ANTONIO CARELLA:
Lei ha incontrato Ho Chi Minh in diverse occasioni:
qual era il suo carisma e le sue caratteristiche umane?
CHARLES FOURNIAU:
Ho incontrato Ho Chi Minh in diverse occasioni.
La prima volta nel 1960 e l’ultima volta nel 1969, e ho anche il triste
privilegio di essere stato l’ultimo straniero ad incontrarlo perché
mi ha ricevuto una settimana prima di morire.
ANTONIO CARELLA:
Quali erano le sue caratteristiche umane?
CHARLES FOURNIAU:
E’ difficile rispondere, nel senso che quando si
era in presenza di Ho Chi Minh, e non è solo il mio caso, credo
che tutti quelli che lo hanno avvicinato hanno provato la stessa sensazione,
si era completamente dominati dalla sua personalità. Quando si tenta
di spiegare il perché, diventa estremamente difficile, perché
era un uomo piccolo, generalmente riceveva i suoi ospiti con indosso il
suo cunao, ossia la veste dei contadini vietnamiti, ai piedi portava sandali
di gomma, ricavati da pneumatici. Aveva una voce sommessa. Ho Chi Minh
non faceva mai grandi discorsi ai suoi interlocutori, parlava in modo molto
semplice, faceva qualche domanda, e non si capisce molto bene perché
ci si ritrovava letteralmente catturati dal suo fascino, è il problema
di quel carisma straordinario.
ANTONIO CARELLA:
Perché non conosciamo quasi nulla della sua
vita privata?
CHARLES FOURNIAU:
Perché non cercava affatto di farla conoscere...
Non conosciamo quasi niente della sua vita privata
perché Ho Chi Minh non amava mettersi in mostra, si considerava
un rivoluzionario, un capo di Stato che agisce per una causa e di conseguenza
ciò che poteva fare, pensare a se’, ai suoi occhi, non aveva
alcun interesse. Un fatto singolare è che la maggior parte delle
volte che mi ha ricevuto, non è stato nel vasto palazzo presidenziale
dal fascino coloniale, l’antico palazzo del governatore, ma in una casetta
costruita nel parco della residenza presidenziale. Ho Chi Minh non abitava
nel palazzo ma in quella piccola casa di legno che si era fatto costruire.
ANTONIO CARELLA:
E’ stato sposato una o due volte... ? Lei lo sa?
CHARLES FOURNIAU:
No. Ci sono molti dubbi su quella che è stata
la sua vita privata. Non ci sono testi che ne parlano, scritti da lui o
da persone a lui vicine. E inoltre, trovo che non sia importante, che non
sia rilevante, perché non era un uomo qualunque, voglio dire, ha
certamente vissuto una vita da uomo, ma Ho Chi Minh è tutt’altra
cosa. Voglio aggiungere che una delle caratteristiche di Ho Chi Minh, forse
una di quelle più colpiscono, è che era l’esatta copia sia
di un contadino vietnamita che di un letterato della tradizione confuciana.
Ricordo di aver visto sul Nianzan (?), il giornale del partito vietnamita,
una foto che gli avevano scattato durante una delle sue visite in campagna,
in cui parlava con un contadino: erano faccia a faccia, ed era strano,
perché sembravano praticamente due persone uguali, con la barbetta,
gli stessi abiti. Era l’incarnazione stessa della nazione vietnamita e
credo che tutto il suo carisma sia dovuto proprio a questo.
ANTONIO CARELLA:
Ricorda un episodio particolare che lo rappresenta
chiaramente?
CHARLES FOURNIAU:
Ne ricordo diversi. Potrei citare parecchi aneddoti
che lo caratterizzano. Ne citerò tre.
Una volta, nel 1964, mi ha ricevuto insieme
a tutta la mia famiglia, ossia con mia moglie e i miei cinque figli. Più
precisamente eravamo stati invitati da Pham Van Dong, il primo ministro.
Pham Van Dong ci aveva invitati a cena in una delle piccole case del parco
della residenza presidenziale. A un certo punto è entrato Ho Chi
Minh da una porta secondaria, senza far rumore, come al solito, e ha voluto
che gli presentassi ognuno dei miei figli. E quando è arrivato davanti
alla mia secondogenita, a mia figlia Anne, lei gli ha fatto l’inchino,
cosa che lo ha totalmente affascinato, ma che ha lasciato noi letteralmente
stupefatti perché non era assolutamente nel suo stile comportarsi
così. Più tardi le avevo chiesto perché avesse fatto
quel gesto così insolito, e lei mi aveva risposto, “Non lo so, ma
sono rimasta talmente colpita che è stato un modo per dimostrargli
il grande effetto che mi faceva la sua persona”. E quando ce ne siamo andati,
ho fatto la stessa domanda alla mia primogenita, che aveva all’epoca 15
anni, e gli ho chiesto che impressione le avesse fatto vedere Ho Chi Minh.
Lei mi ha detto: “Quando è entrato nella stanza ho avuto l’impressione
che ci fosse più luce”. E le ho spiegato che il nome Ho Chi Minh
significa “colui che porta la luce”. Questo era l’effetto che aveva
avuto su dei bambini che, nonostante fossero bene educati, non erano abituati
a comportarsi così.
Un secondo aneddoto che ricordo è il seguente:
durante l’ultima intervista che ho fatto con lui, otto giorni prima della
sua morte, ero accompagnato dal direttore del Nianzan, che è il
giornale del partito. Siamo stati ricevuti come al solito in una
delle casette del palazzo presidenziale, e ad un certo punto Hang
Tung (?) il direttore del Nianzan, ha iniziato a parlare - Ho Chi Minh
aveva appena compiuto 79 anni - delle cerimonie, delle feste, delle manifestazioni
previste per i suoi 80 anni. E allora è accaduta una cosa
incredibile. Ho Chi Minh, che conoscevo da sempre, che parlava con dolcezza,
gentilezza - e che parlava francese, ovviamente, con me - si è
bruscamente voltato verso Hang Tung e ha cominciato a parlargli in vietnamita
con un tono completamente diverso, sgridandolo per qualche minuto, ed anche
se non conoscevo molto la lingua vietnamita, quello che ho capito
è bastato a farmi rendere conto di cosa si stava discutendo. Poi,
quando la discussione si è conclusa, si è voltato verso
di me, con il suo solito amabile sorriso, e mi ha detto, “Mi fa innervosire
con tutte quelle storie delle manifestazioni per i mie ottant’anni, non
voglio che si spenda neanche un soldo per questioni di questo genere”.
