Prima di esporne i contenuti Mussolini
chiese che i presenti non ne facessero parola ad alcuno. Ne fu inviata
copia anche al Re, il quale rispose con un brevissimo biglietto di ringraziamento,
apprezzandone la chiarezza ed i propositi.
Questa relazione è scritta perché
deve rimanere agli atti del Gran Consiglio quale documento orientatore
della politica estera italiana a breve, a lunga, a lunghissima scadenza.
La premessa della quale parlo è la seguente: gli Stati sono più
o meno indipendenti a seconda della loro posizione marittima. E cioè
sono indipendenti quegli Stati che posseggono coste oceaniche o hanno libero
accesso agli oceani; sono semi-indipendenti gli Stati che non comunicano
liberamente cogli oceani e sono chiusi in mari interni; non sono indipendenti
gli Stati assolutamente continentali che non hanno sbocchi né sugli
oceani, né sui mari.
L’Italia appartiene alla seconda categoria di
Stati. L’Italia è bagnata da un mare interno, che comunica cogli
oceani attraverso il Canale di Suez, comunicazione artificiale che si può
facilmente ostruire anche con mezzi di fortuna e attraverso lo stretto
Gibilterra, dominato dai cannoni della Gran Bretagna.
L’Italia non ha quindi una libera comunicazione
cogli oceani; l’Italia è quindi realmente prigioniera nel Mediterraneo
e più l’Italia diventerà popolosa e potente e più
soffrirà della sua prigionia.
Le sbarre di questa prigione sono la Corsica,
la Tunisia, Malta, Cipro: le sentinelle di questa prigione sono Gibilterra
e Suez. La Corsica è una pistola puntata sul cuore dell’Italia;
la Tunisia sulla Sicilia, mentre Malta e Cipro costituiscono una minaccia
a tutte le nostre posizioni del Mediterraneo centrale ed occidentale. Grecia,
Turchia, Egitto, sono Stati pronti a far catena colla Gran Bretagna e a
perfezionare l’accerchiamento politico-militare dell’Italia. Grecia, Turchia,
Egitto devono essere considerati Stati virtualmente nemici dell’Italia
e della sua espansione. Da questa situazione, la cui rigorosa obiettività
geografica salta agli occhi e che tormentò anche prima del nostro
regime gli uomini che vedevano oltre la contingenza politica immediata,
si traggono le deduzioni seguenti:
1a. Compito della politica italiana che non può
avere e non ha obiettivi continentali d’ordine territoriale europeo, salvo
l’Albania, è quello di rompere in primo luogo le sbarre della prigione.
2a. Rotte le sbarre, la politica italiana non
può avere che una parola d’ordine: marciare all’oceano.
Quale oceano? L’Oceano Indiano, saldando attraverso
il Sudan, la Libia coll’Etiopia, o l’Atlantico attraverso l’Africa Settentrionale
francese.
Tanto nella prima, come nella seconda ipotesi,
ci troviamo di fronte alla opposizione franco-inglese. Affrontare la soluzione
di tale problema, senza avere le spalle assicurate nel continente è
assurdo. La politica dell’Asse Roma-Berlino risponde quindi ad una necessità
storica di ordine fondamentale. Così il nostro atteggiamento nella
guerra civile spagnola.
Queste premesse sembrano lontane, ma mi portano
diritto alla giornata del 30 novembre XVII, alla manifestazione della Camera
fascista. Dopo Monaco la propaganda dei nostri avversari esterni ed anche
interni fu condotta su queste linee: 1a che il vero artefice della pace
fu Chamberlain; 2a che l’Italia finse di mobilitare, data l’opposizione
del popolo e della Corona, ma effettivamente non mobilitò; 3a che
l’Asse aveva funzionato ancora una volta e funzionava esclusivamente a
favore della Germania. Quest’ultimo punto fu il più insinuato e
diffuso in Francia e di riflesso in Italia.
