha neppure senso alcuno. Oppure è ricerca di basso livello nell'ambito della disciplina scientifica, come osservato, e non ricerca didattica.
Va anzi rilevato come oggi, e da tempo, la ricerca nei campi ad esempio della fisica e la chimica teoriche venga condotta da gruppi differenti e, spesso, disgiunti da quelli che conducono la ricerca sperimentale; gli strumenti concettuali ed operativi, e fin le metodiche particolari, sono ben diverse e si divaricano sempre di più. Perfino la preparazione di base dei ricercatori sui due versanti è molto e sempre più diversificata: tanto, che si pongono seri problemi di trasferimento dell'informazione dall'un versante all'altro e viceversa; vi sono riviste specifiche, meeting e convegni specifici, scuole specifiche. Bisognerebbe pure che almeno i didatti disciplinari ne imparassero qualche cosa...
Ad esempio, è ben noto come il lavoro verso l'unificazione elettrodebole abbia visto convergere sinergicamente la ricerca teorica, sintetizzata nella teoria di Steven Weinberg, Abdus Salam e Lee Glashow, con la previsione conseguente delle particelle W- e Z0, e la ricerca sperimentale di Carlo Rubbia che ha consentito di rilevare fattualmente l'esistenza di dette particelle anni dopo: si può forse ridurre l'una ricerca all'altra, o viceversa? E' l'una subordinata o subordinabile all'altra, o viceversa? Chiunque abbia una minima conoscenza della fisica (o della chimica, ma anche nelle scienze della vita ed in altre scienze ancora) e qualche elemento della relativa storia, può trovare infiniti esempi in tal senso, anche meno recenti e meno fondamentali.
Non c'è nessun motivo razionale per cui così non sia, ed anzi non finisca per dover essere (per ragioni essenziali), anche nella ricerca didattica disciplinare. Né è seriamente sostenibile che le attività di ricerca sull'un versante possano essere oggetto di una visione comunque riduttiva rispetto a quelle sull'altro: la tendenza che purtroppo si deve lamentare, a volte, da parte di qualcuno a subordinare logicamente, in qualche modo, le ricerche teoriche a quelle sperimentali non ha fondamento razionale. Si tratta di due aspetti complementari ed irriducibili reciprocamente, entrambi necessari ed altrettanto rilevanti sotto ogni profilo, della stessa ricerca.
Proprio a proposito di "Ricerca teorica e sperimentale" nella materia educativa, vediamo nuovamente Mauro Laeng: "Qui si impone una riflessione epistemologica. La ricerca teorica pura presenta rari esempi in filosofia e in matematica; ma neppure essi possono fare del tutto a meno dell'esperienza come punti di partenza e come punto di arrivo; in fisica teorica quasi tutto è traducibile in formule, ma rimane tuttavia un referente extralinguistico, per interrogare il quale si costruiscono sincrotroni e altre macchine simili; che si constati o no la traccia dell'esistenza di una particella prevista significa la sopravvivenza o il decesso di molte teorie.
Anche in pedagogia non tutto si può decidere a parole; trovate le parole giuste per porre i problemi, bisogna chiedere ai fatti la risposta. La ricerca teorica, supportata in questo campo da quella storica e comparata, deve far posto a una ricerca sperimentale che la affianchi e la sorregga. Può darsi che i teorici e gli sperimentalisti in quanto persone vive siano soggetti diversi, tanto diverse sono spesso le loro mentalità e la loro preparazione, ma teoria ed esperienza in quanto tali non sono separabili.
Semmai si può dire che la ricerca teorica apre la via, segna dei percorsi, propone delle questioni; e dopo la rilevazione dei dati ne deve dare l'interpretazione e la sintesi. In questo senso non hanno tutti i torti i teorici che diffidano dalle corte vedute di taluni sperimentalisti o di certi tecnologi. Non si possono scambiare gli strumenti, pure preziosi, per il senso totale dell'operazione che interroga la natura." [17]
Aggiungeremmo: ciò vale a maggior ragione per il senso totale di quelle operazioni che interrogano, anziché la natura, la cultura umana.
Ancora. Lo scopo, su entrambi i versanti, è quello di far progredire la conoscenza nel settore, e quindi l'evoluzione delle teorie di didattica disciplinare. Questo, almeno, sarebbe deontologico, se si vuole che la didattica disciplinare sia una scienza: esattamente come, cioè, in qualsiasi altro settore di ricerca scientifica; né questo esclude di per sé finalità più generali, in scienze della natura come in educazione e in didattica. Ed è chiaro che tale progresso e tale evoluzione si rivelano solo con riferimento a contesti più ampi come la didattica scientifica, la didattica generale, la pedagogia. Da qui, poi, può conseguire in modo diretto anche il progresso della pratica operatività professionale relativa; e si possono quindi offrire contributi alla formazione, all'aggiornamento, al miglioramento e all'affinamento della professionalità dei docenti e degli educatori.
Per capirci meglio: se si vuol restare nell'ambito scientifico, lo scopo non può essere, ad esempio, quello di puntare ad una aprioristica attuazione e perpetuazione di determinate pratiche, siano pure inquadrate in grandi progetti internazionali: e specialmente di fronte a segni evidenti di inadeguatezza e di obsolescenza.
Si tratta di un'ovvietà. Ma va detta perché anche questo, purtroppo, è avvenuto ed avviene: un'attività sperimentale, magari di grande portata, alla quale venga posto l'obiettivo di fondo di ... applicare e di estendere l'applicazione di un dato progetto. Così si scambiano i fini con i mezzi, almeno se si vuol rimanere nell'ambito della scientificità: un obiettivo centrale di una ricerca didattica sperimentale può essere, semmai, quello di controllare sperimentalmente la validità e i limiti di quel progetto; e, così facendo, di correggerlo, affinarlo, adattarlo, evolverlo e magari superarlo, in modo di far così progredire la conoscenza e, con essa, la scuola intera.
Per quel che riguarda, in particolare, la sperimentazione didattica, anche qui ci vuole l'esplicitazione di un'altra ovvietà. Perché una sperimentazione possa dirsi propriamente scientifica, la ripetibilità deve essere, in linea di principio, totale ed incondizionata, e non può limitarsi a condizioni e contesti per qualche aspetto singolari. E' improponibile scientificamente ciò che pure si è fatto: l'attuare delle sperimentazioni in contesti e condizioni del tutto atipiche e singolari, addirittura rese singolari appositamente (mediante scelte ad hoc di insegnanti, materiali, strutture, dotazioni di risorse, ambienti, persino studenti ...; o financo by-passando l'insegnante ad opera di elementi universitari). I risultati che si ottengono in condizioni simili, o metodologicamente analoghe, non hanno alcun valore scientifico non essendo ripetibili proprio per come sono stati ottenuti. Essi sono anzi, per ciò stesso, assolutamente fuorvianti: possono avere una funzione, anche importante, per la formazione del ricercatore pedagogico-didattico; ma sarebbe un errore evidentemente grave considerarli attendibili in generale.
Questi, ed altri, sono principi che nessuno mette in dubbio relativamente a qualunque settore di ricerca scientifica. La loro applicazione alla relativa didattica risulta essere, se possibile, ancora più necessaria, e presenta delle valenze innovative molto profonde.



