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DE GASPERI-GUARESCHI - PROCESSO DA RIFARE?

di Enzo Natta

 

 

Se nel precedente Il segreto di Waterloo (Rubettino) aveva raccontato con dovizia di particolari il funzionamento di uno schema difensivo e se ne era fatto interprete riproponendolo sulla scacchiera di un ipotetico Risiko, in questo nuovo saggio storico non esita ad attaccare a tutto campo impiegando uno schieramento decisamente offensivo per il processo che vide Alcide De Gasperi citare in giudizio il giornalista e scrittore Giovanni Guareschi.
Ubaldo Giuliani-Balestrino è ordinario di Diritto penale commerciale presso la Facoltà di Economia e Commercio di Torino, ma è anche un giurista prestato alla Storia. L'ha dimostrato nel Segreto di Waterloo, dove con la perizia di una stratega spiega come il generale Wellington fosse riuscito a battere Napoleone con una tattica di contenimento, quella che nel linguaggio calcistico va sotto il nome di "catenaccio", ovvero facendo muro contro gli attacchi nemici sino a fiaccare l'avversario per poi infilzarlo in contropiede.
Proprio di recente alcuni storici inglesi, consulenti della BBC per una fiction che dovrà celebrare i duecento anni della battaglia di Waterloo, hanno scovato una serie di disegni (Napoleone diceva "un disegno mi dice assi di più di cento relazioni dei miei generali") che confermano la tesi di Giuliani-Balestrino in base alla raffigurazione dei due schieramenti di forze contrapposte e che convalidano l'efficacia della strategia adottata da Wellington. Pratica alla quale si è fatto ricorso non soltanto in campo militare, ma anche nello sport grazie all'arte di saper sfruttare la difesa a oltranza. Lo si vede nel film The Fighter di David O. Russell, da poco sui nostri schermi, Oscar 2011 per i migliori attori non protagonisti a Christian Bale e a Melissa Leo, che racconta la vita di Micky Ward, campione del mondo dei pesi welter nel 2000 proprio grazie a un parametro del genere, chiusura a riccio e colpo di rimessa nel finale quando l'avversario era ormai sgonfiato e privo di forze.
Cambio di registro per Ubaldo Giuliani-Balestrino nel Carteggio Churchill-Mussolini alla luce del processo Guareschi (Edizioni Settimo Sigillo. Roma, 2011. Pagg. 219. € 20,00), dove l'autore è il primo a gettarsi nella mischia con un pressing continuo e asfissiante che applica il procedimento giudiziario all'indagine storiografica, con l'accusa e la difesa, il magistrato inquirente e quello giudicante alle prese con un processo che si celebra attraverso un minuzioso dibattimento a base di eccezioni, consulenze, testimonianze.
Come in un thriller si comincia con l'antefatto, un prologo dedicato al carteggio Mussolini-Churchill, lettere e documenti ai quali il Duce annetteva grande importanza e che fece del tutto per mettere al riparo portandoli con sé dopo aver lasciato Milano il 25 aprile 1945, verosimilmente perché il loro compromettente contenuto (compromettente per il premier britannico) avrebbe rappresentato la miglior difesa per il capo del fascismo nel caso che a guerra finita avesse dovuto comparire sul banco degli imputati davanti a un tribunale internazionale. Quale fosse il contenuto del carteggio non è dato saperlo. Soltanto indiscrezioni, supposizioni, ipotesi, ma del tutto fondate e ragionevoli (come quelle di Luciano Garibaldi in La pista inglese, chi uccise Mussolini e la Petacci?, edizioni Ares e di Fabio Andriola in Carteggio segreto Churchill Mussolini, Sugarco) che lasciavano intuire come nel maggio-giugno 1940 la Gran Bretagna intese trovare una scappatoia al cul de sac in cui si dibatteva concedendo qualche vantaggio territoriale all'Italia a spese della Francia. Che avrebbe pagato il conto per intero. Mors tua vita mea in cambio della non belligeranza italiana e della mediazione di Mussolini per ammorbidire l'alleato tedesco.
Sul carteggio Mussolini-Churchill sono fiorite leggende a non finire, ma come tutte le leggende neppure queste avrebbero potuto prendere corpo se non avessero potuto reggersi su un fondo di verità. Basterebbero le ripetute vistite di sir Winston sul lago di Como (dove il carteggio fa perdere le sue tracce) e successivamente l'intensa attività di intelligence da parte dei servizi segreti inglesi per ritrovare le carte in questione a giustificare tanto interesse e tanta preoccupazione. Sarebbe stato ammissibile quel comportamento insistito e un tale spiegamento di forze se non fossero mai esistite?
Non passa neppure una decina d'anni ed ecco che il carteggio rimbalza in un'altra vicenda, il processo a Giovanni Guareschi, direttore del settimanale "Candido" oltre che autore di Don Camillo, in seguito a una querela presentata a suo carico da Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio fino al luglio 1953.
