racconti - stories

 

Clara Geraci


Biografia

Clara Geraci è nata a Sant'Agata di Puglia, il 22/06/52 e risiede a Foggia;qui insegna lettere,presso la Scuola Media Statale "Giovanni Bovio di Foggia.
Figlia di musicisti, Clara si è espressa, sin dall'adolescenza, nella forma artistica più naturale:quella musicale.
Fino a qualche anno fa, ha creato canzoni, suonando la chitarra e cantando in modo melodioso.
Le sue doti artistiche si manifestano appieno,quando decide di dedicarsi all'attività teatrale e allo spettacolo in genere.
Nel 1987 pubblica il dramma"Nora "edito dalla casa Editrice"lalli" -Siena-
Il testo riceve alcuni riconoscimenti, come il premio San Valentino, sezione teatro, dall'associazione "Amici dell'Umbria" e nello stesso anno il premio Speciale di saggistica del "Borgo degli Artisti" a Milano .
Come attrice e r egista porta in scena diversi lavori :"Il disoccupato","l'immagine, "Nora" ed altro ancora.
I successi letterari la inducono a proseguire e con il racconto "Un anno a Norcia" e le viene asdsegnato il Diploma d'onore dall'associazione Amici dell'Umbria.
Circa dieci anni fa,scrive , inoltre,"la vera forza della vita e, partecipa al concorso:"premio teatrale Sandro Giovannini" indetto dalla Rai, con la commedia brillante:"Per sempre giovani".
Nel 1989 , infine approda , dopo la morte del padre, ad una nuova forma espressiva che possa eternare il dolore e pubblica "Questo orribile universo"in "Orizzonti" testo poetico a quattro mani.
Per alcuni anni è stata nel sito "Libero di scrivere" come poetessa ed ha trovato largo consenso.
Sempre credendo nella necessità di esprimere se stessa,
aspira a divenire scrittrice di romanzi ed ha cominciato con il racconto "Verso di te".
E' la storia di un uomo che dopo un'analisi attenta di se stesso
diviene consapevole delle proprie esigenze:denaro, potere, ecc
Successivamente,si accorge che non sono quelle le cose di cui ha bisogno ma che deve lottare per un cambiamento radicale.
Dio lo aiuta a divenire migliore, attraverso una conversione molto forte.
La scrittrice crede nei valori veri della vita, sa che il dolore è una esperienza potente,dalla quale si rinasce per migliorarsi.

 


  VERSO DI TE

 

Prima parte


E' un giorno triste,malinconico come tanti e rifletto sulla mia vita: pagina bianca su cui scrivere un futuro ricco di illusioni, di gioie mai provate, di coccole mai avute.
Nel grigiore dell'anima creo nuove idee, immagino una vita più brillante, anche se difficile da realizzare perchè dubito di avere un cervello, specie quando ripenso agli errori del passato. Sovente,sono ritenuto intelligente, si dice che io sappia ascoltare, guardare con occhi vivaci, ma nessuno può offrire la certezza che io abbia un cervello. E se c'è ancora, qual è il suo stato ?
Forse spappolato, disintegrato dalla corrente di questo fiume malefico chiamato vita.
Un solo cervello e tanti pensieri che diventano voci e pretendono ascolto. Abili spadaccini: l'uno contro l'altro, armati di neutroni, pronti a lottare tra loro.
Io sono il modello della mediocrità: un essere scalcinato, relitto, abbandonato. L'impiegato ligio al dovere, dalle scarpe lucidissime, la cartella in finta pelle,dall' italiano misto al dialetto nativo.
Ma oggi la mia vita è una pagina bianca su cui scrivere per cambiare,svoltare anche se un rumore martellante, persistente ronza nel cervello e una sottile nebbia rende vago e inconsistente ciò che vivo. Tutto puzza di vecchio, di orribile tanfo di cose morte e aspiro, invece, ad un'abbuffata di sogni perchè odio il pensiero pratico, il facile guadagno,l'arrivismo dell' uomo audace mentre io sono un poveretto
con un gran rumore nel cervello, frastuono che rincoglionisce e lacrime bagnano gli occhi. Non riesco a stabilire chi io sia:forse un lembo di vita passata? forse un attimo di amore dimenticato? Forse sono un arcobaleno privo di colori.


Mi rivedo nella casa paterna, qui non mancano il pane e le olive, si fa a cazzotti per averne di più quando a pranzo impera la fame.
Anni di povertà, di folle corsa verso il progresso: scarpe grosse e cervello fino. Le scarpe grosse sono quelle di mio padre: sempre arrabbiato e taciturno; il cervello fino quello della mamma intenta a rammendare, a riordinare .Il rumore della pioggia allontana la mente dai ricordi e rifletto ancora sulla mia vita. Il groviglio dei pensieri è più fitto, impossibile da districare per scovare idee semplici, lineari:tanta polvere e confusione.
Tento di creare un'idea originale:cosa di bello si può fare 'sta sera, in un locale dove suonano musica dolce tra le braccia della mia donna.
E' una sensazione molto bella:essere intelligente agli occhi dell'amata, famoso e bello solo per lei. Tutto di Rita mi piace tranne quando fa la civetta con Gaetano. La gelosia mangia il mio cuore; per fortuna il cervello avverte poco lo schianto…ma il cuore, il cuore dove lo mettiamo? L' anima innamorata soffre per l'esistenza di Gaetano!
Gaetano è bello, biondo, magro: parodia dell' uomo illustre. Tutte le donne gli corrono dietro; ha avuto tutto sin da bambino: il cavallo a dondolo e la macchina da corsa; come facessero i suoi genitori non si sa neanche oggi, ma facevano.
Al contrario io sono meno di niente, meno bello di Gaetano certamente, meno di successo ovviamente. Ho solo Rita, la nuova fiamma, che afferma di amarmi.Rita è una bionda stupenda, ha tutti gli attributi per far girare la testa ad un uomo, come si suole dire è uno schianto.
Non molto intelligente, ma perspicace, capace di fare mulinello con il suono melodioso della sua voce. Come tutte cerca marito ovviamente, ma lo fa con discrezione, senza far pesare la sua ricerca, indifferente agli sguardi, a volte, eccessivi. E' consapevole del proprio fascino e del tempo che trascorre;a ventisei anni sa che a disposizione non ne ha più molto.
Di famiglia non molto ricca, non può pesare ancora sul bilancio familiare e aspetta con ansia il buon partito. Io non sono l'ideale, ma Rita è innamorata di me, che sembro vulnerabile e fragile, ma capace di farle sentire la musica di mille violini quando la prendo tra le braccia.
Ed è anche consapevole, però, che non amo i legami, sono sempre lontano, proiettato in un mondo diverso dal suo.
Infatti, nonostante l'amore di Rita,tutto va a rilento nella mia vita,tutto è avvolto da una fitta nebbia che rende opaca ogni cosa.

Oggi sono più triste del solito, prendo la giacca ed esco per fare due passi.
Il nulla riempie il silenzio dell'ora mattutina,
un passo dopo l'altro cerco di comprendere perché mai mi sono ridotto così, di ricordare quale sia stato l'errore fatale.
Sempre così: mia madre, le mie sorelle, i fratelli sempre pronti a tornare indietro e chiedersi perché e quando si sia sbagliato.
Ore ed ore di parole per cercare una motivazione, una congettura che desse tregua e facesse sospirare:è andata così, pazienza!
Anch'io lo faccio sovente; in fondo, mi piace guardare il passato,criticarlo ed uscirne sempre pulito, vittorioso.
Quindi, situazione transitoria la mia: ho solo trentadue anni, posso farcela e vivere come una persona normale: con poche idee nella testa, privo di legami, pronto a ricominciare.
La nebbia dà più forza ai miei pensieri che ora hanno trovato la loro giusta dimensione: poliedrica. Avrei fatto vita politica se avessi osato un po' di più. l'amico Gaetano c'è riuscito: è assessore da qualche anno.
"Arrivista! " un'arrivista privo di idee.
Mentre io, che di idee sento di averne tante, resto immobile, fisso nel tempo, ovattato da questa nebbia che impedisce di guardare in faccia il mondo.
Invidia e gelosia mi fanno avvertire che, malgrado tutto, sono vivo,capace di provare sentimenti umani, anche se privi di quella umanità che ho perduto nel tempo.
Spesso, avverto dei cambiamenti repentini nell' umore: un animo femminile, tenero e fragile in questo corpo di maschio che si lascia condurre in un mondo che esiste solo nell'immaginario.
I cambiamenti subitanei sono il lato simpatico ed incoerente della mia personalità.
Infatti,oggi,al contrario di ieri, è una bella giornata di sole; la nebbia fitta ha lasciato il posto alla luminosità di un giornata primaverile in un autunno ormai inoltrato.
Tutto è luminoso anche il passato.
Ma sì che importa, chi se ne frega! bella la vita, sa di cioccolata!
Vesto in modo sportivo: giacca leggera, camicia sbottonata, pronto a farmi baciare dal sole. Decido che questa è davvero una bella giornata, fatta di allegria, di progetti, aspettative, di mete da raggiungere.
Mi fermo,compro il giornale, avido di buone notizie. Cerco tra le pagine una di quelle notizie che fanno star bene fino a sera.
Deve esserci, non ho dubbi, non è possibile che il mondo, ancora una volta, deluda!
Continuo a cercare con fiducia, mentre il sole scalda tutto di me e dà forza ai pensieri:
cosa può fare il sole!
Cosa può combinare una bella giornata!
Mi sposerei in tanta allegria se davvero amassi Rita. Immagino di essere in chiesa
E poi corro in auto per un lungo viaggio di nozze. Potere del sole che scalda i pensieri e li rende più gioiosi. Non sono contrario al matrimonio, ma sono incapace di aver cura di un'altra persona. Né vorrei divorziare perchè credo nel sacramento del matrimonio.
Ho paura come la maggior parte degli uomini, non delle donne intendiamoci, ma delle responsabilità,delle abitudini, ho paura di divenire prigioniero.
Anche così sono prigioniero,direte; indubbiamente, ma la prigione non ha un aguzzino.
No, da scapolo sono libero di pensare tutto il male di me stesso e di vivere la vita senza fastidi. Il giornale non porta nulla di buono, guardo le cronache cittadine e leggo con spasimo febbrile la notizia più bella della giornata, quella ricca di nota.
No!!" non può essere.
"Gaetano Silvestri e Rita Ancestri sposi: il consigliere della città convola a liete nozze".
Un tonfo al cuore,il famoso pugno nello stomaco, un boato nell'anima.
Cerco tremante una sigaretta per combattere l'agitazione sopraggiunta. Impossibile!!
Deve esserci un errore!Leggo e rileggo sempre lo stesso, medesimo trafiletto.
Dannato Gaetano, ha preso il mio posto!
Tremo, le mani sono livide, il sole è sparito, il gelo mi copre tutto….


Per molti giorni non vedo nessuno, è un dolore sordo il mio: senza lacrime, senza domande,
muta accettazione di tutto ciò che di negativo la vita può regalare.
bella la vita! penso ironicamente.
Quante promesse e poi..
E così: Rita,dolce, comprensiva, sempre ubbidiente, pacifica, seria,che sembrava poter aspettare per sempre, si era data all'odiato nemico.
Da giorni sono a letto, la camera polvere di fumo; la finestra chiusa; buio pesto invade la stanza, squallida già di per sé.
Più che di una donna sento la mancanza di mia madre. Da anni non la vedo,sempre solo
a volte qualche amico, a volte la mia Rita.
Basta, non dirò più mia!
Lo è poi veramente stata ?
Quello di Rita si può definire vero tradimento?
Forse ho immaginato tutto,forse ho ingigantito il legame. A tale ipotesi sento di stare meglio.
Cerco nella memoria un'idea, la più semplice, la più banale per ricordare le reali cose.
Strano, non ricordo nulla!
Chi è Rita? Ricordo un ballo, un bacio, un cinema, una pizza. Nient'altro.
Forse due sere, al massimo tre.
Poi, non l'ho più vista, l'ho più sempre bidonata.
Come poteva Rita ritenersi la mia fidanzata?
La logica ferrea del discorso, mi placa, crea nuovo coraggio.
E' vero, posso essere sereno: Rita non ha tradito, Gaetano nemmeno.
Ora respiro, sentendomi più libero…tiro su la serranda, apro la finestra, sento lo scrosciare della pioggia.
La pioggia fitta e l'aria carica di brina mattutina mi svegliano definitivamente, facendo tornare nella mente la solita vecchia canzone.
Ho il cuore contento...sono il cretino di sempre.