I precedenti, ormai remoti, della ricerca attuale in didattica delle scienze


Dunque, oltre agli studi teorici dobbiamo considerare quelli più propriamente sperimentali.
Ora, stante la necessità evidente di dare un minimo sviluppo storico all'analisi della ricerca su questo versante, i referenti più remoti dai quali partire riguardano la fisica e risalgono (almeno) alla fine degli anni '50; inoltre, il panorama che ci si presenta è piuttosto articolato [18].
In un abbozzo per una storia della didattica delle scienze nei nostri tempi si può in effetti fissare un punto di svolta con gli inizi dello studio e delle sperimentazioni svolte, in particolare, nel contesto del ben noto P.S.S.C.. Ebbene, la costituzione, negli Stati Uniti d'America, del Physical Science Study Committee risale al 1956: esso ha rappresentato un ottimo esempio di collaborazione positiva tra università e scuola.
In precedenza, nell'occidente la guerra fredda aveva favorito un certo conservatorismo anche nella scuola e nell'educazione, con un oggettivo oblio del grande progresso che era stato apportato dalla grande corrente del Pragmatismo di quel paese: un conservatorismo fortemente ispirato a criteri meritocratici, e semmai con un'attenzione apprezzabile per la formazione specificamente tecnico-professionale, in risposta alle richieste ben precise di quadri qualificati da parte di un'industria in forte progresso tecnico. E tuttavia, era stato facile negli Stati Uniti, fin dagli anni '40, prevedere l'imminente esplosione di una richiesta di scolarità superiore di massa [19].
Solo verso la seconda metà degli anni '50 ci si rese conto che l'investimento scolastico poteva essere considerato produttivo in quanto in sé funzionale allo sviluppo del paese, anche in termini strettamente economici; e l'attenzione si focalizzò allora subito sul rinnovamento degli insegnamenti scientifici [20].
Nacquero così, poco dopo del P.S.S.C., anche progetti analoghi e altrettanto noti per altre materie scientifiche: il B.S.C.S. nel '59, il C.B.A. nel '59 ed il CHEM-Study nel '60, l'E.S.C.P. sempre nel '60, e così via. Orbene, solo in alcuni (ad esempio nel B.S.C.S. e nell'E.S.C.P.) sono abbastanza leggibili dei tratti metodologici pragmatistici dalla profondità teoretica adeguata; questi erano invece piuttosto in ombra proprio nel P.S.S.C., e (quel che più ci interessa) sono poi andati perduti in buona sostanza nella sua applicazione italiana [21]. C'è una ragione plausibile: alcuni neopositivisti logici, latori di una metodologia induttivistica, erano riparati negli USA prima della guerra per sfuggire alle persecuzioni naziste; esemplari in tal senso sono stati i casi di Carnap e di Feigl, i quali avevano ottenuto un apprezzabile successo, affermando la propria come una sorta di "epistemologia ufficiale".
Osserviamo che le stesse istanze socio-economiche sulla scuola si sono diffuse anche in Italia, pur se con qualche anno di ritardo. Solo che mentre l'espansione dell'istruzione tecnica finalizzata alla formazione di quadri qualificati, e l'esplosione della scuola di massa, vi si sono puntualmente verificate in tutta la loro dimensione, l'accentuazione dell'aspetto scientifico (evidentemente necessario in misura maggiore e più essenziale) non è avvenuta e non ha trovato fondato consenso se non presso ristrettissimi gruppi di insegnanti sperimentatori, specie in progetti pilota, e in gruppi ancor più ristretti di ricercatori universitari, peraltro sempre e largamente emarginati dal mondo accademico.
Quindi questa storia "dei fatti" della ricerca in didattica delle materie scientifiche è stata ed è rimasta storia di pochi: non va dimenticato. Notiamo ancora, sempre riguardo a quanto si è citato in precedenza [22], che mentre per tutte le altre discipline scientifiche si sono assunti i predetti corsi statunitensi (e, qualche anno dopo, anche l'I.P.S.), solo per la chimica verrà elaborato un progetto europeo autonomo, sotto l'egida dell'O.E.C.D.-O.C.S.E.: per quest'ultimo, rimandiamo a quanto si è scritto in altre sedi [23].
Tornando alla fisica e al P.S.S.C., il progetto viene divulgato nel nostro paese per la prima volta nel 1960, con il contributo essenziale della S.I.F.; due anni dopo, venivano varate le prime "classi pilota", anche con il contributo della stessa O.E.C.D.-O.C.S.E., in un processo più o meno parallelo a quello che stava seguendo anche l'analogo progetto per l'insegnamento sperimentale della chimica cui si è accennato.
Stando all'accurata sinossi di Nella Tomasini Grimellini, pubblicata circa quindici anni dopo [24], a quel tempo erano in azione nove gruppi di ricerca universitari nel settore (Palermo, Napoli, Bari, Roma, Bologna, Modena, Pavia, Genova, Torino) operanti nell'ambito del progetto finalizzato didattica del C.N.R., nonché diversi altri gruppi non ufficializzati analogamente; alcuni di essi (Roma e Bologna) avevano cominciato a lavorare proprio fin dal 1960.
Nello stesso scritto, l'autrice faceva emergere, quanto ai contenuti, due filoni di ricerca sperimentale in didattica della fisica attivi dal 1970 nel nostro paese: la cosiddetta "Iniziativa relatività", sotto l'egida della S.I.F. e dell'A.I.F., che coinvolgeva varie scuole d'Italia; e la sperimentazione di un insegnamento integrato fisica-chimica-biologia nel primo biennio medio-superiore, detto anche di "scienze coordinate", nella quale erano impegnati 49 insegnanti e 12 docenti universitari.
Si sono collegate a tutto ciò, ed in particolare a questo secondo filone, le attività analoghe svoltesi nel quadro della proposta del gruppo I.P.S. (Introductory Physical Science), e dell'omonimo progetto da questo espresso relativo ad un insegnamento integrato di fisica e chimica, anch'esso ben noto. Il corso, della durata di un anno, aveva seguito nel cosiddetto P.S.2.
All'analisi pedagogico-didattica, in sostanza, questi ultimi due volumi presentavano una prerogativa interessante circa i contenuti e la loro strutturazione: essi prefiguravano la trattazione di vasti settori dello scibile scientifico secondo due di quelli che si chiamano con il termine tecnico di "grandi temi". Questi particolari grandi temi li ritroveremo più o meno costantemente in proposte successive, ed anche recenti, di ristrutturazione dei contenuti per l'insegnamento medio-superiore della fisica, in particolare nel costituendo biennio unitario medio-superiore: la materia e l'energia.
D'altro canto, essi testimoniavano una scelta epistemologica e metodologico-didattica esplicitamente e finitamente induttivistica: il che era evidentemente segno di totale contraddizione con la tradizione pragmatista statunitense, come accennato. V'erano semmai chiari segni di ripresa di taluni motivi dell'epistemologia europea di fine '800 - primi del '900, in particolare di certo Positivismo (e non esattamente di quello italiano).
E' in tale contesto che ha trovato il terreno adatto per sorgere ed avviare i suoi primi sviluppi proprio l'A.I.F. [25]. Questo può spiegare, in parte e per certi versi, le tante resistenze che vi si sono incontrate per molti anni successivamente, e che vi si incontrano ancora oggi, nel proporre di seguire vie alternative per la ricerca in didattica della fisica e delle scienze in genere, e per il progresso della relativa professionalità docente; ed in particolare, la pervicace resistenza dell'Induttivismo, anche di fronte al suo crollo definitivo sul piano teoretico, avvenuto fin dagli anni '30 come è noto, e di fronte alla sua insostenibilità pedagogica, maturata in Italia con chiarezza solo negli anni '70.
Diverse, anche nel senso di meglio composite e pluralisticamente articolate, sono state le origini di altre associazioni costituitesi attorno alla didattica di una o più discipline scientifiche: Mathesis per la matematica e la fisica, Centro Morin per la matematica e le scienze integrate, A.N.I.S.N. per le scienze naturali, D.D.S.C.I. per la chimica, A.I.I.G. per la geografia, ...; ciascuna con proprie riviste e proprie pubblicazioni aperioriche. Le loro origini non sono state legate in modo rigido ad un determinato progetto e all'epistemologia ad esso sottesa (o che tale si riteneva, o alla lettura italiana che se ne dava); erano quindi aperte alle innovazioni teoriche e generali, come lo spirito scientifico prescriverebbe anche per le questioni pedagogiche, metodologiche, didattiche generali e specifiche, ed altresì per quelle epistemologiche.
Comunque, procediamo con ordine e raccogliamo innanzitutto i risultati positivamente apprezzabili oggi anche di attività dalle basi superate, in una prospettiva correttamente evolutiva.
Sul piano dei fondamenti, in effetti, già queste sperimentazioni di altri anni hanno sancito una serie di "punti fermi": oggi possiamo riprenderli in modo positivo e funzionale, alla luce delle nuove teorie. E' chiaro, si tratta di principi di parecchi decenni or sono, i cui fondamenti risalgono (bene che vada) all'inizio del secolo, e per giunta raramente studiati in modo men che superficiale.
Innanzitutto, la necessità di conferire all'insegnamento scientifico una base sperimentale sistematica, facendo ricorso anche ad una cospicua strumentazione dedicata specifica da laboratorio.
Nella didattica esplicata in questi progetti, gli allievi vengono fatti lavorare effettivamente, e regolarmente, ad un modello di ricerca scientifica abbastanza ben preciso. Questo, almeno, nella versione prevalsa in Italia, era in effetti delineato secondo linee metodologiche rifacentisi all'Induttivismo [26]; non mancava, peraltro, qualche significativo elemento di Pragmatismo e specialmente di Operazionismo, più o meno accentuato. E si trattava proprio di un "modello", tale intendeva essere e si dichiarava: chissà con quanta consapevolezza del ruolo che hanno i modelli nell'educazione non democratica, ed invece gli esempi in quella democratica, laica, occidentale, pluralista. Stiamo parlando di eventuali modelli educativi e didattici, è chiaro: non di modelli fisici, od ingegneristici, o matematico-applicativi [27].
A parte la scelta del metodo, la determinazione a puntare sul metodo era ed è positivamente apprezzabile in sé. Essa rispondeva allo scopo di far vivere agli allievi l'insegnamento scientifico non come una ricezione passiva di contenuti consolidati e già finiti, bensì come un'elaborazione attiva e in divenire.
Vi era qui anche un forte apporto di abilità tecniche e di algoritmica matematica specifica, nonché di efficenza e di impegno, ed un'attenzione particolare al trattamento di ciò che si è ricavato per via empirica [28]. Qualche filosofo di impostazione neo-positivistica impiegherebbe la locuzione "protocolli empirici" [29].
L'integrazione tra l'insegnamento della fisica e l'insegnamento della chimica costituiva l'impostazione di fondo dell'I.P.S., ed anche di studi ed esperienze in varie parti d'Italia su un'integrazione didattica a dominio più ampio, le "scienze coordinate", appunto; pur se, in quest'ultimo caso, gli insegnanti erano differenti. Si tratta di un fattore innovativo di notevole interesse attuale: quell'integrazione era dettata dalla scelta di strutturare i contenuti (essenzialmente, la materia, le sue proprietà e la sua costituzione, nell'I.P.S.) in forma tematica, e non secondo le teorie disciplinari; essa aveva, quindi, delle ulteriori motivazioni didattiche profonde, e presenta diversi motivi d'interesse.
Ancora: lo studio della fisica (o della chimica) condotto in modo costantemente quantitativo, anche con un'elaborazione molto avanzata dei risultati sperimentali, ha portato ad un'integrazione più stretta con l'insegnamento della matematica. Si può anzi affermare che la stessa matematica ha trovato nell'insegnamento della fisica una serie di potenti motivazioni, di spunti e di indicazioni valide anche per il progresso della sua didattica. Il che, del resto, risponde anche alla storia di questa disciplina: quanto, poi, di questo sia stato ripreso ampiamente dal corpo docente, e sia (o non sia) diventato effettivo patrimonio professionale comune, è un altro discorso [30].



Un esito propositivo di quei precedenti remoti di ricerca in didattica delle scienze: i "contenuti minimi" del 1976


Una sintesi significativa della ricerca progettuale e sperimentale svoltasi in quegli anni nel nostro paese, con intenti dichiaratamente propositivi, lo si può individuare nel documento detto dei "contenuti minimi" per l'insegnamento della fisica nel biennio. Questa storica proposta è stata elaborata a partire dal giugno 1976 da una commissione altamente qualificata insediata allo scopo dalla S.I.F. d'intesa con il C.N.R. e con l'A.I.F., e con la partecipazione di rappresentanti dell'Unione Matematica Italiana e della Società di Mineralogia e Petrografia [31]. Esso offre un'idea d'assieme dell'impostazione e dei risultati della ricerca della quindicina d'anni precedente; inoltre, ha funto da capostipite per molte delle proposte che sono state avanzate in seguito per la riforma dell'insegnamento della fisica nel costituendo biennio unitario medio-superiore.
Un suo limite evidente è il permanente riferimento all'epistemologia induttivistica, ormai obsoleta: tale aspetto sarà superato solo gradualmente nelle proposte successive. Tuttavia, esso presenta lo stesso (almeno) un aspetto importante di attualità: si tratta del carattere di tematicità dei contenuti che esso contemplava [32], fortemente innovativo sotto i profili pedagogico e didattico, e che trova significativi seguiti nelle successive proposte di riforma della secondaria superiore.



L'evoluzione nella ricerca teorica, e le esperienze degli anni '60 e '70


I risultati che è stato effettivamente possibile conseguire con tali sperimentazioni si qualificano integrandosi con i contributi provenienti dall'evoluzione della ricerca pedagogica e didattica negli anni successivi, anche grazie a nuovi apporti teorici. E' quindi alla luce degli sviluppi più recenti nelle teorie educative (e filosofiche) che vanno rilette le sperimentazioni di quegli anni, e che ne vanno interpretati ed utilizzati i dati empirici; come è noto, i dati da soli, senza la luce di una teoria, non hanno alcun significato, a differenza di quel che ne pensano tanti induttivisti, filosofi o didatti delle materie scientifiche.
Ciò, scientificamente, non può essere operato solo per individuare i limiti e gli elementi di superatezza di quelle ricerche empiriche: detti limiti ed elementi di superatezza sussistono, e sono ben comprensibili, trattandosi di attività risalenti a decenni or sono, e i cui fondamenti sono molto più remoti. Lo scopo principale sarà coglierne gli elementi che possono risultare utili ancor oggi alla costruzione della didattica delle scienze per il futuro, che non sono pochi né trascurabili.
In effetti questi progetti e le relative sperimentazioni, come ogni altro atto di ricerca in qualunque settore scientifico, assumono il loro valore e la loro funzione più propria solo se vengono considerati come dei passi di un processo senza fine di evoluzione della conoscenza: un processo che, per sua natura intrinseca, non raggiungerà mai alcunché di definitivo.
Questa è una prospettiva, in ottemperanza precisa a quell'esigenza d'impostazione storico-critica di cui si è detto, che consente di non fare assumere una valenza negativa e falsificante a dati di fatto oggettivi che, analizzati su altri sfondi e secondo impostazioni differenti, se la vedrebbero attribuire senz'altro, e non impropriamente. E' il caso, ad esempio, della diffusione piuttosto limitata che tutto questo lavoro, e perfino i suoi "prodotti finiti", hanno avuto tra gli insegnanti: diciamo, confinata a delle élite emergenti, ma certo ben lungi anche solo dallo sfiorare la massa. O del mancato recepimento dei suoi principi e delle sue indicazioni nella pratica scolastica più comune. Od altresì, della sua ormai evidente inettitudine ad incidere costruttivamente nella normativa positiva.
Nello sfondo scientifico che ci siamo scelto, diciamo che si è trattato di un fatto storico di ricerca; e, come tale, di un momento determinato nell'entità e nel tempo e transitorio nei suoi risultati.
In una simile prospettiva di ricerca, lo stesso documento dei "contenuti minimi" pre-citato va letto, oltreché come un punto avanzato per le ricerche precedenti, come il punto di partenza per le ricerche che sono venute successivamente (che sono varie), e per i documenti sulla riforma espressi dalle associazioni scientifiche e professionali negli anni seguenti e più vicini a noi. Esso va visto come una base d'avanzamento, quale ne sia lo stadio; e comunque mai come una sorta di piattaforma di stasi.
La fase seguente del lavoro di ricerca didattica, perché possa portare anche alla riforma complessiva e su ampia scala, trova in tutto questo degli elementi essenziali; ma essa va svolta tenendo conto anche delle tradizioni scolastiche del nostro paese, della cultura diffusa nel mondo della scuola, e di altri fattori particolari e contestuali; ed, innanzitutto, dell'evoluzione dei principi e dei fondamenti che è intervenuta in anni più recenti.



