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GIUDA PILATO BARABBA E PIETRO
Rei e peccatori nella morte di Cristo
di Francesca Serafini
GIUDA ISCARIOTA
Gesù è a tavola con i dodici apostoli. È la sera degli Azzimi e tutto è pronto per la Pasqua. A un certo punto Gesù è turbato e dice: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli non capiscono, si guardano lun laltro. Pietro chiede al Maestro chi sia il traditore. Risposta: «È quello a cui porgerò il boccone che sto per intingere».
Si tratta di Giuda, figlio di Simone Iscariota.
È lUltima Cena. Di qui in poi comincia la tragica vicenda che conduce Gesù alla croce e che fatalmente si lega a uno dei dodici apostoli che aveva scelto lui stesso e a cui aveva dato il compito specifico di amministrare la cassa.
Ma chi è Giuda Iscariota? Esistono testimonianze storiche della sua esistenza? Quali ragioni lo avrebbero indotto al tradimento del suo maestro? Il denaro? O il suo gesto sarebbe stato dettato dal Satana che secondo il Vangelo sarebbe entrato in lui?
Sta di fatto che Giuda viene ricompensato con trenta denari per il suo gesto dai sacerdoti del Sinedrio.
Biblisti di diverso orientamento sono piuttosto concordi nel constatare che la figura di Giuda è così scomoda e imbarazzante che il Cristianesimo delle origini non avrebbe avuto nessun valido motivo per inventarla. Cè però chi sostiene che, nellambito di una narrazione mitologica, una figura oscura e malvagia che facesse da contraltare negativo a Gesù fosse assolutamente necessaria.
La sua storia, così come emerge dai Vangeli, presenta enigmi e lati oscuri che fanno di Giuda un personaggio problematico e complesso.
Giuda vende il suo maestro: per trenta denari, con un bacio, nellOrto del Getsmani, indica Gesù ai soldati venuti lì per arrestarlo. Gesù non resiste ai suoi aguzzini. Si consegna a loro e viene condotto dai Sommi Sacerdoti.
Giuda dunque è IL traditore e il suo bacio, nellimmaginario collettivo, rimarrà per sempre il simbolo del tradimento.
Ma la vicenda di Giuda non finisce qui. Anzi, è proprio con il tradimento che comincia la sua tragedia. Appena sa della condanna di Gesù, Giuda si pente, sente di aver tradito sangue innocente, vuole tornare sui suoi passi, prova a restituire il compenso, ma i sommi sacerdoti, per una legge del tempo, si rifiutano di mettere nel tesoro i trenta denari che hanno un prezzo di sangue.
Giuda allora, come recita il vangelo di Matteo, «gettate le monete andò a impiccarsi».
Con i trenta denari viene comprato il campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri, che di lì in poi viene denominato «Campo di sangue». Ma chi comprò il campo? I capi ebraici, come si legge nel vangelo di Matteo? O fu lo stesso Giuda, che aveva contratto laccordo col vasaio prima di morire? E poi: di chi sarebbe il sangue a cui si allude, di Gesù o del suo traditore morto suicida?
La morte di Giuda non presenta meno interrogativi. Per Matteo, Giuda andò a impiccarsi, ma per Luca, autore degli Atti degli Apostoli, Giuda «precipitando in avanti, si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le viscere». Dunque Giuda si sarebbe impiccato o sarebbe morto precipitando in avanti, magari in un dirupo in cui spuntoni di roccia o di legno avrebbero ben potuto squarciare il suo ventre così da spargere le sue viscere?
E poi: Giuda si è veramente suicidato? O è stato ucciso? E se è così, chi poteva volere la sua morte?
I discepoli di Gesù?
Il Sinedrio?
Ponzio Pilato?
E di chi è la colpa del tradimento?
PONZIO PILATO
Una volta processato, Gesù viene portato al cospetto di Ponzio Pilato, un personaggio fondamentale nella vicenda cristiana.
Per il fatto stesso di essere nominato in tutti i Vangeli, costituisce un legame indissolubile tra la storia cristiana e la storia ufficiale.
Pilato fu il quinto governatore della provincia romana della Giudea, sotto limpero di Claudio Tiberio, come dimostra il ritrovamento nel 1961 di uniscrizione latina a Cesarea Marittima, capitale della provincia romana palestinese.
È a lui dunque, che dopo il verdetto del Sinedrio, si affida la sorte di Gesù. Pilato è combattuto, e dubbi, nel racconto, gli sono insinuati dalla moglie in seguito a un sogno raccontato dal vangelo di Matteo, un monito per il marito: Pilato non avrebbe dovuto avere a che fare con Gesù, il giusto.
Ma gli altri vangeli non parlano di questo episodio, né è storicamente comprovabile lesistenza di una moglie, né la sua eventuale presenza in Giudea.
Ma il vangelo di Matteo prosegue: «il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta». Gli altri evangelisti confermano. Il solo Luca non affronta la questione.
Ma è possibile accertare storicamente lesistenza di quel privilegio?
Prove storicamente attendibili che quella legge fosse in vigore non esistono, così come non esistono prove per affermare il contrario.
