Caro Presidente,
l’altro ieri l’Onorevole Turati, all’Ing. Orefici di Cremona
membro della Federazione Provinciale fascista Cremonese chiamato appositamente
a Brescia, ha dichiarato che tanto lui quanto i membri del Direttorio
sono tutti miei affettuosi amici, ma che essi nulla possono fare per frenare
la campagna malvagia, idiota, ed inutile che si sta subdolamente
conducendo contro di me, perché la tolleranza viene dall’alto alludendo
quindi evidentemente a te. Fino a che i miei
avversari nel fascismo sono Federzoni, Balbo, Barattolo, Scarfoglio, Sukert,
Bottai ed altri la cosa non può farmi dispiacere, in quanto
ho sempre avuto fiducia nella mia dirittura morale e politica e nel tempo
che, con me, si è dimostrato piú volte galantuomo; ma quando
vengo a sapere che l’uomo che vuole assassinarmi moralmente e politicamente
è Benito Mussolini, la cosa mi sembra talmente enorme e grave da
lacerarmi l’animo dal dolore.
Io verso di te non ho nessun torto, dico nessun
torto.
Ne ho dato la prova nei momenti estremamente
delicati e pericolosi, per te e per il Regime.
Non voglio ricordarti che nel 1914 abbandonai
il socialismo per seguirti, neppure voglio ricordarti che nel 1919 fui
tra i primi a rispondere al tuo appello e che, prima ancora, nelle
sere tumultuose, molte volte ho atteso la tua uscita da Via Paolo da Cannobbio,
per seguirti a distanza, come un cane fedele, per difenderti dagli
agguati.
Ma mi voglio riferire all’ottobre del 1922,
quando giocai il tutto per tutto, per iniziare il movimento rivoluzionario
a Cremona, che costò la vita a dieci persone e il sangue di
altre cinquantadue gloriose camicie nere, e mi voglio riferire alle giornate
del giugno 1924, quando solo, dico solo, ti ripeto solo, ero al tuo fianco
in quelle indimenticabili giornate di Palazzo Chigi, quando io per alleviare
la pressione avversaria su di te, incominciai a strepitare contro tutto
e contro tutti, sí da riuscire nell’intento: quello di attirare
su di me tutti gli odi e tutte le minaccie.
I pavidi, i senza fede e gli opportunisti
del fascismo si schierarono contro di me; essi furono allora vinti.
Oggi soltanto ritornano sulla scena per vendicarsi
di me e fatalità vuole, che tu, senza saperlo ti presti al loro
gioco.
E non devi dimenticare che costoro sono quei
tali che, mentre noi facevamo veramente la rivoluzione, patteggiavano con
Salandra e mentre noi nel giugno e nel dicembre del 1924 dichiaravamo
che per arrivare a te bisognava passare sui nostri corpi, essi o rassegnavano
le dimissioni nel tuo Gabinetto o altri, a Bologna, volevano convincere
molti dirigenti della provincia ad abbandonarti e dar vita ad un nuovo
movimento.
Come già ti dissi altra volta, ti ripeto
ancora in questa amarissima ora, che non ti rifiuterei tutta la mia attività
e tutta la mia purissima fede, se un giorno, ti vedessi ancora tradito
come Cristo.
Tu non puoi dimenticare questa mia stessa
frase che io ti telegrafai nell’autunno del 1923 quando tu autorizzavi
Massimo Rocca e permettevi a Filippelli sul «Corriere Italiano»,
ad attaccarmi a fondo per «bucare la vescica di Cremona».
Anche tuo fratello, sul «Popolo d’Italia»,
di allora mi lanciava il famoso «monito» mentre l’Onorevole
Giunta mi minacciava di provvedimenti disciplinari.
I fatti han dimostrato poi che Rossi e Filippelli
ti volevano trascinare nel carcere; io invece avrei dato la mia vita per
la tua salvezza.
Sapevo, fin da quando ero Segretario, che
tu ti eri ingiustamente ed ingenuamente adombrato della mia forza.
Sapevo che molti hanno alimentato le tue ombre,
ma ho sempre sperato che col continuare a servirti devotamente, tu ti saresti
persuaso della mala fede altrui e della mia lealtà.
E non vi fu manifestazione giornalistica o
popolare in cui io non dichiarassi la tua assoluta supremazia su tutti,
fino al punto di dire a Milano il 28 marzo 1926, che solo Gesú
Cristo ti poteva sostituire.
E soffocai in silenzio la profonda amarezza
che provai quando seppi le ragioni per cui mi proibisti di tenere il noto
discorso a Milano, di partecipare alla manifestazione di Torino,
nonché di accettare l’invito delle città Sarde.
Cosí pure mi ero imposto di non dirti
mai nulla circa la diversità di trattamento che tu hai fatto a me
e quelle che fai a Turati.