Le tre proposizioni suesposte sono false e falsa
è soprattutto l’ultima. Nel «Figaro» del 13 gennaio
1939, lo scrittore Lucien Romier, uno fra i migliori, mette le cose a posto:
«Tutti dicono, egli scrive, che la Germania è politicamente
debitrice dell’Italia. Facciamo un po’ i conti. La Germania ha annesso
l’Austria e smantellato la Cecoslovacchia. Essa fu aiutata dall’astensione
italiana nell’Europa centrale e dallo sbarramento di protezione che le
veniva assicurato dall’Italia al sud dei paesi danubiani, sulle Alpi, l’Adriatico
e il Mediterraneo. Ma d’altra parte l’Italia poté resistere alle
sanzioni e conquistare rapidamente l’Etiopia, grazie alla Germania. Se
la Germania, come le era stato domandato dall’Inghilterra, avesse applicato
le sanzioni, il risultato dell’impresa italiana sarebbe stato più
che dubbio. Ugualmente grazie alla pressione dell’Asse, cioè della
Germania, l’Italia ottenne che la sua conquista fosse riconosciuta e fosse
sostituita nei suoi confronti una politica Chamberlain a una politica Eden».
Tuttavia poiché una politica deve tener
conto degli stati d’animo anche se non giustificati dalla logica dei fatti,
ma soprattutto per le ragioni vitali che ho esposto nella prima parte della
mia relazione, io diedi ordine al Partito di cominciare a muovere le acque
mediterranee, a rendere popolari questioni che sembravano accantonate ma
non lo erano state da. parte del Governo come vi sarà dimostrato
dal Ministro degli Esteri, nella relazione che vi farà sull’attività
svolta in Corsica e in Tunisia dai nostri organi ufficiali e dalle nostre
cellule.
Questa propaganda doveva essere fatta, in un
primo tempo, col sistema da bocca a bocca, da circolo a circolo e non doveva
- sino a nuovo ordine - esplodere in pubbliche manifestazioni.
La seduta del 30 novembre.
Un regime autoritario e totalitario, cioè
senza partiti di opposizione, deve avere il coraggio dell’autocritica.
Dopo l’inattesa manifestazione del 30 novembre - manifestazione che era
nell’aria, ma avrebbe potuto avere svolgimento diverso, qualora fosse stata
preordinata - bisogna tracciare il bilancio dell’attivo e del passivo.
Al nostro passivo stanno le seguenti voci: 1a) La manifestazione della
Camera tolse rilievo, anzi fece passare in secondo ordine, tutta l’opera
svolta dall’Italia prima e durante Monaco; 2a) La manifestazione ha dato
l’allarme; cosa che bisognava evitare, allarme politico e allarme militare,
con conseguenti misure in Corsica, in Tunisia e a Gibuti; 3a) Le rivendicazioni
non furono tutte intonate. Ora bisogna che la politica estera fascista,
stabilisca questo assioma: tutto ciò che è al di qua delle
Alpi ci appartiene; tutto ciò che è al di là non è
nostro. Questo dicasi per la Savoia. Quanto al nizzardo trattasi di una
modesta rettifica di confine e di una città oramai completamente
francesizzata; 4a) Proprio nel giorno in cui - attraverso lo sciopero generale
- la crisi della politica francese sembrava attingere il suo acme, la manifestazione
dei deputati fascisti dava immediatamente una svolta alla situazione e
ristabiliva una nuova «unione sacra» contro l’Italia. Non bisogna
tuttavia credere a una durata eterna di questa «unione sacra»
in un paese come la Francia. Tanto è vero che nel Petit Bleu del
19 gennaio si leggeva quanto segue a proposito della incoerenza e della
confusione parlamentare «Tutti erano uniti ieri per opporsi alle
rivendicazioni italiane; oggi ricominciano gli insulti e le divisioni a
proposito della Spagna». Ma resta l’unione contro l’Italia; 5a) La
manifestazione fatta alla vigilia del viaggio di Ribbentrop, poté
dare l’impressione che fosse un moto di dispetto per l’accordo franco-tedesco
che io avevo approvato sin dall’ottobre e che fu definito da chi lo trattò
«una grande limonata»; 6a) La manifestazione pose in pericolo
il viaggio a Roma di Chamberlain, viaggio desiderabile per ragioni troppo
evidenti; 7a) La manifestazione ha provocato il viaggio di Daladier in
Corsica e in Tunisia nonché una esaltazione del neo-imperialismo
francese; 8a) Si dava al mondo l’impressione che la conquista dell’Impero
ci aveva delusi.