Le "scienze integrate" in senso lato, ed alcune possibili "vie di sviluppo" per la didattica delle scienze


Ed è a questo punto che entrano in gioco quei nuovi referenti teorici la cui consapevole ed esplicita accettazione ha consentito, finalmente, il progresso nella didattica delle scienze e nella relativa normativa a partire dagli anni '70, e soprattutto nella scuola di base.
Un esame dettagliato dei caratteri nodali dei nuovi programmi per l'insegnamento scientifico nelle scuole per l'infanzia (3-6 anni), elementare (6-11) e media di 1° grado (11-14), e delle loro radici profonde, ci consentirebbe di segnalare nuovi fondamenti teorici, più avanzati, realistici e meglio adeguati alle finalità educative e culturali della didattica delle scienze. Entrare nei dettagli in merito esulerebbe sia dai limiti di questo lavoro, sia anche dai suoi fini specifici. Qui ricordiamo solo, essenzialmente, che da questo complesso di elaborazione teorica (filosofica, pedagogica, didattica, metodologica, ...) emergono una nuova definizione e una nuova dottrina didattica delle "scienze integrate": non più solo, riduttivamente, un insegnamento unico ed unitario pluri-disciplinare delle scienze della natura, bensì in sostanza un nuovo modo di vedere gli insegnamenti delle discipline scientifiche e le relative forme educative (non necessariamente unificati, anche se certamente ben coordinati, sinergici pedagogicamente e culturalmente, mirati in modo comune, ...), della loro pedagogia e della loro didattica, tale che essi si integrino organicamente per il loro stesso modo d'essere al complesso del processo educativo in atto in ciascun grado di scuola [33], ed in generale agli altri componenti della cultura umana, o meglio alle altro modalità d'esercizio della stessa creatività dell'uomo [34]. Si tratta di una teoria dagli evidenti ascendenti pragmatisti [35].
Legislativamente, l'insegnamento delle "Scienze integrate" nel senso stretto è prescritto appunto per i tre gradi della scuola di base italiana. La letteratura al riguardo è particolarmente ben centrata e rigorosa per quel che riguarda l'insegnamento delle "Scienze" nella scuola elementare [36]: per la scuola dell'infanzia sta crescendo come vedremo fra un istante; mentre per l'insegnamento di "Scienze matematiche, chimiche, fisiche e naturali" nella media di 1° grado i materiali disponibili sono spesso pedagogicamente e metodologicamente malsicuri.
In estrema sintesi, potremmo indicare al riguardo alcune vie di sviluppo per la didattica delle scienze (integrata o disciplinare): esse emergono con chiarezza anche sia nelle varie riforme e proposte di riforma avanzate a più riprese in Italia per i programmi d'insegnamento nei vari gradi dell'istruzione pre-universitaria, sia in tutta la ricerca didattica che non è rimasta pervicacemente abbarbicata a visioni che, per quel che si è detto, comunque vanno considerate non scientifiche
Un primo ordine di vie di sviluppo riguarda la teleologia dell'insegnamento delle varie discipline scientifiche.
Esso si specifica nella destinazione dell'atto educativo, per quel che riguarda lo specifico di quest'insegnamento, a finalità generali e ad obiettivi fondamentali essenzialmente educativi ad ampio spettro: vale a dire, con riferimento a considerazioni prettamente pedagogiche, didattico-generali, formative e culturali. Il che si contrappone alla tradizionale ricerca di tale destinazione effettuata comunque attraverso considerazioni "interne" e ristrette alla disciplina stessa ("Perché studiare le scienze naturali? Perché conoscano la natura!" Oppure: "Perché acquistino il modo di procedere del naturalista!". E così via). E richiede, semmai, un retroterra adeguato nel campo della filosofia della scienza e di una riflessione su di essa e sulla sua applicatività educativa, culturale, didattica e in settori analoghi [37].
Un secondo ordine riguarda la metodologia didattica.
Esso riguarda, innanzitutto, un procedere "per problemi" nell'insegnamento scientifico. In quest'impostazione, i relativi contenuti vengono porti e sviluppati sotto la forma di ipotesi di soluzione dei problemi posti, i quali ne motivano così lo studio, e di loro sviluppi logici e pratico-applicativi. Riguarda anche una definizione nuova, più realistica e meglio adeguata pedagogicamente, del rapporto tra teoria scientifica e parte empirica: una parte che è soprattutto sperimentale, nel caso della fisica o della chimica, ma che può essere osservativa, di ricerca, testimoniale, documentale ed assumere anche altre fattispecie per altre scienze della natura. Ciò comporta, secondo le linee di pensiero attuali, un'accentuazione ben precisa e puntuale del ruolo dell'esperimento nel contesto del controllo e della giustificazione delle leggi e delle teorie scientifiche: cioè, successivamente alla loro formulazione, senza peraltro che ne escluda un ruolo in altri contesti, precedenti.
Un terzo ordine attiene più specificamente ai contenuti dell'insegnamento delle scienze.
Si tratta, innanzitutto, di scegliere i contenuti dell'insegnamento scientifico e di trattarli con preciso riferimento ad una dimensione culturale, formativa e conoscitiva in senso pieno, generale e non specialistico, essenziale. Il che si contrappone idealmente, ma in modo preciso e deliberato, a quell'impostazione a carattere tecnico-applicativo, strumentalistico o pre-professionalizzante, che caratterizzava scelte dei contenuti, loro articolazioni e loro sviluppi superati per insegnare le scienze; ma si contrappone in modo assolutamente analogo a scelte più recenti dettate da considerazioni "interne" alle discipline, conseguenze di una "rincorsa all'università" da parte di insegnanti e autori di libri di testo per le secondarie superiori, e così a scalare per i gradi di scuola precedenti.
Si tratta anche di operare una ristrutturazione dei contenuti stessi dell'insegnamento scientifico, in parte conseguenza logica e praticabile della scelta d'insegnare "per problemi". Questi contenuti non vengono più ordinati seguendo rigidamente (od, anche, preferenzialmente, tendenzialmente) la base delle teorie, delle branche e delle classiche linee portanti delle discipline scientifiche (che verrebbero allora considerate di necessità singolarmente), bensì attorno ad un numero molto limitato di quelli che si chiamano, con un termine tecnico, "grandi temi".
E' da prevedersi altresì un'introduzione nell'insegnamento scientifico e nella sua impostazione generale di quella che si chiama genericamente la dimensione storica, propria della scienza e della cultura umana in senso ampio. Tale introduzione è da intendersi nelle sue diverse valenze: sia come fattore di cultura, di educazione, di impostazione metodologica di detto insegnamento preso a sé stante, sia come migliore opportunità d'integrazione di questo con gli altri insegnamenti (scientifici e non, quegli storici o storicizzati in modo particolare), sia anche come necessario passaggio per una forma educativa che si avvicini di più al reale modo d'essere della ricerca e della pratica conoscitiva della fisica. Citeremmo come esemplari in tal senso, per quel che riguarda la fisica, gli studi che hanno visto come loro curatore Fabio Bevilacqua [38]. In questa concezione risulta impossibile un insegnamento scientifico completamente storicizzato: a parte le difficoltà pratiche (la dilatazione dei contenuti) le ricerche storiche dipendono in larga misura dalla storiografia adottata e quindi non possono essere privilegiate rispetto a quelle scientifiche (che dipendono dal programma di ricerca). Si tratta di una didattica con quelle che si chiamano "small injections" di storicità, secondo una cosiddetta "epistemologia debole" (locuzione da prendersi con il discernimento dovuto).
Alla base di tutto, si ravvisa chiara una tendenza a quello che potrebbe costituire (di fatto) un quarto ordine di vie di sviluppo per la didattica delle scienze. Esso riguarda un forte ridimensionamento delle segmentazioni disciplinari negli insegnamenti scientifici in genere, in favore di un'apertura a discorsi d'integrazione didattica pluri-disciplinare. Tale scelta, al livello medio-superiore, può introdurre anche allo svolgimento di veri e propri campi interdisciplinari; questa può essere vista e considerata anche come un'ulteriore conseguenza saliente della scelta della metodologia didattica per problemi [39].
L'elenco, certo, non è completo né ha la pretesa di aver individuato tutte le idee innovative più rilevanti: è solo indicativo, per una guida al nostro discorso, e per avviare secondo delle linee plausibili teoricamente, ed attuabili praticamente in classe, il nostro "progetto di ricerca". Sono vie di sviluppo di chiara progressività, e della cui praticabilità discuteremo.



Per un inquadramento storica del problema, dal punto di vista più strettamente pedagogico



Un ruolo centrale, nella pedagogia del secondo dopoguerra post-pragmatista e post-attivista, viene rivestito anche per l'Italia da Jerome S. Bruner, come noto: proprio specialmente per quanto attiene alla didattica delle scienze naturali (ma anche altri ambiti di didattiche speciali). La teorizzazione bruneriana costituisce quello che viene generalmente considerato un punto di riferimento (di svolta, se si vuole) nella pedagogia odierna [40].
Nella sistemazione da lui proposta, sono due i problemi fondamentali della ricerca pedagogica e quindi i filoni da seguire: quello della struttura delle discipline, onde trarne indi­cazioni posi­tive per la relativa didattica, l'operatività conseguente e le forme educative corrispondenti; e quello delle rappresentazioni mentali degli allievi-educandi e delle loro modificazioni spontanee secondo lo sviluppo genetico, i cui risultati sono da impiegarsi per operare le scelte più profit­tevoli in vista della maturazione dell'educando mediante le modificazioni di tali rappresentazioni indotte dall'atto educativo e didattico, in conseguenza del real modo d'essere delle discipline stesse.
Ricordando che in tale temperie pedagogica entravano a pieno titolo anche le scienze dell'uomo assieme alle scienze della natura, possiamo riprendere il discorso da un punto di vista generale.
Questo secondo settore divenne ben presto oggetto di ricerca per gli psicologi della conoscenza, tra i quali spiccano (pur con problemi di "raccordo" non indifferenti) la scuola di Ginevra e la figura di Jean Piaget con quell'Epistemologia Genetica che soprav­vive bene alla critica di altri aspetti dell'elaborazione dei ginevrini. Nella scuola piagettiana si distingue Bärbel Inhelder, coautrice di molte opere fondamentali e partecipante a Woods Hole. Non manca chi consideri questo come oggetto di ricerca propriamente didattica, o addirittura educativa; quando invece è semmai una ricerca di scienze dell'educazione (o di "altre" scienze dell'educazione rispetto alla didattica, se si preferisce). Dewey non è mai stato un pedagogista o un didatta, né ci risulta che abbia mai preteso di esserlo; risulta piuttosto che egli stesso si sia sentito alquanto frainteso in molti sensi [41].
Ciò che in questa sede ci interessa di più è il primo settore: quello che non diede grossi risultati, e non ricevette neppure un grande impulso, né presso Bruner né presso i suoi seguaci. Rimanendo all'interno della stessa teorizzazione bruneriana, la ricerca strutturalistica in senso disciplinare conduceva in qualche modo in un vicolo cieco.
Ad esempio Bruner stesso ci riporta che, nella detta occasione di studio sulla didattica delle varie materie scientifiche, si era anche posto il problema di una cosiddetta "scienza generale" [42]; esso viene posto come "problema aperto", nell'ambito della discussione di uno dei due grandi filoni di cui si è detto. E. in quell'ambito, non si è andati oltre l'individuazione di quattro caratteristiche di questa scienza: "la categorizzazione e i suoi usi; l'unità di misura e i suoi derivati; la natura indiretta dell'informazione nella scienza e la necessità dell'informazione in ter­mini operativi." [43]. Si tratta di asserzioni, come si vede, abbastanza generiche più che non generali, e oltre a tutto poco fruibili davvero, a qualsiasi grado di scuola, in particolare in quelle scuole secondarie dalle quali la ricerca bruneriana aveva preso le mosse. Meno immediato è il rendersi conto che il problema e la lacuna sono ben più gravi se riferiti alla scuola di base, dove gli insegnamenti scientifico-naturalistici, scientifico-umani e tecnici sono sviluppati in aree d'integrazione, e non segmentati disciplinarmente.
Va poi notato che la detta formulazione per la "scienza generale" che era emersa in quella sede si è imposta sulle scuole e le correnti didattiche che invece tendevano ad enfatizzare gli specifici, anche pedagogici e didattici, delle differenti discipline scientifiche. In effetti, si trattava di una posizione molto debole (in senso teorico ed in senso applicativo, ed anche in senso pratico), la ricerca di un minimum commune che, alla fin fine, dà un risultato scarsamente fruibile in termini di scelte didattiche di fondo, e fra l'altro non in linea con le visioni correnti della scienza e dell'educazione scientifica.



