racconti - stories

 

L'AMICO E L'ETA'
di Giorgio Antonelli

Sono nato a Roma nel 1965.Vivo a Roma.Per l'Editrice Ianua,edizioni del giano ho pubblicato per la prima volta una raccolta di (4) racconti che è stata recentemente pubblicata (2004) Il titolo del libricino è Stelle dell'esquilino.
I protagonisti di queste storie minime sembrano usciti da una Roma desertica e pasoliniana senza più la coscienza di esserlo o la volontà di riconoscierlo.In mezzo a 5 milioni di persone col solo biglietto di transito, gli incontri sono fugaci e deludenti, la memoria fa a cazzotti con le sue aspirazioni di ragazza...
 

 

 

Guardo il pacchetto di sigarette sul cruscotto. Non ne accendo una, rimangono lì.
Sfioro le cosce con i gomiti, le braccia tenute dalle mani stringono troppo il volante, inutilmente. Seduto, immobile e muto la macchina va.
La Napoli - Roma è poco trafficata, addosso all'autostrada, si vede qualche delirio degli amministratori pubblici e privati; a grappoli seminati di qua e di là, edifici industriali mai utilizzati.
Roma mi accoglie desertificata da questo sabato di agosto che splende con una luce di realismo magico e avvolge i quartieri che incontro via via che entro in città, l'Appia Nuova, fino all'Alberone poi S. Giovanni, tutto palazzi umbertini malinconici, persiane chiuse in alto e binari morti di tram fantasmi in basso, in mezzo alla strada.
Claudio scende poco dopo la scampanellata al citofono: é sempre pronto, anche quando la visita non è annunciata. Aspetta sempre qualcuno mi chiedo. Penso che da quando lo conosco non ho mai atteso più di cinque minuti.
Oppure non gli piace starsene in quella casa, ci è nato e da 8 anni ci vive da solo. Ha conservato quasi tutti i mobili dei genitori, in modo improvvisato, nel tempo, ha aggiunto solo poche cose. Preferisce la precarietà che non dà confidenza alle abitudini forse. Tutto rimane nell'incertezza del provvisorio pensavo tempo fa e confermo ora ricordando la sua casa nei dettagli.
Ci conosciamo dal '78, gli anni del liceo e per i 5 anni successivi ci siamo visti quasi tutti i giorni.
L'Italia mondiale del '82, la Roma campione di Falcao e Bruno Conti, le occupazioni a Lettere. Passaggi di vita così, registrati quotidianamente. Siamo andati avanti, siamo cresciuti, peluria che si faceva barba ruvida, tutto e il suo contrario nell'adolescenza che si contorce e diventa gioventù.
Claudio abita all'Aventino.
Il prestigio di cui gode questo quartiere deriva da ancora prima degli anni '50, anni a cui risale l'acquisto della casa da parte dei genitori, e si conserva tuttora.
Una palazzina tre piani, verdina pallida, la più nuova dell'isolato. Claudio abita all'ultimo.
Spesso, quando citofonavo, s'affacciava, la testa riccia spettinata spiccava e per un attimo vivacizzava il suo balconcino rettangolare, malinconico, desolato, senza fiori, senza vita, che sporgeva dalla facciata.
Lo faceva per controllare, come un ricercato, che è sempre guardingo, un gesto di saluto con la mano, come per dire vabbene ti ho riconosciuto oppure scendo subito, poi in un attimo era sotto.
Ora l'aspetto nel giardinetto che ospita una piccola aiuola fitta di trifogli e un mandarino; un muretto di marmo bianco separa il giardino e la palazzina da un altro condominio identico e che ne sappia io sempre in ombra anch'esso. Dietro, nascosta alla vista della guardiola, da anni completamente abbandonata da tutti, la siepe di oleandro, un tempo più fitta e ora rada; lì un paio di bottiglie di birra color ambra hanno aspettato al sicuro la notte, contenevano il furore che doveva punire qualche saracinesca di sezione fascista di allora. E un'estate un bel pezzo di fumo è stato parcheggiato dietro quell'oleandro che oggi non nasconderebbe neppure uno spillo quanto è spoglio.
Ci abbracciamo per salutarci, abitudine degli ultimi tempi in cui ci vediamo meno, per sfuggirci allo sguardo, all'impasse iniziale di un incontro tra timidi.
Scendiamo a piedi per Via di San Saba, un viale signorile di un'eleganza antiquata, e noi due con le mani in tasca guardiamo l'asfalto.
Gli alberelli sul marciapiede conservano ancora debole la fioritura del mese prima, i muri intonacati grigio verde di fronte alle villette e ai severi condomini anni '20 seguono la strada, interrotti solo dai cancelli d'ingresso in ferro battuto che proteggono quieti vialetti di ghiaia, agi e privilegi.