Ero rimasto molto colpito, perché all’improvviso avevo visto un
personaggio completamente diverso. Fino a quel momento conoscevo l’Ho Chi
Minh gentile, sorridente, affabile, e ora vedevo il capo che parlava in
tono seccato quando si trattava di correggere un errore politico, per così
dire.
ANTONIO CARELLA:
Il terzo?
CHARLES FOURNIAU:
E’ un aneddoto secondo me molto peculiare. Avevo
ottenuto nell’63 o ’64 la possibilità di avere un’intervista con
Ho Chi Minh sul tema del suo incontro con il leninismo, era per l’Almanach
de l’Humanité. Così ho chiesto un’intervista con Ho Chi
Minh che mi ha ricevuto, e chi mi ha detto, “Non voglio rifiutare un’intervista
all’Almanach de l’Humanité, ma d’altra parte mi secca un
po’ raccontare quello che ho già detto tre o quattro volte nei testi”.
Allora mi ha fatto: “Ti darò, ti farò mandare questi
tre o quattro testi, e tu potrai confezionarne un altro ispirandoti a questi
testi, poi mi sottoporrai quello che hai scritto”.
Mi sono quindi ritrovato in una situazione un po’
particolare, nella mia stanza d’albergo, a scrivere di Ho Chi Minh. Ho
mandato il testo che avevo redatto, che ovviamente era molto simile
a quelli che mi aveva fatto avere, e qualche giorno dopo Ho Chi Minh mi
ha convocato per dirmi quello che pensava del testo che gli avevo sottoposto.
Aveva cambiato pochissime cose, tranne qualche piccola correzione. Avevo
citato a un certo punto Longuet, che era intervenuto contro di lui al Congresso
di Tours. E Ho Chi Minh mi ha detto, “No, questa parte eliminala,
perché Longuet, anche se c’è stato un certo attrito con lui
al Congresso di Tours, poi mi ha ricevuto, e non vorrei dare l’impressione
di dire cose spiacevoli su di lui”. Era il ’63, sì... no,
anzi, era dopo, il ’68, e tuttavia, a così tanta distanza,
Ho Chi Minh si preoccupava di non scatenare pregiudizi verso un uomo morto
ormai da molto tempo. L’altra riflessione che mi ha fatto è
stata una correzione di stile, mi ha detto: “Usi molto spesso la doppia
negazione: non è impossibile che.... Perché usare un doppia
negazione? E’ meglio usare direttamente una formula positiva”. Ho notato
che in queste sue parole c’era tutta l’arte di Ho Chi Minh, che sotto forma
di un’annotazione di stile, mi aveva dato una vera e propria lezione sul
modo di ragionare, sul modo di comportarsi.
ANTONIO CARELLA:
Può dirci qualcosa della sua infanzia, a
proposito della sua famiglia d’origine?
CHARLES FOURNIAU:
No, Ho Chi Minh non mi ha mai raccontato della sua
infanzia. Ovviamente sono stato nel villaggio di Kim Lien di cui mi avevano
parlato, ma Ho Chi Minh non mi ha mai raccontato della sua infanzia, d’altronde
non parlava mai di sé. Invece, durante il mio primo incontro con
lui, nel 1960, ero molto emozionato all’idea di incontrare questo
personaggio che era al tempo stesso il presidente della Repubblica Democratica
del Vietnam e che era stato uno dei grandi della Terza Internazionale.
Quella volta mi avevano fatto sedere su una poltrona in uno dei saloni
della residenza presidenziale. E all’improvviso, senza che
lo avessi sentito arrivare, Ho Chi Minh era venuto a sedersi accanto a
me e aveva cominciato a parlare molto semplicemente, tant’è che
la mia ansia era sparita immediatamente, e chiacchieravamo come se
ci conoscessimo da sempre.
A un certo punto Ho Chi Minh mi ha detto: “Quando
ero a Parigi seguivo le conferenze di una donna molto eloquente, ma non
riesco più a ricordare il suo nome”. Allora ci siamo messi a cercare
quel nome, tentando di ricordare chi potesse essere quella donna, e a un
certo punto, la sua poltrona era accanto alla mia, eravamo gomito a gomito,
mi sono improvvisamente reso conto che non stavo parlando con un vecchio
amico ma con Ho Chi Minh, e la cosa mi fece un forte effetto. Alla
fine abbiamo scoperto che doveva trattarsi di Sévrine (?) ed eravamo
tutti contenti di essere tornati col ricordo a quel periodo parigino.
ANTONIO CARELLA:
Qual era il carattere della colonizzazione francese
nel 19° secolo?
CHARLES FOURNIAU:
Il carattere della colonizzazione francese nel 19°
e poi nel 20° secolo è un argomento molto vasto, ho scritto
voluminosi libri in proposito, e di conseguenza, come descriverla con poche
parole? Due cose: innanzitutto, la conquista del Vietnam, perché
il resto è stato molto più facile, la conquista del Vietnam
è durata quarant’anni. E’ cominciata nel 1858 e si è veramente
conclusa, per quanto riguarda la fase militare, solo nel 1895, più
o meno. Conquista difficile perché si è scontrata con la
resistenza nazionale che è stata condotta dai letterati confuciani,
che hanno guidato la classe contadina che si è battuta in modo intermittente,
evidentemente. Non è stata una guerra di esercito contro esercito,
ma una guerra che per quarant’anni o quasi ha pesato sulla presenza della
Francia in Vietnam, e di questo è facile rendersi conto esaminando
il bilancio, il bilancio militare che ha schiacciato tutto il resto.
Dopo il 1895, il Movimento di Resistenza Armata
guidato dai letterati è stato sconfitto per diverse ragioni, a cominciare
da quella che definisco la “prima fase dello sfruttamento”. Questo sfruttamento
diventava possibile proprio perché la resistenza armata era stata
schiacciata, e quindi è stato messo in atto un sistema di sfruttamento
della popolazione soprattutto per quanto riguarda il carico fiscale che
è stato terribile. E’ il nome del governatore generale Doumer a
racchiudere l’organizzazione razionale di questo carico fiscale,
che è stato pesantissimo e si è basato essenzialmente
sulle imposte indirette, e in particolare i tre monopoli del sale, dell’alcool
e dell’oppio. Si tratta dei finanziamenti che hanno permesso la costruzione,
la cosiddetta valorizzazione soprattutto delle Ferrovie che erano alimentate
da questi tre monopoli che pesavano gravemente sulla popolazione.