Vie di soluzione convergenti per linee esterne alla soluzione del problema


Tanto la questione è rimasta aperta, che generalmente per quel che riguarda le scienze si è fatto qualche riferimento, più o meno organico, agli strumenti concettuali delle epistemolo­gie contemporanee: dal Razionalismo critico popperiano e post-popperiano, assai enfatizzato in occasione delle riforme della scuola italiana più recenti [44], a correnti diverse ispirate a relativismo storico, tra Gaston Bachelard Thomas S. Kuhn ed altri numerosi. Nel fare ciò, si è finito per riprendere funzionalmente, di fatto, un potente contributo del Pragmatismo in genere, e quindi prima di tutto proprio dal magistero di John Dewey [45], del quale si voleva che Bruner segnasse il superamento: anche nei casi nei quali tale operazione è stata condotta sotto altre insegne, ad esempio quelle del Razionalismo critico [46].
Un'istanza filosofica finì, quindi, per portare ad una ripresa di una visione della scienza, della sua metodologia e delle sue valenze pedagogiche e culturali, che hanno proprio nella pedagogia tutti i loro capisaldi: si tratta di quella visione che pervade tutte le ri­forme e le proposte di riforma di pro­grammi ed ordinamenti generali della scuola degli ultimi vent'anni, e che in­tegrano una vera e propria forma di Neo-Pragmatismo pedagogico e metodolo­gico-didattico.
Visalberghi, verso la fine della sua opera più diffusa di carattere complessivo, e che reca il titolo estremamente significativo di Pedagogia e scienze dell'educazione [47], sintetizza la metodologia della ricerca più avanzata disponibile richiamandosi proprio al Pragmatismo-Strumentalismo deweyiano: "[...] la ricerca non avviene mai a caso, non avviene mai per semplici prove ed errori, è sempre orientata, implica sempre una prerappresentazione mentale di risultati possibili, come pure implica sempre la presenza di criteri direttivi ed interpretativi.
Questa constatazione si inserisce, come noto, molto bene nella considerazione deweyana della continuità dell'indagine. L'indagine, che pure Dewey schematizza in un famoso modello di quattro, o più correttamente cinque fasi (situazione problematica, intellettualizzazione del problema nel senso di prima formulazione di ipotesi, osservazione ed esperimenti, rielaborazione delle ipotesi, verifica e/o applicazione) è, tuttavia, un processo continuo. [...] L'indagine esiste solo nella misura in cui di fronte ad una situazione problematica, si arriva a formulare delle ipotesi circa la sua natura e la sua possibilità di soluzione." [48]
E' interessante notare il ritardo (mediamente di un buon mezzo secolo) con cui il grande pedagogista statunitense è stato fatto conoscere al grande pubblico, ed ai più degli stessi studiosi, nel nostro paese. Lo stesso Popper è stato tradotto con decenni di ritardo, e solo negli anni '70 la sua notorietà ha cominciato ad essere apprezzabilmente diffusa. Va aggiunto che in tale opera di diffusione del pensiero sono largamente prevalse le letture mediate e a volte deformate che sono state operate da taluni studiosi di altra e dichiarata matrice ideologica: ciò, specie (ma non esclusivamente) per il pensiero deweyiano come, del resto, per l'Attivismo pedagogico in genere. Esiste una sterminata letteratura di studiosi, esegeti, commentatori, interpreti e rilettori; ne sarebbe semmai utile ancor oggi una ripresa più corretta in quanto diretta. Meglio andare alle fonti, tanto più che sono accessibilissime e leggibili da tutti.
Andrebbe inoltre osservato che questa certa qual supplenza di una pedagogia mancante sarebbe stata operata da un'epistemologia che rimaneva sospesa tra una concezione deontologica e prescrittiva che rischia ad ogni piè sospinto l'irrealismo, e una storicità la quale comunque si informa ad una scelta dello storiografo di che cosa sia la scienza e di come essa vada intesa e criticata.
Invece, è semmai un apporto diretto della scienza che può dare all'educatore ed al pedagogista una metodologia della ricerca scientifica che sia realisticamente proponibile. Andrebbe ricordato sempre il monito di Mauro Laeng: "Va dunque superata l'opinione che si possa dare un metodo <<a priori>>, per così dire <<vuoto>>, nel quale verrebbe poi calato a riempirlo di volta in volta il contenuto. Quando si cade in questo errore, ci si perde in vaniloqui, come è accaduto a certi logici antichi o certi epi­stemologi moderni che hanno preteso di dettare legge alla ricerca scientifica; quest'ultima ha in effetti proceduto per proprie strade senza di loro. La vera metodologia è dunque quella immanente alla ricerca [...]." [49]
In ipotesi diversa, pure e semplici visioni filosofiche o storiografiche della scienza possono servire a poco, quando non a sviare l'attenzione. Lo si è ben visto nei primi decenni di questo secolo in Italia: una visione della scienza distorta da parte di Gentile e Croce, sostituendo la conoscenza puramente filosofica a quella della realtà della scienza, ha distrutto quanto di buono avevano fatto i positivisti negli ultimi decenni dell'Ottocento per equilibrare l'educazione scolastica dal lato scientifico e da quello tecnico. Ancor oggi stiamo scontando tale ritardo, specie relativamente al secondo componente. Purtroppo, una simile pretesa di poter parlare di scienza senza saperne nulla ma basandosi solo su quanto ne ha scritto qualche filosofo o qualche critico storico capita di vederla riproposta ancor oggi in Italia, e non di rado.



La situazione attuale del diritto positivo nella scuola di base

Ad ogni modo, una didattica delle scienze ben fondata sia teoricamente che empiricamente ha trovato recepimento nel diritto positivo in tutte le riforme dei programmi che si sono promulgate in Italia a partire dalla seconda metà degli anni '70. Sia i programmi medi del 9/2/1979, che i programmi elementari del 12/2/1985, che quelli infantili del 3/8/1991, sono altamente progressivi in tal senso e relativamente aggiornati: lo vedremo subito. E' stata proprio questa rifondazione pedagogica che ha consentito, oltreché dei programmi disciplinari realistici e progressivi, sia una migliore collocazione delle scienze entro i piani di studio, sia una scientificità più essenziale dell'intero impianto di questi gradi di scuola e delle professionalità che sono chiamate ad esercitarvisi.
Sono state specialmente le norme relative alla programmazione e al curriculum a testimoniare l'attenzione essenzialistica per la scienza nella strutturazione complessiva della scuola. Per il resto, un brano come il seguente tratto dalla "Premessa generale" ai programmi medi del '79 è estremamente indicativo al riguardo: "se correttamente interpretate, tutte le discipline curricolari - sia pure in forme diverse - promuovono nell'allievo comportamenti cognitivi, gli propongono la soluzione di problemi, gli chiedono di produrre risultati verificabili, esigono che l'organizzazione concettuale e la verifica degli apprendimenti siano consolidate mediante linguaggi appropriati."
Nei programmi elementari di "Scienze" si legge, ad esempio, che "Gli argomenti [...] devono venire sviluppati partendo ogni volta da situazioni-problema molto semplici" e che negli anni "l'insegnante avrà cura di portare gli alunni a riflettere sulla opportunità di muovere dalla osservazione dei fatti alla formulazione di problemi e ipotesi, e alla raccolta di nuovi dati per il controllo di queste ultime.". E fin nei programmi per la scuola dell'infanzia (propriamente, che pur ricalcano ancora una dizione datata e non ideologicamente neutra come "Orientamenti per le attività educative nella scuola materna statale", si è arrivati nel '91 ad introdurre una "Forma specifica delle attività educative" (su sei) denominata "Le cose, il tempo e la natura", che "E' il campo di esperienza relativo alla esplorazione, scoperta e prima sistematizzazione delle conoscenze sul mondo della realtà naturale ed artificiale, che ha come sistemi simbolici di riferi­mento tutti i domini della conoscenza scientifica [...]" e della quale "Le finalità specifiche riguardano la prima formazione di atteggiamenti e di abilità di tipo scientifico."; anche in questo caso, la scelta pedagogica e metodologico-didattica è chiara e ancor meglio esplicitata: "Potenziando e disciplinando quei tratti - come la curiosità, la spinta ad esplorare e capire, il gusto della scoperta, la mo­tivazione a mettere alla prova il pensiero - che già a tre anni caratterizzano nella maggioranza dei casi il comportamento dei bambini, la scuola orienta il suo intervento ad un vasto raggio di obiettivi: riconoscimento dell'esistenza dei problemi e della possibilità di affrontarli e risolverli; perseveranza nella ri­cerca ed ordine nelle procedure; sincerità nell'ammettere di non sapere, nel riconoscere di non aver capito e quindi nel doman­dare; disponibilità al confronto con gli altri e alla modifica delle proprie opinioni; senso del limite e della provvisorietà delle spiegazioni, rispetto per tutti gli esseri viventi e inte­resse per le loro condizioni di vita; apprezzamento degli am­bienti naturali ed impegno attivo per la loro salvaguardia.
Le abilità da sviluppare riguardano: l'esplorazione, la mani­polazione, l'osservazione con l'impiego di tutti i sensi; l'esercizio di semplici attività manuali e costruttive; la messa in relazione, in ordine, in corrispondenza; la costruzione e l'uso di simboli e di elementari strumenti di registrazione; l'uso di misure non convenzionali sui dati dell'esperienza; la elaborazione e la verifica di previsioni, anticipazioni ed ipo­tesi; la formulazione di piani di azione tenendo conto dei risul­tati; l'uso di un lessico specifico come strumento per la descrizione e per la riflessione; il ragionamento conseguente per argomentare e per spiegare gli eventi." e si potrebbe continuare a lungo [50].



