IL CILE NELL'AMERICA LATINA
di Gennaro Tedesco
Questo testo risale a molti anni fa, ma lo si presenta all'attenzione del pubblico per la validità delle sue analisi.
Si parla troppo spesso del Cile, come di un Paese in cui il fascismo è risorto!Niente di più falso per tanti motivi.
Comincerei qui, comunque, col sottolineare alcuni fattori molto importanti, che scaturiscono dall'affermare questa tesi: sostenere che tutto ciò che è conservatore e reazionario è fascismo. Questo modo di procedere significa, come già lo stesso Gramsci scriveva, vietarsi la possibilità di distinguere tra avversario e avversario e di capire i propri nemici, precludendoci poi una efficace controffensiva. Dichiarando inoltre la giunta cilena fascista, le si danno dei meriti che indubbiamente non ha.
Si dimentica che il Cile si trova in America Latina e non in Europa, giudicando questo Paese in termini tipicamente eurocentrici. Non dimentichiamo poi che ha due partiti politici . In Italia interessa che l'opinione pubblica creda che in questa nazione ci sia il fascismo, soprattutto per rinsaldare da parte comunista i vincoli col partito cattolico e per nascondere da parte democristiana le responsabilità del partito fratello sudamericano nel colpo di stato militare che eliminò il legittimo governo di Unidad Popular.
Prima di passare alla descrizione della specifica situazione cilena, è meglio inserirla nel contesto più generale della storia socio-economica dell'America Latina.
Si sa che il continente sudamericano fino ai primi anni del XIX secolo è stato terreno di rapina della corona spagnola che lo sfruttava come meglio piaceva. Ma a cambiar le cose compare all'orizzonte l'Inghilterra che si sostituisce alla Spagna nel dominio di queste vastissime terre. Essa però ha il "buon gusto" di non dominare politicamente con una sua amministrazione coloniale le terre liberate dagli Spagnoli , ma lascia che le varie Rivoluzioni e lotte di indipendenza politica portino in America Latina alla costituzione di Stati politicamente indipendenti, ma economicamente dipendenti da essa.
Si può parlare già di neo-colonialismo? Certamente. Infatti, se non si ha potere economico, non si ha neppure quello politico.
All'Inghilterra, nello sfruttamento del continente latino-americano, si affiancano gli Stati Uniti D'America, che da questo momento in poi diverranno i padroni assoluti del Sud America, scavalcando gli stessi inglesi.
La situazione è oggi più intricata e complicata, quando passiamo a discutere sul tipo di sviluppo economico che i latino-americani definiscono "desarrollo". (Da qui anche quel fenomeno che va sotto il nome di "desarrollismo", caro alle iene che governano il Brasile).
Ci sono molti che, conoscendo la situazione socio-economica del continente nei suoi reali termini strutturali, affermano l'esistenza di un dualismo economico "che vedrebbe la coesistenza di un settore 'avanzato' di tipo capitalistico moderno e di un settore 'arretrato' a base agricola con caratteri precapitalistici e feudali. Una società capitalistica in America Latina, quindi anche in Cile, esiste, ma è di un tipo particolare, perché le sue strutture tradizionali non si sono trasformate in rapporto alle esigenze di un autonomo sviluppo, ma in rapporto alle esigenze delle potenze capitalistiche dominanti. Pertanto attuare un processo di modernizzazione sociale e di industrializzazione non vuol dire per questi Paesi uscire dalle condizioni di sottosviluppo, perché modernizzazione e industrializzazione avvengono in base ai dettami dei grandi monopoli esteri che sfruttano le masse popolari e impediscono uno sviluppo equilibrato delle risorse nazionali ". (Cardoso-Faletto).
Come si vede, l'America Latina, di cui il Cile fa parte, anche quando sviluppa una propria struttura industriale, non lo fa mai nel proprio esclusivo interesse, per cui il processo di industrializzazione, che è avvenuto in Cile, è un processo distorto in cui il capitale americano privilegia una certa produzione, che solo in questi Paesi è ancora possibile ottenere, perché i salari sono di fame e la difesa sindacale non è così forte come in Europa. Avviene che le industrie qui stabilitesi sono a basso livello tecnologico e che le merci prodotte non sono destinate al consumo interno, perché non esiste qui un mercato che potrebbe assorbire questi beni, ma a quello estero per cui, in caso di caduta dei mercati esteri, i primi a risentirne sono questi Paesi, compreso il Cile. La loro dipendenza è perciò doppia, perché il loro sviluppo(che poi,come si è detto, è sottosviluppo) dipende dagli investimenti dei capitali esteri (nordamericani) e dall'andamento positivo dei mercati europei ed americani. Questa situazione particolare fa scaturire determinate conseguenze
La prima è la nascita di una economia periferica o, meglio ancora, di un capitalismo periferico che nella sua stessa definizione nasconde due concetti basilari : uno è quello di una dipendenza da un centro economico, capitalistico che possiamo individuare in Nord-America e in Europa occidentale.
L'altro è la creazione di un diverso tipo di capitalismo, seppure periferico, ma non per questo meno interessante e degno di attenzione.
La seconda è il fenomeno tipicamente latino-americano dell'urbanizzazione. La creazione artificiale, da parte del capitalismo, di bisogni (il consumismo), attraverso, per esempio, i mass-media, ha fatto si che in questo continente enormi masse umane, attratte dagli illusori sogni capitalistici di una facile ricchezza a portata di mano di tutti si riversassero in città che non potevano contenere questa marea montante, creando quel fenomeno, tutto artificiale, dell'urbanizzazione, che ha visto scoppiare le città. Milioni di contadini si sono trasformati in sottoproletari, c'è stata la nascita e la formazione di una piccola borghesia impiegatizia, venuta fuori dal processo di terziarizzazione dell'economia, piccola borghesia, molto disponibile a mene reazionarie, pur di trarne vantaggio. Comunque, quando si pensa al ceto medio sudamericano, non si deve mai ragionare in termini eurocentrici, perché questo ceto medio è cosa diversa dal nostro, quanto meno, se non qualitativamente, senz'altro quantitativamente. Chi naturalmente trae i maggiori vantaggi da ciò è la borghesia, che una volta era definita "compradora". Essa naturalmente è legata mani e piedi al capitale nordamericano.
