CESARE MARIA DE VECCHI
CONTE DI VAL CISMON
di
Enzo Cicchino
Per Pio XI e' 'il caro brontolone', per Mussolini: 're di complemento', per Vittorio Emanuele 'Barbison' colpa di quei baffoni vibratili come code di scoiattolo per cui sua moglie lo obbliga ad usare il piegabaffi!
Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, pittore e scrittore, nato a Casale Monferrato nel 1884, supercattolico, supermonarchico, quadrumviro della rivoluzione, non e' fra i gerarchi amati dagli squadristi: lo ritengono un 'fascista annacquato'. Ma lui sdrammatizza, si beffa delle critiche, definendosi umilmente il 'quadrupede della rivoluzione'.
Sbaglia pero' chi crede che a tanta bonarietà corrisponda una debolezza di carattere. E' un pluridecorato nella Grande Guerra.
In ottobre del 1918, armato solo di una mitragliatrice, con pochi uomini e una pericolosa ferita al ventre, in Val Cismon, si pone alle calcagna di una intera divisione ungherese e la costringe ad arrendersi.
Nel 1919 si avvicina al fascismo, ma vi aderisce solo dopo aver messo in chiaro con Mussolini di non condividere i suoi estremismi anticlericali e repubblicani.
Nell'azione squadristica non è dei più feroci, anche se pure in Piemonte non mancano i morti. Durante uno scontro di folla, a Torino, salva dal linciaggio lo stesso Mussolini.
Le elezioni del 15 maggio 1921 lo portano in Parlamento, quando, con una sterzata repubblicana, Mussolini afferma che -i suoi- non parteciperanno alla inaugurazione della Camera per non rendere omaggio al Re, De Vecchi si oppone, anzi ci va, invitando a seguirlo anche tutti i deputati del suo gruppo. Si conquista definitivamente la stima di Vittorio Emanuele, che gli fa sapere di volergli molto bene e lo invita a corte. La loro amicizia rimarrà salda per tutto il ventennio.Membro della Commissione Esercito, nel '21 la sua prima azione politica di rilievo: una legge per condurre la salma del milite ignoto da Aquileia a Roma per tumularla sull'Altare della Patria. Non si creda che il rito sia solo una semplice traslazione. E' invece il disperato tentativo di De Vecchi per riconciliare il popolo, dimenticando odi e contrapposizioni, raccogliendolo intorno ad un simbolo che e' il dolore e le sofferenze della Patria.
Lo stratagemma emotivo di pacificazione ha scarsi risultati ma lui vi ha fortemente creduto.Altro tentativo per ridurre la violenza, almeno da parte fascista, lo compie Benito Mussolini, che in quegli stessi giorni, tra il 5 e l'11 novembre 1921, indice a Roma presso l'Auditorium Augusteo il famoso Congresso durante il quale i Fasci di Combattimento sono obbligati a trasformarsi in Partito Nazionale Fascista. Una struttura con regole precise che possa arginare l'azione degli estremisti.
Tuttavia la concomitanza del Congresso con la cerimonia del Milite Ignoto e' davvero inopportuna, scatena l'ira dei Reduci, che si ritengono offesi. Ancora una volta e' la diplomazia di De Vecchi che riesce a calmare gli animi.Anche nel Congresso fascista le cose non vanno per il meglio; l'inizio e' talmente burrascoso che ci sono scontri nella sala fra gli stessi delegati. Si teme il peggio, quando, Mussolini, ha la brillante idea di affidarne la direzione proprio a De Vecchi. Il quale, riprendendo il cipiglio guerresco di cui s'era fatto onore nella Grande Guerra, comincia subito ad allontanare dall'aula e poi espellere dal partito i più facinorosi. Si dimostra anche imparziale, permettendo di parlare a tutti, anche a coloro che sono in disaccordo con Mussolini.