Niente più della pioggia fa compagnia: silenziosa eppur presente, battente, insistente. Ha la forza di riportarmi alla mia esistenza, ai pensieri più veri, a quelli che da sempre sono con me: pensieri ignorati, solitari, privi della dovuta attenzione. Quel piovere fitto, fitto, sempre uguale, ad uno a uno, li riporta tutti in vita. Pensieri soffocati diventano gendarmi che non permettono più di indietreggiare.
Pensieri grigi, appannati, eppur vivi,mi rimproverano: "cosa hai fatto della tua vita?"
All'improvviso sono assalito dai sensi di colpa, in modo così forte da star male.
La testa gira sotto il peso dei sensi di colpa.
Cosa veramente ho fatto per me stesso?
Un bel niente in verità!
Sono scivolato nei giorni sempre uguali, in un lavoro monotono ed ingrato, rinchiuso in una squallida vita, priva gloria. Mi sono tradito ogni giorno,nascosto agli sguardi di me stesso, riducendo il mio vissuto ad un focolaio spento da anni.
E' ora di cambiare.
Penso rifare il guardaroba, cambiare look.
Anche se mi rendo conto di quanto sia superficiale iniziare dall'abbigliamento non ho una idea più brillante.
Sono davvero convinto che l'abito faccia il monaco?
A questo pensiero cado in un stato
tremendo,peggiore del primo.
La gioia provata per un attimo è svanita.

La mia vita è superficiale, vissuta a metà.
Parte di me è sempre in un luogo sconosciuto; urge rintracciarla,parlarle,bisogna cooperare ormai.
Sono ad un bivio:tutto o niente, meglio morire, farla finita, oppure vincere in modo assoluto.
Prima, però, da buon capitano chiamo a raccolta i neuroni; li avverto della decisione ed essi,ubbidienti, cominciano ad agire.
Grandi pulizie nella mente, grandi progetti. Lascio la finestra mentre la pioggia cede il posto ad un tiepido sole; mi vesto con cura, faccio ordine nella povera stanza ed esco.
Non so dove andare,cosa fare, ma per ora sono salvo: come ho potuto pensare alla morte? Vivere,bisogna vivere a tutti i costi, con o senza Rita, con o senza amore. E poi cos'è l'amore?
Cerco una risposta con tutto me stesso, ma non la trovo: non so cosa sia l'amore, questa la verità.Provo a riflettere e allungo nervosamente il passo: si dice che camminare faccia venire nuove idee,nuovi impulsi.
Scuoto la testa, piego la bocca, mi fermo, riprendo la corsa: nulla.
Ecco perché Rita mi ha lasciato: perché non conosco l'amore.
Ho amato,davvero,Rita? Posso averla amata se non conosco l'amore?
La donna ai miei occhi è sempre più innocente.
Io l'unico colpevole: l'uomo piatto, privo di sentimenti, incapace di amare, di riconoscere l'amore, di viverlo, di farlo suo.
Ma non è stato sempre così. Specie da bambino, quando sorridevo alla mamma e a mia sorella Lucia, quando cercavo sempre baci e bacini da tutti. Ricordo benissimo il primo bacio d'amore, con quanta passione lo diedi. Quante volte lo avevo immaginato e, quando mi trovai con Adele, le mostrai quanto fossi bravo. Un suo cenno di dolore mi fermò, altrimenti…. Ricordo altri baci, quelli dati a Tiziana, a Francesca; a diciotto anni ero ormai un esperto….
Conclusione? Già, non è questo l'amore, non è questo. Essere un bravo amante non dice nulla. E' forse da qui che devo ricominciare: dai baci dati bene, ma privi di sentimento?
Entro in un bar. La cameriera è molto carina gentile; mi serve la colazione:cappuccino e brioche. E' da tempo che non mangio…mangio con appetito e guardo la ragazza con appetito."chissà qual è il suo nome, chissà come, quanto e quando bacia." Avrei voglia di chiederlo..
La guardo, sorrido " Quant' è?" Dico. Pago e sono già fuori.

Giungo al lavoro, le ferie autunnali sono ultimate, e anche le vacanze,se possiamo definire così il periodo descritto.
Da circa dieci anni la meta mattutina attende. Il senso di nausea è la prima sensazione. Assumo forza e contegno, salgo le scale;le gambe ad ogni gradino diventano più pesanti.
L'usciere, ritto come sempre al posto di lavoro, saluta, guardando con aria amica.
Svolto a destra e raggiungo la mia stanza: sono nella prigione di sempre!
Dieci anni della mia lunga vita sono trascorsi tra quelle anonime pareti di un anonimo palazzo in una delle vie principali della grande Milano.
Lavoro nell'ufficio statale, sono addetto all'archiviazione delle mappe catastali.
Un lavoro pieno di polvere,di noia, pieno di tutto ciò che di negativo si possa immaginare.
Qui le idee brillanti spariscono,il grigiore prende tutto:le pareti della stanza e quelle del cervello.
In questa stanza passano le ore, i giorni della mia vita; qui, muoio lentamente, inesorabilmente: un suicidio dell'anima, una lenta agonia.
Alle otto guardo l'orologio per smettere all'una e trenta quando esco con un sospiro di sollievo.
Porto addosso l'odore delle carte ingiallite,la nausea si prolunga fino al giorno dopo per non liberarmene mai.
-Cambiare lavoro.- penso.
- Se finisse gli studi per laurearmi?-
Già, vecchio ricordo questo, di circa dieci anni, il dolore cocente fa star male: solo un cretino come me può aver lasciato gli studi senza finirli.
Un esame, la tesi e sarei stato avvocato: meno grigio, più tollerante con me stesso.
E' un giorno particolare questo, il giorno della resa dei conti. Lo comprendo dal momento in cui chiamo l'Università. Prendo accordi per pagare le tasse arretrate: è giunta la riscossa.
Dopo la telefonata sono quasi felice, fischietto il solito motivo:la vie en rose.
Guardo fuori dalla finestra, il cielo sembra esistere solo per me: più luminoso e rende meno opaco il luogo di sempre.
Un'aria di festa avvolge la gente mentre cammina velocemente: tutto brilla, tutto è migliore ora che ho un piano:laurearmi!
Questa decisione mi rende felice.
Avrei baciato quelle carte ingiallite ricoperte di polvere, le avrei spolverate, ora.
Sì, penso: ordine dentro e fuori, occorre!
Con forza ed energia nuova faccio pulizia e ad ogni movimento va meglio, sono davvero invincibile. La nausea cessa, la noia è vinta ed io sorrido,ricco di buoni propositi.
Come vivevo prima? come uomo morto, inebetito, privo di talento, di aspettative.
Ora sono in pace con me stesso e con gli altri.
All'improvviso, sento il desiderio di rivedere mia madre, di comunicare a lei la mia decisione. Decido di tornare in Sicilia nel paese natio
-Quanto tempo è passato dall'ultima volta?-
Penso e ripenso…ma non ricordo.
-Due anni, forse tre?Perché non sono più andato nella vecchia casa?- forse perché il paese natio è lontanissimo da Milano;forse perché il passato mette tristezza:rivedere la vita squallida dei contadini dalla faccia rugosa e il cervello spento dalla fatica è insopportabile.
Neanche mia madre è sopportabile, così tanto accomodante, sempre pia e logora.
Oppure, non ci sono più andato perché ho voluto troncare con un passato pieno di mio padre, della sua presenza dittatoriale.
Sì,forse il motivo vero è questo: la presenza di mio padre anche dopo morto. Ero andato via come un fallito dalla Sicilia a causa sua. Lasciai gli studi per un guadagno tutto mio che permettesse di vivere senza che nessuno rinfacciasse un tozzo di pane. Non avevo mai rimpianto nulla della casa paterna, ad eccezione di mia madre che era per tutti, e soprattutto per me, una santa. Troppe volte avevo udito mio padre gridare come un forsennato per sciocchezze, esaltato dal potere familiare mentre mia madre sempre pia, sempre quieta, mai aveva risposto con la stessa medaglia.
Sembrò un colpo di fortuna all'età di ventidue anni, dopo il diploma, vincere il concorso negli uffici statali. Feci in fretta la valigia e partì per Milano: felice, vittorioso, come un padreterno, fiero di me. Potevo finalmente sputare il pane di mio padre. Vivevo da anni senza radici,senza passato ed ero scivolato nella monotonia dei giorni sempre uguali, privi di calore e di amore, solo a tratti arricchiti dal ricordo dei giorni passati.

Giungo in paese, il cuore comincia a battere sempre più forte. Quanta emozione, penso.
E perché poi?
Non sono un reduce, non un emigrante. Sono lo stesso uomo, uguale a tanti anni fa.
Piano, piano il cuore si adegua e riprende il battito normale.
Lo sguardo va ai lavoratori lungo le campagne, il freddo fa star male, eppure quella gente va al lavoro come al solito. Gente stanca, priva di vita sul volto, vita piena di preoccupazioni.
Volti smagriti, solcati dalla fatica, dalla noia chiamata rassegnazione. Mi sento un privilegiato con il lavoro in ufficio e la casetta in fitto in città. Migliore della mia gente perché il destino ha regalato una vita diversa, priva di tanto dolore.
Giungo nella stradina di sempre dove in un pianterreno abitavo con la mia famiglia.
Il cuore ricomincia a battere come un martello.
La porta della vecchia casa è stranamente chiusa: un pianoterra piccolo e pulito in un vicolo del corso principale.
Tutto è buio, la finestra chiusa, come se non vi fosse mai stata vita, mai gioia in quella casa.
Chiedo notizie ad una vicina che,
riconoscendomi, saluta con un gran sorriso.
La donna fa una smorfia di dolore, dei cenni; parla,parla ed io inebetito come un cretino non capisco, non voglio e non posso comprendere:
mia madre è morta!
I mie fratelli non mi hanno informato: non esisto per la mia famiglia neanche per il funerale di mia madre.
Il cuore tace in una morsa di gelo, è fermo per sempre.
Povera mamma, penso nel campo Santo, quanti affanni per tutti senza ricevere nulla in cambio!
Tutta la sua vita è ora in quelle quattro spoglie sotto una pietra.
L'amaro in bocca è impossibile da sopportare, gli occhi sono asciutti, privi di salate lacrime che danno sapore ad ogni dolore.
Non un gemito, non una invocazione mentre la rabbia si impadronisce di me.
Un telegramma, una telefonata…niente!
Meglio così, penso infine, meglio non avere più una famiglia.
Mi sento solo, in balia del mare in tempesta che mi annega interiormente.
Un mare nero, melmoso in cui dolori e gioie sono un pasticcio senza sapore.
Solo l'odore nauseabondo dei morti tormenta. Le mete ambiziose, di fronte a quella pietra, sembrano inezie, i dispiaceri, fino ad ora provati, inconsistenti.
Questa è la vera, grande tragedia:aver perso mia madre. L'unica persona che io abbia veramente amato.
Al di là del padre e dei fratelli, l'amore di mia madre è stata la pietra miliare su cui restare fermo,nonostante la scellerata vita fatta di idiozie.
Una dolce,cara persona che, con la sua pazienza e il buon umore, mi aveva sorretto per molti anni.
Anni di lontananza, durante i quali mi sono staccato dalle mie radici.
Cosa ho mai fatto!
Quanto dolore ho procurato!
Spasmodicamente comincio a chiamare mia madre, ad invocare il dolcissimo nome che da tanto più non pronuncio. Finalmente, si sciolgono i lacci che tengono chiusi i miei occhi e un pianto liberatorio avanza allegramente.
Qualche passante si gira a guardare: le grida tuonano nel camposanto, trafiggono l'aria, la terra, il cielo.
Nulla ho fatto per mia madre, neanche ringraziarla per quelle membra scosse dai singulti. Piango per ore; infine, sono ritemprato.
Depongo i fiori, accarezzo la tomba e lentamente mi avvio verso l'uscita.
Non sapevo di esistere così profondamente, ho sempre pensato di essere superficiale, insensibile ed invece......invece, mi ritrovo ad essere vivo, ricco di passato, di ricordi da custodire.
Ritrovo il bambino, il ragazzo, il giovane illuso e squattrinato:le scarpe in pelle lucida da mamma comprate, il cappotto da lei cucito.
In tutto ciò che era bello, c'era il tocco di mia madre: un tocco di classe, la classe di chi sa amare senza nulla chiedere in cambio.
Esco dal cimitero,il paese alto di fronte a me, un posto come un altro ormai, mi avvio verso la stazione.
Come un automa salgo sul treno, siedo ancora immerso nei ricordi, apro il giornale e comincio a leggere mentre l'oblio s'impadronisce di me, il sonno mi avvolge e il bambino di allora è accanto.