Per Turati si danno ordini categorici alla
stampa di soffiettare ogni sua manifestazione ed ogni suo discorso, per
me si davano ordini perché la stampa mi trascurasse.
Tu mi dirai subito che questo è avvenuto
quando non esisteva piú un accordo completo fra me e Federzoni.
Ma tu sai bene anche che ciò è
avvenuto per troppo amore, da parte mia, alla tua persona; è avvenuto
per l’attentato Zaniboni, quando io sono rimasto poco tranquillizzato
del Viminale e quando in quel periodo la Direzione Generale di PS aveva
disposto un equivoco e misterioso servizio intorno a me ed aveva
ordinato a due persone, che tu ben conosci, di sequestrare nella mia camera
all’Hotel Bristol di Roma, alcuni documenti che io tengo, che nessuno
riuscirà a rintracciare e che un giorno mi potranno servire di conforto.
Ricorderai anche quanti pettegolezzi, anche
intimi, piú volte falsificati o ingranditi, ti ha riferito sul mio
conto, il Ministero degli Interni.
Se io avevo diritto di avere un fratello,
se io avevo diritto di avere un amico, questo fratello e questo amico non
potevano essere che te. Invece no; montato dagli altri, dico «montato»
perché non ritengo il tuo animo capace di tanto, hai voluto lasciarti
trascinare dalla piú nera ingratitudine.
Non appena lasciato il Segretariato del Partito,
da alcuni giornali e da alcuni uomini come Balbo, Bottai, Sukert, – la
tua avversione verso i quali dovetti io un giorno attenuare, – mi
hai fatto aggredire violentemente e si è continuato per un pezzo
con il proposito di farmi perdere le staffe – come Balbo ha piú
volte detto in Toscana – per indurre Turati a prendere dei provvedimenti
disciplinari nei miei riguardi.
Poi, hai raccolto alcune voci del pagliaccesco
fascismo di Parma città ed hai col tuo atteggiamento, con le tue
dichiarazioni – pur senza che tu ne avessi la volontà – indotto
la Magistratura di Parma a compiere le piú grandi bestialità
che non trovano precedenti negli annali giudiziari.
È stato tale il disorientamento dei
Giudici, che si è spiccato un unico mandato di cattura con un’unica
imputazione per venticinque persone!
E tale è stato lo spavento dei minacciati
traslochi annunciati dal Corriere Emiliano, che gli stessi Magistrati anziché
accertarne, anche sommariamente le responsabilità, hanno spiccato
i mandati di cattura anche contro due morti.
Stimati cittadini e professionisti come l’Avv. Montanari di
Piadena, sono stati gettati nel carcere troncando in tal modo la loro attività,
che fu sempre basata sull’onestà.
E questo perché, caro Presidente?
Si era dichiarato, e lo stesso Turati confidenzialmente
a qualche suo amico lo ha affermato, che cosí procedendo si sarebbe
scoperto che Roberto Farinacci era implicato nella faccenda della Banca
Agricola Parmense.
Ora che tutti sono in carcere, ora che tutti
i documenti di quell’Istituto sono in mano delle autorità si comproverà
che io non ho mai, dico mai, ripeto mai, avuto rapporti di carattere
bancario o affaristico con chicchessia.
Ho lanciato piú volte dalle colonne
del mio giornale delle sfide; nessuno le ha mai raccolte.
Se non avessi la preoccupazione che, per ragioni
politiche e per causa mia, vi sono delle oneste persone in carcere, potrei
essere contento perché in questo modo mi si creano i migliori
entusiasmi e gli affetti piú profondi.
Lo scopo a cui si mirava era di isolarmi completamente,
di distruggermi; invece si è moralmente rafforzata presso gli onesti,
la mia personalità.
Ma di tutto questo mi riservo un giorno di
parlarne in Parlamento e di dimostrare a tutti, te compreso – perché
io sono sicuro che sei all’oscuro di tutto – che lo scandalo finanziario
di Parma è stato voluto per malvagia manovra politica, la quale
si è ripercossa, non certo a vantaggio del prestigio all’interno
e all’estero, sulle povere spalle dei risparmiatori.
Dice il vecchio ma sempre saggio proverbio:
non tutte le ciambelle riescono col buco. Il dissesto della Banca Agricola
di Parma ha portato con se il fallimento Cuppini. Ebbene, perché
le indagini giornalistiche del Partito e del Governo, non sono state estese
anche a questo fallimento?
Si sarebbe potuto cosí provare che
proprio gli uomini che volevano colpire me, risultano i sostenitori ed
i beneficati dal Cuppini.
Domanda a S. E. l’Onorevole Generalissimo
Italo Balbo quali rapporti ha avuto con il Cuppini per la bonifica di Comacchio
e se egli e il suo giornale non sono mai stati lautamente compensati.