Nasce quindi il Partito Nazionale Fascista la cui prima segreteria è affidata a Michele Bianchi. In quegli stessi mesi, a Livorno, per una scissione dei socialisti, è nato un altro partito che sara' famoso "Il partito Comunista d'Italia".Ci si può chiedere, come mai un uomo dal carattere totalizzante, e negli affetti cosi' insofferente come Mussolini si affidi -per operazioni delicate- ad un discusso personaggio come De Vecchi, la longa manus della Corona. La realtà è che pur essendo filo monarchico, è un fascista moderato, di buon senso, sincero, schietto, e che nei momenti difficili sa essere di polso.
De Vecchi e' il talento di quella diplomazia che spesso rimane oscura ma che e' la forza trainante, l'ossatura di un partito e del paese. Opera all'interno di tutti i gruppi conservatori, del Governo, del Parlamento, e della Aristocrazia vicina alla Corona, perché vengano a cadere le remore ed i pregiudizi che ancora si hanno nei confronti del fascismo. E' il grande tessitore della politica interna; convince Casa Savoia che Mussolini e' l'unico leader che possa traghettare il paese verso il futuro, evitando il temibile guado della rivoluzione bolscevica.
Intanto Benito fa il passo ufficiale piu' importante, rende pubblica la sua accettazione indiscussa della monarchia, mettendo formalmente a tacere tutte le spinte repubblicane all'interno del partito. De Vecchi vede cosi' accresciuto il margine di manovra.Nel settembre 22 Mussolini torna all'idea della presa militare del potere. Decide che in ottobre deve esserci il grande attacco rivoluzionario delle squadre verso il centro di tutte le più importanti città d'Italia ed in particolare verso Roma.
L'opinione di De Vecchi, che in qualche modo forse riflette anche quella del Re, è contraria ad una iniziativa del genere. La ritiene affrettata. E, per guadagnare tempo, fa osservare che in termini militari le squadre sono fiacche, minimamente coese, insofferenti ad ogni disciplina, e da un punto di vista aggressivo contro truppe organizzate, di nessuna efficacia. Riflette che è opportuno dare ad esse un comando unico, creando una milizia sul tipo di quelle paesane dei signorotti del Cinquecento, capo raggruppamento sarebbe stato ciascun ras locale. Poi tutte le squadre sarebbero dovute convergere in un comando unico. Mussolini condivide, solo che -per un sussulto di democrazia- pretende che De Vecchi non conduca il progetto da solo ma formi un triumvirato con Italo Balbo ed Emilio De Bono.Il regolamento della Milizia e il piano della sua mobilitazione, vengono pubblicati su "Il popolo d'Italia". Questa è la sua strategia, informare le forze politiche ed il paese delle intenzioni fasciste in modo che da un lato gli amici sappiano e dall'altro degli avversari si possano controllare le mosse. Si vuole che tutto avvenga senza sorprese.
Certo Mussolini sa che la Milizia da un punto di vista militare è impresentabile, tuttavia sa pure che in politica conta l'apparenza più che la sostanza. Ha fretta, ha bisogno di un gesto che impressioni, la Marcia deve aver inizio entro una settimana al massimo.
Per quale motivo tanta fretta!? Il governo Facta è alle corde. La crisi pero' avrebbe riaperto il gioco a Giovanni Giolitti e Mussolini sa bene che a quel punto tutte le sue strategie di presa del potere si sarebbero dissolte con il coinvolgimento del fascismo nelle istituzioni. Si profilerebbe inoltre la riconciliazione del vecchio statista piemontese con Gabriele D'Annunzio, alla presenza di mutilati ed ex combattenti presso l'Altare della Patria e questo avrebbe ridato alle strategie del vecchio liberalismo ancora più consenso.
Il tempo per l'azione e' dunque esiguo.
Si decide per un Congresso a Napoli il 22 ottobre, che sarebbe stato la prova generale della Marcia, programmata per il 28.
A partire dal 24 sarebbe cominciata la concentrazione delle camice nere verso i quattro punti di raccolta. Santa Marinella, Foligno, Monterotondo e Tivoli. La direzione generale avrebbe avuto sede a Perugia.De Vecchi si rende conto che politicamente Mussolini ha ragione. Ma comprende anche che quella specie di rivoluzione non deve essere armata.