ANTONIO CARELLA:
Quali sono stati i rapporti tra Ho Chi Minh e la
sinistra francese durante il suo soggiorno giovanile a Parigi?
CHARLES FOURNIAU:
Sono stati molto importanti perché è
in questo ambiente in un certo senso che Ho Chi Minh si è formato
politicamente. Quando è arrivato in Francia, non era ancora né
comunista né marxista, era semplicemente un giovane patriota che
voleva la liberazione del suo Paese. E’ militando all’interno del partito
socialista di prima della scissione che si è formato. E mi ha raccontato
come erano andate le cose, non capiva molto di tutte le discussioni
che c’erano state prima del Congresso di Tours tra coloro che erano in
favore dell’adesione alla Terza Internazionale e coloro che erano contrari,
aveva semplicemente un criterio, individuare chi erano quelli che proponevano
la liberazione delle colonie. E poiché erano i sostenitori della
Terza Internazionale a proporre l’indipendenza delle colonie, ha aderito
alla Terza Internazionale. Poi - me lo aveva raccontato proprio nell’intervista
sul suo incontro con il Leninismo - gli è capitato sottomano un
certo numero di scritti di Lenin che hanno avuto su di lui un effetto straordinario.
Racconta che passeggiava nella sua stanza leggendo, “Finalmente ecco
la chiave di quello che cercavo”, e di conseguenza è così
che si è deciso a votare con la maggioranza del Congresso
di Tours, ed è stato uno dei fondatori del partito comunista francese.
Successivamente, ha militato molto nelle file della
sinistra, del resto senza settarismo. Aderiva al partito comunista
francese, è stato aiutato molto da alcuni redattori dell’Humanité
ma continuava ad avere rapporti con persone come Longuet, che non facevano
parte del partito comunista, e aveva rapporti anche con certi ambienti
anarchici, eccetera.
ANTONIO CARELLA:
Lei sa quanto ha influito sulla sua vita il
suo essere un marinaio, che lo ha portato anche negli Stati Uniti, dove
ha conosciuto le condizioni di vita dei neri, degli africani?
CHARLES FOURNIAU:
Non me ne ha mai parlato, in compenso, il contatto
con gli altri popoli colonizzati si è tradotto in modo molto concreto
e molto attivo nella fondazione e nella pubblicazione di un giornale che
si chiamava Le Paria, che ha ovviamente rappresentato una
tappa importante dell’evoluzione della lotta dei popoli coloniali.
ANTONIO CARELLA:
Si può dire che la sua vita, molto movimentata,
abbia in qualche modo influenzato anche la sua visione del socialismo e
del comunismo?
CHARLES FOURNIAU:
Sì, credo che sia un elemento molto importante.
Tra i grandi dirigenti della Terza Internazionale, Ho Chi Minh è
il solo ad aver avuto un’esperienza personale del mondo. Mao Tze Tung non
è mai uscito dalla Cina, Stalin nemmeno, Ho Chi Minh conosceva tutto
il mondo, aveva navigato in giro per il mondo e aveva conosciuto il mondo
non a livello dei ministri al potere ma a livello dei proletari. Penso
che questo rappresenti un notevole punto di forza di Ho Chi Minh, una delle
caratteristiche, a mio avviso, del suo pensiero e del partito vietnamita,
vale a dire che il patriottismo molto violento dei vietnamiti e del partito
comunista vietnamita è anche iscritto in un internazionalismo fondamentale.
ANTONIO CARELLA:
Potrebbe dirci qualcosa a proposito dei rapporti
tra Ho Chi Minh, tra la sua formazione politica e la tradizione culturale
e rivoluzionaria della Francia?
CHARLES FOURNIAU:
La formazione politica di Ho Chi Minh è
avvenuta in Francia, essenzialmente, perché la sua esperienza negli
altri continenti è stata un’esperienza umana e di arricchimento,
ma la sua formazione politica è avvenuta in Francia. Quando è
arrivato a Parigi era molto amico di Pham Chi Trin (?), un patriota vietnamita
non marxista, c’e’ stato un periodo in cui abitavano insieme, ad un certo
punto pero’ Ho Chi Minh si è separato fisicamente da lui ed è
andato ad abitare altrove. Ho Chi Minh aveva assimilato i fondamenti del
marxismo e del leninismo e questo ormai lo rendeva troppo diverso dall’amico.
Tutte queste cose le sappiamo bene perché
in brevissimo tempo la polizia francese si è molto interessata a
lui, oggi abbiamo a disposizione i rapporti che si trovano negli archivi
della polizia. C’era sempre un poliziotto che lo seguiva dalla mattina
alla sera, per cui siamo in grado di dire che il tale giorno alla tale
ora Ho Chi Minh è entrato in una tabaccheria, poi è andato
alla Biblioteca Nazionale, e via dicendo. Di conseguenza sappiamo molte
cose sulla sua vita quotidiana.
ANTONIO CARELLA:
Perché tutto questo interesse della polizia
francese per un piccolo uomo...
CHARLES FOURNIAU:
La polizia si è sempre interessata molto
attivamente a lui a partire dal 1919. Era stata proposta una petizione
alla Conferenza di Versailles, firmata da Nguyen ai Quoc, che era diventato
il nome politico di Ho Chi Minh. Di conseguenza, nel giro di pochissimo
tempo, la polizia francese si è accorta che nell’ambiente ristretto
ma non trascurabile dei vietnamiti che vivevano in Francia, Ho Chi Minh
era la personalità più importante, dotata di spiccate doti
organizzative.
Del resto c’è un documento che mi ha molto
colpito.
Si riferisce a quando, molto più tardi, nel
1924, Ho Chi Minh, (che era partito prima per la Russia e poi era stato
mandato dall’Internazionale in Cina), fonda il Tanien (?) una associazione
dei rifugiati vietnamiti, in Cina. La Sicurezza indocinese, che era molto
attenta a quello che succedeva nell’ambiente vietnamita dei rifugiati in
Cina, constata che bruscamente questo inizia ad organizzarsi, ad essere
molto più attivo e molto più efficiente. Esiste un
rapporto di un poliziotto della Sicurezza che riferisce: “Sta accadendo
qualcosa nell’ambiente dei vietnamiti rifugiati in Cina, c’è qualcuno
in grado di organizzarli, e secondo me c’è una sola persona capace
di farlo, ed è Nguyen Ai Quoc. Non era ancora stato identificato
Nguyen Ai Quoc, ma secondo le azioni che stava portando avanti, si capiva
che si trattava di lui.