E Balbo è uno dei dirigenti della cosidetta
Santa Crociata! È cattiveria volermi fare un appunto perché
io sono stato amico di Lusignani.
Lo conobbi alla fine del 1922. Egli, quando
si presentò a me per chiedere il mio intervento quale membro del
Direttorio Nazionale, mi mostrò delle lettere di Rocco e di
Federzoni i quali gli attestavano tutta la loro stima e mi fece anche vedere
ricevute di denaro versato all’«Idea Nazionale», al «Popolo
d’Italia» e ad altri giornali amici. Non solo, ma mi dimostrò
anche che egli era stato Presidente del comitato elettorale dell’Emilia
nel 1921 e versò anche la discreta somma di 100 mila lire
per la riuscita di Corgini, Terzaghi, Vicini, Lancellotti.
Perché dopo tutto ciò non dovevo
ritenerlo amico, tanto piú sapendo che a Parma i suoi avversari
erano Picelli, Micheli e Berenini?
Però ti posso dichiarare sulla mia
parola di gentiluomo che né io né il giornale che io dirigo,
hanno avuto da lui un centesimo, dico un centesimo.
Si mentisce sapendo di mentire, quando si
fa circolare la voce che esistono delle mie cambiali. In vita mia non ho
mai visto cambiali; soltanto studiando Diritto Commerciale ho appreso
che essa è un titolo di credito.
Ed è tale la mia avversione per tutto
ciò che è attività commerciale, bancaria ecc. ecc.
che io mi occupo come avvocato soltanto di penale e che i nove decimi
delle mie cause si riferiscono a fascisti che pagano la parcella salutando
romanamente.
Voglio anche dirti che povero sono nato e
povero sono rimasto. Non posseggo né un metro quadrato di terra
né di case.
Piú volte sono stato vivamente pregato
di entrare a far parte di Consigli d’Amministrazione; mai ho voluto accettare
per mantenere integra la mia figura di uomo politico.
Sai come il Regime mi ricompensa? (Dico Regime
per alludere al Governo).
Con lo stroncare anche la mia attività
professionale.
A Savona le autorità avevano dato ordine
ai giornali di Genova di non pubblicare nulla della mia arringa pronunciata
ad un processo per diffamazione.
Non solo, ma a qualche eventuale mio cliente
si va dicendo che l’Onorevole Farinacci è in disgrazia e quindi
il suo patrocinio è dannoso.
Caro Presidente, questo riguarda la mia persona come privato e
non mi preoccupa. Ho sempre vissuto con stipendi irrisori, ho cercato sempre
di fare il passo secondo la gamba, sono sempre riuscito a non compromettere
quel patrimonio morale che mio padre, modesto impiegato dello Stato, mi
ha dato.
Mi preoccupa invece la situazione politica,
non tanto nei miei riguardi quanto nei riguardi tuoi e della Nazione.
Questa lotta che si conduce contro di me da
persone equivoche, l’ostracismo che si dà a tutti i dirigenti del
fascismo provinciale legati a me d’amicizia, il dipingere ai fascisti
un Farinacci diverso da quello che è stato fino ad oggi, non è
compiere opera di compattezza e di entusiasmo nella massa!
Questa, abituata ad amare i suoi capi e poi
ridotta a disprezzarli è invasa da sfiducia e scoramento che purtroppo,
se non si corre ai ripari, avranno delle fatali conseguenze.
Quell’unità che, con tanta abilità
ed energia io riuscii a ricondurre nel partito, è stata infranta.
Federzoni, Balbo, Turati ed Arpinati ne sono i colpevoli.
In tutte le provincie, almeno in quelle che
hanno un passato fascista, la situazione è critica. Non credere
ai rapporti dei Prefetti i quali hanno l’ordine di intonare le loro
informazioni all’antifarinaccismo e nascondono la realtà delle situazioni.
Se ti vuoi convincere di quanto io ti dico,
manda riservatamente un tuo fiduciario nelle varie zone che possa esaminare
e riferirti con precisione del come stanno veramente le cose.
Io cerco continuamente di fare opera di calma
e se ti riferiscono l’opposto, ciò è completamente falso.
Ti avviso da buon camerata, col massimo disinteresse
e ti dichiaro che io non ho ambizioni e che non intendo di ritornare mai
piú a capo del Partito.
Sarei diversamente anche poco furbo, dopo
la situazione che si è creata!
E sai che se io fossi un ambizioso, lo avrei
accettato quando tu me lo offrivi, un posto di Governo.
Intendo solamente collaborare come per il
passato con uomini che sappiano interpretare l’anima del fascismo.
Turati, per volontà sua o degli altri,
è fuori strada. Egli ha dimostrato di avere poco buon naso, sebbene
lo abbia lungo; è questione di qualità.