Di propria iniziativa, all'insaputa del capo, decide percio' di chiedere un colloquio con la regina Margherita, la madre del Sovrano, di cui gli erano note le sue certe simpatie per il fascismo. La incontra a Bordighera, poco prima di recarsi a Napoli, e la mette al corrente di quanto sta maturando all'interno del Partito Nazionale Fascista, convinto che lei, a sua volta, ne avrebbe informato il Re. De Vecchi ritiene che questo sia l'unico modo per scongiurare un urto violento con l'Esercito e far sì che la crisi, ormai inevitabile, rimanga circoscritta all'ambito governativo, con carattere esclusivamente politico.
La Regina madre, dopo aver espresso parole di elogio nei confronti del regolamento della Milizia, che ha letto su "Il popolo d'Italia", promette che sarebbe intervenuta personalmente con il figlio.
Del progetto della Marcia ne stanno venendo a conoscenza un pò tutti. Molti ormai agiscono anche in Parlamento per preparare il terreno. Sembra addirittura che Giolitti prometta a Mussolini l'entrata nel proprio gruppo politico nel caso l'operazione fallisca. Comunque, per ridurne il rischio politico si decide che la responsabilità ufficiale della marcia ricada sui tre comandanti della Milizia e sul Segretario del Partito.
Da Napoli, insieme a Grandi, De Vecchi parte per Roma. Il Re, giorni prima gli ha fatto sapere che, perche' possa intervenire, e' essenziale che ci sia una crisi di governo.
Mussolini invece torna alla direzione del Popolo d'Italia a Milano, da dove attende che gli eventi maturino.
De Vecchi, a Roma, incontra Antonio Salandra, cui chiede uno stratagemma per indurre la caduta del governo Facta. Presto accontentato! Un colpo di telefono al ministro Riccio, questi si dimette. Ed e' la crisi.
Vittorio Emanuele, che si trova a caccia nella tenuta di San Rossore, fa ritorno immediato nella capitale. Facta lo attende alla stazione per chiedergli cosa debba fare per fronteggiare i fascisti in marcia. "Mantenga l'ordine pubblico" risponde sibillino il Re, andandosene a Villa Savoia.
Dopo aver chiesto un parere a Badoglio, il quale afferma che per sbaragliare i fascisti gli sarebbe stato sufficiente solo un quarto d'ora di mitragliatrici, Luigi Facta -con i suoi ministri- ordina lo stato di assedio, coinvolgendo diversi generali, truppe e battaglioni di Carabinieri. Per quella notte il dispiegamento di forze è tale che davvero Mussolini anni dopo potra' vantarsi di aver fatto una rivoluzione armata!
La sera del 27 De Vecchi parte per Perugia per recarsi presso il Comando della Milizia. La situazione per i fascisti comincia a mettersi male, v'è tensione, il comandante della piazzaforte, il Generale Petracchi, ha piazzato le armi contro gli squadristi e vorrebbe, senza perplessità metterle all'opera.
Petracchi ha combattuto assieme a De Vecchi nella Grande Guerra, in amicizia si lascia convincere ad attendere almeno qualche ora prima di dare l'ordine di fuoco. Solo verso l'alba, una telefonata del Re a De Vecchi con l'ordine di recarsi immediatamente a Roma, rassicura gli animi.
Vengono convocati Bianchi, Balbo e De Bono, rimangono stupiti dall'apprendere che la crisi è risolta, perfino un po' delusi che la marcia non si fara' piu' tra spari e barricate ma pacificamente.Tornato a Roma, De Vecchi si reca a Villa Savoia. Appena lo ha di fronte, il Sovrano gli fa vedere un foglio che estrae da una busta gialla e che non reca nessuna firma. Glielo porge. E' la richiesta di stato d'assedio preparatagli da Facta e che ha rifiutato di firmare.
"Non ho voluto buttare gli italiani nella guerra civile" mormora il Re "Anche se penso che lo dimenticheranno presto, o lo ricorderanno solo per farmene una colpa". Vittorio Emanuele conservera' quel foglio per molti anni, in un cassetto del comò accanto al letto.Il Re vorrebbe comporre la crisi formando un Gabinetto Salandra a cui parteciperebbero i fascisti con Mussolini. Ma il futuro Duce non approva. Vuole essere lui a formare il nuovo governo.