ANTONIO CARELLA:
Ha cambiato molte volte nome e cognome, è
stata data la notizia della sua morte per ben due volte. Perché
questo cambiamento? Ho Chi Minh ha cambiato moltissimi nomi.
CHARLES FOURNIAU:
Sì, ma occorre rendersi conto che fino al
momento in cui rientra in Vietnam sotto il nome di Ho Chi Minh, Nguyen
Ai Quoc - che è il nome che ricorre più di frequente nei
suoi scritti - è un esule, è un rivoluzionario professionista
che ha la polizia alle calcagna, la polizia francese, la polizia inglese
eccetera, e di conseguenza ha bisogno di nascondersi in modo permanente,
di scrivere e di poter far pubblicate ciò che scrive eludendo in
qualche modo il controllo della censura, da cui questa sequela di
nomi. Tutti i membri di questa formidabile squadra dirigente del Vietnam
hanno vissuto una vita da esuli più o meno braccati, e tutti avevano
dei soprannomi. Mi risulta anche che molto tempo dopo, quando questi esuli
erano diventati uomini di Stato insediati e rispettati, tra di loro continuavano
a chiamarsi con il nome di battaglia.
ANTONIO CARELLA:
Può parlarmi dei rapporti tra Ho Chi Minh
e Stalin?
CHARLES FOURNIAU:
Non dispongo di molti documenti al riguardo. Ma
quello che le mie ricerche storiche mi hanno dimostrato, è che c’è
stata una distanza abbastanza netta tra Ho Chi Minh e Stalin.
Ho Chi Minh è stato mandato dall’Internazionale
in Cina nel ’24. Ci era andato per sviluppare la corrente rivoluzionaria
non soltanto in Cina, ma in tutto il Sud-est asiatico. Ha fondato il partito
vietnamita nel 1930 e occorre sottolineare che la cosa è avvenuta
in due tempi. Nel febbraio del 1930, fonda il partito vietnamita, che si
chiama appunto Partito Comunista del Vietnam, ma poi, con il primo congresso,
che ha luogo nell’ottobre dello stesso anno, non sara’ più lui segretario
generale del partito, ma Tran Phu (?). E per diversi anni, nella storia
stessa del partito vietnamita, l’influenza di Ho Chi Minh sembra pesare
molto meno.
E’ un’ipotesi, ma ritengo che in quel momento sono
le idee di Stalin a imporsi sul partito vietnamita come sulla maggior parte
degli altri partiti comunisti, Ho Chi Minh si ritrova più o meno
in disparte, senza per questo essere rifiutato. Del resto le cose non sono
molto chiare nella storiografia ufficiale del partito comunista vietnamita.
Poi a partire dal ’36, esattamente nel momento in
cui si ribalta la politica dell’Internazionale con l’idea del Fonte Popolare
in Europa e delle alleanze politiche e di classe contro l’Imperialismo,
Ho Chi Minh riacquista importanza, si chiama sempre Nguyen Ai Quoc nella
maggior parte degli scritti ma cambia anche spesso nome, e nel 1945 entra
in Vietnam e lancia la rivoluzione.
Il fatto caratteristico è che la rivoluzione
dell’agosto del 1945 in Vietnam è una rivoluzione perfettamente
autoctona, nazionale, non sono assolutamente gli agenti sovietici
che l’hanno provocata. Per molti anni l’Unione Sovietica è stata
molto reticente nei confronti del sostegno al Vietnam, sia perché
era molto distante, sia perché rischiava di trascinarla in complicazioni
internazionali che non voleva assumersi; di conseguenza la rivoluzione
vietnamita si è sviluppata molto al di fuori dell’influenza diretta
delle idee staliniste. Occorre anche sapere che l’aiuto sovietico che è
stato in seguito determinante nella lotta contro gli americani, è
stato lento a venire durante i primi anni della lotta contro i francesi.
Di conseguenza, credo che bisogna rendersi conto che c’è una distanza
abbastanza grande. Molto più presente è l’influenza del partito
comunista francese accanto al partito vietnamita.
Il partito comunista francese in quel momento era
fortemente influenzato dalle idee di Stalin, ma sappiamo anche che c’era
una distanza abbastanza marcata. E attualmente la teoria ufficiale del
Vietnam è che il partito vietnamita segue il pensiero, la dottrina
marxista-leninista, cui si aggiunge il pensiero di Ho Chi Minh. Credo
che questo sia molto importante: perché è il pensiero di
Ho Chi Minh, ossia l’esempio che lui ha dato al partito vietnamita, più
che la teoria marxista-leninista, a guidare attualmente il Doi Moi,
ossia la trasformazione attuale del Vietnam.
ANTONIO CARELLA:
Lei ha detto che il partito comunista si basa sul
pensiero di Marx, di Lenin e di Ho Chi Minh. Perché Ho Chi Minh,
se non è un teorico?
CHARLES FOURNIAU:
Si dice spesso che Ho Chi Minh non è un teorico,
il che è esatto nella misura in cui non c’è nessun trattato
di Ho Chi Minh sulla teoria marxista-leninista. Non c’è d’altronde
nessun trattato di Ho Chi Minh al di fuori di un piccolo opuscolo che ha
scritto all’inizio della sua carriera di rivoluzionario. Tuttavia, a mio
avviso, è sbagliato pensare che non ci sia teoria nel pensiero di
Ho Chi Minh. Non si realizza un’opera rivoluzionaria riuscita come quella
di Ho Chi Minh, senza una teoria che la sostenga. Credo che non si tratti
di una pura è semplice applicazione del cammino marxista-leninista,
era un’assimilazione molto profonda sia del pensiero marxista che della
tradizione nazionale vietnamita.
Il pensiero di Ho Chi Minh consiste nella fusione
di una tradizione nazionale molto profonda, che è stata del resto
segnata lungo tutta la storia del Vietnam dalla rivolta contro le dominazioni
straniere, dalle rivolte popolari e al tempo stesso dalla comprensione
del mondo contemporaneo attraverso il marxismo.
ANTONIO CARELLA:
Puo ribadire meglio, nello specifico… il pensiero
di Ho Chi Minh!