La situazione attuale delle secondarie superiori, tra riforme attuate, contro-riforme parziali, riforme promesse e una sperimentazione negata


Il problema attuale (e, peraltro, remoto), a questo punto, riguarda la scuola media di 2° grado: "le superiori", come si dovrebbero chiamare ancora oggi, ad oltre 70 anni dalla Riforma che recava la firma di Giovanni Gentile.
Pedagogicamente parlando, si tratterebbe di costruire finalmente una scuola media superiore nella quale abbiano lo sviluppo più pieno, equilibrato ed integrato possibile le diverse forme di cultura e di conoscenza dell'uomo. E questo, per ragioni educative, culturali, sociali, che hanno alla loro base la visione democratica dell'uomo soggetto consapevole e attivo di evoluzione culturale, padrone ed agonista autonomo della sua storia e partecipe libero e consapevole del divenire storico della sua specie.
Il che significherebbe una scuola nella quale venisse abbandonata, a priori e senza riserve, qualsiasi pretesa di primato di una forma culturale sulle altre: sia perché comunque infondata ed insostenibile (oggi e nella nostra società democratica); sia, soprattutto ed innanzitutto, perché sarebbe umanamente incongrua, cioè incompatibile con qualunque visione dell'uomo che rispettasse le sue prerogative sopra richiamate.
In effetti, non sembra proprio che le proposte di riforma avanzate più di recente [51] rispondano positivamente e adeguatamente a tale problema. Il loro divenire andrà seguito attentamente con chiavi di lettura come queste. Critica si impone, in particolare, circa il tentativo poco destro di supplire alla mancata riforma della media superiore con un provvedimento amministrativo: esso, motu proprio ministeriale ha interessato il biennio e, come in tanti altri casi [52], ha avuto caratteri evidentemente controriformistici quanto alla scientificità della scuola e nella scuola.
Ci riferiamo alla n. 109 del 19/4/1990, cui hanno fatto seguito vari atti analogamente amministrativi. La proposta di programmi di fine '90 è arrivata ben dopo e a cose già avviate sul piano dei fatti; un po' di biologia e di scienze della terra in più nell'area comune, in effetti, poco sposta di fronte al permanere degli squilibri preesistenti: di fronte, cioè, alla riduzione pesantissima e dichiarata degli insegnamenti di scienze della natura; all'ulteriore allargamento della base di lingue (vive e morte) già ora preponderante oltre ogni ragionevolezza; e all'introduzione dell'informatica (gestionale) che è una lingua in più, per giunta accorpata alla matematica.
Peraltro, l'introduzione dell'informatica in modo più diffuso era doverosa, ed è semmai tardiva, e anche alle lingue straniere sarà bene prestare una nuova ed adeguata attenzione: ma qui è fin troppo evidente che il tutto viene fatto nell'ambito dello stesso disegno di settant'anni fa. Queste introduzioni avrebbero dovuto essere effettuate nell'ambito di un riequilibrio (cioè, impiegando le varie forme espressive per veicolare contenuti scientifici ben precisi); invece, sono servite e servono a rendere lo squilibrio ancor più pesante.
Tornando, dunque, alla circolare predetta, le osservazioni che essa ci induce a sollevare sono parecchie.
Potremmo cominciare ad obiettare sul metodo, e sarebbe molto facile: si è adottato un metodo che tendesse ad evitare la via del confronto democratico con provvedimenti che vengono passati per provvisori e "sperimentali", ma senza specificarne la transitorietà e l'interlocutorietà, né il target specifico, né le modalità del controllo e del feed-back corrispondente, in mancanza delle quali non si può dare provvisorietà né sperimentalità alcune, come è chiaro, e che non danno quindi alcuna garanzia al riguardo. Si confronti con la riforma conclamatamente "provvisoria" e detta anch'essa impropriamente "sperimentale" diramata ormai quasi un quarto di secolo fa per gli esami finali di questo grado di scuola (D.L. n. 9 del 15/2/1969), la quale è ancora in pieno vigore al momento attuale (1993).
Andrebbe poi osservato che un atto di sperimentazione pedagogica e didattica (come, del resto, di qualunque altro tipo di sperimentazione) postula l'ottemperanza a regole e ad adempimenti ben precisi: quali sarebbero, ad esempio, una prefigurazione degli obiettivi chiara, in termini osservabili intersoggettivamente, di ciò che si va a sperimentare; e quindi modalità di accertamento e di controllo (sia tecnico che sociale) di ciò che si sperimenta; inserimento in contesti teoretici più generali e dichiarati per tali; previsione di tempi e metodi; previa formazione degli insegnanti e di ogni operatore; previsione di strumentazione concettuale e materiale adeguata allo scopo; revisione del contesto in termini congrui; e così via. Tutte cose di cui qui non v'è l'ombra: siamo, insomma, ben lontani da quelle che Galileo chiamerebbe "sensate esperienze".
Se, quindi, il termine "sperimentale" può (forse) essere corretto sul piano puramente amministrativo, non lo è, ed è anzi altamente inopportuno, sul piano pedagogico e su quello didattico. Né sarebbe meno facile criticare l'evidente scorrettezza di aver sbandierato ai mass media, con intenti primari chiarissimi di carattere propagandistico, fuorviante, un provvedimento che è giunto alle scuole, ultime destinatarie, solo molto tardi, con tempi ristrettissimi (la scadenza era il 30/6), evidentemente incompatibili con tutto quel lavoro preparatorio, di studio e di documentazione nonché di intervento sui docenti, che sarebbe condizione necessaria per una sperimentazione degna di questo nome od, almeno, seria in modo minimale: si noti che il documento base, propositivo di nuovi programmi, risaliva alla primavera dell'anno prima. Fra l'altro, vi si prevedevano delle evidenti forzature, se non violazioni vere e proprie, alla normativa vigente sulla sperimentazione, così come essa è incentrata nel decreto delegato specifico, il n. 419 del 31/5/1974; da cui le perplessità s'estendono anche all'aspetto giuridico.
La storia delle proposte di riforma per questo grado di scuola, ed in particolare per il costituendo biennio di completamento a dieci anni dell'obbligo scolastico, sarebbe peraltro un utile esercizio di documentazione scolastica che ci richiederebbe da solo molto spazio, e che non è il caso che ripercorriamo qui nei suoi infiniti dettagli. Diciamo che le varie proposte via via avanzate al riguardo (come, del resto, ogni intervento propositivo di esperti negli ultimi due decenni circa) apportavano tutte qualche cosa di utile alla soluzione del problema posto; ma che sono state parimenti tutte lasciate decadere in un modo o nell'altro.
La terz'ultima, quella sulla quale si basa la detta circolare, è stata pubblicata ufficialmente un buon anno dopo la sua espressione pubblica: si tratta di una delle versioni elaborate dalle commissione di esperti presiedute da un sottosegretario che vi ha apposto il proprio nome.
Quel documento, in tutta chiarezza, non dava al problema la soluzione che sarebbe stata necessaria sul piano pedagogico e su quello culturale: ad esempio, manteneva un larghissimo primato al settore linguistico-letterario e formale non giustificato (e, del resto, non giustificabile nella cultura e nella società attuali); lasciava sul terreno assurde carenze gravi nel settore scientifico, anche queste non giustificate forse proprio perché neppur esse giustificabili; lasciava molto a desiderare quanto alla scientificità delle materie di cultura umana, come la storia, la storia della letteratura e, a ben vedere, la stessa linguistica; e soprattutto, escludeva assolutamente un benché minimo contributo della tecnica nella educazione a questo livello. Comunque, il trend rimaneva quello già visto per le riforme degli altri gradi di scuola degli ultimi quindici anni, ed almeno per questo andrebbe apprezzato.
Ed è proprio contro quel trend (adeguamento ai tempi, democratizzazione, svolta verso il futuro, ...) che si è andati al livello ministeriale, ancora una volta e come sempre, con la circolare predetta: cioè con un atto sciolto da ogni controllo democratico e da qualsiasi supporto tecnico dichiarato per tale contestualmente. La metodologia controriformistica governativa, insomma, è leggibilmente sempre la stessa. E, notiamo bene, essa è andata contro la scienza (come insegnamento): proprio la scienza (come forma di conoscenza e come metodologia della ricerca) ci può offrire gli strumenti critici migliori.
In sostanza, appare abbastanza chiara e scoperta la manovra diversiva, che consiste in un uso del tutto improprio (nella forma e nello spirito) di uno strumento legislativo importante come quello della sperimentazione "con innovazione di ordinamenti e strutture".
La premessa, peraltro, sarebbe abbastanza corretta, e si presenta come poco eccepibile, anche se alquanto allusiva: "<<Nell'attesa che vengano sciolti i principali nodi politico-legislativi>>, il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione ha suggerito, nella seduta del luglio '89, <<una verifica su vasta scala>> dei citati programmi anche <<per consentire la raccolta di concreti elementi di giudizio>> sulla loro validità pedagogico-didattica e la loro fattibilità. Anche per questo motivo l'applicazione sperimentale degli stessi viene raccomandata."
Una "verifica su vasta scala", correttamente, rappresenta un concetto più vago e generico e meno impegnativo che non "sperimentazione": quest'ultima ne rappresenta una fra le tante possibilità d'attuazione, non certo l'unica. Si capisce altrettanto bene che quella proposta nella circolare ministeriale predetta non è una sperimentazione; ma non è neppure una "verifica", in quanto non vi si intende verificare nulla,
Anche la dilatazione dei tempi sembra significativa in tal senso. E difatti, la scelta controriformistica è enunciata in modo semplicissimo, fin banale, quasi si trattasse di un'ovvietà: "In questa fase di elaborazione, in attesa che vengano definite le ipotesi dei nuovi programmi relativi alle discipline di indirizzo, la proposta di sperimentazione è limitata alle seguenti discipline: Lingua italiana (5 ore settimanali + 5), Lingua straniera (3+3), Storia [...] (2+2), Matematica (4+4), Diritto ed economia (se presente nel piano di studi) (2+2), Educazione fisica e sportiva (2+2)."
Tale "area comune" prevederebbe, quindi, quasi solo materie linguistico-formali. E pur osserviamo come di quella grossa novità che è emersa nella scuola di base (i "linguaggi non verbali"), qui paia essersi perduta ogni traccia: a parte la non adeguata caratterizzazione dell'educazione fisico-motoria per tale, i nostri riformatori di questo grado di scuola sembrano proprio non essersi accorti neppure che esistano e siano non meno importanti un linguaggio iconico ed un linguaggio fonico-sonoro-musicale.
La parte scientifica riguardava in origine solo qualche briciola di scienze dell'uomo: sempre ammesso che di scienze si possa parlare a rigore, nell'impianto previsto e, poi, nella didassi; e non contemplava assolutamente nulla di scienze della natura. Un ritocco successivo vi aggiungerà 3 + 3 ore di scienze della vita e scienze della terra.
L'ulteriore lacuna consistente nell'assenza della tecnica si deve ai membri della commissione predetta estensori del documento base. Essa ha peraltro radici ben più remote, e precedenti pressoché univoci in tal senso: la sua correzione richiederà un'ancor più attenta e mirata analisi pedagogica e, forse, l'attesa di qualche decennio ulteriore.
Tornando alla conoscenza scientifica della natura: oggi non è più sostenibile da nessuno con qualche fondamento culturale, pedagogico, socio-politico, democratico, che la prima lingua, o la seconda lingua, o la stessa matematica, abbiano valenze educative, formative, culturali, di per loro stesse maggiori della biologia, della fisica, della chimica, delle scienze della vita o della terra e così via. Al contrario, è davvero difficile non accorgersi di come sia zoppa e scarsamente rispondente alle esigenze attuali una scuola nella quale il componente scientifico-naturalistico sia anche solo ridotto rispetto ad altri: figuriamoci emarginato; od assente, e non è un exemplum fictum.
Anzi, oggi è possibile rendersi conto pienamente di come un'educazione centrata proprio sulle aree e sulle materie formali, linguistico-letterarie (ed anche antropologiche, se fa difetto ad esse l'impostazione scientifica, sia per scelte di ordinamento sia anche solamente per carenze volute nella formazione iniziale dei docenti in tal senso), e dalla quale si emargini anche il componente scientifico con quello tecnico, sia intrinsecamente funzionale ad un disegno non democratico, oppressivo, di formazione di uomini non in grado di vivere da soggetti attivi, razionali, critici e responsabili il divenire della storia umana.
Così, si capisce bene che la riproposizione di una scelta in tale ultimo senso non abbia spiegazioni né giustificazioni esplicite. La si opera, semplicemente. Non c'è una sola parola che tenda a giustificare una simile (apparente) assurdità: che quel simulacro di sperimentazione mal sistemato sia limitato ad alcune materie rappresenterebbe, da solo, un problema di difficile quadratura; già l'esplicitazione, da sola, imporrebbe di rivelare disegni poco umanamente congrui, per non dir altro.
Il problema, in definitiva, è di teorie: teorie filosofiche e pedagogiche scelte, come già al tempo di Gentile, per una scuola non pienamente promozionale dell'uomo, non pienamente democratica. E' questo che osta ad una adeguata assunzione in via essenzialistica della scienza nella scuola. Solo, quindi, da una chiara ed esplicita opzione pedagogica e filosofica in favore della democrazia e dell'evoluzione umana potrà conseguire una scuola pienamente al passo con i tempi e adeguata alle aspettative che la società legittimamente ripone in essa; e che di conseguenza abbia un componente scientifico essenziale.

