Tre lettere di Farinacci a Mussolini
    tra il 1926/27
     
     

         Caro Presidente,
     l’altro ieri l’Onorevole Turati, all’Ing. Orefici di Cremona membro della Federazione Provinciale fascista Cremonese chiamato appositamente a Brescia,  ha dichiarato che tanto lui quanto i membri del Direttorio sono tutti miei affettuosi amici, ma che essi nulla possono fare per frenare la campagna  malvagia, idiota, ed inutile che si sta subdolamente conducendo contro di me, perché la tolleranza viene dall’alto alludendo quindi evidentemente a te.      Fino a che i miei avversari nel fascismo sono Federzoni, Balbo, Barattolo, Scarfoglio, Sukert, Bottai ed altri la cosa non può farmi dispiacere, in quanto  ho sempre avuto fiducia nella mia dirittura morale e politica e nel tempo che, con me, si è dimostrato piú volte galantuomo; ma quando vengo a sapere  che l’uomo che vuole assassinarmi moralmente e politicamente è Benito Mussolini, la cosa mi sembra talmente enorme e grave da lacerarmi l’animo dal  dolore.
         Io verso di te non ho nessun torto, dico nessun torto.
         Ne ho dato la prova nei momenti estremamente delicati e pericolosi, per te e per il Regime.
         Non voglio ricordarti che nel 1914 abbandonai il socialismo per seguirti, neppure voglio ricordarti che nel 1919 fui tra i primi a rispondere al tuo  appello e che, prima ancora, nelle sere tumultuose, molte volte ho atteso la tua uscita da Via Paolo da Cannobbio, per seguirti a distanza, come un cane  fedele, per difenderti dagli agguati.
         Ma mi voglio riferire all’ottobre del 1922, quando giocai il tutto per tutto, per iniziare il movimento rivoluzionario a Cremona, che costò la vita a dieci  persone e il sangue di altre cinquantadue gloriose camicie nere, e mi voglio riferire alle giornate del giugno 1924, quando solo, dico solo, ti ripeto solo, ero al tuo fianco in quelle indimenticabili giornate di Palazzo Chigi, quando io per alleviare la pressione avversaria su di te, incominciai a strepitare contro tutto e contro tutti, sí da riuscire nell’intento: quello di attirare su di me tutti gli odi e tutte le minaccie.
         I pavidi, i senza fede e gli opportunisti del fascismo si schierarono contro di me; essi furono allora vinti.
         Oggi soltanto ritornano sulla scena per vendicarsi di me e fatalità vuole, che tu, senza saperlo ti presti al loro gioco.
         E non devi dimenticare che costoro sono quei tali che, mentre noi facevamo veramente la rivoluzione, patteggiavano con Salandra e mentre noi nel  giugno e nel dicembre del 1924 dichiaravamo che per arrivare a te bisognava passare sui nostri corpi, essi o rassegnavano le dimissioni nel tuo Gabinetto  o altri, a Bologna, volevano convincere molti dirigenti della provincia ad abbandonarti e dar vita ad un nuovo movimento.
         Come già ti dissi altra volta, ti ripeto ancora in questa amarissima ora, che non ti rifiuterei tutta la mia attività e tutta la mia purissima fede, se un  giorno, ti vedessi ancora tradito come Cristo.
         Tu non puoi dimenticare questa mia stessa frase che io ti telegrafai nell’autunno del 1923 quando tu autorizzavi Massimo Rocca e permettevi a  Filippelli sul «Corriere Italiano», ad attaccarmi a fondo per «bucare la vescica di Cremona».
         Anche tuo fratello, sul «Popolo d’Italia», di allora mi lanciava il famoso «monito» mentre l’Onorevole Giunta mi minacciava di provvedimenti  disciplinari.
         I fatti han dimostrato poi che Rossi e Filippelli ti volevano trascinare nel carcere; io invece avrei dato la mia vita per la tua salvezza.
         Sapevo, fin da quando ero Segretario, che tu ti eri ingiustamente ed ingenuamente adombrato della mia forza.
         Sapevo che molti hanno alimentato le tue ombre, ma ho sempre sperato che col continuare a servirti devotamente, tu ti saresti persuaso della mala  fede altrui e della mia lealtà.
         E non vi fu manifestazione giornalistica o popolare in cui io non dichiarassi la tua assoluta supremazia su tutti, fino al punto di dire a Milano il 28  marzo 1926, che solo Gesú Cristo ti poteva sostituire.
         E soffocai in silenzio la profonda amarezza che provai quando seppi le ragioni per cui mi proibisti di tenere il noto discorso a Milano, di partecipare  alla manifestazione di Torino, nonché di accettare l’invito delle città Sarde.
         Cosí pure mi ero imposto di non dirti mai nulla circa la diversità di trattamento che tu hai fatto a me e quelle che fai a Turati.
         Per Turati si danno ordini categorici alla stampa di soffiettare ogni sua manifestazione ed ogni suo discorso, per me si davano ordini perché la stampa  mi trascurasse.
         Tu mi dirai subito che questo è avvenuto quando non esisteva piú un accordo completo fra me e Federzoni.
         Ma tu sai bene anche che ciò è avvenuto per troppo amore, da parte mia, alla tua persona; è avvenuto per l’attentato Zaniboni, quando io sono rimasto  poco tranquillizzato del Viminale e quando in quel periodo la Direzione Generale di PS aveva disposto un equivoco e misterioso servizio intorno a me ed  aveva ordinato a due persone, che tu ben conosci, di sequestrare nella mia camera all’Hotel Bristol di Roma, alcuni documenti che io tengo, che nessuno  riuscirà a rintracciare e che un giorno mi potranno servire di conforto.
         Ricorderai anche quanti pettegolezzi, anche intimi, piú volte falsificati o ingranditi, ti ha riferito sul mio conto, il Ministero degli Interni.
         Se io avevo diritto di avere un fratello, se io avevo diritto di avere un amico, questo fratello e questo amico non potevano essere che te. Invece no;  montato dagli altri, dico «montato» perché non ritengo il tuo animo capace di tanto, hai voluto lasciarti trascinare dalla piú nera ingratitudine.