CHARLES FOURNIAU:
Attualmente il partito vietnamita si definisce regolato
dal marxismo-leninismo e dal pensiero di Ho Chi Minh. Ci si interroga su
quale fosse il pensiero di Ho Chi Minh, tanto più che si sente spesso
dire che Ho Chi Minh non è un teorico. Effettivamente Ho Chi Minh
non ha scritto nessuna opera teorica, ha pubblicato molti articoli, ha
fatto tantissimi interventi, ma non ha mai indicato una teoria. Ritengo
però che sia impossibile aver realizzato un’opera rivoluzionaria
come quella di Ho Chi Minh senza la guida di un pensiero teorico ben preciso.
Allora, quale può essere questo pensiero teorico? E’ la totale assimilazione
di lui -uomo- nella tradizione nazionale vietnamita, che e’ tradizione
di lotta contro l’occupante, di rivolta popolare, alimentata in parte dal
Confucianesimo. E questa tradizione nazionale, che egli incarna fisicamente,
si nutre (per comprendere il mondo contemporaneo) del pensiero marxista.
E’ una fusione armoniosa, ben riuscita: l’analisi fondata su basi marxiste
della tradizione di un paese situato con estrema precisione geograficamente
nel tempo.
In altre parole… Per comprendere il mondo moderno, Ho Chi Minh utilizza
l’analisi marxista, fondendola con la tradizione vietnamita, con tutti
i suoi problemi concreti verso i quali egli era particolarmente attento.
ANTONIO CARELLA:
Ci sono responsabilità della Francia nello
scoppio della guerra d’Indocina e si poteva evitare questa guerra?
CHARLES FOURNIAU:
La guerra d’Indocina, che ha devastato il Vietnam,
che è durata dal 1945 al 1954 e che è stata molto pesante
anche per la Francia, visto che si è potuto affermare che la Quarta
Repubblica era morta a Diên Biên Phu, è stata scatenata
per colpa di una serie di politiche francesi che hanno innescato sia l’inizio
del conflitto che il suo prolungamento.
La guerra d’Indocina non era assolutamente necessaria
nel senso rispondente alla logica delle cose, è stata provocata
dal rifiuto di tutta una parte di dirigenti politici francesi a comprendere
che i tempi erano cambiati e che bisognava accettare l’indipendenza del
Vietnam.
Nel 1945 Ho Chi Minh, che ha proclamato l’indipendenza
del Vietnam, aveva proposto che il Vietnam facesse parte dell’Unione Francese.
Non si trattava assolutamente, per quanto lo riguardava, di rompere brutalmente
con la Francia, occorreva semplicemente che la Francia riconoscesse contemporaneamente
l’unità del Vietnam e l’indipendenza del Vietnam, cosa che la Francia
non ha voluto riconoscere. E qui entra in gioco la responsabilità
del generale De Gaulle che parlava ancora dei tre stati, dei cinque Stati
d’Indocina, spaccando il Vietnam in tre pezzi; c’è la responsabilità
schiacciante di quel partito Cristianosociale che era l’MRP, c’è
la responsabilità pesantissima del partito Socialista. Si sono messi
in moto tutta una serie di ingranaggi che hanno portato alla guerra.
Il momento cruciale sono stati gli accordi del marzo del ’46, in cui
sembrava che la Francia accettasse un Vietnam indipendente nell’Unione
Francese, era un primo passo. Ma sono stati immediatamente sabotati, soprattutto
dalle forze conservatici francesi, che pretendevano che la Cocincina
restasse separata dal resto del paese e che si creasse una repubblica indipendente.
Credo che non fosse per caso che proprio in Cocincina si trovavano le grandi
piantagioni di hevea, e di conseguenza c’erano dietro grossi interessi.
Tant’è che la Francia è stata trascinata in guerra, una guerra
di riconquista coloniale in un momento in cui c’era la concreta possibilità
di passare ad un’intesa con il Vietnam all’interno dell’Unione Francese.
ANTONIO CARELLA:
Il disastro di Diên Biên Phu: quali
sono state le conseguenze politiche sulla Francia? E’ stata la fine di
un’epoca? E questo disastro, che effetti ha prodotto in Francia e anche
in tutto il mondo?
CHARLES FOURNIAU:
La guerra francese si è conclusa con la sconfitta
di Diên Biên Phu che è stata chiaramente un fulmine
a ciel sereno, sia per la Francia che per tutto il mondo. Innanzitutto
per la Francia, perché ha comportato il crollo della Quarta Repubblica
e di conseguenza il passaggio a un’altra Repubblica, alla Quinta Repubblica
con De Gaulle. Ha segnato anche una tappa importantissima nella storia
del mondo perché il Vietnam era uscito vittorioso su una delle grandi
potenze imperialiste del mondo dal punto di vista militare, cosa che prima
sembrava impensabile. E si può dire che la vittoria militare del
Vietnam sull’esercito coloniale francese è stata una delle tappe
importanti della colonizzazione in generale, che arrivava d’altronde qualche
anno prima che la decolonizzazione avvenisse nel mondo, visto che questa
decolonizzazione generale si colloca all’inizio degli anni ’60.
ANTONIO CARELLA:
Può spiegare il ruolo del generale De Gaulle
nella guerra d’Indocina, prima e dopo?
CHARLES FOURNIAU:
De Gaulle si è insediato al potere sulle
rovine della Quarta Repubblica, che era crollata in seguito al disastro
di Diên Biên Phu.
De Gaulle ha una grande responsabilità nel fallimento dell’intesa
con il Vietnam all’indomani della guerra. Aveva proposto una politica che
è stata chiamata abusivamente decolonizzatrice - la storia di Brazzaville
eccetera - ma per l’Indocina aveva offerto semplicemente un certo alleggerimento
dei poteri coloniali, mentre nel settembre del ’45 il Vietnam, dopo una
rivoluzione popolare, si era dichiarato indipendente. Di conseguenza, c’è
stato nel pensiero di De Gaulle un ritardo sulla storia, per così
dire. Più tardi, quando gli americani si sono fatti passare il testimone
dai francesi per aggredire il Vietnam, la posizione del governo francese
guidato da De Gaulle si è fatta più arguta. De Gaulle ha
capito abbastanza rapidamente che gli americani non avrebbero guadagnato
qualcosa in più dalla guerra rispetto ai francesi, e di conseguenza
ha consigliato agli americani di non continuare sulla strada dell’escalation
che avevano intrapreso. Però non c’è stata in nessun momento
una rottura tra la Francia di De Gaulle e gli Stati Uniti, c’è stato
soltanto il discorso di Pnom Peng, che è stato un momento forte
di questa evoluzione in cui De Gaulle ha fatto sapere che non era possibile
immaginare di poter continuare in quel modo l’escalation, cosa che gli
americani non hanno compreso, e questo li ha portati nel ’75 al disastro
totale.