Con De Vecchi il Sovrano si sfoga "Quando vedrò Mussolini gli dirò che e' stato un errore ad avere tutta questa fretta. Ha sbagliato a non farsi varare da Salandra. Fra qualche tempo sarebbe rimasto lui solo alla Presidenza del Consiglio e senza soffrirne ripercussioni, ora invece è troppo presto. Ha forzato i tempi ed e' male!"
Il 31 ottobre, dopo sfibrante attesa ecco finalmente la sfilata delle camice nere per le strade della Capitale, pacifica, senza più alcun bisogno di combattere per conquistarla. Anche se purtroppo, per colpa di alcuni squadristi violenti e per lo scarso senso di opportunità del giovane Giuseppe Bottai, che comanda le squadre provenienti da Tivoli e che vuole attraversare per forza, contro ogni consiglio, il quartiere San Lorenzo: ci sono 13 morti, per azioni gratuite non richieste, tantomeno necessarie.
Il primo governo Mussolini e' varato il 17 novembre 1922. Approvato in Parlamento con 306 voti a favore e 116 contrari. Lo sostiene l'intero partito popolare ed i giolittiani. Tra l'altro e' curioso notare che, tenendo conto della composizione dei ministeri, vi partecipano meno ministri fascisti che nel governo che avrebbe formato Salandra. De Vecchi, resta fuori, preferisce occuparsi dei Reduci e Combattenti, Associazione inquieta che rivendica ancora molte medaglie e pensioni.
Il fascismo di De Vecchi ha delle caratteristiche particolari, per un verso è molto legato alla monarchia ma per l'altro e' anche più fascista dello stesso Mussolini; e' lui che difende l'autorità dei ras locali, che gli uomini di partito al governo, ormai vorrebbero spazzare via. Fa notare che essi sono stati liberamente eletti nelle assemblee e talvolta in contrasto con le direttive del capo, quindi in un certo senso identificano -dell'intero movimento- una rappresentatività quasi democratica.
In una occasione riceve anche il biasimo del Duce: per aver salvato la vita all'antifascista Raffaele Rossetti, eroe della Grande Guerra, aggredito da una squadra di fascisti che stanno per ucciderlo.
In quel primo anno tutti pensano che per la sua indipendenza di giudizio sia caduto in disgrazia, invece improvvisamente convocato a Palazzo Chigi, il 20 ottobre del 1923 è nominato Governatore della Somalia.
Ancora una volta si parla di un Mussolini che ama allontanare gli uomini della fronda da Roma per poterli meglio controllare, ma spesso sono solo pettegolezzi che per uno spirito di civetteria, il Duce ha il vezzo di tollerare.
In Somalia De Vecchi ci va per ragion di Stato. Si adopra per un vasto programma di colonizzazione intensiva e soprattutto per il ritiro delle armi in possesso della popolazione indigena, operazione piuttosto delicata ma nella quale riesce benissimo.
A gennaio del 25 torna provvisoriamente a Roma. C'è stato alla Camera il famoso discorso del tre gennaio di Mussolini, durante il quale il Duce assume su di sé tutte le responsabilità politiche del delitto Matteotti, ucciso, per un malinteso, dalla Ceka fascista.
Il rischio di una caduta del Governo è rientrato, ma nell'incontro privato con l'amico, Mussolini è ancora prostrato, umiliato. Seduti l'uno di fronte all'altro, con amarezza si batte il palmo della mano sul ginocchio "Caro Cesare " gli dice triste, "Come avevi ragione tu... che avrei dovuto liberarmi di certa gente!" poi, con un sospiro "Ho bisogno che ti dica tutto, devo scaricarmi, liberarmi da questa angoscia! Matteotti! tu sai come era acido quell'uomo! aveva fatto un orribile discorso; sono tornato dalla Camera brontolando per le sue calunnie. Quando Dumini e la sua banda, quei delinquenti, senza che io ne sapessi nulla lo hanno preso, sequestrato e ucciso. Poi la Camera si è scatenata contro di me, sono rimasto solo con quel delitto sulle spalle Fino a che non mi sono deciso ad addossarmi le responsabilità che non avevo Si Mi sono ricordato delle tue parole, Cesare, quando in Gran Consiglio affermasti che un capo deve addossarsi il peso e le malefatte dei suoi gregari anche commesse a sua insaputa! Non ti manderò più così lontano!" conclude, cercando negli occhi l'amico.
