Londra
rapporto di Dino Grandi
sulla conquista etiopica
Londra, 27 dicembre 1935-XIV
Opinione pubblica britannica e avvenimenti dal 10 al 21 dicembre 1935.
Nonostante che le giornate Natalizie abbiano allontanato da Londra molti fra gli esponenti politici, pure gli avvenimenti che hanno avuto luogo dal 10 al 21 corrente continuano ad essere l'argomento di tutte le discussioni nei corridoi della Camera dei Comuni, nei Club politici, nella City, nella redazione dei giornali e nelle riunioni private. Tali discussioni sono tenute maggiormente vive dalle incerte notizie sul dibattito attualmente in corso alla Camera francese in materia di politica estera.
Nei circoli anti-fascisti e sanzionisti, come in corrispondenze da Parigi su questi giornali liberali e laburisti (gli articoli di P. Reynaud sul "Paris Soir" sono qui stati largamente riprodotti), ricorre spesso una frase con cui si intendono definire gli avvenimenti che hanno portato alle dimissioni di Hoare, al discorso di Baldwin col rigetto del Patto di Parigi, al voto alla Camera dei Comuni nella seduta del 19 u. s. e alla conseguente nomina di Eden a Segretario di Stato per gli Affari Esteri. Tutto ciò è definito come "la vittoria della pubblica opinione".
Se per pubblica opinione si intende la demagogia parlamentare di Westminster, allora la definizione è esatta. Ma se per pubblica opinione si intendono l'istinto e il sentimento diffuso delle grandi masse popolari britanniche, tale definizione non potrebbe essere piú erronea e piú contraria alla realtà. Questo non è soltanto il mio obiettivo giudizio sulla situazione, ma è anche il giudizio degli osservatori piú imparziali degli avvenimenti di politica interna britannica di questi ultimi tempi. Ho avuto piú volte occasione di affermare e d'illustrare (da ultimo nelle mie lettere al Duce del 19 settembre e 25 ottobre) come sino ai primi di settembre u. s. le grandi masse britanniche sono rimaste, nella grande maggioranza, indifferenti alla questione Abissina. Il famoso "Peace Ballot" del giugno scorso, come è stato dimostrato a piú riprese nelle discussioni che hanno avuto luogo alla Camera dei Comuni e alla Camera dei Lords su questo argomento (sedute del 22-23-24 ottobre e del 19 dicembre ai Comuni e ai Lords), non aveva alcun riferimento colla situazione internazionale determinatasi in seguito al sorgere della Questione Abissina. Esso significò allora soltanto la volontà di pace di 12 milioni di cittadini britannici, e questa volontà di pace fu espressa nella formula generica e semplicista di adesione ai principî della S.d.N. Dei risultati dal "Peace Ballot" si sono valsi i politicanti, gli anti-fascisti, i fanatici della "League of Nations Union", i liberali e i laburisti in genere per immobilizzare la Questione Abissina nel quadro rigido e senza uscita della S.d.N. e ciò allo scopo soprattutto di mettere il Governo conservatore, alla vigilia delle elezioni in una via senza uscita, o quanto meno in una posizione di politica interna ed estera scabrosa e difficile. Questa prima fase dell'attitudine britannica nei riguardi della Questione Abissina è troppo conosciuta, e su di essa ho cosí spesso e a lungo riferito, da rendere superfluo il soffermarvisi oltre.
È alla fine di agosto, o meglio ai primi di settembre, a seguito del fallimento delle conversazioni Tripartite di Parigi e del discorso di Hoare all'Assemblea di Ginevra, alle misure difensive prese dall'Italia nel Mediterraneo e all'invio della flotta inglese a Gibilterra, a Malta e ad Alessandria, che la Questione Abissina diventa piú direttamente una questione italo-britannica e come tale comincia ad impegnare il sentimento profondo dell'opinione pubblica britannica o, meglio, per essere piú esatti, il sentimento delle masse britanniche. Chi ha eccitato, esasperato questo sentimento popolare contro l'Italia Fascista (molto piú degli stessi gruppi anti-fascisti e molto piú della stessa propaganda societaria), sono stati: Downing Street per ragioni di politica interna elettorale, e il Foreign Office per ragioni di politica estera, nelle quali, come V. E. sa, la Questione Abissina non entrava se non come un motivo e uno scopo secondario e indiretto. A metà di ottobre, come V. E. ricorda e come ho descritto nella mia lettera al Duce del 13 ottobre, la tensione è giunta a un Punto tale da fare prevedere come imminente qualche cosa di irreparabile. Molti e di natura diversa sono stati gli elementi che hanno in quel momento determinato un improvviso cambiamento della situazione. Non starò adesso ad enumerarli perché V., E. li conosce perfettamente. Ma è certo che se il Governo conservatore si è trovato ad un tratto davanti alla necessità di modificare la sua tattica dell'attacco frontale contro l'Italia, e di adottare invece la tattica dell'offensiva di amicizia (tattica che è durata da metà di ottobre fino al giorno preciso delle elezioni generali cioè il 14 novembre), ciò è dovuto in massima parte all'improvvisa constatazione che le grandi masse britanniche nel loro istinto sicuro si stavano accorgendo che la politica del Governo conservatore stava portando l'Inghilterra direttamente alla guerra, ossia precisamente al risultato opposto a quello che le masse britanniche intendevano raggiungere con la loro adesione alla politica di Ginevra (Peace Ballot) e alla politica delle sanzioni.