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[1] "Giornale di fisica", volume XXIII, n. 2, pag. 85-91, aprile-giugno 1982.

[2] Ivi, pag. 86.

[3] Ivi. pag. 87.

[4] Ibidem.

[5] L'Operazionismo è l'epistemologia elaborata da Percy William Bridgman (1882-1961); essa segue l'idea base secondo la quale è scientifico solo ciò che è "operazionabile" empiricamente e misurabile non riscontra grande successo al di fuori di quel dominio, ad esempio nelle scienze naturali che sono scienze quanto la fisica e fin più antiche, ma sono solo in parte non essenziale operazionabili. Le principali opere di Percy William Bridgman in lingua italiana sono pubblicate dall'editore torinese Boringhieri: ricordiamo La logica della fisica moderna (1952; edizione originale del 1927), La critica operazionale della scienza (raccolta di saggi a cura di B. Cermignani, 1969), "Quo vadis?" in Scienza e cultura oggi di AA. VV., a cura di Gerald Holton (1962). E' pubblicata invece da La Nuova Italia di Firenze La natura della teoria fisica (1965, edizione originale del 1936).

[6] E' notevole, al riguardo, la figura di Mario Ageno (1915-1992), che ha prima teorizzato sull'Operazionismo in fisica (La costruzione operativa della fisica; Torino, Boringhieri, 1970), e poi ha applicato questa sua epistemologia alla didattica della materia, sia in un corso universitario per studenti di fisica in possesso di basi matematiche limitate (Elementi di fisica; Torino, Boringhieri. La prima edizione risale al 1956; ristampe e riedizioni sono state operate fino agli anni '80 almeno), sia in un corso in tre volumi per la scuola media superiore.

Anche questo corso, per i tipi della stessa casa editrice, si intitolava Elementi di fisica; la prima edizione risale agli anni 1963-65, e l'ultima ristampa al 1972, che risultava in via d'esaurimento solo pochi anni dopo.

E' motivo di rammarico per lo scrivente che un testo così ricco di spunti innovativi (dall'epistemologia di base all'integrazione con le scienze della vita) abbia avuto un ruolo tanto sottodimensionato nella storia recente della didattica della fisica; probabilmente, la scelta sarebbe stata vincente se al brillante studioso fosse stato affiancato anche un esperto della relativa didattica speciale medio-superiore. Al solito, un'alta competenza di fisica, seppure aperta all'interdisciplinarità e "illuminata", non basta...

[7] C'è un precedente in tal senso molto interessante, relativo ad un'altra disciplina scientifico-naturalistica e di base, che val la pena di ricordare. Leonello Paoloni, un valente chimico studioso di questa disciplina anche sotto i profili dei fondamenti teorici e filosofici, della storia e della didattica, nelle sue varie opere ed in particolare in Nuova didattica della chimica (Bari, Bracciodieta, 1982) fa costante uso della locuzione "didattica chimica" in una maniera coerente a quella nella quale qui si fa uso del termine "didattica fisica": ad indicare, cioè delle didattiche specifiche che mutuino dalle rispettive discipline non solo i contenuti, ma anche il metodo scientifico.

[8] Una buona panoramica degli stati e dello sviluppo della storia della fisica in Italia è offerta dagli Atti dei vari Convegni Nazionali del Gruppo Nazionale di Storia della Fisica del C.N.R. Questi si sono svolti autonomamente nel 1981 a Pavia, nel 1982 a Palermo, nel 1983 a Como, nel 1984 a Roma. A partire dal 1984 la 9a sezione (poi 10ma) del Congresso Nazionale della S.I.F. ha visto aggiungersi la storia della fisica alla sua tradizionale tematizzazione didattica (si veda il "Bollettino S.I.F." n. 133 del 14 settembre 1984); dall'anno successivo, inoltre, è confluito in tale congresso (si vedano gli Atti di quel congresso (Trieste, 3-8 ottobre 1985): i penultimi nei quali appare un contributo dello scrivente ad un congresso della S.I.F.; gli ultimi in tal senso saranno relativi all'anno seguente) anche il congresso nazionale del Gruppo Nazionale di Storia della Fisica (G.N.S.F.) del C.N.R., congresso che invece dal 1981 al 1984 si era celebrato separatamente.

Peraltro, gli Atti di quello che è stato l'ottavo Congresso Nazionale del G.N.S.F. (svoltosi nell'ambito del LXXIII Congresso Nazionale della S.I.F., a Napoli, dal 12 al 17 ottobre 1987) e quelli del nono (idem, inserito nel LXXIV Congresso Nazionale della S.I.F., Urbino, 6-11 ottobre 1988) sono stati oggetto di pubblicazione a parte, a cura di Fabio Bevilacqua. L'iniziativa della pubblicazione a parte di Atti pur nella celebrazione contestuale di congressi nazionali è proseguita regolarmente anche negli anni successivi, sempre a cura dello stesso Bevilacqua (Cagliari 1989, Trento 1990, L'Aquila 1991, Pavia-Como 1992, Udine 1993; questi ultimi conterranno anche, in appendice, gli atti del convegno "Venti anni di didattica universitaria di storia della fisica", tenutosi a Napoli nei gg. 14-15 aprile 1989 per l'organizzazione di Antonino Drago, altro storico della fisica con interessi per la didattica).

[9] Notiamo che esiste da anni anche un Gruppo Nazionale di Fondamenti e Storia della Chimica, che tiene congressi periodici con pubblicazione di atti, dai quali sembra emergere in modo meno inequivoco una visione non altrettanto riduzionistica della materia di studio alla pura competenza disciplinare.

[10] Gli Atti del 2°, 3° e 4° sono contenuti nel n. 1 "Speciale", anno XXV, gennaio-marzo 1992 de "La fisica nella scuola".

Che non si tratti di un caso, e che anzi l'impostazione di fondo seguiti ad essere fortemente contenutistico-disciplinare od al massimo strumentalistica, e non propriamente didattica, lo si vede dal fatto che lo stesso fascicolo contiene come "Inserto redazionale" un quaderno di un centinaio di pagine su "Il laser nella didattica della fisica", materiali di un corso d'aggiornamento tenutosi a Bologna tra il 10 e il 14 dicembre 1990. Ecco quindi un'ulteriore esempio di attività di fisica applicata alla didattica, spacciate per attività di didattica.

Comunque, per completezza notiamo che il V convegno della serie (organizzato da Antonio Marciano a Soverato - CZ nei gg. 6 e 7 dicembre 1990) aveva invece per tema "Continuità dell'insegnamento scientifico dalla scuola media al biennio della scuola secondaria superiore", ed era in effetti impostato in modo molto più didattico e molto meno "disciplinare interno". Ad esso abbiamo recato un contributo di carattere prettamente pedagogico con riferimenti alla scienza (Atti, supplemento a "La fisica nella scuola", ottobre 1993, pag. 5-39).

[11] Rivista giunta in quell'anno al suo XXVI volume: più anziana rispetto ad altre riviste italiane delle associazioni didattiche scientifico-naturalistiche, come ad esempio "La chimica nella scuola". "L'insegnamento della matematica e delle scienze integrate", o "Le scienze naturali nella scuola"; meno rispetto a riviste che danno maggiore riguardo alla didattica della matematica, come il "Periodico di matematiche"

[12] Un nostro lavoro elaborato in quel contesto, relativo ai riferimenti interdisciplinari come ci è stato chiesto, ha per titolo "Elementi di biofisica audiologica per l'insegnamento della fisica" ("La fisica nella scuola", anno XIX, n. 4, pag. 221-229, ottobre-dicembre 1987).

[13] Il termine "pedologia", coniato nel 1894 da Oskar Chrisman, ha avuto un certo successo per qualche decennio nei paesi anglofoni e francofoni e in Russia.

Essa ha un ruolo strategico importante, anche se spesso sottaciuto, nello sviluppo della pedagogia e nel suo rapporto con la scienza. Ma è altresì un dato storico che ad esso non ha corrisposto il consolidarsi di una ben precisa disciplina, la scienza del fanciullo.

Dopo la crisi del positivismo, e l'ascesa della pluralità delle scienze dell'educazione, l'idea e il termine sono stati ben presto abbandonati; ne è rimasta invece una forte spinta propulsiva nella processualità della ricerca educativa.

[14] Si veda, ad esempio, il suo recente Pedagogia sperimentale (Firenze, La Nuova Italia, 1993).

[15] Pedagogia e scienze dell'educazione, Milano 1978 e numerose riedizioni e aggiornamenti seguenti, pag. 31.

[16] Sottotitolo Scritti sull'educazione e la scuola 1988-1993 (Arcobaleno, Monza - MI 1993).

[17] Pedagogia sperimentale, citato, pag. 26-27.

[18] Se, invece, ci occupassimo ad esempio della didattica della chimica, potremmo partire qualche anno dopo, cioè dal 1960. Per questo, e per altre citazioni che si potrebbero fare a proposito di paralleli con questa disciplina e la relativa ricerca didattica, rimandiamo al saggio sulla "Didattica della chimica" che è nel 2° volume dell'Atlante della pedagogia curato da Mauro Laeng (Tecnodid, Napoli 1991, pag. 251-280). Alla didattica della chimica, nei diversi gradi di scuola, abbiamo dedicato vari articoli e comunicazioni a congressi, specie nella seconda metà degli anni '80. Alcuni esempi: Atti del I Congresso Nazionale di Storia della Chimica (Torino, 7-8 febbraio 1985), pag. 192-199; : "L'insegnamento della matematica e delle scienze integrate", volume 10, n. 4, pag. 395-398, aprile 1987; "Didattica delle scienze", anno XXIII, n. 131, pag. 3-13, ottobre 1987; Atti del V Convegno Nazionale di Didattica della Chimica (Roma, 9-11 dicembre 1987), pag. 24; "Ricerche didattiche", anno XXIX, n. 4 (n. 324 della serie), pag. 97-117, aprile 1989; "Rendiconti della Accademia Nazionale delle scienze detta dei XL", serie V, vol. XIV, tomo II, parte II, 108° dalla fondazione, pag. 537-553, 1990; "La chimica nella scuola", n. 3/4, pag. 11-18, 1990 e n. 9/10, pag. 2-6, 1991; Atti del IV Convegno di Storia e Fondamenti della Chimica (Venezia, 7-9 novembre 1991), "Rendiconti della Accademia Nazionale delle scienze detta dei XL", pag. 493-502.

[19] Queste considerazioni sono svolte molto bene, e in modo interessante anche perché condotte in un'ottica non italo-centrica che per noi può essere salutare (visti i precedenti!), nel paragrafo "La ripresa dell'occidente: la crescita delle aspettative e la reazione conservatrice, dal 1946 al 1957", alle pagine 561-564 del volume 3 della Storia dell'educazione occidentale di James Bowen (edizione italiana: Milano, Mondadori, 1983; l'edizione originale è del 1981).

[20] Per questo si può vedere nell'opera citata di James Bowen, al paragrafo seguente "L'occidente all'offensiva: l'istruzione concepita in funzione dello sviluppo, dal 1957 al 1967" (pag. 564-569).