Anche il Re e' convinto della estraneità di Mussolini al delitto Matteotti, ma continua ad essere preoccupato per le inarrestabili violenze dei fascisti. "Quel Farinacci, è un individuo che ignora l'esistenza del codice penale!" mormora stizzito, ed invita De Vecchi a parlarne con il Duce perché inquadri sul serio il fascismo nei termini delle istituzioni.
Per la verità, intorno al delitto Matteotti, ancora oggi esistono dubbi, non è del tutto escluso che Mussolini abbia piu' colpe di quanto abbia voluto far credere all'amico.
In Somalia, ai confini con i possedimenti inglesi scoppia improvvisamente una rivolta e De Vecchi e' costretto a tornarvi, per altri quattro anni.
E' richiamato definitivamente a Roma solo nel 1929, quando lo attende un incarico delicatissimo per il quale soltanto lui si ritiene abbia le carte in regola.
L'11 febbraio sono stati conclusi i Patti Lateranensi, deve diventare il primo Ambasciatore dell'Italia presso la Santa Sede.
La sua coscienza fortemente cattolica rimane pero' sconcertata quando all'atto del congedo da Mussolini, questi conclude: "Abbiamo fatto pace con la Chiesa, ora che pace è fatta, si può pure riprendere la guerra!" Il neo ambasciatore guarda il Duce stralunato, incredulo.
Di quale guerra si tratti viene pero' a scoprirlo presto: riguarda la ridefinizione dell'articolo 43 del Concordato, quello riferentesi all'Azione Cattolica, al diritto della chiesa di educare cristianamente. Ma -educare- e' un compito che mette fortemente in allarme gli uomini del Fascismo, i quali attribuiscono questa prerogativa unicamente allo Stato. Piu' grave è che i termini del dissidio non sono solo religiosi, ma soprattutto politici.
Si vede l'Azione Cattolica una forza al servizio del Partito Popolare, i cui dirigenti, una volta messi al bando dal Regime, hanno trovato rifugio proprio tra le sue file.
In primis De Vecchi tratta la spinosa questione tramite il Segretario di Stato cardinale Pietro Gasparri, non approdando però con la sua mediazione a nulla, abilmente crea un rapporto di fiducia direttamente con il papa Pio XI.La tensione e' alta, il Governo giunge perfino ad ordinare ai prefetti di chiudere le sedi dell'Azione Cattolica, con profonda ira del Pontefice, che per protesta risponde con l'enciclica "Non abbiamo bisogno". Inoltre emergono prove che i pellegrinaggi di Lourdes spesso diventano il pretesto per concedere numerosi espatri clandestini.
Si aggiunga, per finire, che in un discorso Pio XI ha definito incompatibile l'essere cattolico con l'essere fascista, creando non pochi casi di coscienza tra le file del Regime.I rapporti indiretti tra Mussolini ed il battagliero Vescovo di Roma sono percio' scoppiettanti, sopra e sotto le righe. La polemica è tanta. La stampa straniera va a nozze per la diatriba, sui giornali francesi si scrive a lettere cubitali "Le pape a été trompé!" il papa è stato imbrogliato!
E' di nuovo merito dall'ambasciatore De Vecchi se il Concordato così affannosamente raggiunto nel '29, tiene.Le difficolta' non si fermano solo alla forma giuridica. Vi e' anche la necessità, curiosa, di convincere Vittorio Emanuele -nel suo ruolo di Re d'Italia- alla prima visita ufficiale in Vaticano, in modo da porre termine alla lite creata da suo nonno con la presa di Porta Pia nel 1870. La visita è doverosa, a maggior ragione ora, dopo la firma dei Patti Lateranensi.