         Non appena lasciato il Segretariato del Partito, da alcuni giornali e da alcuni uomini come Balbo, Bottai, Sukert, – la tua avversione verso i quali  dovetti io un giorno attenuare, – mi hai fatto aggredire violentemente e si è continuato per un pezzo con il proposito di farmi perdere le staffe – come  Balbo ha piú volte detto in Toscana – per indurre Turati a prendere dei provvedimenti disciplinari nei miei riguardi.
         Poi, hai raccolto alcune voci del pagliaccesco fascismo di Parma città ed hai col tuo atteggiamento, con le tue dichiarazioni – pur senza che tu ne  avessi la volontà – indotto la Magistratura di Parma a compiere le piú grandi bestialità che non trovano precedenti negli annali giudiziari.
         È stato tale il disorientamento dei Giudici, che si è spiccato un unico mandato di cattura con un’unica imputazione per venticinque persone!
         E tale è stato lo spavento dei minacciati traslochi annunciati dal Corriere Emiliano, che gli stessi Magistrati anziché accertarne, anche sommariamente  le responsabilità, hanno spiccato i mandati di cattura anche contro due morti.
      Stimati cittadini e professionisti come l’Avv. Montanari di Piadena, sono stati gettati nel carcere troncando in tal modo la loro attività, che fu sempre  basata sull’onestà.
      E questo perché, caro Presidente?
         Si era dichiarato, e lo stesso Turati confidenzialmente a qualche suo amico lo ha affermato, che cosí procedendo si sarebbe scoperto che Roberto Farinacci era implicato nella faccenda della Banca Agricola Parmense.
         Ora che tutti sono in carcere, ora che tutti i documenti di quell’Istituto sono in mano delle autorità si comproverà che io non ho mai, dico mai, ripeto  mai, avuto rapporti di carattere bancario o affaristico con chicchessia.
         Ho lanciato piú volte dalle colonne del mio giornale delle sfide; nessuno le ha mai raccolte.
         Se non avessi la preoccupazione che, per ragioni politiche e per causa mia, vi sono delle oneste persone in carcere, potrei essere contento perché in  questo modo mi si creano i migliori entusiasmi e gli affetti piú profondi.
         Lo scopo a cui si mirava era di isolarmi completamente, di distruggermi; invece si è moralmente rafforzata presso gli onesti, la mia personalità.
         Ma di tutto questo mi riservo un giorno di parlarne in Parlamento e di dimostrare a tutti, te compreso – perché io sono sicuro che sei all’oscuro di tutto  – che lo scandalo finanziario di Parma è stato voluto per malvagia manovra politica, la quale si è ripercossa, non certo a vantaggio del prestigio all’interno  e all’estero, sulle povere spalle dei risparmiatori.
         Dice il vecchio ma sempre saggio proverbio: non tutte le ciambelle riescono col buco. Il dissesto della Banca Agricola di Parma ha portato con se il  fallimento Cuppini. Ebbene, perché le indagini giornalistiche del Partito e del Governo, non sono state estese anche a questo fallimento?
         Si sarebbe potuto cosí provare che proprio gli uomini che volevano colpire me, risultano i sostenitori ed i beneficati dal Cuppini.
         Domanda a S. E. l’Onorevole Generalissimo Italo Balbo quali rapporti ha avuto con il Cuppini per la bonifica di Comacchio e se egli e il suo giornale  non sono mai stati lautamente compensati.
         E Balbo è uno dei dirigenti della cosidetta Santa Crociata! È cattiveria volermi fare un appunto perché io sono stato amico di Lusignani.
         Lo conobbi alla fine del 1922. Egli, quando si presentò a me per chiedere il mio intervento quale membro del Direttorio Nazionale, mi mostrò delle  lettere di Rocco e di Federzoni i quali gli attestavano tutta la loro stima e mi fece anche vedere ricevute di denaro versato all’«Idea Nazionale», al  «Popolo d’Italia» e ad altri giornali amici. Non solo, ma mi dimostrò anche che egli era stato Presidente del comitato elettorale dell’Emilia nel 1921 e  versò anche la discreta somma di 100 mila lire per la riuscita di Corgini, Terzaghi, Vicini, Lancellotti.
         Perché dopo tutto ciò non dovevo ritenerlo amico, tanto piú sapendo che a Parma i suoi avversari erano Picelli, Micheli e Berenini?
         Però ti posso dichiarare sulla mia parola di gentiluomo che né io né il giornale che io dirigo, hanno avuto da lui un centesimo, dico un centesimo.
         Si mentisce sapendo di mentire, quando si fa circolare la voce che esistono delle mie cambiali. In vita mia non ho mai visto cambiali; soltanto  studiando Diritto Commerciale ho appreso che essa è un titolo di credito.
         Ed è tale la mia avversione per tutto ciò che è attività commerciale, bancaria ecc. ecc. che io mi occupo come avvocato soltanto di penale e che i nove  decimi delle mie cause si riferiscono a fascisti che pagano la parcella salutando romanamente.
         Voglio anche dirti che povero sono nato e povero sono rimasto. Non posseggo né un metro quadrato di terra né di case.
         Piú volte sono stato vivamente pregato di entrare a far parte di Consigli d’Amministrazione; mai ho voluto accettare per mantenere integra la mia  figura di uomo politico.
         Sai come il Regime mi ricompensa? (Dico Regime per alludere al Governo).
         Con lo stroncare anche la mia attività professionale.
         A Savona le autorità avevano dato ordine ai giornali di Genova di non pubblicare nulla della mia arringa pronunciata ad un processo per diffamazione.
         Non solo, ma a qualche eventuale mio cliente si va dicendo che l’Onorevole Farinacci è in disgrazia e quindi il suo patrocinio è dannoso.

