La famiglia Petacci
    tra Merano, Trieste, Palazzo Venezia e Dongo
    Di Elsa dal Monego
     verena5@alice.it


     
     

        La storia, è lo svolgersi di umane vicende e tra queste vi sono anche i tristi ricordi di Claretta Petacci e la sua famiglia.Spesso mi ripetevo: "Mi piacerebbe scrivere qualche cosa sulla famiglia Petacci", solo che… dove prendo le notizie? (Personalmente non ho simpatia copiare dai libri) e allora come faccio?
    Amo scrivere con le mie capacità, magari narrare cose che mi sono raccontate da qualcuno che abbia conosciuto personalmente le persone di cui voglio trattare.
    ...E' un metodo tuttavia non facile.
    ...Ho cercato, cercato molto.
    ...Non sono mai stata a contatto con tante persone conosciute e sconosciute come in questa mia piccola esperienza. E ogni volta la risposta era più o meno la stessa: "Mi dispiace ma io non sapevo nemmeno che le Petacci avessero abitato a Merano"   oppure  "Chi?  Petacci?  Ahh... l'amante di Mussolini... no mi dispiace ma di questo non so niente"  mi è capitato anche di sentirmi dire:   "Petacci?  No, da quando ci abito io non li ho mai visti" .
    Quando mi fu chiusa la porta, mi sedetti su un gradino e ho pensato a lungo, se ne valeva veramente la pena che io mi dessi tanto da fare per far rivivere  un pezzo di storia di cui nessuno sapeva niente e non solo ma erano anche talmente indifferenti che nessuno ha avuto la curiosità di farmi qualche domanda a proposito. Mi alzai e scesi i gradini demoralizzata, luci e ombre mi passarono per la mente.
        Un altro giorno era incominciato, il mio lavoro iniziato con tanto entusiasmo era fermo alla frase:  "Quando la famiglia Petacci..."  non sapevo come andare avanti non avevo niente in mano, bene... non mi sarei fermata, dovevo trovare!   La giornata si presentava con nuvole dense e minacciava pioggia, strada facendo ecco la pioggia!   avevo un ombrello che ci pioveva dentro, e quel splash, splash sotto i piedi mi urtava i nervi. Non so come mi trovai davanti alla casa dove ci abita una mia amica che non vedevo da un secolo!  Mi ci voleva un buon caffè, e così premetti il campanello.
        Elsa!  Marisa!  la gentilezza e l'allegria della mia amica mi fece passare il malumore, e cominciai a raccontarle della mia odissea. Mi disse che sua zia Gemma che ho conosciuto anch'io e era impiegata postale  portava la pensione a un professore di musica che conosceva bene la Famiglia Petacci, sì era già qualche cosa, però non bastava ora dovevo scoprire se quel professore era veramente ancora in vita, dove abitasse, e se mi avrebbe ricevuta.
    Presi il coraggio a due mani mi improvvisai in Sherlock Holmes e ripresi il lavoro. Questo signore che doveva essere già molto anziano abitava a Maia Alta nella zona residenziale si chiama così perchè è costruita in un terreno in salita quasi come una collina, le costruzioni sono quasi tutte villette circondate da giardini o parchi con alti pini, e si trova abbastanza lontana dal centro e dove io conoscevo una sola persona, andai da lei, e da lei a un'altra e un'altra ancora e con questo metodo arrivai alla villa del professore, finalmente avevo raggiunto una parte del mio scopo. Il cancello e il campanello erano lì davanti a me, ma le mie mani si rifiutavano di muoversi, i miei occhi guardavano la targhetta in ottone con una scritta straniera dedussi che il professore, che si chiamava Gerardo, non era italiano.
    Non so quanti minuti erano passati finalmente premetti quel pulsante, non sentii niente anche perchè il cancello distanziava abbastanza dalla villa. Sapevo di essere vista perchè c'era una telecamera. Il cancello venne aperto con la chiave e penso dal custode che mi disse di seguirlo.
        Venni ricevuta da due signore anziane che mi fecero ben capire che non ero gradita, marcando molto sulla precaria salute del professore. Leggevo nel suo viso la stanchezza degli anni. Mi presentai e gli dissi cosa desideravo mi rispose a voce molto bassa quasi sussurandomi solo poche parole, ma nei suoi occhi c'era una luce viva di chi desidera parlare di fatti realmente vissuti con nostalgia, però vidi che gli mancava la forza ed era stanco, perciò decisi di andarmene, mentre gli strinsi la mano mi diede appuntamento per alcuni giorni dopo.
    Le due signore, abbastanza antipatiche, mi accompagnarono alla porta facendomi capire di non tornare più, con i loro modi molto inospitali, ma io avevo deciso che sarei tornata!

