Relazione della Commissione d'inchiesta per far luce sui discussi finanziamenti ottenuti da Mussolini in occasione della nascita de «Il popolo d'Italia» nell'ottobre 1914
     

    Si osservi che uno dei titolari dell'inchiesta è Cesare Sarfatti, futuro avvocato personale del Duce e marito di Margherita Sarfatti, la sua futura amante!
     
         Quando il prof. Benito Mussolini, in seguito alla sua espulsione dal Partito socialista, inviò al signor Sindaco di Milano le sue dimissioni da consigliere
     comunale, la maggioranza consigliare riunita sotto la presidenza del Sindaco, prendendo in esame queste dimissioni, concluse la discussione in argomento
     con la votazione del seguente ordine del giorno:
         «I socialisti milanesi appartenenti al Consiglio Comunale, nell’ntento di risolvere nell’interesse di tutti e del Partito specialmente, la questione morale
     nel caso Mussolini – ferme sempre le deliberazioni di ordine politico rese dagli organi competenti del Partito – consentono che qualcuno dei Consiglieri
     faccia parte di una commissione che esamini detta questione morale e danno incarico al compagno Caldara di condurre le pratiche al riguardo».
        In ubbidienza al quale deliberato, il Sindaco avv. Caldara delegava a rappresentare la maggioranza consigliare nella commissione d’inchiesta l’on. Dino
     Rondani, mentre dal canto suo il prof. Mussolini, aderendo alla votata inchiesta, vi delegava a rappresentarlo l’on. Luigi Majno. I due delegati
     nominarono il terzo commissario nella persona dell’avv. Oreste Poggio presidente del Collegio dei Probiviri dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti.
     Ma avendo in seguito l’on. Rondani, per altri imprescindibili impegni, dovuto rinunziare all’incarico, fu con lettera del Sindaco in data 3 gennaio,
     incaricato di sostituirlo il dott. Giuseppe Forlanini. E cosí la Commissione poté riunirsi la prima volta la sera del 7 gennaio ed iniziare l’inchiesta ad essa
     affidata. Se non che due giorni dopo la Commissione veniva ad essere privata dell’opera illuminata e del prezioso consiglio di uno dei suoi membri per la
     morte non mai abbastanza rimpianta dell’on. Majno. Ed in data 15 gennaio il prof. Mussolini comunicava al Presidente della Commissione di averlo
     sostituito con l’avv. Cesare Sarfatti.
        La Commissione cosí reintegrata poté riprendere e condurre a termine l’inchiesta con la maggior possibile obbiettività e diligenza.
        Si chiedeva alla Commissione se il prof. Benito Mussolini potesse essere accusato per la fondazione del giornale «Popolo d’Italia» di indegnità morale in
     ordine a questi punti:
         1. Origine dei fondi del giornale.
         2. Conoscenza o meno da parte del Mussolini di tale origine.
         3. Se il giornale venne o no organizzato, colla partecipazione del Mussolini, prima delle dimissioni date dal Mussolini a Bologna.
         La Commissione, sentito il prof. Mussolini presa visione dei registri e documenti, escussi tutti quei testimoni che ritenne utili ed influenti, è venuta alle
     seguenti conclusioni.
         Dopo le ben note decisioni del convegno di Bologna, il prof. Benito Mussolini lasciava con dichiarazione pubblicata dall’«Avanti!» nel suo numero del
     21 ottobre 1914, la Direzione di questo giornale; e qualche giorno dopo nella sede dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti dichiarava il suo desiderio
     di avere un giornale suo sul quale poter sostenere quelle sue idee che gli avevano consigliato l’abbandono dell’«Avanti!» Il suo discorso che rispecchiava
     una vaga aspirazione e non ancora era l’espressione di una decisione già presa, venne raccolto e trasmesso come notizia di un fatto già concretato al
     «Resto del Carlino» di Bologna. Mussolini lo smentiva in data 26 dello stesso mese, ma non cessava intanto dall’affermare ai colleghi la sua intenzione di
     fondare un giornale. È soltanto nei primi giorni di novembre che questa intenzione si andò concretando. Egli era stato presentato parecchi mesi prima al
     dott. Filippo Naldi, direttore del «Resto del Carlino» in occasione di un’intervista avuta con lui da un collaboratore di questo giornale e nel giornale stesso
     pubblicata. Il medesimo presentatore di pochi mesi prima diventò l’intermediario fra Mussolini e Naldi in questa circostanza. Fu egli cioè a suggerire al
     Mussolini di rivolgersi al Naldi perché lo consigliasse ed eventualmente lo aiutasse nella progettata fondazione dell’organo interventista. Mussolini
     raccolse l’invito e telegrafò in proposito al Naldi che accettò senz’altro di aiutarlo a raggiungere il suo scopo e venne a Milano per abboccarsi con lui.