L'"offensiva di amicizia" iniziatasi colle assicurazioni date al Duce da Drummond il 18 ottobre e durate sino al giorno delle elezioni generali aveva, come ho piú volte illustrato (e particolarmente nella mia lettera del 25 ottobre al Duce), tre obiettivi: 1) placare le improvvise inquietudini delle masse popolari alla vigilia delle elezioni; 2) convincere l'Italia ad accettare un indebolimento del suo sistema difensivo nel Mediterraneo ("détente" Mediterranea); 3) decidere a Ginevra le sanzioni evitando in quel momento una troppo ostile reazione italiana contro l'Inghilterra, salvo iniziare l'applicazione delle sanzioni il z 8 novembre, tre giorni dopo le elezioni.
Interpretare oggi gli avvenimenti che hanno portato alle dimissioni di Hoare, al rigetto delle Basi di Parigi e alla nomina di Eden come una vittoria della pubblica opinione è un'asserzione contraria alla piú elementare verità. Le masse britanniche non vogliono saperne di "guerra societaria" oggi come non ne volevano sapere nel mese di ottobre. Il che non vuole assolutamente dire che le masse britanniche non sarebbero pronte, come lo sono state nel mese di settembre, quando improvvisamente davanti al sospettoso spirito britannico si è profilato lo spettro della Questione Mediterranea e la pretesa minaccia dell'Italia agli interessi imperiali britannici, a battersi fino in fondo se ritenessero, o fosse loro fatto ritenere, che sono in gioco gli interessi della Gran Bretagna e dell'Impero. Ecco perché è necessario da parte nostra di sorvegliare attentamente e di neutralizzare la manovra di Eden (v. mio telegramma di ieri n. 0416), la quale in questi giorni appare identica a quella da lui fatta con successo al ritorno da Parigi verso la fine di Agosto: fare cioè slittare di nuovo la Questione Etiopica sul terreno delicato e pericoloso di una "Questione Mediterranea" che non esiste, ma che non mi meraviglierei Eden tentasse di risuscitare di nuovo, per bloccare a sostegno della sua politica di difesa della Società delle Nazioni e degli interessi imperiali, i sentimenti delle masse popolari e delle correnti politiche imperialiste e di destra che sino a questo momento hanno diffidato di lui. Mi permetto su questo punto che giudico essenziale per quelli che saranno i prossimi sviluppi della situazione, di richiamare la personale attenzione del Duce.
Piú i giorni passano e piú si dimostra chiaro che Hoare è stato la vittima di un intrigo parlamentare, e che la vittoria della pubblica opinione altro non è stata se non la vittoria della demagogia parlamentare, la quale ha guadagnato a poco a poco tutti i settori della Camera dei Comuni.
Nella mia lettera del 20 corrente al Duce ho indicato quali sono state le diverse linee dell'azione parlamentare che si è andata svolgendo contro la persona di Hoire. Il Progetto Hoare-Laval ha suscitato la piú viva opposizione in seno al Gabinetto da parte di Eden e dei membri del Governo che l'hanno sinora sempre seguito (i "Giovani Turchi" come li chiamano a Londra). Ma Baldwin è riuscito a dominare la frazione dissidente del Gabinetto, tant'è vero che nella seduta del 10 lo stesso Eden, seppure a malincuore, si è deciso a difendere, in nome di Hoare assente, il Progetto di Parigi contro gli attacchi dell'opposizione. Va inoltre rilevato che il tanto incriminato telegramma a Sir Sidney Barton (pubblicato nel "Libro Bianco") è stato spedito da Londra il 10 dicembre quando tanto Hoare quanto Vansittart erano assenti, e Eden aveva la direzione interinale del Foreign Office.