All’attivo stanno le voci seguenti: 1a) Impostazione
del nostro problema mediterraneo innanzi al mondo, anche se in massima
parte ci è ostile. Significativo a tale proposito l’articolo di
Duff Cooper; 2a) Fine della francofilia a base di sorelle latine, grazie
anche ai sanguinosi insulti che la stampa francese ha rivolto alle nostre
forze armate; 3a) Crescente popolarità dell’Asse dato il contegno
di piena solidarietà della stampa di Berlino e grazie alle dichiarazioni
dei Führer.
Il 17 dicembre.
La manifestazione della Camera non impegnava
il Governo, ma il Governo fascista non poteva ignorarla. In data 17 dicembre
il Ministro degli Esteri mandava una lettera dell’Amb[asciatore] di Francia,
nella quale dichiarava «non entrate in vigore» le convenzioni
Mussolini-Lavai del gennaio 1935.
La nostra tesi è dal punto di vista strettamente
giuridico, inoppugnabile. Nessuna delle clausole di quegli accordi è
stata applicata: essi sono decaduti. Colla nota del 1° dicembre il
Governo fascista faceva il «punto» diplomatico della situazione,
ma nello stesso tempo riconosceva i limiti delle nostre aspirazioni, aspirazioni
non metropolitane, ma coloniali e cioè Tunisia, Gibuti, Suez. La
Francia ha risposto praticamente con un «fin de non recevoir»
sostenendo cioè la tesi opposta alla nostra. Da allora nessun contatto
si è più avuto, né si avrà prima della fine
della guerra di Spagna, come è stato dichiarato nella maniera più
formale a Chamberlain.
Che cosa vogliamo?
Quantunque la Corsica non possa - in base alla
nota del 17 dicembre - fornire materia di negoziati - quantunque la Corsica,
bisogna riconoscerlo, sia oramai profondamente infranciosata - noi non
possiamo rinunciarvi, perché la Corsica - oltre ad essere geograficamente,
storicamente, etnicamente, linguisticamente italiana - rappresenta per
noi un interesse strategico vitale. Il modus procedendi non può
essere che il seguente; 1°. tempo: ravvivare le tendenze autonomistiche
dei Corsi; 2°. tendere all’indipendenza della Corsica; 3°. annessione
all’Italia.
Tunisia.
Rivendicazioni di carattere territoriale nei
confronti della Tunisia, non potrebbero essere avanzate che in pieno accordo
col mondo arabo. 1°) tempo: quindi, statuto degli italiani di Tunisi;
2°) tempo: sostituire l’Italia alla Francia nel protettorato del Bey.
Gibuti.
Per quanto concerne Gibuti vi sono maggiori possibilità
di negoziati, anche per il fatto che la Gran Bretagna non avrebbe a temere
alterazioni nello statu-quo dei Mediterraneo. Qui si possono ottenere oltre
che agevolazioni ferroviarie e portuali, cessioni di carattere territoriale,
ma si tratta di vedere, se la eventuale contropartita da dare alla Francia
non sarebbe eccessiva.
Sviluppi prevedibili.