    ***

    Giorni dopo rieccomi a casa sua. Questa volta però mi sono sorpresa nel vedere che il professore non era seduto sulla sedia a rotelle dove lo trovai giorni prima; lui l'ha capito subito e mi ha detto: "Quella sedia 'rotellata' la uso solo quando devo girare per casa, io so ancora camminare, solo… mi stanco subito".  E senza che io gli abbia chiesto altro  ha aggiunto "Quando i signori Petacci venivano in vacanza a Merano, ospiti in un castello a Maia Alta,
    tutti a Merano si domandavano 'chissà come saranno'? Per la nostra piccola città questo era un grande avvenimento, e diverse persone si appostavano ogni giorno nelle vicinanze del castello per poterli vedere
    ".
    E' cosi' che, da questo anziano professore di musica, sono venuta a sapere che lui ebbe il piacere di aver conosciuto personalmente e frequentato la famiglia Petacci. L'ho pregato di raccontarmi qualche cosa dei suoi ricordi di quel tempo. E con una luce di gioia sul viso mi ha rivelato che le sorelle Petacci, Claretta e Miriam, erano molto gentili, semplici, e affettuose.
    Claretta era anche molto romantica, spesso la si poteva vedere seduta davanti a un vaso contenente delle rose (probabile omaggio del Duce) a fissare i fiori, mentre le si leggeva chiaramente in viso dall'espressione dolce e contemporaneamente assente, che i suoi pensieri erano molto lontani da lei, senza dubbio fra i petali delle rose lei vedeva qualcuno che nessun altro poteva vedere, un viso, un nome.
    Oppure la si vedeva passeggiare per il parco, lo sguardo velato di malinconia.
    Da questo racconto posso capire quanto Claretta non fosse completamente felice, nel suo cuore di donna innamorata poteva sentire avvicinarsi i drammatici giorni che colpirono lei e il Duce.
    Della sorella Miriam ho saputo molto poco, perchè -attrice- era spesso via per lavoro. Il signor Petacci, un uomo piuttosto chiuso, parlava poco ma amava leggere.
    Ogni tanto il mio professore di musica mi e' parso assopirsi, forse riemergeva l'eco di quei lontani giorni di cui parlava a me, Me ne sono rimasta silenziosa, seduta davanti a lui, per non interrompere quel sogno di cristallo, quegli attimi che lo riportavano in quel meraviglioso mondo lontano.
    Tornato vicino a me con la mente, mi ha detto: "Sai, bambina, un giorno facemmo un brindisi con una bottiglia di un vino molto vecchio che gli aveva mandato il Duce, ma quando facemmo saltare il tappo, tutto il vino schizzò al soffitto e sui nostri vestiti, avresti dovuto vedere! E così andai in cucina, chiesi una bottiglia con dell'acqua e la portai in sala; tutti mi guardarono mentre io intonavo 'brindisi coi bicchieri colmi d'acqua!' E tutti ci mettemmo a ridere".
    Claretta e Miriam amavano molto quando il professore si sedeva al pianoforte e suonava per loro, in particolar modo amavano "Torna a Surriento" una fra le più belle canzoni napoletane e il "Chiaro di luna" di Beethoven. Il professore, che componeva anche musica, ogni tanto suonava qualche sua composizione, fra l'entusiasmo delle sue ascoltatrici.
    A Claretta e Miriam (quando Miriam non era impegnata col cinema) d'inverno piaceva uscire quando nevicava, e spesso facevano la strada a piedi dal castello fino al centro di Merano. E ogni volta, al ritorno, mai dimenticavano di portare le caldarroste per il professore.
    Nella stanza ove il professore mi ha ricevuto regnava un silenzio quasi religioso, unico segno di vita un grande pendolo che segnava inesorabile il tempo che scorreva. In quei momenti in cui il professore era assorto nelle sue meditazioni, sentivo che fra quelle mura tutto parlava di ricordi dolci ma anche tristi. I suoi occhi stanchi hanno guardato nei miei e le sue labbra tremanti mi hanno detto: "Sai bambina, Claretta era una donna stupenda, molto dolce e romantica. Tante volte parlavamo insieme e tante volte mi raccontava dei suoi progetti. Vedi, Claretta, era solita sedersi proprio in 'quella' poltroncina quando veniva a trovarmi, dove oggi siedi tu". In quel momento ho avuto una sensazione bellissima, quello che ho provato non posso descriverlo, è qualche cosa per la quale non trovo le parole giuste.
    A un certo punto il professore ha mormorato: "Dimmi, cosa scriverai di tutto di quello che ti ho detto?"
    "Scriverò ogni parola, perchè ogni parola che lei mi ha detto è degna di essere letta". Gli ho promesso che gli avrei fatto avere quanto avrei scritto; avrebbe così scoperto che la mia non e' solo curiosità nei suoi confronti, ma anche tanto affetto, un sentimento di ammirazione e una grande riconoscenza.
    Ha aggiunto che un giorno, camminando per il parco con lui, Claretta si fermò davanti a un alberello di pesco e ruppe un piccolo ramoscello con un bocciolo che offerse al professore. Mi ha detto che fu un gesto che lo commosse molto e lo rese immensamente felice.
    Quella stanza parlava di ricordi ormai lontani, di sentimenti fatti solo di sguardi, sorrisi e passeggiate romantiche. L'incontro e' durato ancora molto. Ad un certo punto gli ho chiesto se era stanco, che me ne sarei andata se avesse voluto. "No" mi ha detto, "Prima voglio farti vedere una cosa importante, la più importante della mia vita". L'ho visto alzarsi e andare verso un mobile antico, ha preso uno scrigno d'argento e lo ha messo sul tavolino davanti a me dicendomi: "Quì dentro c'è il mio ricordo più bello". Lo ha aperto. …Ed ho visto su un velluto blù un pezzetto di ramoscello di pesco con un piccolo bocciolo ancora chiuso. Ci siamo guardati, in silenzio… in quel momento ho percepito come una presenza fra noi...
    Quel suo viso segnato dal tempo. Quegli occhi! non li dimenticherò mai. In loro ho visto un cuore battere, un sogno svanire, una lacrima parlare del passato.
    Quando mi sono alzata, furtivamente ho lasciato una carezza sul velluto verde della poltroncina... ed ho mandato il mio pensiero a colei che, con devozione, seppe offrire la sua giovane vita per un grande amore.
    Guardai il viso triste del professore e in un impeto di affetto mi sono avvicinata a lui e con un gesto reverente l'ho abbracciato.
    Sono uscita per sempre da quella casa e dalla sua vita, sapevo che non avrei più varcato quella soglia dietro alla quale un uomo anziano provato dalla sorte teneva ancora fra le mani un cofanetto d'argento, nel quale riposava un ramoscello di pesco con un bocciolo che non è mai fiorito...
     