Un rifiuto del Sovrano significherebbe anche che le trattative del Governo per risolvere il nodo della Azione Cattolica non sono sincere. Vittorio Emanuele e' restio ma De Vecchi lo convince.
L'incontro con il papa avviene il 5 dicembre del 1930 ed ha dei protocolli quanto mai inusuali nel precisare tutti i gesti che il Re avrebbe dovuto compiere una volta in San Pietro. La ragione sembra essere che -tempo addietro- all'ingresso di una chiesa, Sua Maestà, ricevuta l'acqua santa, anziché farsi il segno della croce, abbia sventolato le dita in aria e se le sia poi asciugate sui pantaloni.
Se Pio XI e Mussolini sono entrambi focosi ed intemperanti, capaci di scatti violenti le cui conseguenze possono essere imprevedibili, al tempo stesso sono reciprocamente schietti e leali. In agosto del '31 si giunge al tanto sperato accordo. Da un lato il Papa riconosce le irregolarità della Azione Cattolica, impegnandosi -e con lui tutte le strutture religiose- a non fare politica contro il fascismo, contro il Governo e contro lo Stato italiano. Dall'altro Mussolini si impegna a risarcire la Chiesa di tutti i danni che i teppisti hanno provocato alle sedi delle associazioni religiose, concludendo tra l'altro la ridefinizione dell'articolo 43 del Concordato in termini chiaramente favorevoli alla Chiesa.
Il 3 settembre successivo, nell'anticamera di Palazzo Venezia De Vecchi incontra inaspettatamente Guglielmo Marconi il quale gli dice: "In Italia non si ha idea di quanto abbia fatto bene all'estero la contesa con la Santa Sede, così ricca di spunti clamorosi. Ha dimostrato ai cattolici di tutto il mondo che la Chiesa è veramente libera e non è affatto asservita al Governo!" In effetti è stata una contesa dalla quale sia il Governo che la Santa Sede ne sono usciti entrambi irrobustiti.L'11 febbraio del 1932 De Vecchi completa l'opera, riuscendo ad accompagnare dal papa anche Mussolini. Dopodiché la collaborazione tra fascismo, Governo e Santa Sede è totale ed a Mussolini rimarrà la definizione ahimè discussa, di 'uomo della provvidenza'.
L'accordo assumerà forme di tale simbiosi che -con l'avvento di Hitler al potere- per un certo periodo si stabilira' una vera e propria alleanza tra Papa e Stato Italiano per tenere sotto controllo la situazione austriaca e impedire l'Anschluss, per far sì che i vescovi e le forze cattoliche sostengano prima Dolfuss e poi tutti i cancellieri contrari all'annessione alla Germania. Contemporaneamente Mussolini si offre di mediare tra Santa Sede e Hitler un Concordato di pacificazione così come è avvenuto in Italia. Cosa che in realtà qualche tempo dopo avviene.
Fine gennaio 1935, Mussolini -ora che la concordia e' raggiunta- ritiene un peccato sprecare in Vaticano un uomo così abile, perciò -nonostante l'amico non ne abbia voglia - lo convince a dimettersi da ambasciatore per diventare ministro dell'Educazione Nazionale.
Preparandosi la conquista dell'Etiopia, vuole un "energico incompetente" cosi' si esprime il Duce, che sproni la scuola alle atmosfere ed agli entusiasmi patriottici di una campagna militare.
Cesare Maria De Vecchi si mette all'opera, con impegno e determinazione, fatto imprevisto però, mentre con il Vaticano e con il Re ha avuto sempre tanta pazienza, con i fascisti che lo attorniano non ne ha affatto; burrascose le sue liti con Starace e Farinacci. La sua insofferenza è tale che dopo appena un anno, nell'ottobre del 1936, chiede di essere rimosso e si propone come Governatore del Dodecanneso.Si stabilisce a Rodi. Anche qui la situazione è pessima. Contrasti con la chiesa Ortodossa per via dell'insegnamento religioso, contrasti con la disorganizzazione militare, lotta contro i movimenti irredentisti.
Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e l'entrata in guerra dell'Italia accanto alla Germania lo pongono in primo piano. Le isole sono a rischio di attacchi inglesi e la Marina non ha forze sufficienti per predisporre una difesa.
E' costretto a stupirsi poi che i britannici siano informatissimi sul movimento delle nostre navi e puntualmente le attacchino. Non sa che il sistema di codifica Enigma, con cui gli italiani ed i tedeschi inviano i loro ordini segreti alle forze armate e' stato decifrato e per gli inglesi e' come un libro aperto!Dopo l'Egitto, Mussolini intende attaccare la Grecia, paese alleato dell'Inghilterra, ma ancora neutrale rispetto al conflitto. A questo proposito, De Vecchi, suo malgrado, viene coinvolto in una brutta faccenda.
Siccome il traffico marittimo mercantile fra i Dardanelli ed il Peloponneso è effettuato solo a vantaggio nemico, il 14 agosto 1940 riceve dal Comando Generale della Marina un ordine con il quale gli si impone di scegliere un sommergibile della base di Rodi per affidargli il compito di affondare alcune delle navi dirette in Grecia, anche se battono bandiera neutrale. Il sommergibile italiano sarebbe dovuto essere senza bandiera e di nazionalità non identificabile, in modo da poter far ricadere le responsabilita' dell'agguato sugli inglesi.
De Vecchi incarica della discussa missione il sommergibile Delfino, il quale, in prossimità del porto di Tinos, invece di colpire le navi da trasporto -così come gli era stato chiesto- affonda l'incrociatore da guerra Helli, che batte bandiera greca.
Da frammenti di siluro con marchio italiano si risale alla sua nazionalita', l'azione è percio' diventa vergognosa, compiuta a tradimento. Gli italiani si difendono: il sommergibile -dicono- e' inglese, ha adoperato siluri venduti dagli italiani prima del conflitto. Anzi, l'affondamento e' stato compiuto di proposito, per logorare i gia' difficili rapporti fra Roma ed Atene, per scatenare un'altra guerra.
Comunque, degli errori commessi nella incresciosa vicenda viene accusato De Vecchi. Alla prova dei fatti sembra, tuttavia, che in un primo momento i greci accreditino davvero la versione italiana, condannando l'Inghilterra.
Scontri anglo italiani antistanti le acque di Rodi e il Dodecaneso ce ne saranno ancora molti.
Sul finire di settembre 1940, viste in pratica vane tutte le richieste di rifornimento per rendere le sue isole difendibili, De Vecchi decide di dimettersi.
Il 28 settembre s'incontra con Mussolini a Roma; questa volta il Duce è davvero seccato. A nulla vale che lui chieda di essere messo al comando di un gruppo di uomini ed inviato al fronte, in prima linea. Benito per due anni tergiversera'. Forse non sa neppure lui dove mandarlo. E neanche gli altri gerarchi hanno mai avuto occasioni di gloria.
Solo il 14 luglio, dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia, gli affida la "215a divisione costiera" di stanza nell'Isola d'Elba, ma non fa in tempo a raggiungerla che per la notte del 25 luglio 1943 viene convocato il Gran Consiglio.
Anche Cesare Maria De Vecchi è uno di quelli che ritiene il voto contro Mussolini una scelta forzosa per rimettere in moto certi meccanismi dello stato che si sono atrofizzati. Non immagina pero' che la assunzione del comando delle Forze Armate nelle mani del Re -dopo solo 45 giorni- comporti il crollo della impalcatura della intera Nazione.
E non immagina neppure che il 9 settembre mattina il Re fugga da Roma, dimenticandosi di lui, che verrà salvato dalla morte solo per il coraggio dei Salesiani che, memori del bene ricevuto quando era ambasciatore in Vaticano, lo nascondono in un convento, ogni giorno difendendolo dalle terroristiche perquisizioni dei tedeschi e dei fascisti di Salo'.La morte mieteva intanto altri uomini su un prato di Verona, amici di un tempo da nessuno salvati.
I Documenti Luce
Nel file .zip e’ presente l’elenco di tutti i cinegiornali reperibili su Graziani presso l’Istituto Luce in Roma.