Il memoriale Cavallero
relativo ai fatti del 25 luglio 1943
Interrogato dal generale Carbone, mentre era nel carcere militare del Forte Boccea, il Maresciallo Ugo Cavallero stese di proprio pugno questo memoriale, col quale ha voluto dimostrare che anche lui aveva preparato un colpo di Stato contro Mussolini e che anche lui aveva pensato proprio a Badoglio come capo del Governo.  Siccome poi tutti sapevano della sua intima amicizia con Farinacci, fascista estremista, volle giustificarsi anche di questo, cercando di far vedere come anche il ras di Cremona fosse contrario al Duce.  Forse scrisse questo memoriale in siffatto modo allo scopo di farsi liberare dal carcere appunto da Badoglio. Probabilmente nel farlo dovette essere piuttosto ingenuo.  Avrebbe dovuto sapere Badoglio non era suo amico tant'è che appena successe a Mussolini dopo la notte del 25 luglio 43 lo fece arrestare così in fretta che Cavallero non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi che il Governo era passato di mano e riteneva che il « fermo » fosse stato ordinato da Mussolini.
Badoglio non solo non lo tirò fuorì dal carcere, ma andandosene da Roma, DIMENTICÒ il memoriale, ben in vista sulla sua scrivania della Presidenza.
Questo forse il motivo del suicidio del Maresciallo Cavallero: il Maresciallo Kesselring ed il colonnello Dolmann, nei colloqui avuti con lui a Frascati subito dopo la sua liberazione dal forte Boccea, gli parlarono certamente del memoriale, ed egli preferì uccidersi piuttosto di partire per la Germania, dove non sapeva cosa avrebbe potuto attenderlo. Qualcuno addirittura presume che data la particolare mentalità dei Tedeschi, fossero stati proprio loro a convincerlo della opportunità del suicidio.
 
 
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   Forte Boccea, 27 agosto 1943
«Nel novembre u. s., allorché Mussolini fu gravemente ammalato, si dovette considerare l'ipotesi peggiore.  Me ne preoccupai e, quale Capo di S. M. Generale, impartii disposizioni per tale ipotesi al gen. Maghi, al Capo di S. M. dell'Esercito gen. Ambrosio, al Sottosegretario alla Guerra gen. Scuero.  Le riunioni a tale scopo furono due; dissi chiaramente che dovevamo essere pronti ad assicurare al Paese e prima di tutto a Roma una situazione ordinata, per consegnarla al Sovrano che avrebbe deciso a chi affidare governo e comando.
Previdi che la persona sarebbe stata il Maresciallo Badoglio ai cui ordini, dissi ai miei subordinati, ci saremmo messi tutti quanti.
Un inaspettato intervento della Milizia nella faccenda guastò un poco le cose; però la situazione fu superata dal miglioramento del malato.
La questione non riapparve più nei mesi di dicembre e gennaio perché tutta l'attenzione era assorbita dalla guerra in Africa. A fine gennaio lasciai il comando; però il problema dell'allontanamento di Mussolini almeno dalla grave responsabilità della condotta della guerra ha continuato ad occuparmi.
Era mio avviso che, ove fosse caduta la Tunisia, quello sarebbe stato il momento propizio per Risolvere la crisi.  Ricordo di avere parlato di ciò con varie persone, anche con insistenza.  Ne parlai anche col tenente colonnello Roberto di Sanmarzano, ripetutamente: debbo aggiungere che, a questo ufficiale, fratello del mio compianto ufficiale addetto, e vecchio amico di casa, avevo detto in precedenza quanto pensavo, e già da novembre quanto stavo preparando.
« Questi miei rapporti col tenente colonnello di Sanmarzano erano (determinati dal fatto che egli si trovava presso S.A.R. il Principe di Piemonte.
« Talì rapporti continuarono fino alla sera del 25 luglio.  Del problema si parlò molto altresì col marchese Giovanni Visconti Venosta, vecchio amico del tempo di guerra e si concluse insieme che convenisse far giungere il nostro pensiero in alto loco. Visconti Venosta mi assicurò di avere provveduto per parte sua.