    ***
     
        Il professor Gerardo mi aveva raccontato di lui, un segreto che forse non aveva mai detto a nessuno perchè.. come una luce di sollievo e di gioia avevo visto nel suo sguardo, aprendo quel cofanetto che per lui rappresentava un sogno.  Lo avevo osservato e nella mia mente si era fatta strada l'immagine di un bell'uomo con gli occhi celesti, quegli occhi che oggi mi avevano guardato tristi, un pò sbiaditi dal tempo come ogni cosa.
        Il dolce e malinconico racconto del professore era finito e io ero uscita da quella casa che il crepuscolo era già sceso e, pensavo...
        ...Che avrei dovuto scoprire ancora qualcosa di più di quella famiglia. L'incontro con il musicista era stato affascinante, mancavano però le informazioni salienti, quelle concrete. Il certo ed il vero, di questa famiglia.
        Ricominciai a vagabondare, nuovamente da una porta all'altra. E' così, intanto cominciava a farsi strada in me il consiglio che avevo ricevuto da tanti, di guardare sui libri, e così feci. Presi le cose che mi interessavano di più, qualche aiuto l'ho avuto anche da qualche caro amico e più tardi un'amica mi fece conoscere un ingegnere vedovo, la cui moglie era la cugina delle Petacci. Questo gentile signore con telefonate a Roma si informò presso parenti o conoscenze delle cose che sapeva potevano interessarmi. Grazie alla disponibilità e gentilezza di queste persone ecco un secondo paragrafo.
     