     Caro Presidente, questo riguarda la mia persona come privato e non mi preoccupa. Ho sempre vissuto con stipendi irrisori, ho cercato sempre di fare il  passo secondo la gamba, sono sempre riuscito a non compromettere quel patrimonio morale che mio padre, modesto impiegato dello Stato, mi ha dato.
         Mi preoccupa invece la situazione politica, non tanto nei miei riguardi quanto nei riguardi tuoi e della Nazione.
         Questa lotta che si conduce contro di me da persone equivoche, l’ostracismo che si dà a tutti i dirigenti del fascismo provinciale legati a me d’amicizia,  il dipingere ai fascisti un Farinacci diverso da quello che è stato fino ad oggi, non è compiere opera di compattezza e di entusiasmo nella massa!
         Questa, abituata ad amare i suoi capi e poi ridotta a disprezzarli è invasa da sfiducia e scoramento che purtroppo, se non si corre ai ripari, avranno  delle fatali conseguenze.
         Quell’unità che, con tanta abilità ed energia io riuscii a ricondurre nel partito, è stata infranta. Federzoni, Balbo, Turati ed Arpinati ne sono i  colpevoli.
         In tutte le provincie, almeno in quelle che hanno un passato fascista, la situazione è critica. Non credere ai rapporti dei Prefetti i quali hanno l’ordine di  intonare le loro informazioni all’antifarinaccismo e nascondono la realtà delle situazioni.
         Se ti vuoi convincere di quanto io ti dico, manda riservatamente un tuo fiduciario nelle varie zone che possa esaminare e riferirti con precisione del  come stanno veramente le cose.
         Io cerco continuamente di fare opera di calma e se ti riferiscono l’opposto, ciò è completamente falso.
         Ti avviso da buon camerata, col massimo disinteresse e ti dichiaro che io non ho ambizioni e che non intendo di ritornare mai piú a capo del Partito.
         Sarei diversamente anche poco furbo, dopo la situazione che si è creata!
         E sai che se io fossi un ambizioso, lo avrei accettato quando tu me lo offrivi, un posto di Governo.
         Intendo solamente collaborare come per il passato con uomini che sappiano interpretare l’anima del fascismo.
         Turati, per volontà sua o degli altri, è fuori strada. Egli ha dimostrato di avere poco buon naso, sebbene lo abbia lungo; è questione di qualità.
         E finisco parlandoti brevemente della situazione Cremonese. Qui Turati ha cercato di far di tutto per minare la compattezza del fascismo locale.
     Anziché con i dirigenti ha avuto contatti, e tutt’ora è in corrispondenza telegrafica, con degli espulsi taluno dei quali condannato per spaccio di cocaina o  per falso in atto pubblico.
         Una commissione, pure di espulsi è stata non solo ricevuta da lui a Roma, ma è stata presentata poi a Federzoni!
         Tu potrai comprendere quale enorme impressione, questo modo di agire, susciti a Cremona.
         A Crema e a Soresina, qualche elemento indisciplinato cerca di creare noie ai fasci locali. Non mi è possibile intervenire energicamente perché i colpiti  ricorrerebbero subito a Turati e sarebbero ascoltati.
         La situazione nel cremonese è generalmente ottima; gli scocciatori non sono piú di trenta.
         Bisogna uscire dall’equivoco: o si vuole che il nostro fascismo rimanga nella sua granitica compattezza come per il passato e si dia tutta l’autorità alla  Federazione respingendo gli espulsi; o si vuol gettare anche qui fra noi l’anarchia che vi è a Trieste, Udine, Treviso, Torino, Rovigo, Genova, Spezia,  Firenze, Napoli ed allora lo si dica chiaramente, ché cosí ognuno di noi dirigenti saprà regolarsi.
         Caro Presidente, considera questa mia come uno dei miei soliti sfoghi personali. Ti prego leggerla attentamente e, se tu mi vorrai dire una parola, te ne  sarò fraternamente grato.