Il secondo intrigo svoltosi da parte del gruppo liberale-nazionale della maggioranza è stato pure, dopo qualche giorno, dominato da Baldwin, il quale è riuscito ad ottenere da Simon, capo del gruppo nazionale-liberale, un'adesione alle Basi di Parigi e alla politica del Governo.
Chi ha deciso invece delle sorti di Hoare e del suo Progetto è stata l'attitudine improvvisamente divenuta dura e intransigente della larga sezione dei Conservatori di sinistra capitanati da Sir Austen Chamberlain, dei "congiurati del Carlton Club" come oggi tutti li chiamano a Londra.
Come ho informato nel mio telegramma n. 7 del corrente i Conservatori di sinistra si sono riuniti una prima volta il giorno 8 e hanno deciso di soprassedere a fissare il loro atteggiamento a seconda di quelle che sarebbero state le dichiarazioni di Hoare. Nelle prime ore del pomeriggio del giorno 18 i Conservatori di sinistra si sono radunati di nuovo, e hanno deciso di porre immediatamente a Baldwin l'aut-aut: essi avrebbero votato la fiducia al Governo soltanto se il Governo si fosse presentato all'indomani ai Comuni colla dichiarazione formale del ritiro del Progetto di Parigi e colla confessione solenne dell'errore compiuto. Baldwin ha ceduto all'intimazione dei Conservatori di sinistra, ed ha domandato a Hoare di modificare nel senso da quelli richiesto, le dichiarazioni che Hoare stava preparando e che nelle grandi linee erano state già approvate dal Primo Ministro sin dalla sera precedente. Hoare ha rifiutato di presentarsi ai Comuni in una posizione di pentito e di penitente ed ha preferito dimettersi per difendere la sua politica dal suo banco di deputato.
Allego, per curiosità del Duce, un appunto contenente dati ed elementi di fatto da me personalmente raccolti nella giornata del 18, dati che confermano la successione cronologica degli avvenimenti, la quale del resto oggi è di pubblico dominio e su cui non vi è piú discussione di sorta.
L'opinione pubblica non c'entra dunque nella caduta di Hoare. I motivi di tale caduta risiedono nel Parlamento e non hanno origine nei sentimenti del Paese. Ne è prova il rincrescimento e la simpatia che nell'opinione pubblica britannica si è rivelata per Hoare all'indomani della sua caduta. Tutti sono d'accordo nel ritenere che dalla giornata del 19 una sola persona è uscita ingrandita dal dibattito, la persona di Hoare. Tutto ciò è tutt'altro che irrilevante ai fini degli avvenimenti politici che seguiranno nelle prossime settimane, ed è un'ulteriore prova che le masse britanniche sono rimaste assolutamente estranee agli avvenimenti parlamentari del 18 e del 19 dicembre.
Quale sarà ora la politica di Baldwin e di Eden? Tutti gli elementi equilibrati e sani del Paese sono d'accordo nel giudicare la politica di Hoare come la sola che rispondesse agli interessi della Gran Bretagna e agli interessi della pace. Ma tutti sono altrettanto d'accordo nel ritenere che la logica della situazione renderà difficile, non foss'altro per un certo periodo di tempo, a Baldwin e a Eden di riprendere anche se lo volessero, la politica di Hoare, politica che Baldwin ha solennemente rigettato e contro la quale Eden è stato assunto alla direzione della politica estera britannica. I meno pessimisti insistono nel ritenere che Baldwin e Eden, spinti dal senso della realtà internazionale, da una valutazione pacata degli interessi britannici, e dai sentimenti diffusi del Paese dovranno presto o tardi rimettersi sulla strada calcata da Hoare. Ma essi aggiungono di non sapere come e quando sarà possibile a Baldwin e a Eden di fare ciò senza rischiare una situazione parlamentare ancor piú critica di quella che non si è verificata nella scorsa settimana. Si confida pertanto nel "fatto nuovo". E questo fatto nuovo dovrebbe consistere in:1) un'effettiva resistenza francese all'applicazione di ulteriori sanzioni;
2) una decisiva avanzata delle truppe italiane in Abissinia.
In attesa di questi avvenimenti che, a parere di molti, verrebbero a disincagliare la politica di Baldwin e Eden dalle attuali difficoltà e permettere un riesame della situazione e un ritorno sostanziale alla politica di Hoare, gli spiriti sono dubbiosi, preoccupati e sospesi. L'annuncio delle proposte Hoare-Laval del 10 dicembre ha infuriato il Parlamento e soddisfatto il Paese. Il voto alla Camera dei Comuni del 19 u. s. col quale il Governo di Baldwin si è consegnato prigioniero alla demagogia di Westminster, ha soddisfatto il Parlamento, ma ha determinato un senso di incubo nel Popolo Britannico.