    Nell'anno 1427 un certo Benvenuto antenato della famiglia Petacci (del quale fu dato il nome al primogenito di Marcello, fratello di Claretta) fu proprietario di un piccolo castello sopra Trieste chiamato S. Servolo, la cui Arme gentilizia esibiva 12 dischi d'oro su campo di rosso che ancora oggi ornano il castello di S.Giusto.
    Nel 1763 la famiglia Petacci si trasferì a Milano per poi passare a Roma, dove il loro nome, Petacchi, si edulcorò in Petacci.
    Alla fine del XVIII secolo la famiglia Petacci ottenne l'iscrizione all'albo nobiliare capitolino col titolo di "marchese", ma così poco esaltato dai titolati che non si curarono di farlo inserire nell'Elenco Ufficiale della Nobiltà Italiana presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Consulta Araldica del Regno, S. Rossore addì 7 settembre 1933, Anno XI.
    I Petacci furono però attivi presso il Vaticano ed il primo di loro, impiegato oltre il portone di bronzo, fu proprio uno zio del padre di Claretta, a nome Giuseppe, medico di buona fama, che alla morte dell'archiatra Pontificio a nome Lapponi, ne prese il posto.
    Marcello, fratello di Claretta, malgrado il suo carattere difficile e esuberante lo avesse portato a frequentare persone non coerenti con la sua laurea in medicina (conseguita a 22 anni) ebbe 3 libere docenze, lasciandoci decine di pubblicazioni scientifiche.
    Questo fratello sfortunato nell'anno 1936 fu anche ufficiale medico nella Regia Marina, per poi trasferirsi a Milano nella famosa clinica universitaria del professor Donati, dove in occasione di una prestazione chirurgica alle tonsille, conobbe Zita Ritossa della quale si innamorò e dalla quale nacquero due figli Benvenuto e Ferdinando.
    Numerosi furono i loro soggiorni a Merano. Durante uno di questi, Marcello incontrò nel 1942 i rappresentanti di una ditta di importazioni che gli proposero una grossa partita di tonno e sardine più un cospicuo quantitativo di sterline d'oro, cosa questa che non finì serenamente per l'impossibilità di ottenere le dovute licenze, suggerendo purtroppo al dott. Petacci espedienti che per poco non coinvolsero il governo fascista, dal quale Marcello fu isolato.
    La sua emarginazione fu evidente anche a Dongo, allorchè i fucilandi fascisti non lo vollero tra di loro, obbligando il plotone di esecuzione ad allontanarlo, cosa questa di cui egli ne approfittò per tentare la fuga tuffandosi nel lago dove molte scariche di armi lo crivellarono, arrossando del suo sangue quelle acque.
    Poco distante da lui si andava compiendo la tragedia dell'Italia fascista, che aveva visto in quei giorni un gran movimento di uomini della Repubblica Sociale Italiana e del Comitato di Liberazione, chi a tentare la cattura del Duce, chi la fuga e la salvezza: questa era sognata in Valtellina, ma non voluta dal principe Valerio Borghese il quale sapeva che non sarebbe stato possibile raggiungerla (con i suoi 20.000 uomini) senza automezzi e senza carburante.
    Al contrario il generale Rodolfo Graziani consigliava di raggiungere il fronte di combattimento e arrendersi agli Alleati.
    Queste furono, a quel tempo, le affannose inconcludenti eccitazioni di chi non sapeva perdere la guerra con dignità, lasciando le truppe in balia di se stesse.