L’Italia può scegliere una o l’altra delle
seguenti strade:
a) non dare ulteriore corso alla faccenda e attendere
tempi migliori; rimettendo il tutto a una sistemazione generale di eventi
che non tarderà. Insabbiare, in altri termini, la questione. Ma
dopo tanto clamore una soluzione del genere sarebbe considerata una brutta
ritirata strategica, un «macchina indietro», equivalente a
una sconfitta diplomatica. Fascisti e non fascisti potrebbero concludere
che è bastato che la Francia ritrovasse un po’ di «mordente»
per soffocare «nel germe» le naturali aspirazioni del popolo
italiano.
b) negoziare, prendendo quale punto di partenza
la nota italiana del 17 dicembre e cioè - statuto degli italiani
di Tunisi, interessi italiani di carattere ferroviario e portuale in Somalia,
tariffe del Canale di Suez, qualche rettifica di frontiera. Un accordo
di questo genere non sarebbe l’ideale, ma presentato convenientemente al
popolo italiano, finirebbe per incontrarne l’approvazione, anche per il
fatto che allontanerebbe possibili complicazioni.
c) presentare al momento opportuno il nostro
programma massimo alla Francia. Qui i casi sono soltanto due. La Francia
accetta di discutere e allora si resta sul terreno diplomatico o la Francia
respinge ogni proposta e allora non rimarrebbe che il ricorso alle armi.
Caratteri di una guerra franco-italiana.
Che a una prova di forza si debba giungere un
giorno fra noi e la Francia, non v’ha dubbio, anche per il fatto che la
Francia rispetta soltanto i popoli dai quali èstata battuta. Si
tratta di sapere se il momento è propizio. Esaminiamo i caratteri
che una guerra italo-francese potrebbe assumere. Dal punto di vista terrestre
sulle Alpi, nessuna possibilità di decisione. Difficile per noi
passare, altrettanto difficile per i francesi. In Libia i nostri apprestamenti
difensivi e i loro non autorizzano a sperare una decisione su quel fronte.
Unico fronte terrestre, ove le forze francesi potrebbero essere travolte,
è il somalo, quantunque, oggi, la cosa sia già meno facile
di prima. La guerra franco-italiana assumerebbe quindi un carattere aereo-marittimo.
Qui possiamo considerarci se non superiori, almeno uguali in forze. Una
guerra del genere può durare molto a lungo a meno che non intervengano
altri fattori ad accelerarla o a mento che non assuma carattere europeo
e mondiale.
Possiamo noi contare sulla solidarietà
germanica? Dopo il discorso del Führer, non è più possibile
dubitarne.
Siamo noi oggi, febbraio del 1939, nelle condizioni
«ideali» per fare una guerra? Nessuno Stato è mai nelle
«condizioni» ideali per fare una guerra, quando si voglia con
ciò intendere una sicurezza matematica di vittoria. Ogni guerra
- anche la meglio preparata - ha le sue incognite. Ma non v’è dubbio
che la nostra preparazione sarà migliore fra qualche anno e precisamente:
a) quando avremo rinnovato tutte le nostre artiglierie
(1941-42);
b) quando avremo in squadra le 8 navi da battaglia
e un numero forse doppio di sommergibili (1941-42);
c ) quando l’impero sarà del tutto pacificato,
potrà bastare a se stesso e darci l’armata nera;
d) quando avremo realizzato almeno il 50% dei
nostri piani autarchici;
e) a esposizione del ‘42 chiusa, esposizione
che deve rinforzare le nostre riserve
f) quando avremo fatto rimpatriare il maggior
numero possibile di italiani dalla Francia. Questi 600-700 mila italiani
residenti in Francia costituiscono un veramente grave problema.
Allo stato degli atti, la diplomazia fascista
lavorerà per ottenere la soluzione migliore di cui al numero due
e nel contempo le forze armate affretteranno la loro preparazione onde
essere pronte a fronteggiare qualsiasi evento.