                     Tuo affettuoso Farinacci
     

    ***
     
      Il capo del governo
     
          Caro Farinacci,
         alla tua lettera sfogo rispondo molto brevemente e semplicemente quanto segue:
     A) Non è vero che io ti voglia assassinare moralmente e politicamente. Il vero è piuttosto il contrario. Io da tre mesi faccio il possibile per salvarti  politicamente e moralmente. Ma tu non sei stato a posto. Dopo le tue dimissioni da Segretario Generale del Partito hai dimostrato di non sapere stare  tranquillo nei ranghi, ma hai assunto arie le quali hanno sollevato un disagio abbastanza notevole nel Partito speranze eccessive in tutti gli avversari.

         B) Nel mio atteggiamento verso di te dal gennaio del 1926 in poi non giocano affatto i motivi cui alludi – alcuni dei quali assolutamente ridicoli –  bensí la tua campagna contro il Ministero dell’Interno; campagna che ritengo profondamente ingiusta e dannosa al regime non fosse altro per le  soddisfazioni e speranze che regala agli avversari.
      C) La nera ingratitudine, non esiste né verso di te né verso chicchessia; né oggi, né nel secondo semestre del ’24, né mai. Può darsi che io debba qualche  cosa a qualcuno te compreso; ma gli altri mi debbono una infinita gratitudine, te compreso. Io sono di gran lunga creditore di tutti, indiscutibilmente.
     Tutti in Italia e fuori sanno te compreso che se il regime vive e vincerà le tremende battaglie alle quali va incontro gli è perché io vivo e lavoro sedici ore  al giorno come un negro. Lasciamo stare il tasto dell’ingratitudine! E ricorda piuttosto che io ti chiamai a reggere il Partito quaranta giorni dopo il mio  discorso del tre gennaio appunto per darti una prova solenne di riconoscimento per quanto avevi fatto per il partito nel periodo quartarellaro e ricorda che  l’ordine del giorno del Gran Consiglio del 30 marzo ’26 di plauso alla tua opera fu dettato da me. Tale riconoscimento confermo oggi aggiungendo però  che da sei mesi tu non cammini piú sul retto sentiero della disciplina silenziosa. Da tre mesi ti ripeto queste parole. S. E. Terruzzi può testimoniarlo.
      D) Negare l’esistenza del fattaccio bancario di Parma è un colmo! Per ciò che riguarda il «Popolo D’Italia» ti hanno venduto del fumo. Ricordo  perfettamente che durante il processo Candiani il conte L fece un’offerta al mio giornale, ma ricordo altrettanto perfettamente che io – proprio io – pregai  l’avv. intermediario di restituire la somma – venti mila lire – al signor Conte.
         Il regime, cioè il Governo e se vuoi il sottoscritto non si occupa affatto della tua professione. Ho veramente altro da fare io, specie in questo momento  nel quale tutto il mondo dell’antifascismo è in agguato nella speranza vana di far tracollare il regime sul terreno economico finanziario.
         E) Il disagio nel Partito è originato in gran parte dal tuo atteggiamento di indisciplina spirituale, di monopolizzatore della purezza della salvezza del  Partito, dal tuo continuo lanciare accuse generiche alle quali, non fai seguire precisioni concrete; dai tuoi contatti e dai tuoi discorsi anche sul treno  Milano-Genova e sopratutto dai discorsi dei tuoi amici i quali hanno la lingua troppo lunga.
         Ancora una volta ed è l’ultima ti ripeto: obbedisci a Turati smettendo quell’aria di Antipapa che aspetta o fa credere di aspettare la sua ora; riconciliati  con Federzoni che non ha rancori di sorta verso di te e che non merita i tuoi sospetti e che è un servitore devoto del regime. Riconciliati con Balbo che ha  anche lui meriti indiscutibili verso il partito e che fu durante il periodo quartarellaro particolarmente preso di mira dagli avversari del regime e fa la  polemica soltanto contro i nemici del Fascismo. E sopratutto evita la Massoneria. L’atmosfera si chiarirà; l’avvenire ti sarà aperto e gli avversari non  avranno la gioia di vederti bandito dalla vita politica.
      Ricordati che chiunque esce dal Partito decade e muore.
     