    Claretta
    Claretta Petacci (il cui nome di battesimo all'anagrafe e' Clarice) fu marchesa di S. Servolo, che gli archivi nobiliari triestini fanno risalire al XIV secolo. Nacque il 28 febbraio 1912, il suo nome fu scelto dalla madre in omaggio a S. Chiara d'Assisi, compagna di S. Francesco e fondatrice delle Clarisse. Fu da sempre chiamata Claretta oppure Etta.
    Il Duce nacque il 29 luglio 1883, a Dovia di Predappio. Il 28 ottobre del 1922 il re Vittorio Emmanuele III lo nominò Capo del Governo.
    Pare che la relazione tra Mussolini e Claretta ebbe inizio nell'autunno del 1936, qualcuno azzarda però l'ipotesi che fosse nata i primi dell'estate.
    Mussolini era al corrente dell'esistenza di lei sin dal 1926, quando, nell'aprile, scampò miracolosamente alle fucilate di Violet Gibson. Claretta: allora quattordicenne, scrisse con veemenza una lettera a Benito per complimentarsi per lo scampato pericolo:
    "Per la seconda volta, hanno vigliaccamente attentato alla Tua sacra persona. Una donna! Quale ignominia, quale viltà, quale obbrobrio! Ma è straniera e tanto basta! Duce amato, perché hanno tentato un’altra volta di toglierti al nostro forte e sicuro amore?
    Duce, mio grandissimo Duce, nostra vita, nostra speranza, nostra gloria, come vi può essere un’anima così empia che attenti ai fulgidi destini della nostra bella Italia? O, Duce, perché non vi ero! Perché non ho potuto strangolare quella donna assassina, che ha ferito te, divino essere? Perché non ho potuto toglierla per sempre dalla terra Italiana, che è stata macchiata dal tuo puro sangue, dal tuo grande, buono sincero sangue romagnolo!
    Duce, io voglio ripeterti come l’altra tristissima volta, che ardentemente desidererei di posare la testa sul Tuo petto per udire ancor vivi i palpiti del Tuo cuore grande... Duce, la mia vita, è per Te!
    il duce e salvo, w il duce!"
    Giorni dopo non riuscì ad esimersi dall'inviargli le sue poesie, anch'esse colme di sinceri quanto adolescenziali entusiasmi per lui.
    E la Segreteria del Duce il 19 maggio 1926 così le risponde: «Gentile Signorina, L'espressione della Sua giovanile e fervida devozione, ricca di tanta ingenua confidenza, è giunta, con i Suoi versi, a S. E. il Capo del Governo. Egli, sensibile alla gentilezza della piccola fascista, mi ha incaricato di rendermi interprete del Suo sentito ringraziamento. Distinti saluti».
    L'amore storico che ha legato Claretta Petacci a Benito Mussolini è caratterizzato da una peculiarità su cui pochi scrittori si sono soffermati.
    Il 24 aprile 1932 sulla via del mare fra Roma ed Ostia Claretta incitò il proprio autista Coppola a raggiungere la berlina nera che correva avanti a loro e sulla quale viaggiava il Duce.
    Per quattro anni i loro incontri si limitarono però unicamente ad un’affettuosa amicizia, Mussolini per esempio amava interessarsi alle sue esperienze di pittrice. Inoltre prese anche l'impegno di facilitare il suo matrimonio con un ufficiale d’aviazione, il quale non avendo ancora raggiunto l'età minima per gli ufficiali del suo grado, gli era impossibilitato di sposarla.
    Il mutamento del rapporti perciò avvenne solo più tardi.
    Per la fine dell'anno del 1936 nella Sala dei cultori d'Arte, a Roma, la pittrice Claretta Petacci ebbe il piacere della sua prima personale. La presentazione del catalogo fu affidata al critico Piero Scarpa: «...Giovane di non comune talento è dotata di un'anima assai sensibile, perché è riuscita con encomiabile forza di volontà a disciplinare le proprie facoltà spirituali ch'erano celate dall'aspetto preponderante del suo carattere volitiv., ...Marine, vedute, paesaggi, composizioni, figure e fiori sono pittoricamente trattati dalla nostra artista, che ha viaggiato molto in Italia e all'Estero, con passione e con particolare sentimentalità cosi che questa mostra costituisce l'essenza migliore della sua anima tormentata che però ha tanti bagliori di luce senza veli e che riesce ad esprimere la sua forza e la sua grazia creando, senza smarrire la verità, un mondo trascendentale avvolto da un'atmosfera di poesia».
    Per i loro incontri venne arredato a Palazzo Venezia un ambiente apposito detto l'«appartamento Cybo» dove lei trascorreva ore ed ore in attesa che l'uomo dei suoi sogni, conclusi gli impegni di governo, finalmente la raggiungesse.