        Le ragioni di questa adesione del Naldi possono essere parecchie: il sentimento di simpatia che egli aveva nei suoi precedenti rapporti concepito per
     Mussolini, una certa ammirazione per il suo gesto non privo di audacia che lo avvicinava alla sua tesi interventista, fors’anco un giustificabile
     compiacimento in lui, uomo di parte ed avverso al socialismo, di aiutare il sorgere di un giornale che avrebbe per le sue tendenze contrarie alla Direzione
     del Partito Socialista Italiano potuto dividere e quindi indebolire il Partito stesso, l’occasione che quest’iniziativa gli porgeva di aiutare l’amico suo dott.
     Jona a lanciare, valendosi dell’interesse che il nuovo giornale avrebbe raccolto attorno a sé, un’agenzia italiana di pubblicità da tempo da lui Jona e da
     altri vagheggiata, qualche altra forse o, piú verosimilmente, un po’ di tutte queste ragioni sommate insieme e costituenti una notevole spinta nel Naldi ad
     aiutare la creazione del «Popolo d’Italia». Gli aiuti dati dal Naldi al Mussolini si possono riassumere in questi fatti: fu il Naldi a mettere il Mussolini in
     rapporto con le Messaggerie Italiane che dovevano poi con regolare contratto incaricarsi della rivendita del giornale; a presentarglí l’ing. Bersellini perché
     gli desse retribuiti consigli ed assistenza nell’impianto del giornale per quanto riguardava il funzionamento tecnico ed amministrativo; a combinargli
     servizi di informazione da Bologna a mezzo di un redattore del «Carlino» e da Parigi a mezzo del corrispondente al «Carlino» da quella città ed a
     completargli la redazione cedendogli due redattori del «Carlino» stesso. Fu il Naldi specialmente che, dopo pratiche fatte e fallite a Milano ed a Ginevra
     con l’agenzia Haasenstein e Vogler, lo mise in contatto con il dott. Jona che gli costituí la prima e piú importante base per l’impianto del giornale e per la
     sua temporanea esistenza.
        Il dott. Jona e qualche amico suo da tempo vagheggiavano la fondazione di un’Agenzia italiana di pubblicità in concorrenza con quelle, specialmente
     estere, già esistenti. Essi data la grande attesa che in quei giorni si manifestava per il nuovo organo Mussoliniano, pensarono che questo potesse costituire
     una favorevole occasione per il lanciamento dell’Agenzia e si accordarono col Mussolini per assumere la pubblicità alle condizioni stabilite in regolare
     contratto. Non solo, ma l’Agenzia si obbligava a fornire a Mussolini i mezzi per l’impianto e l’esercizio del giornale entro certi limiti e contro certe
     garanzie. Per poco meno cioè della metà della somma in varie riprese versata il dott. Jona volle una garanzia di persona da lui ritenuta solvibile ed accetta
     e per il resto si riserbò di rivalersi sulla quota spettante al giornale sugli introiti della pubblicità. La garanzia fu prestata al Mussolini dal sig. G. Bonfiglio
     del Consiglio d’amministrazione dei lavoratori del mare.
        Con questi mezzi e su tali basi il «Popolo d’Italia» poté veder la luce la mattina del 15 novembre e poté senza difficoltà far fronte ai suoi impegni per un
     paio di mesi. Dopo questo tempo l’Agenzia di pubblicità per non esporsi piú di quanto fosse garantita, non versò altre somme ed il direttore del «Popolo
     d’Italia» poté continuare le pubblicazioni esigendo in anticipo alcuni acconti sulla rivendita del giornale, acconti che le Messaggerie acconsentirono a
     pagare per quanto dovessero per contratto versare l’introito della rivendita soltanto a trimestre posticipato, ed ottenendo alcune somme da qualche
     parente e da persone amiche, appartenenti a diverse frazioni della democrazia italiana e tutte simpatizzanti per la causa dell’interventismo e non mosse da
     altro interesse.
        Queste somme ad ogni modo non costituiscono oblazioni ma prestiti su obbligazioni cambiarie rilasciate dal prof. Mussolini.