[21] Si vedano, al riguardo, gli apporti recati al 2° volume dell'Atlante della pedagogia: Napoli, Tecnodid, pag. 251-280 e 281-308, 1991.

[22] Rimandiamo, per il discorso più generale in merito a queste tematiche e anche con una prospettiva di storia recente, al nostro saggio Educazione e scienza - Idee e proposte dalla scuola di base alle superiori (SEI, Torino, 1989).

[23] Dal "Progetto per un insegnamento moderno della chimica nelle scuole secondarie" promosso dall'O.E.C.D.-O.C.S.E. si è trattato, oltreché in altri saggi, nell'articolo specifico dal titolo "Storia e didattica della chimica nella scuola media superiore in una sperimentazione degli anni '60" pubblicato sul n. 131 di "Didattica delle scienze" (anno XXIII, pag. 3-13, ottobre 1987), cui s'è accennato. In quest'ultimo lavoro, sono riportati anche gli estremi delle principali pubblicazioni relative a quel "Progetto".

[24] "La sperimentazione didattica in Italia: la fisica". Atti del Convegno di Salice Terme (1-3 maggio 1975): "Scuola e città", anno XXVII, n. 5-6, pag. 194-198, maggio-giugno 1976.

[25] Una rievocazione anche di questi esordi è nella "Storia dell'A.I.F." stilata da Nelly Rossi ("La fisica nella scuola", anno XV, n. 3, pag. 97-106, luglio-settembre 1982).

[26] Sull'Induttivismo nella didattica scientifica degli anni '50, '60 e '70, sulle sue carenze filosofiche, pedagogiche e didattiche e sul suo superamento si è trattato diffusamente nell'opera citata Educazione e scienza, a partire dal capitolo III: nella metodologia, e nel superamento dell'Induttivismo didattico in qualsiasi forma, vi si vede un nodo centrale per il progresso nel settore. Peraltro, un'analisi critica e propositiva in tal senso (su basi, allora, prevalentemente didattiche, metodologiche ed epistemologiche) era già stata mossa molti anni or sono: a partire, almeno, dal saggio "Sui fondamenti teorici dell'insegnamento scientifico" pubblicato su "L'insegnamento della matematica e delle scienze integrate" (volume 4, n. 5, pag. 85-128, settembre-ottobre 1981), e in tutta una serie di saggi successivi.

[27] Cfr, ad esempio Educazione 2000 - Idee e riflessioni pedagogiche per il secolo entrante (Pellegrini, Cosenza 1993), pag. 293-300.

[28] Si veda al riguardo proprio Bruner, nel volume da lui redatto dopo la storica Conferenza di Woods Hole alla quale, come detto, avevano contribuito anche esponenti del P.S.S.C. L'edizione originale, dal titolo The process of education, è del 1961 (Cambridge, University Press, Cambridge); l'edizione italiana ha invece avuto il titolo, ben diverso, Dopo Dewey - Il processo di apprendimento nelle due culture (14ma: Roma, Armando, 1986).. In questa sede si esprime chiaramente, specie agli inizi del capitolo sui "Sussidi didattici" (cap. 5) in termini strumentalistici e non essenzialistici nei confronti del laboratorio. Invece, nell'interpretazione italiana del P.S.S.C., od almeno in quella che a lungo all'interno dell'A.I.F. è prevalsa ed è stata sostenuta con forza, e non senza atteggiamenti di chiusura, di unilateralità e d'intolleranza (di pluralismo non è neppure il caso di parlare), ne è prevalsa una visione indebitamente essenzialistica.

Si comprende, altresì, come queste considerazioni si estendano facilmente anche a quanto si diceva a proposito dell'impiego di strumenti informatici nella didattica della fisica.

[29] Il termine "protocollo" (empirico) è stato coniato presso il Wiener Kreis, per indicare un dato semplice, supposto "puro", di esperienza immediata.

[30] Quanto a nostri studi più direttamente pertinenti alla didattica della fisica rimanderemmo, sempre a titolo d'esempio, a: "L'insegnamento della matematica e delle scienze integrate", volume 12, n. 6, pag. 797-805, giugno 1989; "Ricerche didattiche", anno XL, n. 4/5 (n. 334/335 della serie), pag. 101-136, aprile-maggio 1990; "Periodico di matematiche", volume 67, n. 2, pag. 7-37, aprile-giugno 1991; ed al volume "Educazione scientifica - La scuola si aggiorna", Roma, Nuova ERI, pag. 7-20, 1991.

[31] Il documento, presentato come espressione della S.I.F. e intitolato "Conoscenze e abilità nel settore delle scienze fisiche" è riprodotto, ad esempio, in "Scuola e città", anno XXIX, n. 1, pag. 38-44, 31 gennaio 1978. In una sua versione provvisoria, ad ogni modo, era diffuso fin dai congressi S.I.F.-A.I.F. (allora, e ancora per un anno, congiunti e con sessioni comuni) di Trento 1976.

[32] I temi proposti erano cinque: "Struttura della materia: atomi e molecole; Energia; Circuiti elettrici; Trasmissione di segnali attraverso onde; Terra e Universo".

[33] Quanto all'origine del termine "Scienze integrate", alla sua nuova accezione e alle relative conseguenze, rimandiamo al capitolo I di Educazione e scienza.

[34] E' questa, in effetti una delle tesi di fondo proprio di Educazione e scienza; non sarà male ricordare che il titolo originario dell'opera sarebbe stato Pedagogia e didattica delle scienze integrate.

[35] Parliamo di un "Neo-pragmatismo pedagogico", come teorizzato nelle oo.cc. Educazione 2000, Scienza e pedagogia (oltreché in Educazione e scienza). Per l'aspetto più strettamente filosofico possiamo rimandare, come validi esempi, alla Storia del pragmatismo di Antonio Santucci la quale arriva ad anni abbastanza recenti (Bari, Editori Laterza, 1992) e tra le lezioni italiane promosse dalla Fondazione Sigma Tau quelle di Hilary Putnam raccolte sotto il titolo Il Pragmatismo: una questione aperta (Bari, Editori Laterza, 1992). E' notevole l'accoglimento di queste ed altre opere di tale matrice proprio nel catalogo di quella che è stata la casa editrice di Benedetto Croce.

[36] Menzioniamo al riguardo, a puro titolo d'esempi significativi, i volumi del Gruppo Università-Scuola editi per i tipi di La Nuova Italia di Firenze: L'educazione scientifica di base (1979) e Proposte per un curricolo elementare (1984); il primo volume dello Schedario di unità didattiche del C.I.E. (F. Angeli, Milano 1984); L'educazione scientifica nella nuova scuola elementare di Candido Sitia ed altri (Le Monnier, Firenze 1987); L'educazione scientifica di Loris Borghi (Bologna, Magistero, 1987); e, per quel che ci riguarda, prima in "Quaderno n. 8 del Centro Ricerche Didattiche "U. Morin" dal titolo Scienza e tecnica per l'educazione nella scuola primaria (Supplemento al n. 4/5 del vol. 7 de "L'insegnamento della matematica e delle scienze integrate", settembre 1984) e poi L'insegnamento delle scienze (SEI, Torino 19903), oltre a vari volumi editi dagli IRRSAE; e potremmo continuare.

Notiamo che molto del materiale pregiato della produzione italiana in materia è riferito per lo più al complesso della scuola di base, anche se spesso la maggiore attenzione per la scuola elementare è evidente. Alcuni esempi: le collettanee Scuola e scienza (De Donato, Bari 1975), La ricerca nella scuola (Istituto di Psicologia del C.N.R., Roma 1981), Educazione scientifica di base (Co.As.S.I., Bologna, atti del convegno di Montecatini Terme - PT, 23-24 aprile 1981), L'educazione scientifica nella scuola di base ("I quaderni di Villa Falconieri", Frascati - RM, n. 6, 1985), Un insegnamento delle scienze sperimentali che produca cultura scientifica (C.I.D.I., Roma s.i.d.), Studi educativi sul parco delle Prealpi Giulie (Comunità Montana del Gemonese, Gemona del Friuli - UD 1989), L'attività di sperimentazione nell'insegnamento delle scienze naturali (IRRSAE del Friuli - Venezia Giulia, Trieste 1988).

Ad ogni modo, la letteratura disponibile sul mercato italiano in materia è indubbiamente abbondante quantitativamente, ma non sempre è qualitativamente apprezzabile, se non sotto il profilo strettamente disciplinare (e, talvolta, neppure sotto quello).

[37] E si noti che non mancherebbero i volumi di autori italiani estremamente interessanti in tal senso, ciascuno per qualche aspetto della questione generale. Solo qualche titolo indicativo: E. Agazzi: Temi e problemi di filosofia della fisica (Abete, Roma 1974) e Storia delle scienze (2 volumi, Città Nuova, Roma 1984), A. Bargellini et al.: Problemi didattici relativi alle scienze matematiche e sperimentali nella scuola media e nella scuola secondaria superiore (Co.As.S.I., Bologna s.i.d.), C. Bernardini: Che cos'è una legge fisica (Editori Riuniti, Roma 1983), G. Bernardini: Perché la fisica (La Scuola, Brescia 1984), G. Cimino, M. D. Grmek, V. Somenzi (a cura di): La scoperta scientifica - Aspetti logici, psicologici, sociali (Armando, Roma 1984), G. Cortini (a cura di): Le trame concettuali delle discipline scientifiche - Problemi dell'insegnamento scientifico (La Nuova Italia, Firenze 1985), L. Galzigna, P. Campogalliani, G. Federspil, D. Antiseri: Cultura scientifica (La Scuola, Brescia 1982), G. Gozzer (a cura di): La scuola nella società tecnologica (Anicia, Roma 1988), A. Loria e B. Scimemi (a cura di): L'insegnamento della matematica e delle scienze sperimentali nella scuola secondaria superiore (2 volumi; Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1985), L. Paoloni: Nuova didattica della fisica (Bari, Bracciodieta, 1982), Paravia (ufficio tecnico): La chimica (Torino 1983), G. Prodi (a cura di): Nuovi traguardi per l'educazione scientifica (U.C.I.I.M., Roma 1985), M. Vicentini Missoni, M. G. Ianniello, C. Tarsitani, B. Bertolini, C. Grazzini Hoffmann: Conoscenza scientifica e insegnamento (Loescher, Torino 1983).

Un discorso a parte lo richiederebbe il Mauro Laeng di opere dove offre il meglio di sé quanto allo studio del rapporto tra educazione, pedagogia, scienza e tecnica; come dire, oltre a Pedagogia sperimentale citata, ad esempio L'educazione nella civiltà tecnologica (Armando, Roma 1969), Educazione in prospettiva '70 (Armando, Roma 1970), L'educazione nella civiltà tecnologica - Un bilancio preventivo e consuntivo (Armando, Roma 1984), e varie parti dell'Atlante della pedagogia (3 volumi; Tecnodid, Napoli, 1990-1993).

Naturalmente, nel contesto rientrano pienamente Ludovico Geymonat con la sua opera per l'affermazione in Italia dell'Epistemologia, e Paolo Rossi con la sua scuola per un'azione analoga nel campo della storiografia della scienza. Le opere massime alla loro cura, riferimento obbligato per tutti gli studiosi di questo e di altri settori, sono rispettivamente la Storia del pensiero filosofico e scientifico (7 volumi; Garzanti, Milano 1970-1972; 9 volumi nell'edizione economica del 1975-1976); e la Storia della scienza moderna e contemporanea (3 volumi su 5 tomi; Torino, UTET, 1988/89).