E finisco parlandoti brevemente della situazione
Cremonese. Qui Turati ha cercato di far di tutto per minare la compattezza
del fascismo locale.
Anziché con i dirigenti ha avuto contatti, e tutt’ora
è in corrispondenza telegrafica, con degli espulsi taluno dei quali
condannato per spaccio di cocaina o per falso in atto pubblico.
Una commissione, pure di espulsi è
stata non solo ricevuta da lui a Roma, ma è stata presentata poi
a Federzoni!
Tu potrai comprendere quale enorme impressione,
questo modo di agire, susciti a Cremona.
A Crema e a Soresina, qualche elemento indisciplinato
cerca di creare noie ai fasci locali. Non mi è possibile intervenire
energicamente perché i colpiti ricorrerebbero subito a Turati
e sarebbero ascoltati.
La situazione nel cremonese è generalmente
ottima; gli scocciatori non sono piú di trenta.
Bisogna uscire dall’equivoco: o si vuole che
il nostro fascismo rimanga nella sua granitica compattezza come per il
passato e si dia tutta l’autorità alla Federazione respingendo
gli espulsi; o si vuol gettare anche qui fra noi l’anarchia che vi è
a Trieste, Udine, Treviso, Torino, Rovigo, Genova, Spezia, Firenze,
Napoli ed allora lo si dica chiaramente, ché cosí ognuno
di noi dirigenti saprà regolarsi.
Caro Presidente, considera questa mia come
uno dei miei soliti sfoghi personali. Ti prego leggerla attentamente e,
se tu mi vorrai dire una parola, te ne sarò fraternamente
grato.
Tuo affettuoso Farinacci
B) Nel mio atteggiamento verso di te dal
gennaio del 1926 in poi non giocano affatto i motivi cui alludi – alcuni
dei quali assolutamente ridicoli – bensí la tua campagna contro
il Ministero dell’Interno; campagna che ritengo profondamente ingiusta
e dannosa al regime non fosse altro per le soddisfazioni e speranze
che regala agli avversari.
C) La nera ingratitudine, non esiste né verso di te
né verso chicchessia; né oggi, né nel secondo semestre
del ’24, né mai. Può darsi che io debba qualche cosa
a qualcuno te compreso; ma gli altri mi debbono una infinita gratitudine,
te compreso. Io sono di gran lunga creditore di tutti, indiscutibilmente.
Tutti in Italia e fuori sanno te compreso che se il regime
vive e vincerà le tremende battaglie alle quali va incontro gli
è perché io vivo e lavoro sedici ore al giorno come
un negro. Lasciamo stare il tasto dell’ingratitudine! E ricorda piuttosto
che io ti chiamai a reggere il Partito quaranta giorni dopo il mio
discorso del tre gennaio appunto per darti una prova solenne di riconoscimento
per quanto avevi fatto per il partito nel periodo quartarellaro e ricorda
che l’ordine del giorno del Gran Consiglio del 30 marzo ’26 di plauso
alla tua opera fu dettato da me. Tale riconoscimento confermo oggi aggiungendo
però che da sei mesi tu non cammini piú sul retto sentiero
della disciplina silenziosa. Da tre mesi ti ripeto queste parole. S. E.
Terruzzi può testimoniarlo.
D) Negare l’esistenza del fattaccio bancario di Parma è
un colmo! Per ciò che riguarda il «Popolo D’Italia»
ti hanno venduto del fumo. Ricordo perfettamente che durante il processo
Candiani il conte L fece un’offerta al mio giornale, ma ricordo altrettanto
perfettamente che io – proprio io – pregai l’avv. intermediario di
restituire la somma – venti mila lire – al signor Conte.
Il regime, cioè il Governo e se
vuoi il sottoscritto non si occupa affatto della tua professione. Ho veramente
altro da fare io, specie in questo momento nel quale tutto il mondo
dell’antifascismo è in agguato nella speranza vana di far tracollare
il regime sul terreno economico finanziario.
E) Il disagio nel Partito è originato
in gran parte dal tuo atteggiamento di indisciplina spirituale, di monopolizzatore
della purezza della salvezza del Partito, dal tuo continuo lanciare
accuse generiche alle quali, non fai seguire precisioni concrete; dai tuoi
contatti e dai tuoi discorsi anche sul treno Milano-Genova e sopratutto
dai discorsi dei tuoi amici i quali hanno la lingua troppo lunga.
Ancora una volta ed è l’ultima ti
ripeto: obbedisci a Turati smettendo quell’aria di Antipapa che aspetta
o fa credere di aspettare la sua ora; riconciliati con Federzoni
che non ha rancori di sorta verso di te e che non merita i tuoi sospetti
e che è un servitore devoto del regime. Riconciliati con Balbo che
ha anche lui meriti indiscutibili verso il partito e che fu durante
il periodo quartarellaro particolarmente preso di mira dagli avversari
del regime e fa la polemica soltanto contro i nemici del Fascismo.