ANTONIO CARELLA:
Quali sono state le ragioni dell’intervento degli
Stati Uniti in Vietnam, e del ruolo di Kennedy in questo intervento.
CHARLES FOURNIAU:
Gli Stati Uniti sono stati impegnati in Vietnam
molto prima della guerra americana, perché di fronte all’incapacità
della Francia di condurre questo conflitto fino alla fine e in modo vittorioso,
gli Stati Uniti hanno fornito alla Francia armamenti e soprattutto
finanziamenti. Alla fine della guerra francese, la guerra d’Indocina ruotava
all’80 per cento sui finanziamenti americani. Di conseguenza, quando l’occupazione
francese crolla, gli Stati Uniti sono largamente impegnati in questa impresa.
Gli accordi di Ginevra sono stati conclusi senza che gli Stati Uniti li
accettassero in toto, e hanno fatto pressione affinché non venissero
applicati. Gli accordi di Ginevra in effetti avevano precisato che le truppe
sarebbero state ripartite in due zone, le truppe Viet-minh a nord del diciassettesimo
parallelo, le truppe franco-vietnamite a sud del diciassettesimo parallelo,
fermo restando che due anni dopo, ossia nel 1956, le elezioni generali
avrebbero ristabilito l’unità del Vietnam.
Gli Stati Uniti hanno fatto pressione affinché
queste elezioni non avessero luogo, e lo stesso Eisenhower nelle sue memorie
ne spiega il motivo: “Se ci fossero state le elezioni, la popolazione avrebbe
votato all’80 per cento per Ho Chi Minh”, e siccome gli Stati Uniti non
volevano che il Vietnam diventasse uno Stato a direzione socialista,
hanno fatto sì che gli accordi di Ginevra venissero sabotati. A
partire da quel momento hanno sostenuto un regime sempre più dittatoriale,
quello di Ngô Dinh Diêm, che d’altronde si è sbarazzato
molto rapidamente della Francia a vantaggio degli Stati Uniti ed ha attuato
una repressione assolutamente feroce degli oppositori. Questo periodo è
durato parecchi anni fino al momento in cui, nel 1959, gli oppositori rivoluzionari
del Sud del Vietnam non si sono più lasciati rinchiudere semplicemente
in carcere o ghigliottinare, ma hanno imbracciato le armi.
A partire dal ’59 quindi, il conflitto armato ricomincia
nel Sud del Vietnam, diventa sempre più difficile da sostenere da
parte del governo di Saigon, che fa appello prima ai consiglieri militari
americani, poi alle forze americane, e nel 1965 sono le stesse truppe americane
a sbarcare in Vietnam. Devo citare a questo proposito una conversazione
che ho avuto con il generale Giap nel 1965. Le prime truppe americane erano
appena sbarcate in Vietnam e chiaramente tutto il mondo pensava che tra
l’esercito vietnamita e l’esercito americano la sorte fosse già
decisa fin dall’inizio. E Giap mi ha detto, “Abbiamo già avuto
dei primi contatti militari violenti, e pensiamo di poter vincere, anche
se gli americani sbarcheranno centomila uomini, duecentomila uomini, trecentomila
uomini”, non è andato oltre, “riusciremo a tenergli testa”.
Quando ho sentito queste parole, ho pensato che
ovviamente Giap non poteva dire a uno straniero che il Vietnam sarebbe
stato schiacciato, e di conseguenza, un po’ come tutti, ho pensato che
il destino era deciso. Tuttavia, essendo stato diretto testimone dei bombardamenti
americani sul Nord del Vietnam e avendo visto come resisteva la popolazione
e quanti aerei americani venivano abbattuti, quando sono tornato dal Vietnam
nell’estate del ’65, ho affermato che gli americani avevano perso la guerra,
l’ho perfino scritto sull’Humanité, cosa che è stata
considerata quasi una follia, e poi, insomma, le cose sono andate come
sappiamo, e nel 1975 l’ambasciatore degli Stati Uniti è salito sulla
terrazza della sua ambasciata con la bandiera americana nella cartella,
in attesa che un elicottero venisse a prelevarlo, perché l’intera
città di Saigon era in mano alle forze rivoluzionarie.
ANTONIO CARELLA:
La decisione degli Stati Uniti di intervenire in
Vietnam, penso sia stata determinata anche da situazioni nuove nel mondo:
la rivoluzione cinese, che ha posto una grossa questione, e anche la fine
della guerra in Corea. Può dirci qualcosa in proposito?
CHARLES FOURNIAU:
Sì, questo intervento americano in Vietnam
acquista senso quando lo si ricolloca nella situazione del mondo in quel
momento, e cioè la Guerra Fredda. Prima ancora della fine della
guerra francese, la situazione in Vietnam era dominata dalla Guerra Fredda.
Si cercavano finanziamenti negli Stati Uniti, e la spiegazione data
agli americani era che la Francia difendeva il mondo libero contro il comunismo.
L’intervento americano in Vietnam rappresenta quindi
un episodio della Guerra Fredda, uno dei tanti episodi che accadevano nel
mondo, la guerra di Corea in particolare.
Bisogna d’altronde ricordare che la Conferenza di
Ginevra era stata riunita per discutere innanzitutto della Corea,
ed è stato solo in seguito che si è discusso del Vietnam,
per cui sono venuti fuori gli accordi di Ginevra nel 1954. La Guerra
Fredda è l’elemento essenziale. Del resto, è stato fatto
un errore fondamentale. Gli americani pensavano di lottare contro
il comunismo, mentre invece i vietnamiti non difendevano il comunismo,
difendevano il loro paese. E’ chiaro che è stata proprio la difesa
nazionale dei vietnamiti il loro punto di forza, che spiega la loro vittoria.
ANTONIO CARELLA:
Possiamo parlare del ruolo di Kennedy, perché
è Kennedy che ha determinato l’intervento...