Le ginocchia sbucciate per le corse e le partite a pallone: sudato, dimentico dei compiti da fare, della maestra che dà bacchettate, corro dietro ad una palla, velocissima ed io, ancor più veloce, la stoppo, la dribblo:sono un asso! Giocare a pallone è il mio amore, oltre che fare il solletico alla Nina, la bambina che amo da quando ho quattro anni e sono già fidanzato con lei, ma non la vedo mai se non a scuola, in chiesa la guardo con fare sensuale, sono un bambino precoce. Ma il mio amore più grande è il pallone:averne uno di cuoio, che sogno!
Il sogno di tutti i bambini della mia squadra che il pomeriggio mi chiamano:"Giuseppe!" gridano:"scendi giù!"
Ed io lascio tutto: libri, colori, quaderni e corro via come un razzo! La sera, quando è buio torno a casa, pronto ad aver legnate,tanto c'è mia madre a difendermi. "Mangia pane a tradimento!!" grida mio padre mentre sfodera la cinta dai pantaloni:
"disgraziato senza cuore! il pallone vuole! te lo do io un pallone sulla faccia…...vieni qua!" Corro, giro e rigiro intorno al tavolo
sono allenato, lo faccio ogni sera.
Mio padre, infine,stanco, rinuncia:
"Sì, sì, coccolalo ne farai un rammollito, un inutile cretino!" dice, rivolgendosi a mia madre. Rimette la cinta ai pantaloni, risiede di fronte al fiasco di vino. Ed io di corsa a letto, digiuno; prima di andare a dormire mamma porta un tozzo di pane e un po' di formaggio:
"Mangia, avrai fame…li hai fatti i compiti?"dice.
Annuisco col boccone in bocca e già pregusto il dolore delle bacchettate .
L' amore pretende grossi sacrifici; lo so, e anche se sono un bambino conosco il mio sogno:diventare calciatore come Mazzola,Riva, come i più grandi, insomma. Sono disposto a tutto. Per questo, in classe, ho quella faccia di bronzo: non dico una parola, non un grido, non un lamento quando la maestra mi picchia. So quel che voglio. Anni sono passati così, finche un anno sono bocciato e da quel momento tutto cambia. Mia madre è con me ogni pomeriggio, non posso più scappare.
Sempre solo, privo di amici, perdo i sogni, divento un ragazzo amorfo, pieno di ciccia, dai bei voti a scuola che fanno sorride mio padre compiaciuto, ma che fanno di me un ragazzo infinitamente triste, umiliato, privo di sogni. Il pallone ha provocato solo guai, così anche i miei sogni. Ha ragione mio padre:cosa sono se non un cretino?


Sono seduto di fronte alla commissione: emozionato come un ragazzino ed ho superato i trentadue anni, le mani sudate, il cuore che vuole schizzare fuori dal petto.Cravatta, vestito blu, camicia celestina, tutto intonato a ciò che di più bello ho sul volto:gli occhi. Occhi spaventati, dolci, sempre un po' malinconici, occhi languidi che ora sono pieni di paura.
Entra la commissione: professori universitari sono di fronte, anche più giovani di me, più consci del proprio valore. Ottimi antagonisti pronti ad ascoltare e porre domande. Seggono, mi fissano per attimi eterni, poi il relatore introduce la mia tesi sul "Diritto societario". Le prime parole non sembrano neanche tali, l'emozione ha asciugato la bocca e non posso continuare. Poi, con una mossa improvvisa prendo il liscio e volo,come un razzo,versò ciò che amo di più:Il Diritto.
I professori guardano estasiati, ammirando la proprietà di linguaggio, la sicurezza con cui affermo e distruggo ogni tesi.
parlo per un'ora senza interruzioni, soddisfatti di questo candidato tanto perspicace, tanto in gamba. Si congratulano con me e con il relatore.
Stento a crederci:ho finito, tendo la mano a tutti e, con il mio bel centodieci, esco trionfante e vittorioso dall'aula come un abilissimo guerriero. Fuori ad attendere non c'è nessuno, eppure ho avvisato i miei parenti. Guardo meglio sulla strada, attendo: nessuno!
Scuoto le spalle, sono comunque felice, ancora niente e nessuno può cancellare la gioia, neanche l'assenza dei parenti più cari.
Lentamente mi avvio. Cara mamma- penso- se tu fossi viva,oggi saresti con me per essere fiera di questo figlio maschio tanto sbandato che finalmente ce l'ha fatta, contenta perché ho trasformato un sogno in realtà. Il pensiero della mamma mi rende ancor più sereno. Ho sconfitto il destino che voleva io fossi un inutile impiegato di un qualunque ufficio del catasto,ho sconfitto il cretino decretato da mio padre.
Da oggi la mia vita cambierà.
E' tardi? forse, ma la convinzione che non vi sia limite di tempo per costruire se stessi dà forza e sicurezza. Da lontano scorgo una macchina che strombazza e i passeggeri fanno dei cenni. Guardo meglio e riconosco i miei parenti. Non hanno dimenticato.
Corro felice verso di loro. Sono estasiati e felici; domande su domande, regali su regali.
Davvero, oggi, la mia felicità non ha confini.

Sono passati cinque anni da quel giorno,ora lavoro presso un grande studio legale; non si può dire che io sia già un avvocato di successo, però ho avuto le mie piccole soddisfazioni. Pochi clienti ma buoni:nel foro sono un asso. Non ha più paura di parlare e vado dritto al sodo, senza preamboli, senza fronzoli. Scarno, lucido, impassibile, inchiodo sempre la controparte. Sono soddisfatto; non guadagno ancora molto, ma riesco a vivacchiare. Ciò che conta, penso sovente, è lo stato d'animo e dal giorno della laurea mi sento sempre lì:in paradiso. Non so dire cosa mi procuri tanta gioia;forse, aver eliminato il cretino di sempre. Epiteto detto migliaia di volte da mio padre.
Mio padre non mi manca e quando è morto non ho sofferto più di tanto. Troppo dolore ha procurato nella mia vita di bambino, la dolcezza di mia madre mi ha salvato, grazie a lei non sono diventato handicappato. Mio padre proferiva sempre aggettivi cattivi nei miei confronti, sempre urlando mi scacciava. No, non posso amare il suo ricordo, né perdonarlo.
Un contadino dalla testa dura, pieno di sé, questo è sempre stato. Una famiglia avuta solo per caso che non ha mai suscitato in lui alcun interesse. Spesso ubriaco la sera,spesso perduto in pensieri privi di senso tra il sonno e lo stato di ebbrezza. Non ho un solo ricordo di lui che sia buono:sovente gridava con tutti, sovente picchiava tutti.
Di notte faceva alzare i figli per il gusto di vederli piegati dal pianto, dal sonno e dal freddo. Come si può rimpiangere un uomo del genere?
Un uomo snaturato, privo di sentimenti, imbruttito dal lavoro e dal vino.
Quante volte ho chiesto a mia madre di lasciarlo per venire a vivere in città con me. Tante volte, ma era sempre pronta a giustificare quella bestia,a dargli un'altra possibilità. Forse per questo ho tanto odiato mio padre, per il male fatto alla mamma.
Forse sono un mammone, ma chi non sarebbe disposto a morire per tanto amore ed a uccidere per tanta nefandezza? Mio padre, chiamarlo così fa venire il vomito, la causa di tutti i miei mali, colui che ha cancellato il mio bene prezioso: il pallone.
Grazie a lui sono diventato un ragazzo pieno di brufoli e di paure, solo perché lui era geloso dell'amore che mia madre nutriva per me. Un odiato padrone, ma non aveva vinto…non sono più il fallito decretato. Ce l'ho fatta ad uscire fuori da una vita grama. Il successo mi attende:un successo meritato. Il mio vero nemico,l'unico che mi fa ancora armare è mio padre.

Vincerò anche l'ultima battaglia, penso, mentre rivedo il bambino d'allora, sudato ed impaurito girare intorno a quel tavolo misero e tondo, intorno al quale mio padre aspetta la soddisfazione della giornata:correre dietro ad un bambino per picchiarlo a sangue, distruggendo i sogni oltre che i connotati.