    La dedizione di Claretta al suo Ben fu epica; gli fu accanto con assoluta modestia, così come la ricordano anche quì a Merano, dove talvolta prendeva alloggio anche al Park Hotel di Maia Alta (oggi un istituto ortopedico). Non molto distante si trovava anche il castello del fratello Marcello, durante la guerra requisito dalle truppe tedesche. Claretta spesso scortata da due guardie in borghese passeggiava lungo i giardini sempre accompagnata dalla sorella e dai genitori, a volte anche dal fratello Marcello cui era legata da un profondo affetto.
    Non è assolutamente vero che ella determinò in qualche modo la vita politica del Duce e che non volle ascoltarla il 25 luglio del 1943 quando lei gli suggerì di fare arrestare i traditori della causa fascista. Come non è assolutamente vero che il suo mantenimento gli costò molto e nemmeno gli costarono i genitori di lei, i quali acquistarono si' un alloggio in Via della Camilluccia, ma usufruendo di un lungo mutuo bancario.
    Unici regali che ebbe dal Duce furono quattro vestaglie, e nemmeno di gran classe che le regalò quando ancora non erano legati sentimentalmente e che fecero ridere Claretta che si sentì dire che quattro vestaglie erano sicuramente una svendita! E un medaglione portaritratto d'oro che il Duce le regalò il 24 aprile del 1941 nell'anniversario del loro incontro e che tanto fece sorridere Claretta per la sua dedica: "Clara io sono te, tu sei me" Ben.
    Claretta non era solo innamorata di Benito Mussolini, ne era infatuata al punto tale che la gelosia rappresentava il filo conduttore del suo rapporto, costantemente nei pensieri, anche protettivi, come lo furono al momento della loro morte, ne fa fede una lettera che Claretta affidò alla sorella Myriam con la raccomandazione di leggerla solo al suo arrivo a Barcellona dove era in fuga negli ultimi giorni di aprile:
    "...Non penarti per me. Io seguo il mio destino che è il Suo. Non lo abbandonerò mai qualunque cosa avvenga. Non distruggerò con un gesto vile la suprema bellezza della mia offerta e non rinuncerò ad aiutarlo, ad essere con Lui sinchè potrò...
    Tu che hai vissuto tutta la mia vita d'amore, tu che hai visto fin da piccolissima, tu che sei stata la piccola 'paciera', la 'vivandiera', la nostra 'piccola idiota', dei giorni felici, tu sai tutto...
    Ti prego qualunque cosa accada, fa sì che sia finalmente detta la verità su di me, su di Lui, sul nostro amore sublime, bellissimo, divino, oltre il tempo, oltre la vita. Tu sai!...
    Non piangere per quel che ti dico, tu sola puoi comprendermi...".
    Claretta aveva studiato nei minimi particolari il suo piano per salvarlo. Voleva portare il Duce sulle Dolomiti, là dove avrebbe potuto lasciare per sempre alle velleitarie liti dei gerarchi fascisti, dei partigiani e di tutti, la storica fine del fascismo, della guerra e dell'epopea dello scontro politico.
    La via dell'ultima salvezza che lei aveva immaginato per Mussolini era un rifugio a più di 2.300 metri di altezza ove entrambi avrebbero potuto nascondersi anche per anni se fosse stato necessario.
    Era già da qualche mese che Claretta discuteva questo piano con Franz Spögler ufficiale ventinovenne dagli occhi azzurri, diventatole sincero ammiratore e unito a lei da una calda intesa e fraterna amicizia tanto che egli stesso aveva proposto di farli nascondere in una capanna tenuta da una anziana coppia di montanari in una foresta di sua proprietà, sul picco dello Jocheröff sopra il valico Ritter, due ore di arduo cammino sopra l'isolato villaggio di Lengmoos, dove Spögler aveva un albergo che fino alla vigilia della guerra aveva curato personalmente.
    Con lui Claretta si era recata già due volte lassù ed aveva parlato con gli anziani coniugi, spiegando loro che probabilmente due persone avrebbero vissuto con loro a lungo, ma non si sarebbe dovuto importunarli con alcuna domanda.
    Ottenuto il loro consenso ne aveva parlato per ben 25 volte col Duce che assolutamente non volle saperne, non avrebbe mai abbandonato la gioventù fascista.
    Delusa ma orgogliosa, senza arrendersi, Claretta, che aveva persino preparato l'itinerario del viaggio (Garda - Brescia - Mendola - Bolzano - Val Sarentino), sfidando la superstizione, cominciò a preparare i bagagli, ed il fedele Splögler i permessi con false generalità, sfruttando il suo ruolo di capo del servizio intercettazioni, e si impegnò a scortarli affinche' i posti di blocco non li trattenessero.
    Ma mancò il tempo e vinse il destino.