« Venne poi l'attacco alla Sicilia. La situazione diveniva sempre più pressante, il mio pensiero prese forma più concreta.  Si pensava con l'amico Visconti Venosta, e oggi riconosco che si aveva torto, che fosse utile far pervenire questo pensiero in alto; esso pensiero si concretava come segue:
« S. M. il Re, che aveva delegato il comando a Mussolini, poteva revocare la delega. Con ciò e col dichiarare tutto il territorio in stato di guerra, si potevano passare alle autorità militari tutti i poteri; il resto sarebbe venuto da sé.
« L'amico Visconti Venosta e io eravamo pienamente concordi nel ritenere che il governo non sarebbe dovuto essere affidato ad altri che al Maresciallo Badoglio.  Per far pervenire questo nostro pensiero in alto loco, Visconti Venosta mi chiese se avrei potuto parlarne al Grande Ammiraglio.  Questi ha sempre avuto per me benevolenza e perciò aderii. Ebbi col Grande Ammiraglio alcuni colloqui e lo trovai pienamente nel nostro ordine di idee. Avevo fatto studiare l'aspetto giuridico-costituzionale del problema dal consigliere di cassazione Giovanni Provera, mio compagno di adolescenza. Il Grande Ammiraglio ebbe la grande cortesia di scrivere sotto mia dettatura, il sunto di quell'esame e capii che si sarebbe senz'altro occupato della cosa.  Tutto ciò avveniva verso Pentecoste (fine di maggio, principio di giugno del 1943).
« Frattanto io stavo svolgendo una misurata propaganda nel senso anzidetto.  Per limitare il numero delle persone che cito, ricorderò il senatore Luigi Burgo, mio buon amico, che avevo occasione di vedere nelle mie frequenti gite in Piemonte. Il Burgo fu da me messo al corrente per almeno tre mesi della evoluzione del mio pensiero e in parte del lavoro che stavo svolgendo.  Egli si entusiasmò del programma e giunse a dirmi che avrebbe messo - ove necessario - a mia disposizione una somma di 100 milioni, ed anche superiore per finanziare un eventuale movimento; naturalmente, nel ringraziare della generosa offerta, risposi che di denaro non vi sarebbe stato bisogno.  Avevo saputo nel frattempo che fermenti andavano nascendo in seno all'Esercito; ne ebbi terrore, perchè ritenevo e ritengo che qualsiasi movimento fuori della legge costituzionale avrebbe condotto ad un disastro.  Non mancai di esprimere il mio pensiero e particolarmente col gen. Ambrosio che trovai perfettamente orientato in tale senso.
« Un colloquio sull'argomento generale che qui si tratta ebbe luogo, con Ambrosio, credo verso fine maggio, essendomi recato da lui per conferire, a sua domanda, su una questione di servizio.
« Gli apersi l'animo mio, dicendo quanto stavo facendo e gli feci prevedere, perché in ciò avevo fede, che il fatto auspicato sarebbe avvenuto. Egli mi disse che gli sarebbe occorso un preavviso di un giorno; gli feci prevedere che avrebbe avuto un preavviso di un'ora.
« Sulle impazienze di cui avevo notizia trovai Ambrosio orientato, e belle deciso a impedirle.  Ambrosio venne a casa mia ai primi di luglio per visitare l'abitazione che dovevo cedergli.  In quell'occasione gli riparlai dell'argomento, dicendogli che il nuovo capo sarebbe stato certamente il Maresciallo Badoglio, e che per intanto io mi mettevo agli ordini di Ambrosio, per ogni evenienza, del che egli si mostrò grato.
« Vi sono ancora due persone che giova ricordare quali testimoni continuati del mio travaglio spirituale e al corrente dei miei pensieri. Una vecchia signora, che considero come madre, novantaduenne ma di spirito agile e lucida di mente, donna Rosa Celoria Manzi, vedova del senatore Celoria già astronomo di Brera (Casale Monferrato, via Vittorio Emanuele 12), e un alto prelato, consigliere spirituale della mia famiglia e perciò anche mio; di quest'ultimo dirò il nome se necessario.