Lavoro in studio associato, una ventina i giovani avvocati e tra di noi non scorre buon sangue:invidia, gelosia sono corrente elettrica,la scossa si avverte lontano un miglio.
Ma non ho più bisogno di amici, è finito il tempo delle lunghe chiacchierate,degli sfoghi infantili.
il mio obiettivo è avere successo velocemente, perché di tempo ne ho perso a iosa.
Come tutti i giorni, anche oggi prendo l'ascensore del grattacielo e al decimo piano si apre il luogo della riscossa.
Dopo un ampio atrio, destinato alle segretarie e ai clienti, un lungo corridoio conduce alle camere su due piani interni.
La mia stanza non è molto ampia,ma ben arredata: la bella scrivania troneggia al centro, a destra una stupenda libreria intarsiata in stile antico mentre a sinistra un divano in vera pelle. Di fronte alla scrivania, una finestra che da direttamente sul cielo.
Mi siedo sulla poltrona girevole e sono un padreterno come tutti i giorni. Accendo una sigaretta mentre aumenta l' onnipotenza.
Bussano alla porta:
"Avanti" -dico-
La segretaria annuncia che l'avvocato generale desidera vedermi. In un baleno mille pensieri attraversano la mente:mandarmi via, promuovermi, ricevere un incarico più difficile del solito?Pensieri turbinano nel cervello,
cozzano tra loro, mentre il fumo della sigaretta annebbia la vista.
Se avessi commesso degli errori e fossi licenziato?Se qualche collega ha spifferato cose inesistenti sul mio conto ?
Non riesco a lasciare la sedia:il mio mondo sta crollando!
Spengo la sigaretta, mi do un contegno.
Difenderò la mia posizione con i denti, per nulla al mondo rinuncerò alla piccola, ma buona posizione.
Combatterò fieramente anche con colpi bassi, mettendo in cattiva luce tutti gli altri, ma da quella sedia, da quella scrivania tanto agognata non mi sarei mosso.
Timoroso, ma risoluto, mi avvio verso la stanza dell'avvocato generale.
L'ufficio è uno schianto, inutile descriverlo, si può facilmente immaginare.
In questa stanza avverto tutta la pochezza di ciò che ho conquistato, della strada ancora da fare. L'avvocato Casentini è un uomo sui sessanta, calvo soprattutto, non bello né brillante, come abbia fatto a conquistare il suo regno resta per tutti un mistero.
E' un uomo di poche parole, nonostante la sua professione, schivo della gente, freddo in genere. Di lui non si sa molto, ad eccezione del fatto che sia ricchissimo, tanto ricco da aver creato uno studio legale che va per la maggiore nella Milano bene. Pare che la ricchezza dell'avvocato capo sia frutto della dote portata dalla moglie anni addietro all'atto delle nozze; un matrimonio di interesse forse, ma sterile, infatti il capo non ha figli, eredi del suo enorme capitale.
Eppure, quell'uomo, freddo con tutti, prova per me una istintiva simpatia, tanto che sono stato accolto nello studio senza alcuna
raccomandazione; L'avvocato generale era rimasto incantato dal mio modo di parlare: fiero, intelligente e aveva puntato su di me come su di un cavallo vincente.
"Prego, Salvati, si accomodi, devo parlarle.
Ho stima di lei, sa,dico davvero. In questi due anni l'ho osservata,ho controllato le schede dei suoi clienti, la sua precisione è segno di grande valore".
Finalmente,un calore scende lungo la mia schiena,il sorriso è sulle labbra, sto ricevendo dei complimenti e torno ad essere tranquillo.
"Voglio assegnarle un incarico di fiducia che valorizzerà appieno le sue doti, qualcosa che deve restare tra noi almeno per ora."
Parla per ore, spiegando tutto:cosa fare e cosa mai avrei dovuto. Elenca i compiti fissati, la partenza necessaria; infine stringe la mano e saluta con un sorriso d'intesa.
Esco dalla stanza stordito, frastornato:che
fare? Dove andare?
in bagno prima di tutto.
Qui finalmente mi rilasso. Comprendo che è arrivato il momento tanto aspettato, agognato. Abbottono i pantaloni, lavo le mani ed esco dal bagno.
Entro nella mia stanza prendo le mie cose.
Vado a casa, preparo in fretta la valigia e con un taxi corro all'aeroporto per acciuffare il primo volo per Filadelfia.
L'america attende: terra di sogni, di illusioni, di emigranti. Terra amata da chi vuole cambiare il proprio destino. Anch'io sono su quello aereo…anche io voglio L'america!!
La sento dentro di me in tutta la sua grandezza, maestosità moderna, priva di fronzoli e sentimentalismi.
Infine, sono in balia del panico, vorrei non fare lo sciocco, ma le gambe tremano, lo stomaco vuole venir su ed il cuore comincia a tamburellare.
-Stai calmo!- penso- stai calmo, non vai in guerra!-
Ricordo il primo giorno di scuola, la comunione, gli esami di Stato, la seduta di laurea. I momenti in cui sarei voluto scappare ed invece ho dovuto lottare.
A Filadelfia il mondo degli affari aspetta, occorre tutto il mio coraggio.
Per fortuna conosco bene l'inglese e posso districarmi nell'oscurità dell'ignoto.
Prendo un taxi per andare in uno degli alberghi più in vista della città.
Faccio varie telefonate; infine,ricevo l'appuntamento sospirato.
Ora posso stare tranquillo fino a domani. Chiudo gli occhi e riposo sulla poltrona,
il sonno avanza mentre una pietra mi opprime, tento con tutto me stesso di non essere schiacciato. Urlo,ma non un suono esce dalla mie labbra. Rivoli di sudore imperniano la fronte;il senso di soffocamento stordisce, non riesco a muovere le povere membra.
Poi, infine, sobbalzo, urlo, cado dalla poltrona e sono a terra. Ormai desto, comprendo di essere in una camera d'albergo a Filadelfia.
-Cretino!-penso.
Il solito vecchio cretino, impaurito, atterrito. Mi alzo, corro in bagno e vomito anche l'anima.
Forse non ho sopportato il volo, o forse infinitamente grande la responsabilità:
- Se fallissi la missione? -A questa ipotesi non sono più sereno, tutto denota in me debolezza, insicurezza: sono ancora figlio di quel contadino.
Il ricordo di mio padre fa tornare la forza di un leone. Disfo la valigia e preparo l'abito per il giorno dopo.
Eleganza, penso,eleganza occorre!
Chiamo la reception e ordino un leggero pasto, accendo il televisore e trascorro così il resto della serata, dando di tanto in tanto uno sguardo alle carte.
E' ormai buio spengo la luce e a letto
penso che tutto in me sia passeggero, nulla di eterno, nulla di definito. Infine,il sonno mi avvolge e una donna è con me. Una donna sconosciuta, bellissima, mai vista, mi stringe tra le braccia,mi bacia ed è tutto il mondo desiderato, tutto ciò che non ho mai avuto: l'amore. Al risveglio mi meraviglio che lei non ci sia, dispiaciuto, mi desto definitivamente.
Giungo alla multinazionale, chiedo le giuste informazioni, prendo l'ascensore e salgo al ventesimo piano. Una delle segretarie mi introduce nella sala dove vi sono i manager delle altre compagnie.
La vedo subito:alta, bionda, non molto formosa,dal sorriso incantevole:è lei la donna sognata, in carne ed ossa di fronte a me.
Il cuore prende a battere più forte.
Le sono vicino, dimenticando il resto dei convenuti, sorrido, tendo la mano e mi presento.
Il sorriso della donna è disarmante, parla un ottimo inglese;in realtà, anche lei è italiana, rappresenta una società torinese.
Successivamente non ho più tempo per osservarla, la riunione prende un ritmo veloce, ritmo al quale devo immediatamente abituarmi: ascolto, medito, intervengo. Un orgoglio ben più profondo avanza: fare bella figura davanti a lei, la donna da poco conosciuta, la donna dei miei sogni. Come un ragazzino voglio essere in bella mostra.
Parlo lungamente della mia compagnia, del progetto di creare una filiale a Filadelfia, del prezzo ottimo delle azioni.I convenuti, in breve tempo, sono estasiati.
Quando giunge il momento della firma, non credo ai miei occhi:tutti, ma proprio tutti,sono stati catturati e vogliono entrare nel business, affascinati dalla proposta che sembra vantaggiosa per tutti.
Dopo la firma del contratto, col quale cedo metà delle azioni a compagnie estere, griderei di gioia se potessi, bacerei la biondina se fosse opportuno.
Sono in Paradiso: ce l'ho fatta…
come è stato possibile?
Non indago oltre, non voglio perdere di vista Gloria,la splendida creatura.
La blocco in modo brusco, la invito a cena. Lei sorride come sempre e lascia il suo numero telefonico.
Il resto lo vivo in apnea:i saluti, gli accordi, tutto passa in secondo ordine.
La mia mente è ancora con Gloria, il mio corpo freme all'idea del prossimo incontro.
Non sono un don Giovanni e non mi innamoro facilmente. Specie nell'ultimo periodo ho vissuto per gli studi e per il lavoro. L'unica donna sempre presente è mia madre. Ora sembra lontana, un ricordo dolce e privo di consistenza,Gloria prende tutto il mio cuore. Il passato diventa nebuloso e inutile,mentre avanza la donna dei miei sogni che a Filadelfia ha assunto sembianze umane. Esco,l'aria rigida mi desta da quello stato di torpore; prendo l'ennesimo taxi e qui riposo. Penso ai colleghi di Milano, alla loro invida e sorrido. E' fatta. Torno con il successo in tasca: l'America non ha deluso, anzi in un sol colpo ha dato amore e fortuna.


Sei mesi dopo sono in chiesa, non so come sia successo, mille dubbi attanagliano il cuore:
sposarsi a quarant'anni dopo solo sei mesi! Non credo ai miei occhi, sembra una buffonata! Il direttore in prima fila e i colleghi sorridono contenti, estasiati della mia scelta.
Gloria è bellissima, dolce, anche molto ricca, ma sono perplesso, inadatto, nervoso, agitato, pronto alla fuga. Non sono tante le volte in cui sono entrato in Chiesa dopo la Cresima e provo un senso di estraneità, di inadeguatezza.
Alcuni amici si avvicinano, fanno gli auguri e sono tutti in attesa della sposa che dopo un po' fa il suo ingresso: raggiante come tutte le spose, con il più bel vestito del secolo e si dirige verso di me, sicura, fiduciosa.
Come fuggire, correre via da quel posto tanto sacro? Mi avvio pallidissimo, a due passi dallo svenimento. Più sono vicino alla sposa e più aumenta il terrore.
Perché sono tanto terrorizzato? Sono stato io a proporre il matrimonio, proprio io ad insistere. Ora non posso fare altro: superare le sciocche paure ed andarle incontro.
Le gambe non vogliono muoversi, un tremore visibile aumenta e diviene insostenibile.
Per mia fortuna la sposa giunge vicino, lascia il padre per farsi guidare da me verso l'altare.
Di fronte a Dio, sono più sicuro, un po' più calmo e siedo quando il prete inizia la predica che sembra rivolta a me, ai miei dubbi: la sicurezza, la certezza dell'amore sono la chiave di lettura. Amo veramente Gloria, oppure sono infatuato di lei?Sarò disposto ad essere un padre esemplare?Le parole del sacerdote suscitano mille interrogativi: tardi per porli.
Alla domanda fatidica rispondo come un automa -Sì-.
E' fatta, meglio non pensarci più!
Il senso di nausea aumenta, le responsabilità immaginate fanno scoppiare il cervello ho voglia di urlare: cosa ho fatto!
Ma non posso, nulla posso se non camminare e sorridere mentre mi dirigo verso l'uscita.
Un pugno di riso in faccia mi riporta alla realtà. Stringo Gloria, non sono più scapolo, ma un uomo sposato, pronto al tradimento, alle scappatelle, pronto ad evitare le responsabilità, a vedere la moglie come fiore appassito. Il senso di nausea riprende, stordisce mentre ringrazio tutti e sorrido.
In macchina non sono più solo.
Mia moglie sarà sempre accanto come una palla al piede. Sono prigioniero, triste, lo stesso, identico cretino di sempre.


Da giorni sono ombroso, permaloso, la gioia per il lavoro e per l'amore sono svaniti: effetto negativo del matrimonio.
Poter tornare indietro, volare via da quella gabbia dorata!
Ma non posso, non resta che proseguire su questa strada.
La mattina mi sveglio controvoglia, sono sempre di malumore; come inebetito giro e rigiro lo zucchero nel caffé. Soglio sostare in bagno più del necessario per non parlare con Gloria, per non baciarla; in fretta prendo le scale e via. Anche il lavoro è divenuto monotono, privo di stimoli, mi chiudo nella mia stanza per non avere contatti con chicchessia.
Non sono più ambizioso,niente entusiasma
Tutto da rifare, penso:dove scappare e con chi? Non c'è un volto amico, simpatico, non sono attratto più di tanto da nessuno, nessuno ispira fiducia.
A volte il cervello sembra schizzare via, preferirei essere una cosa inanimata, immobile, priva di desideri.
A volte, i rimpianti riempiono il cuore anche se per poco: il pallone, l'amore per Rita.
Penso di telefonarle, di rivederla, forse anche lei ha dei problemi con Gaetano. Ma cosa dirle, in fondo non ho problemi con Gloria, perfetta padrona di casa, donna tranquilla, incredibilmente dolce e bella. Perché mai la odio tanto?Perché mai se proprio io le ha fatto la corte affinché si innamorasse perdutamente di me?
Non riesco ad analizzare più di tanto i miei stati d'animo. E' così e basta.
Ma al lavoro non sono più lo stesso, devo riprendere il giro degli affari, non limitarmi ai successi ottenuti. Anche questi pensieri,però, non hanno alcun effetto, non smuovono la mia posizione. Non me ne frega niente!Questa la verità. Non ci sono attenuanti, motivazioni che possano, in qualche modo, scusarmi.
Sono immerso nei miei pensieri quando la segretaria annuncia che c'è una visita.
Ascolto in modo superficiale, senza un vero interesse. Gloria entra e

resto di sasso: bella, dolce, divina come sempre.. con un segreto negli occhi, un segreto di pochi attimi,mentre con lacrime di gioia, confessa di aspettare un bambino.
Mi alzo, la bacio, fingo una gran gioia
"Sono felicissimo, cara!" dico.

Lacrime scendono dai miei occhi senza ritegno, finché i singhiozzi non si trasformano in urla di dolore.
Io, padre! Quale padre potrò mai essere se non sono neanche uomo?
Sono un bambino impaurito:una fragile foglia mossa dall'uragano della vita. Sono inadatto, sbagliato, avverto con dolore che non sarò mai padre.
Decido di andare da uno psicoanalista, è doveroso per il figlio che nascerà.
Non posso continuare così. Dopo questa decisione va già meglio:più affettuoso, più sereno, più dolce; Gloria appare più bella, più mia moglie.
In fondo, ho una bella casa,una moglie perfetta e ora…. ora sarei diventato padre.
Ah!! mai come mio padre!!
Avrei fatto di tutto per essere un padre migliore! Fisso un appuntamento con la psichiatra più in vista della città.
Mi stendo sul lettino e inizio il racconto della mia vita: parlare, per la prima volta in assoluto, parlare ad un altro che non sia me stesso.
Narro fatti reconditi che appartengono ad un passato, slegato in apparenza dal mio presente. Tutto come in un film:mia madre, mio padre, il bambino d'allora, i sogni, le gelosie, gli antagonismi.
Racconto tutto, mi vuoto come un sacco. Quando non ho altro da raccontare, resto in silenzio, soddisfatto di aver vomitato tutto.
Incredibile, la mia vita è tutta in due ore di racconto, non posso crederci: tutto ciò che ha creato del male è un' inezia: piccola minuscola parte di un breve racconto.
Una vita come tante penso e mi vergogno di aver chiesto aiuto per vivere una vita così insignificante. Vorrei andar via, ma non posso; il direttore dei miei pensieri è la psichiatra: una donna, Donatella, che guarda rapita con occhi che brillano di una luce intensa. La luce di chi conosce il mondo e la gente, luce di quelli che diventano santi.
La donna guarda dolcemente:
"Si tranquillizzi, lei non ha nulla, solo una gran paura; alla paura della moglie si aggiunge quella del figlio. Tutti ne abbiamo, lei non è un caso nuovo, anzi il più vecchio del mondo. Ha paura di vivere, di assumersi le sue responsabilità. Odia i legami perché ha odiato suo padre. Vorrebbe ancora rifugiarsi in sua madre, ma la morte di lei ha provocato una frattura con il mondo esterno ed è costretto a vivere solo interiormente."
-Accidenti, se è brava!- penso mentre l'ascolto rapito, incantato, potrei