CHARLES FOURNIAU:
Sì, ma era già ampiamente impegnato.
ANTONIO CARELLA:
Può parlarci della strategia di guerra contro
gli Stati Uniti nel Vietnam del Sud? Cosa significa ‘la guerra del Popolo’?
CHARLES FOURNIAU:
La vittoria militare del Vietnam prima suoi francesi
e poi sugli americani, dipende ampiamente da quella che è stata
la guerra del Popolo. Non vi ho assistito direttamente, perché i
combattimenti si svolgevano nel Sud del Vietnam, ma ne ho sentito molto
parlare. In compenso ne sono stato diretto testimone nel Nord del Vietnam
all’epoca dei bombardamenti americani.
Gli americani hanno cominciato a bombardare il nord
del Vietnam nel febbraio del ’65 ed io in quel periodo ero corrispondente
dell’Humanité, e naturalmente, insieme ai pochi giornalisti
che erano là, ci siamo precipitati sul posto. Tant’è che
ho avuto la fortuna, in un certo senso, di trovarmi sotto uno dei primissimi
bombardamenti americani. Erano cominciati il 7, ed era l’11, a Dong Hoi,
quando sono arrivati gli aerei americani. Ho avuto subito la visione di
quella che era la guerra del Popolo.
Quando è suonato l’allarme, ci hanno messi
nelle buche di protezione, che rappresentavano delle protezioni adeguate,
e devo confessare che mi sono fatto più piccolo che potevo, nella
trincea in cui mi ero riparato. Ma in compenso i vietnamiti che ci accompagnavano
e che erano membri della milizia della città, loro non erano nelle
buche, erano sopra con i fucili, e quando passavano gli aerei tiravano
sugli aerei. Quel giorno, del resto, è stato abbattuto un aereo
americano, è stato uno dei primi ad essere abbattuto, e ho visto
il pilota americano, che si chiamava Shoemaker, che ci è stato presentato
quella stessa sera. Non era stato abbattuto dai fucili, era stato abbattuto
da mitragliatrici pesanti che erano ancora poco numerose a quell’epoca,
perché il Vietnam era male armato in quel momento, ed è stato
solo via via che l’Unione Sovietica gli ha fornito gli armamenti necessari,
che il numero di aerei è cominciato ad aumentare.
Ma la cosa importante è che in tutti i villaggi
c’era la milizia armata, che questa milizia armata scavava trincee di protezione
e che dal momento in cui suonava l’allarme, gli uomini della milizia erano
in posizione e sparavano con i fucili, con le mitragliatrici, sugli aerei.
Questo aveva tutta una serie di conseguenze. Innanzitutto, questi aerei
non potevano volare basso per bombardare e quindi i loro bombardamenti
erano molto imprecisi. Ma soprattutto, credo, man mano che gli armamenti
si sono sviluppati, il numero di aerei abbattuti si è fatto considerevole.
Gli americani hanno perso più di 2.000 aerei in Vietnam. Ma soprattutto,
credo che una cosa molto importante sia stata il fatto che tutta questa
popolazione si batteva, che non subiva i bombardamenti.
Io stesso avevo subito dei bombardamenti americani durante la Seconda
Guerra Mondiale, e conoscevo quell’angoscia di ritrovarsi sotto un bombardamento
senza poter fare niente. I vietnamiti non si ritrovavano sotto i bombardamenti
senza non poter fare niente, si battevano contro gli aerei e così
facendo il terrore dei bombardamenti svaniva. Ho avuto la prova dell’assenza
di terrore nella popolazione vietnamita quando ho raccolto, qualche
anno più tardi, alcuni disegni fatti da bambini che risalivano
all’epoca dei bombardamenti. Questi disegni li ho mostrati a uno psichiatra
infantile che è rimasto molto stupito, perché manifestavano
una stabilità psichica assolutamente straordinaria in bambini che
vivevano costantemente sotto la minaccia dei bombardamenti. E lo psichiatra
mi ha spiegato che se quei bambini non avevano paura, e i loro disegni
lo dimostravano, era perché si trovavano in un ambiente che non
aveva paura. Credo che questo sia molto importante.
Allora, questa guerra del Popolo assumeva degli
aspetti straordinari. Ricordo di aver visto un giorno arrivare un’intera
compagnia antiaerea. Gli uomini non marciavano assolutamente tenendo il
passo, ma a gruppetti separati, poi a un certo punto è arrivato
il cannone antiaereo, senza che fosse stato dato l’allarme. Il tubo
del cannone veniva usato a mo’ di bastone e all’estremità era appesa
una gabbia con dentro dei polli, perché era importante per la compagnia
nutrirsi.
Un’altra volta, subito dopo un bombardamento a Nam Dong (?),
la milizia era sul posto, era sera e le donne del villaggio portavano da
mangiare ai loro uomini. C’era praticamente tutto il villaggio sul posto
che era stato teatro dei combattimenti qualche anno prima. E’ questa la
guerra del Popolo.
ANTONIO CARELLA:
Chi sono i vietcong? Possiamo spiegare e caratteristiche
di questi soldati?
CHARLES FOURNIAU:
La stampa occidentale chiamava vietcong i combattenti
del Vietnam del Sud. Per vietcong si intendeva “vietnamiti comunisti”.
Da un lato bisogna sottolineare che la gente che combatteva nel sud del
Vietnam non faceva assolutamente tutta parte del partito comunista,
si trattava di resistenza popolare e nazionale e di conseguenza sovrastava
ampiamente le file del partito comunista, che era chiaramente la forza
principale. Si è molto fantasticato, sulla stampa occidentale, sui
vietcong, spiegando che in realtà non era la gente del sud che si
batteva contro gli americani, me la gente del nord che era infiltrata.
Una vera stupidaggine.
E’ la popolazione del sud che si è sollevata
a partire dal 1959, addirittura prima che arrivassero gli americani, e
che ha accentuato la sua resistenza contro gli americani man mano che arrivavano
le truppe. E’ anche chiaro che a partire da un certo momento, sono
arrivati nel sud dei vietnamiti che abitavano si’ al nord,ma che erano
stati spediti a nord in virtù degli accordi di Ginevra, perché
appartenevano alle truppe del Viet-minh. E la divisione era stata
fatta tra le due zone militari.