    ***

    Che si intende per il Castello dove abitavano i Petacci?

    Il signor Ritossa e la signora abitavano da diversi anni a Merano (Maia Alta)  in via Hassler. Era una casa vecchia però ben tenuta, signorile e molto grande, circondata da un grande parco e si chiamava   "Schidlhof"  ma fu sopranominato  "Castel Petacci"  castello perchè molto rassomigliante ad esso e per la carateristica struttura di avere all'interno una capella, (o chiesetta) e Petacci  probabilmente perchè a periodi ci veniva a soggiornare la signora Zita figlia del signor Ritossa e moglie di Marcello Petacci. E qualcuno dice di aver visto in alcune occasioni anche Claretta (che quando veniva a Merano abitava al Park Hotel) andare a far visita al fratello e alla moglie di suo fratello, non ricevevano visite tranne un signore, e qualche rara volta anche il Duce, però di questo non si può averne la certezza. Anche perchè quando veniva era sempre in gran segreto di sera e di giorno non lo si vedeva mai. Ogni domenica erano soliti andare a messa alla chiesa S.Spirito, dove veniva a loro riservato un banco a fianco all'altare. Sono venuta a sapere da un anziano sacerdote allora parroco della chiesa che oltre alle generose offerte, la famiglia Petacci avrebbe voluto fare dono alla chiesa anche di un altare, cosa che però poi non accadde causa la caduta del fascismo e l'improvvisa partenza della famiglia stessa da Merano.
    Caduto il fascismo, Claretta e Mussolini uccisi, il signor Ritossa divenne ospite della casa di ricovero di Maia Bassa dove gli venne dato un orticello da coltivare, nei pressi della stazione ferroviaria. Chi lo ricorda dice che la gente della zona lo chiamavano signor Petacci, non si è mai saputo come mai, forse perchè suocero di Marcello Petacci, perché lui si chiamava Ritossa. Si dice che fosse molto simpatico e chiacchierava volentieri; e fu dalle sue parole che si desusse non aveva mai avuto grande simpatia per il Duce.
    Il castello venne venduto a un certo signor Fock, che allora aveva un campeggio a Jesolo.
    Altri invece sostengono che fosse stato acquistato da Feltrinelli  (l'editore).
    Ora di questo castello non è rimasto più niente perchè circa trent'anni fa fu demolito e al suo posto sorgono altre case che avrei desiderato fotografare ma non mi è stato concesso.

    ***
        Domande ne restavano ancora tante.
    Come si svolse la vita dei Petacci a Merano? Voi direte  beh... Merano è piccola si fa presto a sapere, invece no, conoscerne di più era difficilissimo perchè le persone che sapevano essendo vissute in quel periodo non ci sono più, gli altri non sanno nulla, i più gentili mi avevano detto: "se sento qualche cosa..."  che equivaleva ad un "campa cavallo che l'erba cresce!"
        E così avevo ricominciato dalla cosa più logica, dagli anziani, ed anche lì i loro ricordi si erano fermati all'incirca a questi: "Si me ricordo che me sorela la pù vecia, la ghe feva i vestiti"  e via dicendo... solo che così non potevo andare avanti pur ammirando la loro buona volontà. Avevo cambiato diverse volte tattica, alla fine sono stata ancora una volta premiata, come in un lampo di luce avevo visto un nome  "Don Rossi"  sarebbe stato lui la mia salvezza!
        Ho preso il telefono, erano le 18.30 circa del 30 aprile 2002, avevo sentito la sua voce sempre così dolce con tutti, e gli ho raccontato di cosa avevo bisogno. Quando ho ascoltato le sue parole per poco non mi è caduto il telefono di mano, Don Rossi il giorno dopo si sarebbe trasferito a Rosà (Bassano del Grappa) e avrebbe abbandonato Merano, mi ha rattristato questa notizia, Don Rossi era il nostro portafortuna, una persona sempre disponibile per tutto e per tutti; una cosa è certa, se va a Rosà vado a trovarlo.
        Con mia grande soddisfazione la sera prima della sua partenza mi ha dato l'indirizzo di suo nipote che da ragazzo aveva vissuto di fronte al castello Petacci. Il signor Luciano e la moglie mi saranno sicuro di grandissimo aiuto.

        Un'altra amica ancora mi disse: prova a telefonare a don Ettore oggi parroco della chiesa che frequentavano i Petacci mentre si trovavano quì, e lui non potendomi aiutare gentilmente mi disse che in quel periodo parroco era don Primo e lui mi avrebbe senz'altro dato qualche informazione, però si trovava a Trento nell'infermeria del Clero essendo già 91enne e anche non in buona salute, chiesi se avrei potuto telefonargli ma mi dissero di no, però avrei dovuto rivolgermi al signor Giovanni andai anche da lui, una persona molto gentile che mi raccontò di aver visto don Primo appena la settimana scorsa, e mi promise che ci sarebbe tornato avrei dovuto pazientare per una ventina di giorni...
    La storia dei Petacci continua...

     ***

     La cameriera di Claretta

     E' pazzesco assolutamente pazzesco, dove non vado a imbattermi!
    Mi è stato dato il numero telefonico di una signora che a suo tempo ha lavorato al Park Hotel, il periodo in cui vi soggiornava la Petacci, la signora Strobel (austriaca).
    Le telefonai il pomeriggio verso le 16.00 in modo che se fosse stata abituata a riposare non l'avrei disturbata.  Mi rispose subito, e subito capii che era ubriaca fradicia.
    Buon giorno signora Strobel,  mi chiamo...   le dissi quanto mi stava a cuore, e lei rispose con una voce impastata dall'alcool:
     "ohhh  (però con quel tono che va a finire quasi in un sibilo il classico degli ubriachi!)  io non soooo..."   e mi tossì nel microfono!    Signora Strobel non sta bene vero?  Noo non stò proprio bene.
    Allora signora Strobel a questo punto non mi resta che salutarla e ringraziarla anche se non mi è stata di nessun aiuto,  tanti auguri signora e pronta guarigione.
     