amarla,se fosse possibile, se l'avessi conosciuta in un'altra circostanza.
"Cosa mi consiglia ?"chiedo con umiltà.
"Faccia di sua moglie la sua nuova mamma, la persona a cui confidare tutto.
Molti uomini lo fanno, non sarebbe il primo caso, e se non vuole: cresca, diventi davvero adulto, si assuma le sue responsabilità, lo faccia per suo figlio".
Così, semplicemente,sono inchiodato di fronte alla realtà che rifiuto da anni, da quando, lasciata la casa paterna e gli studi, mi sono trasferito a Milano per lavorare.
Per anni ho vagato alla ricerca di me stesso ed ora devo ricominciare. Mi alzo dal lettino, mi vergogno di esserci, chino il capo e tendo la mano alla donna che per poco si è interessata a me.
"Venga quando vuole", dice Donatella e sorride
"Mi creda, è sanissimo, una tiratina di orecchie e via, lei è forte come un leone.. auguri!"
Sono davvero sollevato:fischio mentre scendo le scale,sorrido in strada e penso di comprare qualcosa per il bambino. Entro in un negozio, poi indietreggio. No, penso, non è giusto agire da solo, è necessaria la presenza di Gloria:è giusto scegliere con lei, andrò a casa e le farò una sorpresa.
Ho il cuore contento, di corsa salgo le scale della villa e odo una dolce musica provenire dalla stanza da letto: povera Gloria,quanto l'ho trascurata!
Un'ansia inspiegabile attraversa la mente, il cuore, il corpo; di colpo ho paura di perderla; apro la porta della camera da letto e resto di sasso, inebetito:Gaetano è sul letto e tra le braccia stringe mia moglie: fa l'amore con lei.
La morte è ben poca cosa, il gelo mi avvolge tutto.
Resto fermo, impietrito, contrito…sempre lui: Gaetano!!
Questa volta non ci vedo più: lo afferro per la schiena, lo rivolto contro di me, gli sferro un pugno violento, non tanto per Gloria,quanto per Rita.
Finalmente!!
Mi sente sollevato:"esci fuori!"grido come un forsennato.
Raccolgo le sue poche cose, gliele sbatto sul muso dolorante, gli sferro una pedata sul sedere e lo scaravento fuori dalla porta.
Poi, guardo lei, sono accecato dall'ira.

"Come hai potuto?!"esplodo.
Ma in quell'attimo ricordo i miei silenzi, il costante malumore ed ho compassione di quella donna che ha sbagliato marito.
Gloria non è felice, si è accorta da tempo che non l'amo. Spesso la notte singhiozza tra le lenzuola,non recrimina. Come posso darle torto se è arrivata al tradimento per farsi consolare?
Gloria è impaurita. La guardo,il mio volto è privo di espressione, impietrito.
Anche Gloria non si muove, vorrebbe urlare, ma qualcosa la trattiene ed è il dolore che vede in fondo ai miei occhi.
Gloria mi ama ancora, forse come il primo giorno, ma Gaetano è stato molto dolce, capace di farle dimenticare quanto sia infelice il suo amore.
Infine mi volto ed esco dalla stanza, ormai le do le spalle, vado via da quella casa in cui nessuno dei due è stato felice.
Torna dalla psichiatra.
Donatella apre la porta, mi butto tra le sue braccia e qui piango come un bambino.
Preso da un raptus la bacio dovunque come un uomo perduto.
Sul divano la faccio mia con rabbia, con amore: cancello tutto, proprio tutto dalla mia povera mente. Non so chi io sia e cosa voglio da Donatella, ma in questo momento lei è tutto il mio mondo.
Il mondo sempre desiderato: caldo, dolce, ovattato dall'amore che solo una madre sa dare.


SECONDA PARTE




La vita è un tradimento, un martirio lento privo di senso, un affanno senza meta.
Anime nel mondo in cerca di pace, di amore… Penso a tutto questo nei giorni seguenti nell'appartamentino in cui ormai vivo da circa un mese o meglio, vegeto. Una forte depressione si impadronisce di me, per l'inedia trascorro ore a letto: senza mangiare, senza mai uscire. Il lavoro va a rotoli, la mia vita, il futuro. Perché mi chiedo e soprattutto il figlio di chi è?
Domande senza risposta, domande che confondono la mente, domande inutili.
Vorrei morire per davvero, mollare tutto, ma proprio tutto, specie me stesso.
Cretino!
Un imbecille sono stato a fidarmi!
Come ho potuto "affidare la mia vita ad un cappello".
Questo ho fatto: affidare la mia vita, sicuro ormai di aver raggiunto il traguardo: una bella casa, una bella moglie, un buon lavoro.
Invece,ora, sono un bambino pronto a piangere, solo l'orgoglio lo impedisce.
" No, la mia sofferenza mai".
Tra l'altro, molto sicuramente, non amo affatto Gloria, non mi sono mai abituato alla sua presenza. Non sento la sua mancanza,
la trascuravo, non la sopportavo.
No, il mio non è stato un vero matrimonio.
E il figlio, il figlio di chi è?
Questo pensiero a tratti tormenta; come avere la certezza che il bambino sia mio figlio?
E in fondo il bambino quale colpa ha!
Dovrà essere mio figlio, anche se potrebbe non esserlo. Lo amerò come se davvero lo sia.
Il ricordo di mio padre rende ancor più vera questa possibilità:essere un

padre diverso dal mio. Il dolore e l'odio per mio padre si mescolano al dolore del tradimento, al dolore della mamma morta e finalmente piango, invoco aiuto, misericordia, penso a Dio.
Stranamente,dopo anni, c'è la possibilità di affidarsi a lui
Mi aggrappo a quest'idea con tutto me stesso; trovo in Dio la forza di bloccare il pianto.
Una forza nuova e una grande pace avanzano: qualcuno più grande e più forte è con me.
Infine mi alzo dal letto, mi sento debole, fragile: canna al vento sospinta dal vortice della vita. Sono consapevole che il male, quello vero, è dentro di me, desidero annientarlo per ricostruirmi.
Lo devo soprattutto a mio figlio: spiraglio di luce nel buio dell' anima mia.
Telefono a Donatella, spero di rintracciarla.
Sono immensamente felice quando proprio lei risponde. Fisso un appuntamento per parlarle
Cerco di essere possibilmente meno patetico,di avere un'aria più sicura. Mentre mi vesto, d'un tratto ricordo di aver fatto l'amore con la psichiatra, di averla amata quel giorno di un amore aggressivo e pieno di dolore.
Sono sbalordito: avevo dimenticato l'episodio! Penso di comprarle dei fiori, di fare un piccolo gesto. Basterà?Penso di scrivere due righe per scusarmi. Infine, decido di non fare nulla, di non parlare dell'accaduto;credo sia la soluzione migliore, quella più giusta.
Dopo dieci giorni, durante i quali non ho voluto sentire e vedere nessuno, esco da casa
Per recarmi allo studio di Donatella.
Avverto le gambe tremare, il corpo vacillare.
-Stai calmo!- mi dico -stai tranquillo!- Ma le gambe sono sempre più deboli, il senso di paura è incontrollabile, aumenta ad ogni passo. Temo di cadere e mi fermo:mi appoggio ad un muro per riflettere: non so di cosa ho veramente bisogno, cosa manca alla mia esistenza.
Non ho la libertà, quella di cui si parla e non si conosce. Ho speso gli ultimi cinque anni della vita per arrivare, ma dove sono giunto?!
Cosa è veramente importante nella mia vita? Con più forza torna il pensiero di Dio, entra nel cuore e consola l'anima affranta.
Morire: questo desidero.

Il cielo è grigio, indifferente, non sono parte del creato. Ho voglia di tornare a casa,sono a due passi dalla rinuncia.
Chi è Donatella, cosa in realtà conosce di me?
Niente.
Una fitta al cuore mi fa proseguire, il desiderio di poter donare ciò che non ho avuto dalla vita:Il calore e l'affetto di un padre.
Donatella attende, ha un sorriso dolcissimo.
Probabilmente ha gradito quanto c'è stato tra noi. Mi fa accomodare in un salottino in modo appartato ed informale.
Offre del caffé e siede vicinissima, pronta ad ascoltare.
Non riesco a parlare, un corpo estraneo nella gola impedisce di emettere suoni. Vorrei intavolare un discorso, uno qualunque, ma non vi sono pensieri nella mia mente: solo un grande vuoto.
La guardo: è bella, occhi neri, capelli lisci e lunghi,esile, dalla carnagione bruna.
Anche ora farei l'amore con lei.
Mi do un contegno, sorseggio lentamente il caffé, racconto brevemente l'accaduto.
Appaio timido, impacciato, narro senza slancio, privo di rabbia e di passione come un uomo privo di vita, senza anima e senza sentimenti.
Infine, le lacrime bagnano il volto per finire sulle gambe di lei e qui piango a dirotto.
Donatella consola il mio cuore affranto,
proferisce parole dolci che non apprezzo perché sono stato un debole, un vigliacco privo di amor proprio. Cerco di assumere un contegno ed esterno il dubbio circa la paternità. "Voglio questo bambino, fosse anche di Gaetano, non importa. Un bambino non si può abbandonare per nulla al mondo." dico con veemenza. Donatella mi rassicura, in qualità di avvocato avrò i mezzi i mezzi per lottare.
Strano, non avevo pensato che proprio io potrò difendere me stesso. Non dovrò raccontare a nessun altro la mia vergogna, posso fare causa a mia moglie, chiederò al giudice la tutela del bambino.

Rinasce il sorriso sulle mie labbra, come l'arcobaleno dopo il temporale, e bacio con slancio Donatella che ricambia volentieri.
Prendo accordi per la sera seguente,la invito a cena fuori e lei accetta di buon grado.
Vado in ufficio,sono stato assente per diversi giorni e temo i rimproveri dal capo; infatti, ho lasciato in sospeso molti clienti.
Sono preoccupato, conscio del mio valore e del peso che ho nello studio.
L'avvocato Casentini non ha il volto irato e guarda con comprensione.
Mi fa accomodare, offre un drink e senza preamboli va dritto al sodo.
Sono atteso in Australia:a Sidney incontrerò i membri di una nascente società che cerca nuovi acquirenti.
Devo agire per conto e per nome di alcuni fidati clienti: comprare le azioni al prezzo più conveniente.
Orgoglioso di me lascio lo studio tra gli sguardi increduli dei colleghi. L'invidia e la gelosia sono pugnalate alle spalle.
Sono ormai indifferente agli sguardi, ai falsi amici; solo un pensiero è vivo nella mia mente: mio figlio, per lui ogni sforzo, anche quello di vivere e lavorare senza più interesse.
Prima di partire mi reco da Gloria per definire la situazione.
Torno a casa, dopo dieci giorni di assenza.
Apro con le chiavi l'ingresso della villa,salgo al pano superiore. Gloria sta leggendo una rivista: tranquilla,pacifica come se nulla fosse accaduto. Non si muove, non smette di leggere, non saluta, decide di fare l'indifferente.
Così va la vita, penso: chi tradisce è sempre tranquillo e chi è tradito muore di rabbia.
Bene, meglio così, sarà più facile e più semplice lasciarla definitivamente.
"Di chi è il figlio?"chiedo con voce tranquilla, senza far trapelare l'agitazione.
"Di Gaetano" risponde Gloria mentre continua a sfogliare la rivista.
Accecato dall'ira,con un colpo di mano le faccio cadere quel maledetto giornale, simbolo di stupidità.
"Il figlio è mio per tutti: per la legge e per me. Dopo il parto, me lo darai come risarcimento. Sono stato chiaro?"
Gloria vorrebbe urlare, ma non lo fa, pensa sia meglio agire di astuzia per evitare brutte scenate, anche perché conosce il tipo e sa che sto facendo un grande sforzo per controllarmi.

Meglio- infine risponde- mi togli il fastidio di crescerlo, avrò comunque il diritto di vederlo sempre, non ti pare?"
"Quando vorrai,naturalmente."
-Possibile sia stato tanto facile raggiungere lo scopo?-Non voglio indagare oltre, bastano per ora le sue dichiarazioni. Le faccio firmare una carta in cui dichiariamo le condizioni della separazione ed esco di casa, lascio le chiavi, prendo la macchina e volo via. Finalmente libero, lontano da quella donna che ora appare più stupida che mai. Strada facendo ripenso alla conversazione avuta, qualcosa non quadra:possibile che una madre rinunci al proprio figlio? Possibile che Gloria sia tanto snaturata da essere incapace d'amare ?
La faccenda non convince. Probabilmente, ad una ricca borghese, come Gloria, è comodo far pensare che il bambino sia figlio mio.
Ripenso mille volte a questa ipotesi che sembra la più giusta. Divorziare! Mai avrei voluto accadesse, ma non ho alternativa.
Tutto mi è mancato da bambino tranne una madre pronta a consolare, ad aiutare ad amare. Mio figlio, quale madre avrà?
Una donna in carriera, mai in casa, una donna ambiziosa. Ripenso alla mia dolce madre, all'affetto ricevuto, alle premurose coccole; avverto un grande dolore al pensiero che non ci sia più da diversi anni che non posso più andare da lei per raccontare i miei affanni.