Questi vietnamiti del sud, che sapevano che
a casa loro si combatteva, a un certo punto hanno deciso di rientrare nel
loro paese per combattere. Per un certo numero di anni erano stati relegati
a nord per non inasprire il conflitto, ma poi, alla fine, è apparso
chiaro che, quando la guerra ha assunto questa forma definitiva, per cui
ad essere chiamata in causa era la stessa esistenza nazionale del Vietnam,
allora alcune truppe del nord sono arrivate a sud per combattere, e quindi
si è arrivati alla battaglia di Saigon nel 1965, in cui cinque colonne
di carri armati hanno puntato su Saigon, con una manovra militare che resta,
credo, uno dei capolavori di strategia militare del nostro tempo.
E’ chiaro che quando si dice che la guerra del Vietnam
del Sud è stata una guerra civile, secondo me è totalmente
inesatto. E’ vero che il governo di Saigon, che era organizzato, pagato
e sostenuto dagli Stati Uniti, aveva messo in piedi un esercito, così
come il governo di Vichy aveva a sua volta in Francia una milizia, e che
di conseguenza c’erano truppe vietnamite delle due fazioni. Ma questo
ha totalmente eliminato il carattere essenziale di questa guerra, che è
stata una guerra di aggressione straniera, contro un popolo.
ANTONIO CARELLA:
L’ultima domanda: l’abilità di Ho Chi Minh
di stare in equilibrio tra Mosca e Mao Tze Tung.
CHARLES FOURNIAU:
La posizione del Vietnam è sempre stata molto
difficile, sia contro i suoi nemici ma anche contro i suoi amici. A partire
dal momento in cui c’è stato il grande scisma all’interno del mondo
comunista, in cui la Cina maoista era ostile all’URSS, il Vietnam si è
trovato in una posizione molto difficile, perché la Cina è
sua vicina, ci sono più di seicento chilometri di frontiera; la
Cina aveva cominciato a fornirgli armi e d’altra parte il sostegno sovietico
era indispensabile sia dal punto di vista finanziario che dal punto di
vista degli armamenti.
Il partito vietnamita e il governo vietnamita per
diversi anni si sono trovati in una posizione di equilibrio difficile.
Il Vietnam apparteneva all’insieme del partito socialista
e ha dovuto di conseguenza muoversi nel momento in cui lo scisma all’interno
del partito socialista, dei movimenti comunisti, ha messo la Cina contro
l’URSS.
Il Vietnam non poteva parteggiare né per
l’uno né per l’altro, non poteva schierarsi contro la Cina, perché
sua vicina, ci sono seicento chilometri di frontiera, non poteva schierarsi
contro L’URSS, che era indispensabile sia alla sua economia che ai suoi
armamenti.
Allora il Vietnam, Ho Chi Minh innanzitutto e i
suoi successori in seguito, hanno condotto una politica molto acuta che
consisteva nel navigare a vista, in un certo senso, tra i due protagonisti
opposti, per non litigare né con l’uno né con l’altro e per
continuare a ottenere aiuto sia dall’uno che dall’altro.
Devo dire del resto che l’aiuto della Cina è andato sempre più
diminuendo ed è stato sempre meno disinteressato. Ne ho visto una
traduzione in un certo senso nella chiave di lettura del Nianzan, il giornale
del partito, che per diversi anni aveva stabilito un equilibrio assolutamente
rigoroso tra - in particolare in prima pagina - tra lo spazio dedicato
all’URSS e lo spazio dedicato alla Cina, e sono quasi convinto che
contavano addirittura il numero dei caratteri, per essere sicuri che lo
spazio dedicato all’uno non superasse quello dedicato all’altro. E’ stata
una politica chiaramente molto difficile, che alla fine ha comunque permesso
da una parte che lo scisma all’interno del movimento comunista non arrivasse
fino alla frattura totale di tutti i partiti, e d’altra ha permesso al
Vietnam di difendersi.
ANTONIO CARELLA:
C’e’ qualche altro episodio, che ricorda, relativo
alla guerra, durante la sua permanenza nel Vietnam del Nord?
CHARLES FOURNIAU:
Come dicevo, la popolazione vietnamita ha ampiamente
evitato la paura perché si è battuta. C’è tutta una
serie di aneddoti abbastanza pittoreschi in proposito. In particolare,
c’è stato un gruppo di ragazze in un villaggio che manovravano delle
mitragliatrici pesanti, e che avevano abbattuto un aereo sudvietnamita.
Allora sono andati a intervistarle per sapere come erano andate le cose,
e il giornalista aveva domandato, “Come mai state ai vostri posti
solo il giorno e non la notte?” E una ragazza gli ha risposto “Beh, perché
la notte, rientrando a casa, ho paura degli spiriti”. Quindi, erano in
grado di abbattere un aereo americano... ed al tempo stesso vivere tutti
i timori che infondeva loro la tradizione.
ANTONIO CARELLA:
Lei ha incontrato Ho Chi Minh in diverse occasioni.
Riflettendo ancora una volta su di lui, ad epilogo di questa nostra conversazione,
da quali enigmatiche espressioni nasceva il suo carisma?
CHARLES FOURNIAU:
Gli incontri con Ho Chi Minh sono stati sempre un’esperienza
assolutamente straordinaria, perché da lui si era letteralmente
catturati. Da quarant’anni cerco di spiegarmene il perché,
senza riuscire a capirlo. In effetti, Ho Chi Minh non aveva niente
di ciò che caratterizza un uomo particolarmente affascinante. Era
abbastanza piccolo, era sempre vestito con il cunao, ossia con l’abito
scuro dei contadini, con sandali di gomma ricavati da pneumatici, parlava
con voce dolce e d’altra parte non faceva grandi discorsi teorici o sentenziosi,
ma ti faceva domande, rideva. Di conseguenza, non riesco ad identificare
un momento particolarmente caratteristico, e tuttavia si era sempre preda
del suo fascino e non ero il solo a subire questa influenza, tutti quelli
che lo incontravano, a partire dai rappresentanti delle potenze internazionali
fino alla gente più semplice, avevano esattamente la stessa impressione.
ANTONIO CARELLA:
Cosa l’ha colpita di più di lui, la caratteristica
essenziale?
CHARLES FOURNIAU:
Ciò che colpiva quando si incontrava Ho Chi
Minh era l’incredibile divario tra il personaggio storico che si conosceva,
e che per quanto mi riguarda rispettavo profondamente, e questo aspetto
modesto, semplice, assolutamente naturale, e la facilità che si
stabiliva nella conversazione con lui.