E sopratutto evita la Massoneria. L’atmosfera si chiarirà; l’avvenire
ti sarà aperto e gli avversari non avranno la gioia di vederti
bandito dalla vita politica.
Ricordati che chiunque esce dal Partito decade e muore.
Cordiali saluti
Mussolini
Roma, 10 luglio 1926.
PS. Ci sono molte altre sciocchezze nella tua lettera, ma
non le rilevo. Ti avverto che le prime dieci righe e soltanto le prime
dieci righe della tua lettera, le ho lette all’On. Turati. E si capisce!
Muss
Caro Presidente,
mercoledí scorso, dietro tuo invito
telegrafico venni a Roma per parlarti di varie questioni, per dissipare
cretinissimi e malvagissimi equivoci creati ad arte da altri, e per
chiarire una volta per sempre la mia posizione di uomo privato e politico.
Alle 12,30 ora del colloquio, mi fu detto
di venire al pomeriggio verso le ore 17,30 a Palazzo Chigi; qui dopo essere
stato sballottato da un usciere all’altro, seppi da Mameli che il
colloquio era stato rinviato ad altro giorno.
Prima di lasciare Palazzo Chigi, vidi Chiavolini,
al quale aprii il mio cuore e dissi tutto il mio risentimento per questo
tuo agire verso chi ha il vanto di averti seguito con fedeltà
ed entusiasmo da circa tre lustri.
È umiliante che nel 1927 per arrivare
a te bisogna dare la precedenza a molti di coloro che io ho un giorno combattuto
per difendere il Regime! Sono però di tale fede e di tale
forza che riesco a rinchiudere nel mio animo tutta l’amarezza, senza serbarti
il minimo rancore.
Non appartengo alla schiera dei Cesarino Rossi,
dei Fasciolo e dei Rocca, verso i quali tu, strana fatalità, usavi
tutte le tenerezze e tutte le premure che io mai ho conosciute.
Gli amici veri, coloro che ti hanno dato le
prove migliori di fraternità e fedeltà, coloro che si sono
stretti attorno a te nel momento in cui a farlo si passava per assassini,
coloro che ti offrirono la vita senza nulla chiedere, sono oggi, non solo
calpestati, ma sospettati e perseguitati, come non lo sono i nemici
provati del fascismo.
Piú volte in momenti di esasperazione
chiedo ripetutamente a me stesso quale colpa io abbia commesso. Quello
che mi addolora profondamente e che qualche volta mi spingerebbe
fino al punto di diventare un anarchico fascista, ripeto fascista, è
la persecuzione che si conduce contro tutti coloro che sono sospettati
di essere i miei amici.
E gli amici miei, caro Presidente, sono precisamente
i fascisti di vera tempra fascista, che mi coadiuvarono nel periodo quartarellista
a sostenere l’urto avversario e a vincere senza condizioni.
Sono traslochi in località disagiate,
si nega a certi impiegati statali il diritto alla promozione, si levano
dai posti di comando uomini onesti e capaci e si sostituiscono con
opportunisti della piú brutt’acqua, con tutti quei fifosi che nel
secondo semestre 1924 si sbandarono e si tolsero dall’occhiello il
distintivo del Partito.
Tutto avrei immaginato, ma mai che il trionfo
del nostro programma rivoluzionario dovesse risolversi in una cuccagna
per tutti coloro che ebbero il caso di coscienza, che pretendevano
che il fascismo divenisse accomodante e che combattevano persone che, come
me, affermavano l’intransigenza piú assoluta. Perché
questo? Mistero! Le voci che mi arrivano sono disparate. C’è chi
dice che il Duce dubiti della mia devozione, c’è chi dice che io
voglia fare il frondista contro il Partito, c’è chi dice che
io mantengo vivo un certo movimento dissidentista.
A qualcosa di tutto questo tu devi certamente
credere; non si spiegherebbe altrimenti il tuo atteggiamento, che poi,
esageratamente interpretato da coloro che ti stanno vicino si tramuta
in: caccia all’uomo.
Eccoti alcuni episodi:
Mesi fa andai a Torino a difendere dei fascisti.
Qualcuno degli amici che mi venne a salutare, fu chiamato poi da un funzionario
incaricato dal Questore e gli fu detto che non era politico farsi
vedere assieme all’Onorevole Farinacci.
A Milano la sera dell’insediamento al Lirico, del
Segretario Federale, essendomi incontrato all’Hotel Corso nel pomeriggio,
con Turati, Marinelli, e Giampaoli, credetti mio dovere di partecipare
alla cerimonia assieme a tutti gli altri Deputati.