      Cordiali saluti
                                                                 Mussolini
    Roma, 10 luglio 1926.

     PS. Ci sono molte altre sciocchezze nella tua lettera, ma non le rilevo. Ti avverto che le prime dieci righe e soltanto le prime dieci righe della tua lettera, le  ho lette all’On. Turati. E si capisce!
                                                                                                                          Muss
     
     
     
     

      
     
     Farinacci

      Caro Presidente,
         mercoledí scorso, dietro tuo invito telegrafico venni a Roma per parlarti di varie questioni, per dissipare cretinissimi e malvagissimi equivoci creati ad  arte da altri, e per chiarire una volta per sempre la mia posizione di uomo privato e politico.
         Alle 12,30 ora del colloquio, mi fu detto di venire al pomeriggio verso le ore 17,30 a Palazzo Chigi; qui dopo essere stato sballottato da un usciere  all’altro, seppi da Mameli che il colloquio era stato rinviato ad altro giorno.
         Prima di lasciare Palazzo Chigi, vidi Chiavolini, al quale aprii il mio cuore e dissi tutto il mio risentimento per questo tuo agire verso chi ha il vanto di  averti seguito con fedeltà ed entusiasmo da circa tre lustri.
         È umiliante che nel 1927 per arrivare a te bisogna dare la precedenza a molti di coloro che io ho un giorno combattuto per difendere il Regime! Sono  però di tale fede e di tale forza che riesco a rinchiudere nel mio animo tutta l’amarezza, senza serbarti il minimo rancore.
         Non appartengo alla schiera dei Cesarino Rossi, dei Fasciolo e dei Rocca, verso i quali tu, strana fatalità, usavi tutte le tenerezze e tutte le premure che  io mai ho conosciute.
         Gli amici veri, coloro che ti hanno dato le prove migliori di fraternità e fedeltà, coloro che si sono stretti attorno a te nel momento in cui a farlo si  passava per assassini, coloro che ti offrirono la vita senza nulla chiedere, sono oggi, non solo calpestati, ma sospettati e perseguitati, come non lo sono i  nemici provati del fascismo.
         Piú volte in momenti di esasperazione chiedo ripetutamente a me stesso quale colpa io abbia commesso. Quello che mi addolora profondamente e che  qualche volta mi spingerebbe fino al punto di diventare un anarchico fascista, ripeto fascista, è la persecuzione che si conduce contro tutti coloro che  sono sospettati di essere i miei amici.
         E gli amici miei, caro Presidente, sono precisamente i fascisti di vera tempra fascista, che mi coadiuvarono nel periodo quartarellista a sostenere l’urto  avversario e a vincere senza condizioni.
         Sono traslochi in località disagiate, si nega a certi impiegati statali il diritto alla promozione, si levano dai posti di comando uomini onesti e capaci e si  sostituiscono con opportunisti della piú brutt’acqua, con tutti quei fifosi che nel secondo semestre 1924 si sbandarono e si tolsero dall’occhiello il  distintivo del Partito.
         Tutto avrei immaginato, ma mai che il trionfo del nostro programma rivoluzionario dovesse risolversi in una cuccagna per tutti coloro che ebbero il  caso di coscienza, che pretendevano che il fascismo divenisse accomodante e che combattevano persone che, come me, affermavano l’intransigenza piú  assoluta. Perché questo? Mistero! Le voci che mi arrivano sono disparate. C’è chi dice che il Duce dubiti della mia devozione, c’è chi dice che io voglia  fare il frondista contro il Partito, c’è chi dice che io mantengo vivo un certo movimento dissidentista.
         A qualcosa di tutto questo tu devi certamente credere; non si spiegherebbe altrimenti il tuo atteggiamento, che poi, esageratamente interpretato da  coloro che ti stanno vicino si tramuta in: caccia all’uomo.
         Eccoti alcuni episodi:
         Mesi fa andai a Torino a difendere dei fascisti. Qualcuno degli amici che mi venne a salutare, fu chiamato poi da un funzionario incaricato dal Questore  e gli fu detto che non era politico farsi vedere assieme all’Onorevole Farinacci.
        A Milano la sera dell’insediamento al Lirico, del Segretario Federale, essendomi incontrato all’Hotel Corso nel pomeriggio, con Turati, Marinelli, e  Giampaoli, credetti mio dovere di partecipare alla cerimonia assieme a tutti gli altri Deputati.
         Alla porta trovai un energumeno, il quale mi disse che gli ordini ricevuti erano precisi: io non dovevo assolutamente entrare. Attesi l’arrivo di Turati e  di Giampaoli ai quali denunciai l’accaduto. Essi non mi dissero nulla né provvidero a richiamare l’imbecillissimo fascista. Tuo fratello presente, in vero,  deplorò l’atto indegno.