Sull'aereo sonnecchio un po', da giorni non chiudo occhio. Mi sveglio di soprassalto: Donatella!!
Ho dimenticato di avvisare che sarei mancato all'appuntamento.
Un pugno nello stomaco, guardo l'ora è ormai tardi ,l'ho bidonata.
Che cane sono stato; possibile che io sia diventato tanto insensibile?
Sono ansioso di scendere dall'aereo per telefonare e chiederle scusa. Ripenso al suo volto candido, al suo sorriso, agli occhi neri, intensi, intelligenti: Donatella capirà.
Chissà cosa prova?E' innamorata? Possibile che in così poco tempo si sia invaghita?
Non indago oltre oltre, tra l'altro non è importante: al momento, è l'unica persona che suscita un vero interesse, con la quale non sono un'inutile cosa morta.
Tutto ruota intorno: la moglie, Gaetano, il lavoro e il futuro. Un calderone di fatti, e persone che non hanno alcun valore, tranne mio figlio. Sarò un buon padre, lo amerò,lo condurrò all'asilo, alle partite di pallone, ne farò un gran giocatore.
Sto correndo un po' troppo, mi rilasso, ormai sono giunto.
Prendo un taxi, vado in albergo e qui, finalmente per molte ore dormo come bimbo indifeso.
Dormo dodici ore di seguito, senza sogni, paure,un sonno quieto e tranquillo.
Al risveglio sono ristorato, risanato: ma sì, chi se ne frega, penso appena sveglio:non ho mai amato mia moglie, chissà perché l'ho sposata, forse per essere completo, per avere una famiglia, forse per la sua ricchezza o bellezza. Ripenso a tutto questo mentre faccio la doccia, mentre faccio la barba e mentre sorseggio il caffé. All'improvviso, ripenso a Donatella. La chiamo e parlo lungamente con lei, a tratti ascolto, a tratti sorrido, a tratti sono felice.
Per le strade sconosciute di Sidney cammino come se non abbia nulla da fare, come se la vita non mi appartenga. Sono un essere inutile, privo di amore vero. I sogni dove sono finiti? non ne ho più in realtà, da tanto tempo li ho deposti in un cassetto e sono ormai pieni di polvere, cose morte tra le tante. Poter cambiare, saper dirigere i miei passi, trovare qualcuno in cui davvero avere fede.
Ancora il pensiero va a Dio,un pensiero forte come non mai.
Alzo gli occhi al cielo, un cielo grigio, ombroso, un cielo sconosciuto:

mondo di anime e di misteri incomprensibili.
Sono piccola cosa: goccia d'acqua in un oceano a volte calmo, a volte burrascoso.
Infine giungo, faccio fatica a pensare che dovrò combattere per comprare il maggior numero di azioni, che dovrò essere il migliore, sbalordire come sempre. Chi è l'uomo sconosciuto che vive dentro di me? chi è Giuseppe se non un losco individuo pronto a speculare?
Salgo in ascensore, entro nello studio principale, dove si terrà l'incontro.
Dopo i convenevoli, siedo e guardo i miei avversari: gente avida, priva di scrupoli, come me del resto.
Sento di essere venuto inutilmente, per non di meno ora ci sono e sono pronto alla sfida. Prendo la parola e parlo lungamente, un'ora di lucidità addirittura esasperata; parlo velocemente, tessendo le lodi della mia compagnia, da manager convinto, da uomo dell'alta finanza.
Quando termino, il suono caldo e melodioso della mia voce è ancora nell'aria. Ho fatto centro: riesco ad acquistare il trentacinque per cento delle azioni ad un costo bassissimo. Molti si complimentano con me, altri stringono la mano, ma io sto male, ho voglia di vomitare su me stesso, sul mio talento. Sono nel posto sbagliato, lo sento con certezza ora. Che razza di avvocato sono? Chi ho difeso fino ad ora? Gente avida, pronta a comparare la pelle altrui.
Sono in preda ad una crisi totale. Ho voglia di non essere in questo posto, di andar via, di buttare tutto all'aria non solo me stesso.
Chi sono se non un burattino nelle mani di gente spietata? Sono preda di una crisi di coscienza sì forte da tremare se qualcuno si avvicina. Non sopporto le voci, il frastuono, l'allegria,i discorsi futili, ho voglia di correre lontano. Senza dare nell'occhio, vado via.
L'aria frizzante e la terra rossa mi accolgono; terra sconosciuta che mi fa sentire un essere nuovo, di fronte a quel cielo privo di colori. Respiro profondamente e scaccio le ultime sensazioni devastanti per un organismo già debilitato. Torno in albergo, tutto duole: il corpo, il cuore, la mente. Preparo la valigia mentre il tremore aumenta e strani pensieri attraversavano la mente. Sono smarrito,
incapace di controllo, le mani tremano mentre sistemo la biancheria in valigia. Infine, pallidissimo, esco. Torno a Milano:un uomo nuovo sta avanzando.


All'aeroporto dopo alcune ore posso stare tranquillo.
Cosa fare?Dare le dimissioni innanzitutto, prendere la liquidazione e ricominciare tutto daccapo. Non riesco a capire cosa stia accadendo, cosa c'è di nuovo, di diverso.
In passato non ho mai avuto scrupoli, quando concludevo le transazioni ero sempre orgoglioso; invece, ora ho la sensazione di essere un fallito.
Avverto nell' animo un cambiamento, ma non riesco a dare nome a ciò che provo; infine, cado in uno stato tra il sonno e la veglia. Un vortice luminoso avanza, una luce inaspettata mi illumina. Si tratta di un evento straordinario,ma la mia razionalità rigetta questa idea e penso si tratti di un disturbo nervoso. Ma nell'intimo so che non è così, qualcosa di nuovo e sconosciuto mi conduce dove per anni non sono più entrato.
Giungo in Italia scendo dall'aereo e ancora avverto quello strano tremore: la mente persa nel ricordo di quella luce. Sono finalmente a casa, libero dall'oppressione di quei giorni, posso riposare.
Sogno mia madre, candida come sempre, mi sorregge in un ambiente ovattato dal silenzio e guida verso un monte altissimo e illuminato. All'alba sono già sveglio, sto malissimo e decido di raggiungere Donatella al più presto. Mi alzo, preparo le mie cose mentre la mente vacilla e il tremore riprende.
Credo che Donatella sia l'unica persona che possa dare aiuto, mi aggrappo a lei con tutto me stesso.
Vado prima in ufficio, non vedo nessuno, né i colleghi né la loro invidia, raggiungo l'avvocato Casentini.
Parlo senza interruzioni come un allucinato in preda ad una crisi senza nome, senza volto. Parlo per un'ora e non so quello che dico.
"Va bene, come vuoi" risponde l'avvocato Casentini " Vorrei,però,che prendessi un po' di tempo per riflettere" aggiunge,non volendo perdere un così valente collaboratore.
Gioco d'astuzia e dico:"ci penserò".
Volo via senza rammarico.
L'ufficio è diventato un luogo da evitare.


Non so dove andare, cosa fare, ma conosco bene ciò che abbandono. Il mondo degli affari, il facile guadagno non mi interessano più.
Forse sono il cretino di sempre, l'uomo pronto ad abbandonare ciò che ha costruito per ricominciare.
Ma so che d'ora in poi non sarò più solo.
Quella luce intravista invita a muoversi in altra direzione con nuova forza, forza che per ora non ho. Ripenso a Donatella,appare un angelo in quel frangente, pronta a dare il suo sostegno. Appare l'unica persona veramente amica, capace di dare aiuto.
Mi dirigo verso lei; guido per le strade del centro, evitando molteplici incidenti, finalmente giungo.
Donatella apre la porta e svengo.


Donatella manda via gli ultimi clienti e si prende cura di me. Poggia un cuscino sotto la testa, copre il mio corpo con una leggera coperta. Non sa se chiamare l'ambulanza o sperare in un miglioramento.
Decide di attendere: asciuga il sudore,parla dolcemente, cerca di tranquillizzare la mente, l'anima.
Comprende che non si tratta di un malore, ma di uno stato psicotico.
Per un po' di tempo resto solo, ma la situazione è identica, anzi peggiora.Ho gli occhi chiusi,il respiro affannoso, accaldato prima,di ghiaccio dopo. Deglutisco avidamente come un assetato quando Donatela porge dell'acqua.
Durante la notte avverto un temporale in arrivo, apro la finestra ed urlo. Donatella accorre, mi riporta a letto e si pone al mio fianco. Stringe il mio corpo tra le braccia e sta così per ore, mentre io parlo e non so quel che dico. Un temporale, mai udito prima, fa il suo ingresso tra tuoni e fulmini. La pioggia scroscia burrascosa, poi sempre più dolcemente.
Donatella mi rassicura, è come una mamma con il proprio bambino. Allontana i clienti, si dedica totalmente a me.
Dopo alcuni giorni sto meglio,ma sono ancora malfermo nei passi, insicuro nel parlare. Desidero conoscere Dio e leggo per ore la Bibbia.
Il testo sacro diviene la fonte da cui attingere forza e verità per capire ciò che sta avvenendo. So di essere un privilegiato, un uomo a cui Dio ha teso la mano.Sento il desiderio di un sacerdote e con Donatella vado in chiesa. Dopo molti anni riprendo la comunione. Dolcissime lacrime rigano il mio volto, la felicità interiore attraversa l'anima per raggiungere il volto che si illumina di luce intensa.
Sono finalmente in pace, sento nascere nuova energia e la voglia di correre tra la gente per raccontare la mia gioia.
Donatella mi invita a stare calmo,a non farlo..
Non comprendo perché non debba, perché aspettare, ma ubbidisco. Sono come imbambolato, bisognoso di sostegno e dipendo completamente da lei.La guardo: non è mia madre, non ricordo il suo volto, non ricordo nulla di me, del lavoro, della famiglia, nulla che possa orientare. Torniamo a casa, salgo le scale ed avverto le gambe piegarsi. In salotto ho il coraggio di chiedere a Donatella:
" Chi sono?"
Donatella è sbigottita, ma non dimostra alcuna incertezza quando racconta la mia storia.
Resto impietrito: possibile che io non ricordi nulla?
Sono avvocato,ho una moglie che aspetta un bambino e non ricordo nulla?!!
Mi sento nuovamente male, ricomincio a tremare.
Mia madre si avvicina: bellissima,sfolgorante in un candore d'innocenza. Mi parla, accarezza il mio volto teneramente, indica la strada su cui proseguire. Una strada luminosa che conduce in alto,dove una croce d'oro splende come un faro.
Il cuore sembra impazzito.
Donatella senza indugio mi conduce in clinica. Non vuole assumersi oltre le responsabilità del caso. In clinica vorrebbe restare con me tutto il tempo necessario, ma non glielo permettono.
Resto solo,in una camera buia e qui penso alla mia vita, metto insieme gli elementi noti.
Riconosco la donna del sogno come mia madre, rivedo nella memoria mio padre e i fratelli, la piccola casa e il paese.
Poi il vuoto, nient'altro.
Resto per ore a pensare.. niente.
Penso al presente, agli ultimi dati della mia vita: in chiesa mentre prendo la comunione. All'idea mi commuovo e un calore nuovo scende nel mio cuore. Sono fortunato perchè Dio si è preso cura di me. Ha inizio così la mia conversione. Leggo il vangelo per ore.
Sono In questo stato di beatitudine quando entra il dottore,un uomo tutta salute: forte ed energico, prende le mie pulsazioni , misura la pressione, ascolta il cuore ormai calmo. Poi siede ed elargisce un bel sorriso.
"Come si sente?" chiede con aria dolce e serena.
" Come nuovo, ormai fuori da un grave pericolo".
"Bene, mi sa dire che giorno è oggi?"-chiede-
Strano, non ricordo né il giorno né il mese né l'anno."Non so" rispondo.
Il dottore fa una smorfia e prosegue:"Ricorda il lavoro che svolge?"
"No" rispondo secco, penso infine sia meglio dire tutto ciò che ricordo:
la mia infanzia, il paese, mia madre.
"Non ricordo altro, tranne la donna che mi ha aiutato a venire qui."
Respiro affannosamente mentre gli occhi si perdono in quel mare che li caratterizza. Il dottore si accorge del malessere, chiama l'infermiere e ordina una flebo. Resto per ore con gli occhi spalancati, in preda a visioni, poi lentamente il sonno avanza.