Alla porta trovai un energumeno, il quale
mi disse che gli ordini ricevuti erano precisi: io non dovevo assolutamente
entrare. Attesi l’arrivo di Turati e di Giampaoli ai quali denunciai
l’accaduto. Essi non mi dissero nulla né provvidero a richiamare
l’imbecillissimo fascista. Tuo fratello presente, in vero, deplorò
l’atto indegno.
Sí, indegno, Presidente, perché
non bisogna dimenticare quel che ho fatto io per Milano e non bisogna dimenticare
quante volte io ho appoggiato le azioni con colonne di fascisti cremonesi.
Cremona, prima della rivoluzione, fu la città
ospitale per tutti i milanesi colpiti da mandati di cattura. Al processo
Oldani, svoltosi in momenti non simpatici per il fascismo, fui io
che assunsi la parte piú grave di difendere quelle povere camicie
nere.
E non si doveva poi dimenticare che io sono
uno dei pochi superstiti dei fondatori del fascismo (23 marzo 1919) e che
sono il Deputato della
circoscrizione Lombarda che ebbe, dopo di te, i maggiori suffragi.
Se fossi stato uno di quegli uomini impulsivi,
avrei quella sera protestato energicamente, avrei trovato migliaia di sostenitori,
avrei potuto creare seri incidenti; invece no, rassegnato me ne ritornai
in albergo dove vennero poi numerosi amici a dichiararsi nauseati di certi
sistemi.
Vado a Napoli dove mio padre trovasi gravemente
ammalato e prendo alloggio all’Hotel Vesuvio, per un giorno e mezzo.
Appena ripartii per Roma, seppi che le autorità
chiamarono tutti gli amici che mi vennero ad ossequiare, pretendendo da
essi di sapere quale complotto politico era stato organizzato.
Qualcuno che copriva cariche politiche, per
il solo fatto di essere stato visto con me, fu invitato a rassegnare le
dimissioni. A Napoli non si è parlato che della salute di
mio padre, delle regate internazionali che si dovevano svolgere a Nizza,
e di Foot?Ball. A qualcuno che mi voleva informare di una inchiesta
che si stava svolgendo a carico di un certo Clementi, amico di Turati e
di sua moglie, imposi il piú assoluto silenzio e dissi questa precisa
frase:
Non parliamo di politica perché domani a Roma si dirà
che noi abbiamo complottato.
A Codogno da parte del Comando della Legione Ferroviaria
di Milano, si rimproverano quei ferrovieri perché tengono nella
loro Sezione il mio ritratto.
Se non mi sbaglio io ho fatto undici anni il ferroviere ed ho
capeggiato sempre in Lombardia il movimento di resistenza contro tutti
gli scioperi.
Alcuni ferrovieri di Treviglio credo tre o
quattro, acquistarono presso la Colonia Balilla dei ferrovieri fascisti
di Cremona, una spilla riproducente la mia fotografia.
Contro questi agenti, venne aperta immediatamente
una inchiesta e furono minacciati di licenziamento.
A Bergamo si inaugura la Casa del Fascio. Vengono
invitate le rappresentanze delle Federazioni Fasciste delle provincie limitrofe,
Corno, Brescia, Milano e si escludono solo i rappresentanti del fascismo
cremonese, come se essi fossero un’accolita di rognosi.
Si dimentica facilmente che Cremona fu maestra
a tutte le provincie vicine, compresa Brescia e l’Onorevole Turati, che
hanno sempre fatto capo a Cremona.
A Trieste chi è visto leggere «Regime
Fascista» viene redarguito dal Questore De Martino. Gli strilloni
vengono diffidati. Ovunque si tenta poi di boicottare la vendita
del mio giornale.
A Cremona, a carico di due capistazione, già
compagni miei di lavoro e che furono a fianco mio quando gli altri scioperavano,
viene improvvisamente inviata da Milano un’inchiesta. Messi sotto
accusa, l’uno per essersi finto ammalato ed invece partito per Roma, l’altro
per essere pure partito per Roma senza regolare congedo e con un
biglietto irregolare di servizio, viene a risultare invece che il primo,
trovavasi all’ospedale sotto i ferri del chirurgo per operazione,
il secondo partito sí per Roma, ma con regolare congedo e con regolare
biglietto di viaggio.
Ti lascio immaginare le impressioni nel campo
ferroviario! Certe umiliazioni non si subivano neppure quando trionfava
il sindacato rosso.
Quali ragioni giustificano, caro Presidente,
questa lotta malvagia, contro fascisti di fede ed onesti? Non riesco a
capirlo.
Il fatto che non si distrugge è che
fino ad ora non si è potuto muovermi un appunto e che il lavorio
degli informatori, (te li raccomando per la loro serietà e
per il loro disinteresse!) le delazioni interessate di uomini che ti stanno
vicino, non hanno potuto precisare alcunché contro la mia attività
sia politica che privata.