         Sí, indegno, Presidente, perché non bisogna dimenticare quel che ho fatto io per Milano e non bisogna dimenticare quante volte io ho appoggiato le  azioni con colonne di fascisti cremonesi.
         Cremona, prima della rivoluzione, fu la città ospitale per tutti i milanesi colpiti da mandati di cattura. Al processo Oldani, svoltosi in momenti non  simpatici per il fascismo, fui io che assunsi la parte piú grave di difendere quelle povere camicie nere.
         E non si doveva poi dimenticare che io sono uno dei pochi superstiti dei fondatori del fascismo (23 marzo 1919) e che sono il Deputato della
     circoscrizione Lombarda che ebbe, dopo di te, i maggiori suffragi.
         Se fossi stato uno di quegli uomini impulsivi, avrei quella sera protestato energicamente, avrei trovato migliaia di sostenitori, avrei potuto creare seri  incidenti; invece no, rassegnato me ne ritornai in albergo dove vennero poi numerosi amici a dichiararsi nauseati di certi sistemi.
        Vado a Napoli dove mio padre trovasi gravemente ammalato e prendo alloggio all’Hotel Vesuvio, per un giorno e mezzo.
         Appena ripartii per Roma, seppi che le autorità chiamarono tutti gli amici che mi vennero ad ossequiare, pretendendo da essi di sapere quale complotto  politico era stato organizzato.
         Qualcuno che copriva cariche politiche, per il solo fatto di essere stato visto con me, fu invitato a rassegnare le dimissioni. A Napoli non si è parlato  che della salute di mio padre, delle regate internazionali che si dovevano svolgere a Nizza, e di Foot?Ball. A qualcuno che mi voleva informare di una  inchiesta che si stava svolgendo a carico di un certo Clementi, amico di Turati e di sua moglie, imposi il piú assoluto silenzio e dissi questa precisa frase:
     Non parliamo di politica perché domani a Roma si dirà che noi abbiamo complottato.
        A Codogno da parte del Comando della Legione Ferroviaria di Milano, si rimproverano quei ferrovieri perché tengono nella loro Sezione il mio ritratto.
     Se non mi sbaglio io ho fatto undici anni il ferroviere ed ho capeggiato sempre in Lombardia il movimento di resistenza contro tutti gli scioperi.
         Alcuni ferrovieri di Treviglio credo tre o quattro, acquistarono presso la Colonia Balilla dei ferrovieri fascisti di Cremona, una spilla riproducente la mia  fotografia.
         Contro questi agenti, venne aperta immediatamente una inchiesta e furono minacciati di licenziamento.
        A Bergamo si inaugura la Casa del Fascio. Vengono invitate le rappresentanze delle Federazioni Fasciste delle provincie limitrofe, Corno, Brescia,  Milano e si escludono solo i rappresentanti del fascismo cremonese, come se essi fossero un’accolita di rognosi.
         Si dimentica facilmente che Cremona fu maestra a tutte le provincie vicine, compresa Brescia e l’Onorevole Turati, che hanno sempre fatto capo a  Cremona.
        A Trieste chi è visto leggere «Regime Fascista» viene redarguito dal Questore De Martino. Gli strilloni vengono diffidati. Ovunque si tenta poi di  boicottare la vendita del mio giornale.
         A Cremona, a carico di due capistazione, già compagni miei di lavoro e che furono a fianco mio quando gli altri scioperavano, viene improvvisamente  inviata da Milano un’inchiesta. Messi sotto accusa, l’uno per essersi finto ammalato ed invece partito per Roma, l’altro per essere pure partito per Roma  senza regolare congedo e con un biglietto irregolare di servizio, viene a risultare invece che il primo, trovavasi all’ospedale sotto i ferri del chirurgo per  operazione, il secondo partito sí per Roma, ma con regolare congedo e con regolare biglietto di viaggio.
         Ti lascio immaginare le impressioni nel campo ferroviario! Certe umiliazioni non si subivano neppure quando trionfava il sindacato rosso.
         Quali ragioni giustificano, caro Presidente, questa lotta malvagia, contro fascisti di fede ed onesti? Non riesco a capirlo.
         Il fatto che non si distrugge è che fino ad ora non si è potuto muovermi un appunto e che il lavorio degli informatori, (te li raccomando per la loro  serietà e per il loro disinteresse!) le delazioni interessate di uomini che ti stanno vicino, non hanno potuto precisare alcunché contro la mia attività sia  politica che privata.