Una terza ed ultima conseguenza è l'estrema sindacalizzazione del continente, che è di un tipo molto diverso dal nostro. Ciò ci spiega anche l'estrema politicizzazione del Cile, che ad un osservatore ignaro può apparire eccessiva e incomprensibile.Che cos'è che dà l'impronta fascista ad un regime reazionario come quello cileno?
Innanzitutto l'appoggio importante del ceto medio, che in Cile è minimo. Anche ammettendo l'importanza notevole di esso nel Cile, non si vede perché poi un regime "fascista" svolga una politica contraria a questo, anzi di eliminazione. E poi dov'è la caratteristica di regime reazionario di massa (Gramsci), che tende all'attivizzazione e quindi alla partecipazione, anche se strumentalizzata, delle masse? Tutte le notizie che ci provengono dal Cile ci confermano invece che è in atto una passivizzazione delle masse, fenomeno tipicamente reazionario, ma certamente non fascista, cioè, per essere più chiari ed espliciti, una repressione a tutti i livelli che ha prodotto migliaia e migliaia di morti e torturati.
Il regime instaurato dai generali è reazionario, ma non di massa, anzi, fa di tutto per
reprimerle. Il regime fascista in Italia ha razionalizzato il sistema economico a vantaggio della borghesia nazionale, ma anche a vantaggio del ceto medio. In Cile Pinochet ha si razionalizzato l'economia, ma contro gli interessi non solo del ceto medio, ma anche, in certa misura, contro quelli di quel poco di borghesia produttiva che esisteva a netto vantaggio del capitale nordamericano: basti qui ricordare la famigerata I.T.T., la multinazionale americana che ebbe un peso notevole nel golpe. Abbiamo detto che il fascismo si reggeva anche con l'appoggio del ceto medio. Il regime golpista cileno si regge esclusivamente sui militari e sull'appoggio determinante del capitale americano, i cui canali di finanziamento sono la C.I.A. e l'I.T.T.
Come il fascismo, la giunta cilena ha il sostegno di una ideologia totalitaria
che giustifica il proprio potere di fronte alle masse? Certamente no.
Essa ha velleità nazionalistiche o imperialistiche? Non ne ha, perché essa non è nata per affermare il predominio di una borghesia nazionale sul proletariato e poi su altre nazioni, fenomeno tipicamente europeo, cioè di nazioni industrialmente sviluppate, ma semplicemente per permettere ai monopoli americani di meglio rapinare il Cile, industrialmente sottosviluppato. (Da ricordare qui il fenomeno tutto nuovo del sub-imperialismo tipicamente brasiliano che svolge la funzione di gendarme per conto degli U.S.A.) C'è in Cile un partito politico unico? No, non c'è, perché il colpo di stato non è stato compiuto da civili,ma da militari. E proprio i militari stanno a significare la non eccezionalità della situazione cilena, la non esistenza di un fascismo cileno nel contesto più generale della situazione latino-americana, in cui i militari appunto costituiscono quel tratto d'unione tradizionale tra il passato e il presente, che rende la giunta dei generali a Santiago "normale", nella normalità repressiva e reazionaria del continente latino-americano.
D'altra parte questa "eccezionalità" del Cile può apparire tale solo a quell'osservatore ignaro, di cui si parlava prima, che è poi la maggioranza dell'opinione pubblica.Definire fascista il governo di Pinochet implica riconoscere a questo stesso compatti sostegni che non possiede e affermare implicitamente che è destinato a durare parecchio, proprio perché possiede questi sostegni, mentre , invece, non è fascista (anche se reazionario) ed è molto più debole di quanto non sembri , è molto meno lontana la sua fine.
La domanda ultima che resta da farci è: ma perché il golpe?.
È una domanda, a cui da più parti si è risposto sostenendo che nella situazione nordamericana era impossibile l'esperimento socialista, tentato da Allende, che la borghesia e il capitale americano erano troppo forti, troppo potenti, invincibili. Questa è una tesi che pecca di rassegnazione, di positivismo deterministico, di rinuncia.
La ragione del fallimento di Unidad Popular non è da ricercare nel nemico, anche se questo indubbiamente non se n'è stato passivo a guardare, ma all'interno della coalizione stessa a cui aderivano socialisti,radicali, comunisti,frange cattoliche di sinistra dissidenti ,coalizione tra l'altro sottoposta a pressioni laceranti da parte del M.I.R., cioè la sinistra così detta rivoluzionaria.
Ci sembra che sia stato proprio Lelio Basso, certamente non sospetto di moderatismo o di intelligenza col nemico, a dire che l'errore madornale da parte di U.P. è stato quello di accelerare troppo il processo socialista, cioè, più concretamente, di volere tutto e subito, dimenticando i rapporti di forza interni ed internazionali, che dovevano costringere invece ad una politica più prudente ed equilibrata, cercando di aggregare al governo anche i ceti medi. Stupida poi è l'affermazione del M.I.R., secondo cui si sarebbe potuto evitare il golpe militare armando le masse contadine ed operaie. Se così fosse successo, l'esperimento socialista di Allende sarebbe abortito sul nascere, considerando i rapporti di forza in cui l'azione armata doveva svilupparsi.
webmaster Fabio D'Alfonso