Per gli ebrei la pasqua è una festa solenne che ricorda proprio una liberazione, quella dellintero popolo dallEgitto. Per questo sembra verosimile lesistenza di una simile usanza. Assecondarla rappresentava per i romani unoccasione per attenuare, con un atto puramente politico, il risentimento e il fervore ribelle del popolo.
Da un punto di vista politico, dunque, per Pilato limportante era liberare qualcuno, indipendentemente dalla sua identità e dal suo operato.
Per questo Pilato scarica la responsabilità sugli ebrei: preferisce che scelgano loro quale sarà la sorte di Gesù.
E per questa ragione, convocato il popolo, lascia che sia la folla a decidere. Un atto di primitiva democrazia o il gesto di un vile, umanamente inferiore al proprio potere?
Il popolo sceglie dunque Barabba. Pilato si rimette alla decisione popolare, si lava le mani e con questo gesto emblematico avvia Gesù al suo giorno più lungo.
BARABBA
La figura di Barabba e lo scambio fra lui e Gesù sono raccontati in tutti i vangeli, pur con alcune differenze.
Marco e Luca descrivono Barabba insieme a un gruppo di ribelli, che durante un tumulto o una sommossa, aveva commesso un omicidio.
Per Giovanni, Barabba è semplicemente «un brigante», anche se allepoca brigante era una sorta di sinonimo di terrorista, di sobillatore o di combattente per la resistenza.
Barabba, dunque, non era un delinquente comune e il suo delitto si sarebbe consumato allinterno di una sommossa scoppiata a Gerusalemme.
Per Matteo, il cui vangelo è rivolto soprattutto agli ebrei, Barabba è «un prigioniero famoso», e per questo levangelista dà per acquisita la sua vicenda umana e politica. Barabba per gli ebrei poteva essere una specie di eroe, un ribelle zelota contrapposto al potere dei sadducei che costituivano il sinedrio e che erano conniventi con il potere romano.
Un nemico dunque, per Pilato e per i sommi sacerdoti. Un personaggio scomodo per il potere costituito.
E allora perché gli fu offerta la possibilità di salvarsi?
Cè chi sostiene che in una Gerusalemme agitata da tanti fermenti, il solo modo per evitare una rivolta era risparmiare almeno la vita di Barabba, che della folla doveva essere, come guerrigliero dellindipendenza, una sorta di beniamino.
Bar Abbàs significa infatti in aramaico figlio del padre ed è un appellativo messianico, una sorta di nome di battaglia simile a quelli di altri capi delle rivolte antiromane che in Israele avevano sempre carattere politico e religioso insieme.
E se invece Barabba non fosse mai esistito? Se con Bar Abbàs si intendesse semplicemente quello che significa in aramaico, figlio del padre cioè figlio di Dio, cioè lo stesso Gesù?
Pare tra laltro che il nome completo di Barabba fosse Gesù Barabba: si dovrebbe allora ammettere che al cospetto di Ponzio Pilato si presentassero due uomini con lo stesso nome.
O piuttosto un solo uomo che, dunque, in quelloccasione fu salvato?
Se Gesù fosse stato salvato dal popolo che ne invocava lappellativo con cui era noto, in che modo andrebbe riscritta la sua storia?
Cè unaltra storia che potrebbe essere riscritta: quella dei due ladroni che furono crocifissi accanto a Gesù. Si trattava davvero di ladroni? O piuttosto con questo termine generico si sono indicati altri due esponenti di quel movimento antiromano a cui apparteneva lo stesso Barabba e che con lui furono arrestati verosimilmente nella stessa occasione?
PRIMA CHE IL GALLO CANTI
È il giovedì prima di Pasqua. Ultima cena. Pietro promette al suo maestro di essergli fedele ma Gesù sa che non sarà così.
Gesù, a Pietro: «in questa notte, prima che il gallo canti mi rinnegherai tre volte».
Sono i momenti immediatamente precedenti alla preghiera nellorto del Getsemani e al tradimento di Giuda. Nella notte, Gesù viene arrestato e condotto al cospetto dei Sommi Sacerdoti, Anna e Caifa.
E qui si consuma il dramma umano del capo degli apostoli.
Quando una serva del Sommo Sacerdote chiede a Pietro se fosse stato anche lui con Gesù il Nazareno, in occasione del suo arresto, Pietro per tre volte nega di conoscere quelluomo. Il gallo canta e Pietro, memore della premonizione di Gesù, scoppia in pianto. Sa di aver tradito.
E dunque anche Pietro, il fondamento stesso della chiesa primitiva, tradisce il suo maestro. Ma lepisodio del gallo è davvero accaduto? Come era possibile ascoltare il canto del gallo entro le mura della città quando - stando ad alcune testimonianze - allepoca ne era vietato lallevamento in quanto animale impuro?
Su questo particolare, piccolo ma così rilevante sul piano dellinterpretazione dei vangeli, ci sono pareri contrastanti. Per alcuni è del tutto verosimile che qualche gallo circolasse nei cortili dentro le mura della città. E inoltre, ammettendone la presenza fuori dalle mura stesse, nel tempio era possibile ascoltarne il canto.
Ma è di un gallo vero e proprio che si parla nel vangelo oppure si tratta soltanto di un simbolo?