        Tutta la somma spesa quindi nei primi tre mesi di vita del «Popolo d’Italia», sino al giorno cioè della completa istruttoria, sono rappresentate:
         1. Dagli utili del giornale, sia per l’importo abbonamenti e rivendita che per anticipi sugli introiti della pubblicità;
         2. Da una somma versata dall’Agenzia di pubblicità con la già ricordata garanzia;
         3. Da varie e non ingenti somme avute in prestito da parenti ed amici personali e garantite da cambiali.
        Tutte le ipotesi di grossi capitali versati a Benito Mussolini da interessati all’interno od all’estero, fondate su alcune circostanze fortuite e poco
     significanti per se stesse – quali le precedenti visite del Naldi al direttore dell’«Avanti!», la gita a Ginevra e simili – ma ingrandite dalla violenza delle
     polemiche suscitate dall’uscita del Mussolini dall’«Avanti!», dalla pubblicazione del «Popolo d’Italia» e dall’espulsione del Mussolini dal Partito, vengono
     cosí a cadere nel vuoto per la constatata mancanza della materia di indagine e di giudizio, dei pretesi cioè ingenti capitali versati.
        Né crede la Commissione vi sia argomento a giudicare sui rapporti del «Popolo d’Italia» con l’Agenzia Italiana di Pubblicità. Un’agenzia di pubblicità è
     per sua natura impresa di speculazione ed apolitica, potendo essa appaltare la pubblicità di giornali di ogni partito senza che questi abbiano ragione od
     interesse di sindacare l’origine dei capitali che costituiscono la base finanziaria dell’agenzia stessa. Tanto piú si deve questo affermare oggi che la stampa
     di ogni partito, per le maggiori esigenze dei lettori e quindi per le sue maggiori spese di esercizio, si è andata dovunque industrializzando e non potrebbe
     ragionevolmente pretendere di essere politicamente all’unisono anche con gli appaltatori della sua pubblicità. Occorre ad ogni modo allo stesso proposito
     ricordare che il Mussolini nel suo contratto con l’Agenzia Italiana di Pubblicità volle inclusa una clausola che gli permettesse di rifiutare inserzioni che
     egli ritenesse incompatibili con l’indirizzo del proprio giornale.
        Dal fin qui esposto la Commissione conclude nulla di essere risultato che giustifichi a carico del prof. Mussolini l’accusa o soltanto il sospetto di una
     qualsiasi indegnità morale e professionale.
        Rimarrebbe ad esaminare e giudicare la natura dei rapporti interceduti fra il prof. Mussolini e il dott. Naldi, da questo punto di vista esclusivamente: se
     cioè si possa approvare o giustificare il ricorso del Mussolini ad un collega notoriamente avverso alla parte politica in cui militava ed a cui ancora
     ufficialmente apparteneva per la fondazione di un giornale che porta il sottotitolo di «quotidiano socialista». La Commissione potrebbe ricordare a questo
     punto quale fosse nel Mussolini e quale sia tuttora la preoccupazione politica predominante del suo spirito, tutta intesa alla campagna in favore
     dell’intervento armato nell’odierno conflitto europeo, la preoccupazione che gli faceva giudicare di secondaria importanza ogni altra questione di partito e
     lo spingeva quindi verso coloro che potevano aiutarlo in questo suo bisogno di propaganda interventista, senza arrestarsi dinanzi a dubbi sulla maggiore o
     minore opportunità politica di qualche suo passo, del quale la Commissione si occupa piú avanti. E che nel ricorrere per appoggi agli uni e agli altri egli
     avesse di mira soltanto quella che era ed è l’idea fissa e dominante di tutta l’azione giornalistica svolta da lui sul «Popolo d’Italia», senza rinunzie alla sua
     assoluta indipendenza di critica e di giudizio, è dimostrato dal fatto che egli non si astenne dall’attaccare le persone stesse che gli davano aiuti anche
     finanziari quando credette di ravvisare nella loro opera nel campo politico od in quello economico qualche circostanza in contrasto con le proprie
     aspirazioni interventiste. Cosí attaccò lo stesso Naldi nella sua nota fede giolittiana, polemizzò col «Resto del Carlino», non risparmiò aspre censure a
     persone che sono appunto tra quelle sopra accennate che gli fecero prestiti di danaro in difficili momenti.
        Fatti obbiettivamente questi rilievi, che servono a spiegare la psicologia di Benito Mussolini nel momento in cui iniziava le citate trattative con Filippo
     Naldi, la Commissione osserva che un’indagine su questo argomento non potrebbe ad ogni modo non essere contenuta in terreno puramente politico e
     che i suaccennati rapporti – comunque dal punto di vista politico non favorevolmente giudicati da una parte della Commissione – non potrebbero mai
     costituire elemento per affermare che il prof. Mussolini si sia per essi reso colpevole di alcuna indegnità morale e professionale.
        La Commissione ha votato all’unanimità questa relazione.
     

                                                                     FIRMATI ALL'ORIGINALE :
     
                                                                    Avv. Oreste Poggio, presidente
                                                                    Dott. Giuseppe Forlanini
                                                                    Avv. Cesare Sarfatti
      Milano, 24 febbraio 1915