    Oggi domenica mi dissi questa la devo chiamare ancora!   Aspettai  le 10.30 non prima, perchè se già nel pomeriggio era "piena" la sera avrà camminato a "gattoni" e così certamente al mattino avrà dormito a lungo,  però non volevo nemmeno chiamare troppo tardi altrimenti l'avrei nuovamente trovata con "bacco e il boccale".
     
    Pronto?  Signora Strobel sono la elsa di ieri...  l'ho chiamata semplicemente per aver notizie sulla sua salute, come va oggi signora Strobel?
    Beh, un pò meglio...  sono contenta, sa che non mi ricordo più quello che lei mi aveva detto ieri?  Riguardo a cosa?  .........e ne approfittai subito finchè ancora stava in piedi da sola!
     
    Signora Strobel  quali mansioni svolgeva al Park Hotel?
    "Io ero adetta ai piani"

    Cioè faceva le pulizie nelle stanze?
    "Si"
     
    Può dirmi se la Signora Petacci veniva in villeggiatura al Park Hotel o vi abitava?
    "No veniva in villeggiatura"
     
    E veniva sempre nello stesso periodo dell'anno, in quale?
    "No veniva quando voleva, non aveva un periodo fisso."
     
    Veniva sola?
    "Qualche volta, veniva con la sorella, e a volte con due persone che in hotel dicevano fossero i genitori, e le veniva sempre riservato lo stesso appartamento al primo piano"
     
    Immagino che l'appartamento fosse molto bello...
    "Si era grande, esposto al sole e sopra al giardino"
     
    La signora Petacci scendeva anche in giardino?
    "Si"
     
    Non sa se per caso la signora avesse delle guardie del corpo?
    "No, non lo so"
     
    Pranzava in sala?
    "No quando veniva da sola, dovevamo portarle il pranzo su nell'appartamento, e ogni volta sulla consolle vicino alla porta c'era la mancia"
     
    Quando veniva con qualcuno pranzavano in sala?
    "Si, quando veniva con la sorella o con i genitori o tutti e quattro, avevano un tavolo riservato un pò nascosto dalle palme"
     
    Com'era di carattere?
    "Non l'ho conosciuta bene, e non ero io a servirla, però so che era gentile, ma anche molto riservata non parlava con nessuno"
     
    Non veniva mai nessuno a trovarla?  o i signori che erano con lei?
    "Non lo so, io lavoravo solo al mattino"
     
    Lei rigovernava solo stanze o anche appartamenti?
    "Anche appartamenti eravamo in quattro e ci toccavano tre appartamenti e dieci stanze matrimoniali"
     
    Tra questi tre appartamenti c'era anche quello della signora Petacci?
    "Si"
     
     Non si è mai dovuta lamentare di come trovava la stanza?
    "Nooo era molto ordinata, non lasciava mai nemmeno i vestiti in giro come facevano gli altri clienti"
     


    Merano. Questa la chiesa di S.Spirito, in questa antica chiesa ricostruita nel 1425 dopo essere stata distrutta dalla piena del torrente Passirio e terminata nel 1483  è la chiesa dove ogni domenica venivano alla messa delle 11.00  la famiglia Petacci.  A loro veniva riservato il primo banco alla destra dell'altare.



    Interno


     questo l'altarino che raffigura la Pentecoste, dove Claretta ogni domenica accendeva una candela.

     

      La prima chiesa di S.Spirito viene fondata ai tempi della nascita del Tirolo nel 1271 da Mainardo II  e da sua moglie Elisabetta.  Distrutta da una piena del torrente Passirio viene ricstruita nel corso del 400.
    I lavori di costruzione dell'attuale chiesa di S.Spirito iniziano nel 1425 circa e sono terminati nel 1483.
    La chiesa è in stile gotico influenzata nel modello dalla tradizione dei costruttori della bassa Baviera, che privileggiavano di questo stile una visione pura, essenziale e lineare.
    Non si sa chi sia stato l'architetto costruttore, ma date le forti somiglianze con la chiesa di Lanshut in Baviera di Hans Stetheimer da Burghausen, si ritiene che possa essere stato un suo allievo, o comunque un architetto ispirato a quel modello:  forse Stefano da Burghausen concittadino dello Stetheimer presente a Merano nel 1438.
                                                    
     


    banco petacci