«Regime Fascista» è il
giornale ortodosso per eccellenza. Dopo il «Popolo d’Italia»,
nessun altro giornale sostiene con ardore ed energia tutta l’opera del
Regime.
I miei discorsi, pochissimi in vero, sono
sempre intonati alla disciplina ed alla devozione per il Duce. All’infuori
di questa io non spiego altra azione.
Tutt’al piú potrò lamentarmi con qualche intimo
del come è stata ricambiata tutta la mia fervente opera data a favore
del fascismo.
Comprendo però che se l’ingratitudine
esiste, essa vuole anche le sue vittime.
Io so già che tu, a quanto ti ho detto
risponderai: che io sono colpevole di non essere in cordiali rapporti di
amicizia con l’Onorevole Turati.
Dico cordiali rapporti di amicizia, perché
il fatto solo di aver accettato la carica di Segretario Federale, è
la prova che intendo rimanere disciplinato agli ordini delle Supreme
Gerarchie. Ma, per carità, non pretenderai che io ad ogni affronto
che ricevo dal Segretario del Partito, debba gridare: Evviva Turati.
Ti sei mai chiesto perché, dopo averlo
chiamato da Brescia, dove era abbandonato da tutti e dove tu stesso un
giorno lo volevi far arrestare per lo sciopero dei metallurgici,
e messo nel Direttorio Nazionale, dopo averlo io stesso designato a te
come mio successore, non abbia io oggi per lui lo stesso entusiasmo di
allora?
Se non lo sai te lo spiegherò subito.
Turati non doveva permettere che dopo quarant’otto
ore che io avevo lasciato il Partito, dei libelli come La Conquista dello
Stato, lo smercio Italiano di Bologna, Il Mattino di Napoli, mi aggredissero
in modo volgare.
Anziché ricordarsi che io fui il suo
Segretario, se ne compiaceva con Curzio Sukert, che veniva poi nuovamente
ospitato alla sede del Partito dove io lo allontanai per tuo volere,
quando egli dava la sua prosa alla Stampa di Torino e quando andava a Forlí,
a Ravenna, a Firenze a scocciare il prossimo con la sua repubblica.
Turati non doveva subito mettere al bando
i dirigenti di certe provincie come l’Avv. Tecchio di Napoli, i quali avevano
servito con grande fedeltà la grande causa e ai quali non
si poteva fare colpa se avevano dell’ammirazione per me, e se avevano preso
sul serio i comunicati del Gran Consiglio, con i quali piú
volte mi si esprimeva il plauso piú entusiastico.
Rileggi, caro Presidente, la tua lettera inviatami
in risposta alla mia nel 1925, anniversario della morte di Casalini.
Turati ebbe il torto di chiamare a se, cinque
dei peggiori cittadini di Cremona, espulsi da noi per ragioni non politiche,
ma morali e proclamarli gli interpreti sinceri del fascismo cremonese.
Questi cinque signori, o meglio figuri, caduti
nel ridicolo generale, oggi si affrettano a dichiarare che ricevettero
da Roma gli ordini di minare la mia posizione a Cremona e ricevettero
ordini dall’Onorevole Torrusio, intimo dell’On. Turati, di creare a Cremona
incidenti tali, da richiamare l’attenzione della Direzione del Partito.
Fu Turati che tollerò la scandalosa
campagna parmense per quella Banca Agricola, campagna che non si preoccupava
se quell’Istituto avesse un passivo di appena 4 o 5 milioni, irrisorio
però di fronte ai dissesti contemporanei della Banca Adriatica,
della Banca Garibaldi e della Banca delle Colonie di Napoli; né
doveva preoccuparsi di far punire i colpevoli, ma soltanto tendeva a creare
dei dubbi sulla mia persona. Forse perché la mia onestà e
la mia dirittura morale, debbono essere per molti un incubo tremendo?
E si è fatto scrivere alla Magistratura
una pagina nerissima che non ha precedenti nei passati Regimi; si volevano
perfino arrestare i morti! Fascisti che ricoprivano posti di carica
in Enti non di Farinacci, ma del Regime, furono clamorosamente arrestati
ed espulsi dal Partito per poi vederli assolti e riammessi nel fascismo,
a distanza di qualche mese.
Si parlò di mie cambiali, di somme
da me percepite, si fecero delle indagini, si chiamarono alla Direzione
del Partito uomini che dovevano deporre chissà quali grandi
cose, ma tutto è finito con un palmo e mezzo di naso da parte di
chi sperava che le cose fossero andate diversamente.
Ed oggi Turati mi telegrafa, un po’ tardi
in vero – inquantoché la polemica era già stata chiusa da
me – di non dimenticare i doveri di fraternità.