«Accenno di sfuggita che i miei rapporti con Farinacci nascono da rapporti familiari di lui adolescente con zii di mia moglie, Zanibelli di Casalmaggiore.  Ciò premesso, preciserò che pochissimo ho veduto Farinacci prima della mia assunzione alla carica di Capo di S. M. Generale e dopo, salvo il periodo di Albania, durante il quale egli era colì distaccato.
« Dopo la cessazione dalla carica, ci incontrammo un paio di volte prima del luglio. I nostri rapporti si erano alquanto raffreddati, ma mi interessò molto, all'atto della nomina di Scorza a Segretario del Partito, la dichiarazione che Scorza era nettamente contrario al Duce.  Pure interessandomi di seguire la cosa, mi astenni dallo stringere maggiori contatti.  Fu solo dopo la tempestosa riunione dei gerarchi presso il Duce avvenuta il 15 luglio che Farinacci desiderò vedermi e mi mise al corrente della situazione.

« Era ben chiaro, nel pensiero di Farinacci, che il Duce dovesse cessare dal comando e che questo fosse ripreso dal Sovrano.  Questo era per me il punto essenziale dal quale tutto poteva derivare.  Né potevo io, all'oscuro di quanto altrove si progettava, pensare ad una soluzione più radicale che fu per tutti inaspettata.  Nell'altro campo del Fascismo io non potevo penetrare perché la situazione era tenuta da persone a me ostili (Ciano).
« Quando, la sera del 25, potei avere da me il tenente colonnello di Sanmarzano, lo misi al corrente della situazione ed egli prese alcuni appunti, lasciando poi la mia casa cinque minuti prima del mio fermo.  Ritenni che questo mio fermo fosse stato ordinato da Mussolni: solo più tardi appresi la verità.
« I miei rapporti con Farinacci in quel periodo si sono limitati a constatare e rafforzare in lui il concetto del passaggio del potere militare al Sovrano.
« Dopo la mia cessazione dalla carica i miei rapporti sia diretti che indiretti con le autorità germaniche furono nettamente troncati.  Non ho più riveduto, fino ad oggi, né un comandante tedesco, né un loro dipendente.  Così pure, salvo una volta della quale dirò, non ebbi più rapporti né con l'ambasciatore, né con l'ambasciata, se si eccettui un invito del maggio a una serata musicale, tutta di civili, e ad una successiva visita di ringraziamento.
« Il solo incontro dì cui sopra è avvenuto presso Farinacci, per desiderio di questo, ed io vi ho, dichiaratamente, soltanto assistito (un paio di giorni avanti il Gran Consiglio).  Contenuto del colloquio: Farinacci ha fatto un violento -attacco contro il Duce; Mackensen si è schernito, Farinacci ha rincarato la dose e Mackensen ha pregato di smettere; poi, però, ha detto che le stesse critiche egli le aveva presentate per suo conto al Fuhrer e che questi ne aveva fatto oggetto di rimarco al Duce a Feltre.  Poi Farinacci ha chiesto se si potevano attendere rinforzi, specie aerei, dalla Germania, secondo le richieste, a noi note, fatte da Ambrosio a Feltre.  Mackensen fu vago nel rispondere accennando a condizioni, o meglio premesse, che il Fuhrer aveva chiesto fossero realizzate avanti invii di truppe o forze aeree; non precisò queste premesse.
« Fu accennato, mi sembra da Mackensen, alla questione di un comando unico, con una velata tendenza a farvi prevalere l'elemento germanico, al che io dissi chiaramente che ciò non poteva assolutamente andare; e che, secondo me, si poteva pensare ad aggregare al comando italiano un comando tedesco in sottordine.  Mackensen mi disse che avrebbe riferito il contenuto del colloquio a Bastianini.
« Questo è il solo contatto, come si vede del tutto anodino, avuto con le autorità germaniche dal gennaio ad oggi ».