         «Regime Fascista» è il giornale ortodosso per eccellenza. Dopo il «Popolo d’Italia», nessun altro giornale sostiene con ardore ed energia tutta l’opera del  Regime.
         I miei discorsi, pochissimi in vero, sono sempre intonati alla disciplina ed alla devozione per il Duce. All’infuori di questa io non spiego altra azione.
     Tutt’al piú potrò lamentarmi con qualche intimo del come è stata ricambiata tutta la mia fervente opera data a favore del fascismo.
         Comprendo però che se l’ingratitudine esiste, essa vuole anche le sue vittime.
         Io so già che tu, a quanto ti ho detto risponderai: che io sono colpevole di non essere in cordiali rapporti di amicizia con l’Onorevole Turati.
         Dico cordiali rapporti di amicizia, perché il fatto solo di aver accettato la carica di Segretario Federale, è la prova che intendo rimanere disciplinato agli  ordini delle Supreme Gerarchie. Ma, per carità, non pretenderai che io ad ogni affronto che ricevo dal Segretario del Partito, debba gridare: Evviva  Turati.
         Ti sei mai chiesto perché, dopo averlo chiamato da Brescia, dove era abbandonato da tutti e dove tu stesso un giorno lo volevi far arrestare per lo  sciopero dei metallurgici, e messo nel Direttorio Nazionale, dopo averlo io stesso designato a te come mio successore, non abbia io oggi per lui lo stesso entusiasmo di allora?
         Se non lo sai te lo spiegherò subito.
         Turati non doveva permettere che dopo quarant’otto ore che io avevo lasciato il Partito, dei libelli come La Conquista dello Stato, lo smercio Italiano  di Bologna, Il Mattino di Napoli, mi aggredissero in modo volgare.
         Anziché ricordarsi che io fui il suo Segretario, se ne compiaceva con Curzio Sukert, che veniva poi nuovamente ospitato alla sede del Partito dove io lo  allontanai per tuo volere, quando egli dava la sua prosa alla Stampa di Torino e quando andava a Forlí, a Ravenna, a Firenze a scocciare il prossimo con  la sua repubblica.
         Turati non doveva subito mettere al bando i dirigenti di certe provincie come l’Avv. Tecchio di Napoli, i quali avevano servito con grande fedeltà la  grande causa e ai quali non si poteva fare colpa se avevano dell’ammirazione per me, e se avevano preso sul serio i comunicati del Gran Consiglio, con i  quali piú volte mi si esprimeva il plauso piú entusiastico.
         Rileggi, caro Presidente, la tua lettera inviatami in risposta alla mia nel 1925, anniversario della morte di Casalini.
         Turati ebbe il torto di chiamare a se, cinque dei peggiori cittadini di Cremona, espulsi da noi per ragioni non politiche, ma morali e proclamarli gli  interpreti sinceri del fascismo cremonese.
         Questi cinque signori, o meglio figuri, caduti nel ridicolo generale, oggi si affrettano a dichiarare che ricevettero da Roma gli ordini di minare la mia  posizione a Cremona e ricevettero ordini dall’Onorevole Torrusio, intimo dell’On. Turati, di creare a Cremona incidenti tali, da richiamare l’attenzione  della Direzione del Partito.
         Fu Turati che tollerò la scandalosa campagna parmense per quella Banca Agricola, campagna che non si preoccupava se quell’Istituto avesse un  passivo di appena 4 o 5 milioni, irrisorio però di fronte ai dissesti contemporanei della Banca Adriatica, della Banca Garibaldi e della Banca delle Colonie  di Napoli; né doveva preoccuparsi di far punire i colpevoli, ma soltanto tendeva a creare dei dubbi sulla mia persona. Forse perché la mia onestà e la mia  dirittura morale, debbono essere per molti un incubo tremendo?
         E si è fatto scrivere alla Magistratura una pagina nerissima che non ha precedenti nei passati Regimi; si volevano perfino arrestare i morti! Fascisti che  ricoprivano posti di carica in Enti non di Farinacci, ma del Regime, furono clamorosamente arrestati ed espulsi dal Partito per poi vederli assolti e  riammessi nel fascismo, a distanza di qualche mese.
         Si parlò di mie cambiali, di somme da me percepite, si fecero delle indagini, si chiamarono alla Direzione del Partito uomini che dovevano deporre  chissà quali grandi cose, ma tutto è finito con un palmo e mezzo di naso da parte di chi sperava che le cose fossero andate diversamente.
         Ed oggi Turati mi telegrafa, un po’ tardi in vero – inquantoché la polemica era già stata chiusa da me – di non dimenticare i doveri di fraternità.
         Non ho mai considerato per fratelli i vili che tentano di colpirmi alla schiena. Avrei voluto anzi che questi vili, che questi calunniatori, secondo certi  deliberati del Gran Consiglio, fossero stati puniti.