Cacche dei cani sull'asfalto del marciapiede. Il profumo del gelsomino, ramificato nei giardini, si diffonde ancora nell'aria.
Piazza Albania appare solitaria nell'anima ed assolata nel corpo e sotto il monumento equestre non ci sono persone che parlano tra loro o si riposano all'ombra .
Io e Claudio la costeggiamo per raggiungere i giardini pieni di sporcizia del parco della Resistenza, dove il palazzo bianco delle poste è in parte coperto dalle fronde dei pini alti e riposa con una immobilità metafisica sullo sfondo. Scegliamo una panchina.
In silenzio, noi due ne siamo capaci, possiamo starcene zitti anche dopo un bel po' che non ci si vede e ce ne sarebbero di cose da raccontarsi.
Abbiamo sempre bisogno di tempo per avvicinarci e ristabilire la confidenza, ricucire i bordi dai vuoti che fanno i distacchi. Può sembrare faticoso, ma per noi è abbastanza naturale così, lo sappiamo fare. Poi succede in un attimo che parliamo, ci raccontiamo cose pescate un po' ovunque nei nostri pensieri, fatti recenti o storie conosciute e prescritte dal tempo ma all'improvviso rivitalizzate dall'entusiasmo. Se stiamo soli funziona, se ci sono altri il silenzio dà disagio. Non abbiamo mai parlato di questa cosa un po' strana del silenzio.
Claudio caccia dal pacchetto di Camel una canna già fatta e dalla sua faccia fiorisce un mezzo sorriso compiaciuto.
Ancora non ha detto "a", io invece solo che venivo da Napoli, appena è sceso di casa, prima di salutarci mi pare.
Dopo dieci minuti di silenzio, il sorriso che mi fa nel mostrarmi la canna mi sembra più di un semplice sorriso, e forse la pensa così anche lui, allora ci rilassiamo e iniziamo ad essere finalmente come ci piace essere di più e in nessuna parte dei nostri corpi e delle nostre menti c'è traccia della scomodità del silenzio e tutto il resto.
Abbiamo la stessa età, 34 anni, lui di agosto io di luglio.
Claudio indossa una maglietta grigia un poco sgualcita e jeans Levi's vecchi, scoloriti: i Levi's l'indossa da sempre penso, poi aggiungo al pensiero che non gli ho mai visto addosso altri tipi di pantaloni, tranne ai matrimoni degli amici.
Claudio produce dischi. Fa dei cd, compilation. In pratica scommette sulla rinascita di qualche vecchia gloria. Acquista i diritti di vecchi successi direttamente dagli autori, a due soldi, non possono più permettersi di fare i preziosi e in più sperano di tornare alla moda così quasi sempre un accordo che soddisfa tutti e due lo trovano.
Qualche volta pensavo Claudio è fortunato.
Nelle assemblee della facoltà, senza dirmelo, senza dirglielo, lo cercavo con gli occhi quando gli altri si sbracciavano, si esponevano. Lui da parte, defilato, fuori dal peso della vertigine dell'utopia che sebbene diluita dalla vanità degli anni'80 invece inebriava noi altri. Non si coinvolgeva, ma era a noi che qualcosa ancora sfuggiva.
Allora ho invidiato la sua indole, nell'inconscio che non si fa mai pubblico, e intanto la nostra amicizia si nutriva e si rafforzava anche con le divergenze.
Stasera il parco della Resistenza è pieno di Filippini; uomini e donne bivaccano in gruppetti, mangiano cose cotte a casa. Si sentono di più voci di donna a ridere e scherzare nella loro lingua; l'italiano si usa nel lavoro di domestiche.
"Passa da me dopo cena, poi usciamo. Andiamo a bere qualcosa e a passeggiare in qualche bella piazza" .Mi dice. E guarda fisso la punta della canna che arde di più dopo che la inspirata.
"Va bene". Rispondo e torno a guardarlo in faccia dopo che guardavo un altro punto.
"Ciao".
"Ciao".
Claudio si allontana a piedi, lo guardo allontanarsi con la sua camminata un poco da vecchio: flemmatico, rigido.
Salgo in macchina.
Nel cielo tenui riflessi gialli, inizia a galleggiare una luna ancora impallidita dalla luce debole di un principio di crepuscolo.
Ci sono tante rondini che vedo e sento sopra, un'aria tiepida mi fa sentire bene, ho l'impressione che sto bene, tuttavia, peccato, lo avverto chiaro, non so più a memoria la spensieratezza e non è previsto dietro front.


 

webmaster Fabio D'Alfonso


 
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