Nei saggi in onore del Primo curati da Corrado Mangione sotto il titolo Scienza e filosofia (Garzanti, Milano 1985) c'è una buona bibliografia dello Stesso (pag. 823-854) che annovera 506 titoli tra il 1931 e appunto il 1985. Dopo la sua morte occorsa il 29/11/1991 è stata tutta una fioritura di studi e di antologie sul Suo pensiero e le Sue ricerche. Ad esempio diverse raccolte di scritti suoi curate da Mario Quaranta, ad esempio Filosofia e scienza nel '900 (Padova, Edizioni GB, 1991), La Vienna dei paradossi - Controversie filosofiche e scientifiche nel Wiener Kreis (Padova, Il Poligrafo, 1991); o la collettanea di saggi curata da Corrado Mangione dal titolo Omaggio a Ludovico Geymonat (Padova, Muzzio, 1992); od anche, per allargare l'orizzonte, quella curata da M. Pasini e D. Rolando su Il Neoilluminismo italiano - Cronache di filosofia (1953-1962) (Milano, Il Saggiatore, 1991.

[38] Ad esempio: AA. VV. Storia della fisica - Un contributo per l'insegnamento della fisica (Milano, Franco Angeli, CISEM quaderni, 1983); gli atti del convegno internazionale (Pavia, 5-9 settembre 1983) curati con P. J. Kennedy, sul tema "Using History of Physics in Innovatory Physics Education"; Storia della fisica e didattica (Pavia, Università degli studi, 1988); gli Atti del III convegno "Storia della fisica e didattica (Pavia, 1-15 settembre 1989). Un'opera dallo stesso titolo è stata curata, sempre per le edizioni pavesi, da A. Gandolfi.

L'infaticabile opera dello studioso pavese, concretizzatasi ampiamente sia in volumi che in convegnistica, spazia quindi tra la storiografia e la critica, la metodologia, la didattica e le scienze dell'educazione, in un dominio che non è evidentemente riducibile ad un settore della fisica, pur se richiede ovviamente una forte competenza di fisica per il relativo svolgimento. Essa opera costituisce quindi una riprova efficace di come la didattica della fisica, la storia della fisica, la metodologia della fisica non siano branche della fisica, a meno che non se ne restringano di molto gli obiettivi (e l'efficacia).

Inoltre, sempre sotto l'egida dell'Università degli Studi di Pavia, egli stesso sta curando tre collane (la "serie verde", la "serie gialla" e la "serie blu") sulla storia della scienza e i suoi rapporti con la didattica. Questa iniziativa segue la stessa scelta già operata, qualche anno prima, nella precitata collana "Methodos", che si è già ricordata nella Parte II a proposito delle collane dirette da Dario Antiseri: di studio, cioè di particolari episodi si storia della scienza significativi in tal senso.

[39] Cfr. Dario Antiseri: I fondamenti epistemologici del lavoro interdisciplinare (Armando, Roma 1971); Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base (Brescia, La Scuola, 1985).

[40] Per una bibliografia delle sue opere tradotte in italiano, si può rimandare ad esempio al termine della edizione italiana della sua opera citata.

[41] La bibliografia di Piaget, come è noto, è molto ricca. Consigliamo, per un primo orientamento, ad esempio la sinossi da lui stesso scritta nel 1926 La répresentation du monde chez l'enfant (Paris, Presses Universitaires de France), la cui edizione italiana (La rappresentazione del mondo nel fanciullo; Torino, Boringhieri, 1966) è preceduta da un saggio sintetico ma prezioso di Guido Petter, dal titolo "Il contributo di Jean Piaget allo studio dello sviluppo intellettuale", e contenente anche una bibliografia scelta piagettiana (pag. IX-XXXII). Oppure, se si vuole una sinossi abbastanza recente scritta di pugno dallo stesso Piaget, ve n'è una di abbastanza sintetica: è la voce dell'z"Enciclopedia del Novecento" dal titolo "Psicologia genetica" (volume V, pag. 847-861; Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1980).

Lo stesso Petter ha alti meriti nella diffusione e nella conoscenza del pensiero e dell'opera del grande ginevrino nel nostro paese: sui suoi scritti in materia, in particolare sul volume Lo sviluppo mentale nelle ricerche di Jean Piaget (Firenze, Giunti Barbera, 1961), si sono formate generazioni di insegnanti e di educatori.

C'è sul mercato, comunque, una collettanea contenete anche scritti dello stesso Piaget che si contengono anche considerazioni complessive, di sintesi e di retrospettiva sulla sua opera di ricerca. Essa è pubblicata per i tipi della Newton Compton di Roma nel 1989, ben oltre la morte del grande studioso quindi, con il nome del solo Piaget sulla copertina, ed il titolo decisamente fuorviante e commerciale di Cos'è la psicologia; il titolo originale, nuovamente, rende assai meglio il contenuto (Jean Piaget. The Man and his Ideas; 1973).

Al di fuori di opere di questo livello, ci sentiamo di mettere in guardia il lettore nei confronti di troppi divulgatori improvvisati, o comunque non professionali nei campi educativo e didattico, sprovvisti delle necessarie qualità e conoscenze. Non di rado, da questi si possono trovare espresse delle letture poco aderenti al pensiero originario dell'Autore, anche per ragioni estrinseche alla riflessione pedagogica: accenniamo in questa prima parte ad alcuni esempi. Il suggerimento vale a maggior ragione per il fatto che le opere originali sono largamente accessibili. Non si vorrà certo cadere in quella spirale che, satiricamente e molto seriamente, un nostro caro e stimato amico descriveva a proposito di un'altra disciplina: "Ci sono studiosi che credono di sapere, avendo imparato la matematica su Piaget, e Piaget dai matematici!".

Tornando alle rappresentazioni mentali, notiamo che in questo si sono fortemente impegnati i fisici, anche italiani: una sinossi di notevole interesse dei lavori di alcuni di essi impegnativisi in modi e secondo metodologie differenti, è apparsa sulla rivista dell'Associazione per l'Insegnamento della Fisica "La fisica nella scuola" (dalla quale avremo modo di effettuare varie citazioni più avanti), nel numero speciale "Ricerche sulle rappresentazioni mentali in fisica" (anno XIX, n. 2, aprile-giugno 1986, pag. 49-172).

[42] Ivi, pag. 61; in originale "general science", appunto al singolare, pag. 26.

[43] Nella 14ma ristampa (1986) dell'edizione italiana la citazione è a pagina 51; nell'edizione originale è a pag. 26.

[44] Protagonista assoluto della divulgazione anche applicativa del Razionalismo Critico in Italia è stato Dario Antiseri. Solo alcuni esempi di maggiore pertinenza alla tematica, scelti tra la sua abbondante produzione: I fondamenti epistemologici del lavoro interdisciplinare (Armando, Roma 1971), Epistemologia e didattica delle scienze (Armando, Roma 1977 poi ristampato), Teoria unificata del metodo (Padova, Liviana, 1981), Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base (Brescia, La Scuola, 1985), Introduzione alla metodologia della ricerca (SEI, Torino 1986).

Tra gli altri, va ricordato Massimo Baldini, la cui produzione scientifica è variata ed abbondante; ne menzioneremmo, a puro titolo d'esempi, Teoria e storia della scienza (Roma, Armando, 1975), I fondamenti epistemologici dell'educazione scientifica (Roma, Armando, 1976), Gli scienziati ipocriti sinceri - Metodologia e storia della scienza (Roma, Armando, 1978), Il linguaggio dei mistici (Brescia, Queriniana, 1986), Problemi e prospettive di storia della scienza (Roma, Città Nuova, 1986), Epistemologia e pedagogia dell'errore (Brescia, La Scuola, 1986), Congetture sull'epistemologia e sulla storia della scienza (Roma, Armando, 1986), Filosofia e scienza - Da Leonardo a Newton (Roma, Armando, 1990).

Va menzionato anche Francesco Barone. Costituiscono una sua opera fondamentale i due volumi su Il neopositivismo logico (Roma, Armando, 1975 e ristampe successive); ricordiamo altresì Immagini filosofiche della scienza (Bari, Laterza, 1983)

[45] Tra le tante disamine del pensiero e della bibliografia del grande strumentalista statunitense ci sentiamo di indicare quella operata da Renzo Tassi nel volume Itinerari pedagogici del Novecento (Bologna, Zanichelli, 19912), pag. 287-356.

[46] Scaturisce da qui quella proposta di "Neo-Pragmatismo" pedagogico che abbiamo avanzato, in una prima istanza, nel citato Educazione e scienza e in Scienza e pedagogia; in un'istanza più generale, in Educazione 2000, citati.

[47] Scritta con Roberto Maragliano e Benedetto Vertecchi (Milano, Mondadori, 19781 e numerose ristampe e riedizioni). In effetti, il lavoro per contribuire alla delineazione della pedagogia odierna che non si confonda con le scienze dell'educazione né ad esse imponga una posizione ancillare, ma anzi si qualifichi proprio per un rapporto organico con esse, vi è svolto con molta coerenza e perizia e con basi salde dalle quali è difficile prescindere in questo campo.

[48] Ivi, pag. 281-282. Ma tutto il capitolo (Appendice I - La ricerca come problema, pag. 279-295) si consiglia nello specifico; più avanti, tra l'altro, affronta anche la questione di Piaget ed il suo ruolo nei riguardi della pedagogia,

[49] Atlante della pedagogia 2°, citato, pag. 11.

[50] Dell'educazione scientifica nella scuola della seconda infanzia ci siamo occupati dapprima in un capitolo scritto con Margherita Santini e Giorgia Vegher sull'"Educazione intellettuale" per il volume curato da Salvatore Alosco Verso i nuovi orientamenti per la dell'infanzia (di AA. VV., in pratica il gruppo di lavoro della rivista "Quale scuola?"; Napoli, Loffredo, 1990); e poi, nell'ambito di una collaborazione più vasta, nel volume nato nello stesso contesto e per le stesse cure La nuova scuola dell'infanzia (Napoli, Loffredo, 1993) scrivendo due volumi con Lina Dri e Rosanna Tirelli sui "Fondamenti metodologici, logici e storici" (pag. 109-134) ed appunto su "Le cose, il tempo e la natura".

Merita una segnalazione particolare, tra la produzione italiana specificamente dedicata a questo, il volume di Sergio Angori Quale educazione scientifica nella scuola del bambino? (Bulzoni, Roma 1993), che si occupa anche dell'aspetto logico-matematico dell'educazione scolastica del bambino. Tra i suoi meriti, segnaliamo il riferimento ad una lunga attività di ricerca pedagogica e didattica svoltasi presso l'importante scuola di Arezzo, e la ricognizione accurata della bibliografia esistente in materia nel nostro paese (pag. 211-224).

[51] Si tratta di tre i documenti pubblicati in via ufficiale tra gli "Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione". Il primo, della primavera 1989 relativo al solo biennio ed ancora interlocutorio e detto "sperimentale", sul n. 52 del maggio 1990. Il secondo, del dicembre 1990, dal titolo Piani di studio della scuola secondaria superiore e programmi dei primi due anni, sul n. 56, luglio 1991. Il terzo, dal titolo Piani di studio della scuola secondaria superiore e programmi dei trienni, sul n. 59-60 (in due corposi tomi) del marzo 1992.

[52] Numerosi sarebbero gli esempi di provvedimenti amministrativi riguardanti la scuola di base nelle sua articolazioni, che hanno teso a ridimensionare la scienza nella scuola: dall'introduzione del tempo prolungato nella scuola media di 1° grado (che ha ulteriormente incrementato soprattutto la già strabocchevole preponderanza delle materie letterarie), alle circolari che hanno regolato l'avviamento della nuova scuola elementare dopo i programmi del 1985 (che, fra l'altro, hanno forzato ad un accorpamento tra gli insegnamenti delle scienze naturali e delle scienze matematiche onde dimezzarne l'orario, o ridurlo di un'aliquota ancor maggiore, rispetto a quello della L­1, che alla fin fine è stato accettato anche dai pedagogisti e dai didatti più aperti), alle modalità di aggiornamento dei maestri dell'infanzia dopo la riforma del '91.

 

 

webmaster Fabio D'Alfonso


 
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