         A Parma trionfa in pieno la massoneria; questo è il risultato della lotta. E se ne vuoi una prova, domanda al Console Forti se ha rifiutato il grado di  Fratello vendicatore 30 conferitogli il 1° Gennaio 1926 – dico 1° Gennaio 1926.
         Suardo mi disse, in un fugace colloquio, che tu eri seccato anche per il fatto che io non mi reco a Palazzo del Littorio, ad ossequiare Turati.
         Io ci vado quando mi chiama. Una volta sola ci sono andato di mia iniziativa – e l’Onorevole Starace ne può essere buon testimonio – ma il Segretario  del Partito non mi volle ricevere.
         Tu capirai che io posso umiliarmi davanti a te, ma davanti agli altri perdio, No!
         Non appartengo alla schiera degli impostori che fanno lingua in bocca ad ogni piè sospinto, salvo poi dirsi corna dietro le spalle.
         Poi vi è in fine la questione professionale. I non iscritti al partito mi si vieta di difenderli anche quando si tratta di reati comuni, per i fascisti mi si dice  che non è opportuno che io li difenda.
         L’attuale processo di Chieti, ne è la prova migliore. A giorni avanzerò domanda di assistere degli amici fascisti a Trieste, implicati nei noti incidenti.
     Vedrai che mi si risponderà: «Non è opportuno che tu vada».
         Allora ti rivolgo il quesito: Un uomo che ha moglie e due figli, come deve vivere? A te la risposta.
         Per finire ti parlo dei fatti di Genova.
         L’avermi inviato copia del rapporto del Prefetto, debbo ritenere che tu voglia far ricadere anche su di me una parte di responsabilità.
         Ebbene, ti prego di prendere atto che io in quei fatti, c’entro come c’entri tu, e se quei fascisti hanno gridato Viva Farinacci, io ho in questo grido la  stessa responsabilità che hai tu quando i fascisti gridavano: Viva Mussolini Re.
         Mi si dice che ti hanno riferito che quei dirigenti sono sempre a Cremona. Ciò è completamente falso. Qui a Cremona viene soltanto qualche rara volta  il fascista Mutti, che è di Cremona e viene a trovare la sua famiglia.
         Quando l’ho visto, l’ho pregato di dire a tutti i fascisti di Genova, di lasciarmi in pace e di non adoperare mai il mio nome.
         Ho poi dichiarato su «Regime Fascista» che io non ho nessuna intenzione di ricoprire il posto che ho tenuto in altri momenti.
         Quando, caro Presidente, si è fatto il Segretario del Partito come l’ho fatto io in tempi difficili e con gli evidenti risultati, si può essere contenti una volta per sempre.
         E quelli che gridano: vogliamo Farinacci Ministro degli Interni, sono agenti provocatori, non certamente stipendiati da me!!
         Un certo senso politico credo di averlo e non sarei cosí fesso a permettere cose che mi danneggiano.
         Questo volevo dirti. Non ti parlo della situazione politica in genere perché ti dovrei fare un quadro un po’ sconfortante.
         I migliori fascisti sono messi al bando, gli odi fra dirigenti e dirigenti, gregari e gregari, si vanno intensificando, in ogni provincia è difficile trovare due  Deputati che vadano d’accordo; chi comanda localmente esercita una tale pressione che soffoca ogni voce onesta.
         La diffidenza tra personalità politiche va aumentando, uno parla male dell’altro, uno fa la guerra all’altro.
         Non c’è da augurarsi che una cosa sola: che tu possa vivere mille anni, altrimenti non so come finirebbero i risultati di tanti nostri sacrifici.
         È necessario che tu dica a chi ti circonda, di cambiare sistema. Occorre fare opera di fusione, non di divisione, opera di avvicinamento, non di  allontanamento, opera di amore non di odio, opera di fede non di opportunismo.
         Per conto mio sono come sempre ai tuoi ordini. Se credi che la mia carica di Segretario Federale sia in contrasto con quella direttiva che bisogna tenere  nei riguardi del Segretario del Partito, dimmelo francamente, io sono disposto a cedere le armi a qualche altro uomo di fede che in provincia potrebbe  mantenere integra la tradizione del nostro fascismo e che avrebbe tutta la mia collaborazione.
         Se poi ragioni di Stato volessero da me l’estremo sacrificio, sono anche disposto a presentarti domanda, non per il confino, ma per l’esilio.

      Come vedi, piú disciplinati di cosí si muore!
     
      Saluti fascisti affettuosamente
                                                                  Farinacci