Solo dopo molte ore sono sveglio, quando con me c'è Donatella che ha gli occhi umidi per la commozione e stringe la mia mano.
Al contatto caldo di quelle dita sconosciute apro gli occhi e riconosco la donna che mi ha salvato.
"Come stai ?" chiede Donatella, facendo un rassicurante sorriso.
"Bene" rispondo e la guardo ancor meglio per ricordare altri particolari, ma la mente non registra nulla,tranne la sensazione di conoscerla bene.
"Come ti chiami?" dico, cercando ancora nella memoria. Donatella non si aspetta questa domanda e resta sconcertata:
" Sono Donatella, non ricordi ?"
"Sì,ricordo il tuo viso, il fatto che ti sei presa cura di me, ma non altro, sono spiacente"
" Non fa nulla, il mio nome è Donatella."
Ripeto infinite volte quel nome, sperando di svegliare qualche ricordo.
"Ricordi Gloria?"domanda Donatella
" Gloria?" ripeto con tono sommesso, vergognandomi di non conoscerla.
"Tua moglie, o ex moglie, come preferisci."
"Moglie!?" grido: possibile che sia sposato?".
Ho bisogno di sapere la verità, ma non ho il coraggio di fare altre domande, chiudo gli occhi e resto così per molte ore mentre Donatella continua ad accarezzare la mia mano.
"Non preoccuparti- dice - "ritroverai il passato, è solo questione di tempo. Abbi un po'di pazienza." Sono più tranquillo e lentamente avverto una gran pace, non dovuta alle medicine, che proviene dal cielo, vedo la mamma e sento gli angeli cantare. Così mi addormento.
Io,l'abile avvocato in carriera, l''uomo intrepido e coraggioso sono inerme,con la pace nel cuore e il vuoto nella memoria.

Non ho più alcun certezza, soltanto il cuore batte con ritmo uguale.
Le cure sono sfibranti e anche gli interrogatori.
Attutisco i colpi per non cedere del tutto alla malattia che non ha volto, non ha nome.
Divengo oggetto di studi, si studia il mio caso come il prototipo di una strana malattia.
Sono stanco di stare in clinica e decido di fuggire per andare dove non so, ma ormai ho deciso: basta, sono stufo di tutto!
Non ricordo ancora niente, so ciò che Donatella ha detto: sono avvocato, ho moglie e forse già un figlio. Ma non ricordo nulla.
Vorrei raggiungere il cielo, mia madre, Dio.
Il buio è calato, prendo le poche cose e con passo felpato mi dirigo verso il corridoio. Una fioca luce nella guardiola fa luce; raggiungo le scale, scendo lentamente come un ladro,vado verso l'uscita.
Apro la porta e sono finalmente fuori.
L'aria gelida sferza il viso, per poco non cado spinto dalle raffiche di vento.
La neve scende placida, incurante del mondo e dei tormenti.
Penso a quand'ero bambino, alla gioia che provavo nel vedere i fiocchi di neve.
Solevo stringerli, avvertire la loro inconsistenza tra le dita, assaporarne il sapore.
Miracolo della natura!
Ora non sento niente, tranne il freddo, non ho cappotto, soltanto un maglione, niente sciarpa, niente soldi, nulla.
Sono un uomo perduto nelle strade della città.
Cammino velocemente con il passo di chi è inseguito, di chi vuole distaccarsi da tutto e tutti.
In lontananza vedo una chiesa- Sarà chiusa- penso, ho la speranza di trovare qualcuno.
Suono il campanello, attendo, come se da quel luogo dovesse ricominciare la mia vita: niente, riprovo ancora e poi ancora.
Vado via deluso, amareggiato, le dita intorpidite nelle tasche dei pantaloni, il volto in giù per difenderlo dal vento gelido.
Ormai sono tutto inzuppato, continuo a camminare frettolosamente senza sosta.

Scorgo un convento, questa volta sarò più fortunato, penso.
Infatti, aprono la porta. Sono condotto in cucina per una tazza di latte caldo e resto da solo per un po' , mentre chiamano padre Giacomo, il padre guardiano. Quando quest'ultimo giunge sono seduto tranquillo, rifocillato. Il padre elargisce un caldo sorriso. Un sorriso che scioglie il cuore e calde lacrime bagnano il volto. Piango senza un apparente motivo, ma sento che quel pianto lenisce la mia sofferenza. "Piangi, figliuolo, ti fa bene; ognuno di noi ha degli attimi di eterna sofferenza, ognuno ha un motivo per essere triste."
Così dice il padre guardiano, ponendo una mano sulla mia spalla e sedendo di fronte. Alzo la testa e lo guardo: quanta gioia, quanta fede in quegli occhi. Sono rinfrancato da quello sguardo.
"Vorrei rimanere qualche giorno da voi, ritrovare me stesso nel silenzio e nella pace della vostra casa" Le parole sgorgano spontaneamente e non immagino quanta felicità procurerà l'assenso del padre guardiano. Nel silenzio del chiostro lentamente guarisco, divengo più socievole, parlo volentieri con i frati durante l'ora della passeggiata dopo le preghiere. Seguo la messa con vero trasporto e devozione, recito il rosario e faccio tutto ciò che fanno i frati. Divento parte di quella vita silenziosa, dedita a Dio. Una notte mi sveglio di soprassalto, come in un film rivedo la mia vita: i giorni passati a Milano, la laurea, il matrimonio con Gloria, il bambino. Tutta la mia vita è davanti ai miei occhi. La quiete e la pace hanno ridato alla memoria il suo vecchio smalto. Oltre che del passato prendo coscienza dello stato attuale e comprendo che nulla si è verificato a caso: Dio mi ha chiamato attraverso un percorso personale abbandonando un tipo di vita che non era più consone. Aspetto che sia giorno per comunicare al padre guardiano la ritrovata consapevolezza. Alle sei del mattino seguo i frati in chiesa per le orazioni, successivamente in refettorio per la prima colazione. Padre Giacomo nota il cambiamento: sono allegro, gioviale, non più taciturno. Non ha bisogno di fare domande,con gioia gli comunico di aver ritrovato i miei ricordi. Lascerò prestissimo il convento per riprendere la mia vita. Il mio proposito ottiene la giusta approvazione. I frati salutano con evidente commozione ma niente di più, perché niente e nessuno deve mai turbare l'amore verso Dio.

Fuori rivedo le strade familiari, quelle di Milano, la città che da circa quindici anni mi ospita.
Prendo la metropolitana per andare a casa di mia moglie.
Con un po' di timore busso alla porta e, dopo qualche attimo, apre la cameriera con in braccio un bambino. Non faccio domande, non voglio pensare a nulla, soprattutto ho bisogno di stare tranquillo. Chiedo di mia moglie.
La signora m'invita ad entrare.
La casa è completamente rinnovata:
mobili, quadri, tendaggi del tutto nuovi.
Due sono le ipotesi possibili:o non ricordo, oppure di tempo ne è passato visto il nuovo l'arredamento.
Per non di meno siedo e aspetto.
Entra Gloria, la riconosco subito: dalla voce prima, dalle fattezze poi.
Uguale a sempre, ciò significa che non è passato molto tempo.
Ma non è più in cinta?
Una verità poco lieta si fa strada in me.
"Finalmente!"Esclama con fare turbato.
"Meno male che avevi in mente di prenderti cura di nostro figlio!"dice con aria furibonda e
prende il bambino dalle braccia della governante, sedendo in poltrona.
"E' maschio?" chiedo, senza grande entusiasmo perché sono concentrato sul tempo trascorso.
"E' una femmina:Gisella." risponde Gloria mentre guarda la bambina.
"Quanti mesi ha?"
"Tredici" risponde, senza abbandonare l'aria offesa e senza distogliere lo sguardo dalla bambina.
Dio mio, sono stato lontano più di un anno!
Non riesco a crederci, sono del tutto disorientato.
"Sono stato male." dico,convinto di dover dare una spiegazione.
"ora?" dice Gloria
"Bene , mi pare.. ho avuto disturbi di memoria, sono stato in una clinica per curarmi…"poi sospende il racconto in modo laconico, ha paura di essere ridicolizzato o di essere ritenuto pazzo.
"Vivo con Gaetano" esordisce Gloria con voce fragile di chi si sente in colpa.
"Non preoccuparti, fai bene a rifarti una vita, non sono l'uomo per te.. la bambina?"
"L'amo tantissimo, vorrei tenerla."
Gli occhi di Gloria si riempiono di lacrime ed una luce nuova è su quel volto non sempre intelligente, non sempre sensibile.
In quello sguardo vi leggo tutto l'amore di una madre.
"Capisco, tienila tu, una mamma è sempre ciò che serve; verrò spesso a trovarla.
Gaetano ha figli?"
"No" risponde Gloria e avverto il suo cambiamento: laconica nelle risposte senza mai distogliere lo sguardo dalla bambina.
" Ha fame, vuoi tenerla un po'? vado a preparare la pappa."
Tendo le braccia, inesperto, timoroso; poi, la bambina diventa parte di me: piccola, tenera, dolcissima, così è Gisella.
Sono terrorizzato da quell' essere tanto fragile. La guardo mentre dorme, cerco i tratti in cui mi somiglia.
Forse la fronte alta, forse il taglio degli occhi, la bambina si muove e fa un gran sospiro, apre leggermente gli occhi e dona un lieve sorriso.
"Sta vedendo gli angeli" così diceva mia madre. Dolce e cara mamma che ha cresciuto tutti noi con amore e slancio. Madre che tutto sa dare e tutto rinnega di sé.
Gloria ha preparato la pappa in una scodellina che poggia sul tavolino per riprende Gisella.
Sento le mie braccia vuote, prive di vita e di amore; due lacrime scivolano lungo il mio volto. Lacrime che asciugo con aria furtiva, non voglio che Gloria veda il mio pianto.
"Puoi venire quando vuoi,la bimba ha bisogno di tutti e due. Perché dovrebbe vivere senza suo padre?"
Ricevo in tal modo la certezza che Gisella sia mia figlia. Guardo la bimba mentre mangia in braccio alla mamma, le tocco i capelli e la piccina fa dei sorrisi accattivanti, farfuglia paroline senza senso…. Mia figlia!Un orgoglio smisurato si impossessa di me.
Perché la vita ha voluto che perdessi il meglio di Gisella?Questa domanda strazia il mio cuore,Gloria si accorge del turbamento,e sorride:
"Vieni quando vuoi, sei suo padre. Sono molto cambiata,Giuseppe. Questa bambina ha ridato la tenerezza perduta e voglio chiederti perdono per quanto è successo… scusami."
Gisella intanto ha terminato di mangiare. Gloria l'adagia sul passeggino:
"Andiamo" -dice-"Usciamo, facciamo un giro con la nostra bambina, c'e

un sole tiepido e ristoratore, le farà bene prendere un po' d'aria".
Anche nel passeggino e per la strada Gisella non piange. E' una bimba molto buona, sorride ed emette ridicoli suoni, balbetta parole incomprensibili, mentre gioca con un piccolo orsacchiotto di gomma. Guarda ora il padre, ora la madre,serena, felice.
Io sono come lei: sereno, gioioso, ricco di amore. Un uomo nuovo sta avanzando lentamente, il mio calvario è terminato, si aprono nuovi orizzonti.
Cambierò lavoro,voglio fare qualcosa di semplice, di manuale. Sono stato sempre molto bravo in arte decorativa, penso di riprendere l'antica passione. Mi piace restaurare quadri antichi, penso di aprire una piccola bottega, di lavorare in proprio.
Mentre passeggio penso a tutto questo e gli occhi si riempiono di luce nuova: rivedrò Gisella quando voglio, avrò più tempo a disposizione. All'improvviso avverto un malore, il cuore sembra impazzito, per pochi attimi perdo il controllo.
Ma non ho più paura: ora sono padre, soddisfatto di ciò che la vita sta dando.
Sorrido alla bambina e pronuncio"Pa-pà!"
Due, tre volte e la bambina sorridendo ripete
"Pa-pà"
Forse non è così, ma voglio crederlo.
"Ha detto papà!!" dico e guardo Gloria. Questa ultima sorride, sul viso l'espressione maliziosa di chi non vuole deludere.