Non ho mai considerato per fratelli i vili
che tentano di colpirmi alla schiena. Avrei voluto anzi che questi vili,
che questi calunniatori, secondo certi deliberati del Gran Consiglio,
fossero stati puniti.
A Parma trionfa in pieno la massoneria; questo
è il risultato della lotta. E se ne vuoi una prova, domanda al Console
Forti se ha rifiutato il grado di Fratello vendicatore 30 conferitogli
il 1° Gennaio 1926 – dico 1° Gennaio 1926.
Suardo mi disse, in un fugace colloquio, che
tu eri seccato anche per il fatto che io non mi reco a Palazzo del Littorio,
ad ossequiare Turati.
Io ci vado quando mi chiama. Una volta sola
ci sono andato di mia iniziativa – e l’Onorevole Starace ne può
essere buon testimonio – ma il Segretario del Partito non mi volle
ricevere.
Tu capirai che io posso umiliarmi davanti
a te, ma davanti agli altri perdio, No!
Non appartengo alla schiera degli impostori
che fanno lingua in bocca ad ogni piè sospinto, salvo poi dirsi
corna dietro le spalle.
Poi vi è in fine la questione professionale.
I non iscritti al partito mi si vieta di difenderli anche quando si tratta
di reati comuni, per i fascisti mi si dice che non è opportuno
che io li difenda.
L’attuale processo di Chieti, ne è
la prova migliore. A giorni avanzerò domanda di assistere degli
amici fascisti a Trieste, implicati nei noti incidenti.
Vedrai che mi si risponderà: «Non è opportuno
che tu vada».
Allora ti rivolgo il quesito: Un uomo che
ha moglie e due figli, come deve vivere? A te la risposta.
Per finire ti parlo dei fatti di Genova.
L’avermi inviato copia del rapporto del Prefetto,
debbo ritenere che tu voglia far ricadere anche su di me una parte di responsabilità.
Ebbene, ti prego di prendere atto che io in
quei fatti, c’entro come c’entri tu, e se quei fascisti hanno gridato Viva
Farinacci, io ho in questo grido la stessa responsabilità
che hai tu quando i fascisti gridavano: Viva Mussolini Re.
Mi si dice che ti hanno riferito che quei
dirigenti sono sempre a Cremona. Ciò è completamente falso.
Qui a Cremona viene soltanto qualche rara volta il fascista Mutti,
che è di Cremona e viene a trovare la sua famiglia.
Quando l’ho visto, l’ho pregato di dire a
tutti i fascisti di Genova, di lasciarmi in pace e di non adoperare mai
il mio nome.
Ho poi dichiarato su «Regime Fascista»
che io non ho nessuna intenzione di ricoprire il posto che ho tenuto in
altri momenti.
Quando, caro Presidente, si è fatto
il Segretario del Partito come l’ho fatto io in tempi difficili e con gli
evidenti risultati, si può essere contenti una volta per sempre.
E quelli che gridano: vogliamo Farinacci Ministro
degli Interni, sono agenti provocatori, non certamente stipendiati da me!!
Un certo senso politico credo di averlo e
non sarei cosí fesso a permettere cose che mi danneggiano.
Questo volevo dirti. Non ti parlo della situazione
politica in genere perché ti dovrei fare un quadro un po’ sconfortante.
I migliori fascisti sono messi al bando, gli
odi fra dirigenti e dirigenti, gregari e gregari, si vanno intensificando,
in ogni provincia è difficile trovare due Deputati che vadano
d’accordo; chi comanda localmente esercita una tale pressione che soffoca
ogni voce onesta.
La diffidenza tra personalità politiche
va aumentando, uno parla male dell’altro, uno fa la guerra all’altro.
Non c’è da augurarsi che una cosa sola:
che tu possa vivere mille anni, altrimenti non so come finirebbero i risultati
di tanti nostri sacrifici.
È necessario che tu dica a chi ti circonda,
di cambiare sistema. Occorre fare opera di fusione, non di divisione, opera
di avvicinamento, non di allontanamento, opera di amore non di odio,
opera di fede non di opportunismo.
Per conto mio sono come sempre ai tuoi ordini.
Se credi che la mia carica di Segretario Federale sia in contrasto con
quella direttiva che bisogna tenere nei riguardi del Segretario del
Partito, dimmelo francamente, io sono disposto a cedere le armi a qualche
altro uomo di fede che in provincia potrebbe mantenere integra la
tradizione del nostro fascismo e che avrebbe tutta la mia collaborazione.
Se poi ragioni di Stato volessero da me l’estremo
sacrificio, sono anche disposto a presentarti domanda, non per il confino,
ma per l’esilio.
Come vedi, piú disciplinati di cosí si muore!
Saluti fascisti affettuosamente
Farinacci