Sei mesi dopo, nel gennaio 1954, Guareschi pubblicò sul periodico da lui diretto un paio di lettere in cui De Gasperi invitava gli Alleati a bombardare un acquedotto alla periferia di Roma. Perché lo fece? Il piano prevedeva che i tedeschi avrebbero avuto altro a cui pensare invece di preoccuparsi del rifornimento idrico sostitutivo del servizio fornito dall'acquedotto e che di conseguenza, privata dell'acqua, la popolazione romana sarebbe insorta e gli Alleati avrebbero potuto trovare la via spianata per entrare nella capitale. Un bis delle quattro giornate di Napoli, insomma.
Erano autentiche le lettere? Sulla base di questo interrogativo si svolse il processo che si concluse con la condanna di Guareschi a un anno di reclusione dopo che le lettere furono ritenute false nonostante il parere contrario di Umberto Focaccia, perito grafico presso il Tribunale di Milano.
Legittimo e del tutto spontaneo a questo punto chiedersi che cosa abbia a che vedere il carteggio Mussolini-Churchill con il processo Guareschi-De Gasperi.
Dopo la pubblicazione delle lettere di De Gasperi su "Candido" si capì subito che quei documenti facevano parte di un carteggio più ampio che comprendeva la corrispondenza fra Mussolini e Churchill.
Ma perché, allora, le lettere in questione furono ritenute false dal Tribunale di Milano? Perché i testimoni citati da De Gasperi avevano risposto all'unanimità che tutto il carteggio fra lui e Churchill era da ritenersi falso, comprese le lettere pubblicate sul settimanale di Guareschi. Ma se il carteggio era inesistente e le lettere in questione erano false perché Churchill era venuto più volte sul lago di Como e, per di più, proprio sui luoghi in cui Mussolini aveva trascorso le sue ultime ore di vita?
In quei fragenti Churchill parlò dei docunenti con Ermanno Gibezzi, direttore della Cassa di Risparmio della Provincia Lombarda in quel di Domaso. In quella filiale erano state depositate infatti alcune carte che Mussolini portava con sé e delle quali si impadronirono i partigiani dopo la sua cattura. Come se non bastasse, durante la sua prima visita sul lago di Como Churchill volle parlare con il tenente colonnello Luigi Villani, comandante dei finanzieri che avevano nascosto il Duce nella casermetta di Germasino poche ore prima che fosse ucciso. E sempre in quella circostanza Churchill conferì anche con il professor Leonida Miglio, proprietario della villa in cui nei giorni della morte di Mussolini i partigiani depositarono beni e documenti, e con il capitano degli alpini Davide Barbieri, che aveva fermato la colonna di cui faceva parte il capo del fascismo.
Di tutte queste cose avrebbe dovuto parlare uno dei testi indicati dalla difesa di Guareschi, Enrico De Toma, ex ufficiale della RSI che si dichiarava in possesso del carteggio consegnatogli direttamente da Mussolini nell'aprile 1945 e da lui depositato in una banca svizzera. Ma il Tribunale di Milano non ritenne necessario ascoltare De Toma e Guareschi fu condannato.
Sull'intricata vicenda si intrattiene diffusamente Ubaldo Giuliani-Balestrino ricostrunendola per filo e per segno nel Carteggio Churchill-Mussolini alla luce del processo Guareschi, un libro estremamente interessante che figura tra i vincitori del Premio Giuseppe Spina. Un "giallo" storico dove Giuliani-Balestrino rivela doti di un autentico Perry Mason che mescola il fiuto del segugio e l'acume del detective con la razionalità analitica dell'uomo di legge capace di muovesi con abilità e competenza fra gli strumenti procedurali del dibattito processuale cogliendo anche le minime sfumature per dimostrare che il processo a Giovannino Guareschi si trascinò lasciando alle sue spalle un cumulo di gravi illegalità.
Non solo fu negata la perizia del perito calligrafo Umberto Focaccia, ma in un groviglio di assurdità giuridiche si volle anche criminalizzare il carteggio Mussolini-Churchill, quel carteggio a proposito del quale il Duce disse più volte "queste carte valgono una guerra vinta" (la prima in una lettera del gennaio 1945 al maresciallo Graziani, la seconda in una telefonata del 3 marzo 1945 al segretario del PFR Alessandro Pavolini).
Ancora più drammatica la lettera scritta da Mussolini a Bombacci il 15 aprile 1945: "Mio vecchio e caro amico, allo stato attuale poco mi resta. Solo le nostre carte possono essere la nostra salvezza, morale e materiale. Dovessi perire assassinato, sfruttate i documenti".
Una lettera che equivale a una confessione in punto di morte potrebbe non essere sincera? Agghiacciante la frase finale, con i documenti spariti e in seguito, quando avrebbero potuto essere sfruttati, dichiarati falsi.
Il libro di Giuliani-Balestrino conferma la validità della tesi sulla "pista inglese" (Mussolini fu ucciso da agenti dell'Intelligence Service che si impadronirono anche del carteggio) e contiene tutti gli elementi per proporre istanza di revisione del processo contro Guareschi. Ma chi vorrà prendersi questa gatta da pelare?

Enzo Natta

 

 

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