Quando entro nell'ufficio molti non credono ai propri occhi.
Sono proprio io: molto più magro,il viso smunto, ma sempre io.
Alcuni si avvicinano, salutano in modo festoso, altri guardano e basta, altri ancora fanno finta di non vedermi.
Suscito invidia e gelosia che avvelenano il cuore e la mente. Faccio parte di quella categoria di persone geniali, intelligenti, ma privi di consapevolezza che agisce e basta; questo mio modo di fare, senza paure, senza problemi, incute negli altri timore ed invidia.
Il fatto che fossi sparito, che non si sapesse più nulla di me aveva creato gioia nel cuore di alcuni, tristezza o indifferenza in altri.
Entro sorridente come sempre, chiamo gli amici e le colleghe più care. Si forma un capannello, mille domande giungono a raffica ed io, ridendo parlo, spiego, sono emozionato finanche.
Entro,infine, nella stanza del dottor Casentini.
Non ho alcun timore, ormai non ho più paura. Solo a Dio devo davvero riguardo.
La meraviglia è sul viso dell'avvocato che davvero mi vuole bene. Non ha avuto figli dal suo matrimonio, ed io gli ricordo com'era egli stesso anni addietro. Mi ha preferito ad altri, ha fatto per me ciò che un padre fa per un figlio, quel figlio che il destino gli ha negato. Perdermi gli dispiace molto e, per tutti quei mesi, è rimasto in attesa di mie notizie, ora è felice, ma si rende conto che non sono più lo stesso uomo: una luce nuova brilla nei miei occhi.
Con tranquillità racconto tutto ad eccezione della mia paternità.Poi zittisco.
L'avvocato Casentini non vuole perdermi, ma avverte il mio cambiamento e non può non tenerne conto.
Restiamo così per diversi attimi.
"allora..."
"così...."
"bene..."
Penso sia giunto il momento di interrompere quelle idiozie.
"Avvocato, io vado, la ringrazio ancora di tutto."
"Cosa farai?"
"Non so con esattezza, vorrei aprire un negozio di antiquariato, ma è solo un'idea."
"Non vuoi riflettere,pensarci ancora?"
"Non credo, mi scusi, non vorrei sembrarle venale ma avrei bisogno della liquidazione.."
"Sì, certamente, caro Giuseppe, non è questo il problema; ma, se più in là, cambiassi idea?"

"No, sono sicuro, grazie di tutto, avvocato."
" Non vorrei perderti,Giuseppe, sei come un figlio per me, avevo grandi progetti su di te…..ma sia come tu vuoi."
Casentini non può che augurare buona fortuna, quando gli porgo la mano.
Esco dall'ufficio senza voltarmi, sorrido a destra e manca, molti salutano mentre continuo a camminare verso l'uscita.
In banca sul conto vi è più di quanto credessi; potrò stare tranquillo per un po'.
Mi dirigo verso casa. Nella segreteria telefonica molti messaggi, anche la cassetta stracolma di posta. Raccolgo tutto e comincio a smistare:annunci, bollette e pubblicità.
Poi una lettera: scrive mio cognato:non lo ha mai fatto. Leggo avidamente il contenuto:sono sbalordito; lacrime scendono sul mio volto mentre le parole si confondono e non riesco a leggere più nulla. Resto così per un po':gli occhi chiusi, il volto pallido.
Raccolgo in modo frettoloso un po' roba personale, la butto in valigia e via.
Parto per recarmi da mia sorella Lucia con la speranza di trovarla ancora in vita: cancro al cervello.
Speriamo, penso mentre guido a velocità sostenuta, speriamo di fare in tempo che Lucia sia ancora viva.
Dopo molte ore di viaggio giungo a destinazione, in Sicilia. Mio cognato mi accoglie un po' freddamente, cambiando atteggiamento solo quando narro le mie ultime vicissitudini
Lo seguo nella camera di Lucia, quasi non la riconosco: è pallida, trasparente sotto il lenzuolo bianco che la copre. Le siedo vicino, resto un po' in silenzio, poi con un filo di voce la chiamo:
"Lucì!" in modo dialettale e affettuoso come facevo quando ero un ragazzo e vivevamo nella stessa casa:
"Lucia, come va?"
Lucia comprende,ma non riesce a rispondere, non può guardarmi, solo calde lacrime scendono lungo il viso.
Mi accorgo di quelle lacrime, che silenziose bagnano il lenzuolo.
Mia sorella è presente come quando eravamo bambini, quando le chiedevo aiuto affinché fermasse da mio padre.
Non ho mai visto piangere mia sorella, questa è la prima volta in assoluto.
Mi commuovo, le prendo la mano, gliela stringo fortemente,accarezzo il viso come se non volessi stare lontano da quel tepore che Lucia, nonostante la malattia, emana.
"Perdonami, sorellina mia, se non sono venuto mai a trovarti, è ingiustificabile il mio comportamento, ma ora sono cambiato; posso restare con te quanto vorrai. Sei contenta?"
Un leggero sorriso è sulle labbra di Lucia.
Anche Aldo, il marito, lo nota e per un po' la sua pena diminuisce, per un attimo il suo dolore si arresta. Un dolore cocente che lo fa piangere per ore. Aldo è stato sempre un uomo forte e coraggioso;invece, ora è come un ragazzino: fragile ed impotente, specie quando pensa che molto presto perderà la sua adorata compagna. E' contento della mia presenza e ha già dimenticato il rancore provato in quei lunghi mesi di malattia.
Finalmente sono con loro, pronto a restare; Aldo non è più solo con la morte che bussa alla porta per portarsi via l'unico bene della sua vita. Si sente sereno, dalla mia presenza proviene un fluido particolare, una serenità contagiosa, mai provata prima.

Settimo
Lucia ha un repentino miglioramento, anche il medico ne è sorpreso.
Aldo pensa che davvero che io trasmetta qualcosa di vitale.
Sono felicissimo del miglioramento che diventa ogni giorno più evidente.
Ogni giorno prendo Lucia in braccio e la porto fuori nel patio,l'aiuto a sedere delicatamente in poltrona e le seggo accanto; per ore leggo tutto ciò che ho a portato di mano.
Guardo Lucia, di tanto in tanto, e il leggero colorito sulle guance e l'appetito fanno sperare in meglio.
I figli di Lucia sono lontani, hanno famiglia e lavorano sodo. Non possono raggiungerla; scrivo loro, parlo dei miglioramenti, spero in un miracolo.
Quel Dio così tanto lontano per anni, così silenzioso, ora è avvertito in tutta la sua potenza, in tutta la sua maestosità.
Ricordo i giorni passati quand' ero piccolo
e Lucia, più grande di me, era un trenino, velocissima in tutto: nel fare i compiti, i servizi a casa, anche nel menare scappellotti era veloce.
Non bella, ma simpatica, due occhi neri e intelligenti pieni di grinta e voglia di mordere la vita.
Studiava con me, stirava i miei calzoncini, preparava da mangiare e rimboccava le coperte.
Ora, nel patio, seduto sulla sedia a dondolo, ricordo tutto: tutto come fosse stato ieri.
Si fidanzò molto presto con Aldo ed io non gradii l'entrata in casa di quell'estraneo che voleva portare via mia sorella. Avevo solo dieci anni,sapevo poco dell' amore, ma intuivo che quell'uomo era un pericolo.
Lucia riusciva a svolgere ogni incombenza;
nessuno di noi in famiglia, poteva lagnarsi per il suo fidanzamento. Il matrimonio era nell'aria, si avvertiva dal cucire incessante, dalla casa ormai pronta al paese vicino.
Spesso pensavo a quando non ci sarebbe più stata:non avrei più avuto pizzicotti e scappellotti,ma non avrei più gustato neanche i suoi pranzetti,ricevuto l'aiuto nei compiti.
Mia madre, dolcissima e bravissima, non avrebbe potuto sostituire Lucia, anche se dovette farlo quando in Chiesa in abito bianco, bellissima, ci disse addio.


Da allora tutto cambiò: Mio padre divenne taciturno, la mamma un po' triste ed io vivevo sempre più in mezzo alla strada, senza controllo, giocavo e sfogavo la mia rabbia e il malumore contro Aldo a furia di calci ben assestati sul pallone.
Gli anni passarono molto in fretta e vedevo sempre più di rado Lucia per non vederla più quando partii per Milano, quando lasciai la casa paterna. La rividi il giorno della mia laurea, Lucia era radiosa, raggiante e felice come sempre, mi disse: "sono orgogliosa di te,Giuseppe, sapevo che ce l'avresti fatta a dispetto di tutto e tutti…….. Bravo!"
Parole che erano entrate nella mente per non lasciarmi più. Lucia sapeva trasmettere la sua forza, la sua energia. Ora, in questo letto è tanto esile e bisognosa di tutto,specie di amore, quell'amore che aveva elargito a tutti. Strano che proprio Lucia sia divenuta tanto gracile: lei così forte in passato.
Non mi faccio illusioni, il miglioramento nasce unicamente dalla gioia di avermi ritrovato. La felicità provata ha dato nuova linfa al suo corpo oltre che all'anima. Un'anima serena che si allontanerà da noi senza lamenti, dolcemente.
Aldo è disperato, sono io che chiamo i parenti, gli amici, organizzo il funerale.
In chiesa so di amarla tanto così come amo tutti i miei fratelli; me ne rendo conto ora, ora che ho perso Lucia.
La morte è il contrario della vita, tutto ciò che non si vuole: il corpo rigido, la bara,le lacrime, l'addio.
Poi si ricomincia:ricominci dalla morte, quando sei ormai solo, privo di una parte di te.
Ti senti come se ti mancasse un braccio, una gamba, un occhio: parte di te è andata via per sempre.
Sei più te stesso ma più solo, più grande perché hai vissuto questa esperienza traumatica che non potrai rinnegare, buttare alle spalle.
Ogni giorno ti svegli e pensi che sei in compagnia di questa realtà che non è un'idea, che non ti somiglia, che rifiuti, che c'è.
L'unica realtà che davvero può separare, distruggere, incenerire anche i ricordi è solo lei:la morte.
Quando l'hai assaporata fino in fondo, ti accorgi che non sai più gustare la vita, che non riesci a respirare come un tempo.

Avverto un turbamento mai provato prima, cerco di convivere con le nuove emozioni.
Emozioni che sanno di morte, di disperate
richieste che non hanno altro destinatario se non Dio.
Il sapere i propri cari in un mondo tanto lontano, sapere di non vederli mai più fa scendere sul mio volto lacrime cocenti.
Lacrime che sanno di addio, di lontananza senza rimedio.
Quando si è in vita bisogna amarsi perché il vuoto ed il silenzio dopo la morte sono gli unici amici che restano.
La cerimonia in chiesa è terminata, saluto i fratelli: Aldo e Bruno,la sorella Paolina e giuro che non li abbandonerò mai.


Una ventata di aria fresca mi investe sulla strada mentre torno a casa.
Una nuova vita mi aspetta e faccio il punto di ciò che resta:la fede ed una figlia,non sono conciato proprio male.
Il dolore per la morte di Lucia è ancora cocente, una donna stroncata nei suoi anni, nei suoi affetti.
Il fatto che una sorella sia andata via mi dà la sensazione che il tempo sia inesorabile che mieta le sue vittime durante il tragitto, incurante dei nostri desideri.
La macchina corre veloce, sto per arrivare dopo ore di guida,ma più mi avvicino a Milano e più mi rendo conto di non volerci tornare.
Vivere a Milano non serve più, ora che il mondo degli affari è lontano,tanto da sembrare parte di un passato di un altro uomo.
Meglio tornare al paese natio. Ho la sensazione che qualcuno mi attenda, ho bisogno di stringere fra le mani il mio passato, per esserci tra le cose antiche che parlano di ciò che è stato.
Sono quasi giunto, lascio perdere i progetti e mi concentro sulla strada:come al solito Milano è un caos, "sfido chiunque a voler vivere in questo modo!"penso.
All'improvviso la vista si annebbia, un tremore mi scuote tutto; il cuore comincia a battere violentemente e un dolore stringe il petto.
Lentamente accosto e mi fermo.
Mi impongo la calma e il mio respiro lentamente torna normale, mentre il dolore si affievolisce. Rifiuto il ritorno, un ritorno breve, necessario, ma impossibile da sopportare.
Riprendo a guidare lentamente, poi al primo svincolo dell'autostrada esco e torno indietro: torno per sempre alle mie radici.
Decido di vendere la casa di Milano e comprarne un'altra al paese per iniziare la nuova attività di restauratore.
Vito non crede ai suoi occhi:mi stringe e bacia con affetto, avverte ancora l'amore donatogli in quei mesi.
Non fa domande, comprende che sono stanco che ho investito troppo nel lavoro.
Mi accoglie ed insieme ricominciamo a vivere.



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