Le sue idee estremiste lo fanno
essere un sostenitore del dominio dei ras delle varie province.
Quando subito dopo Mussolini fa
con i socialisti il patto di pacificazione si associa a tutti gli altri capi
sezione, Balbo, Farinacci, Arpinati per opporsi all’accordo. Anzi in agosto,
insieme a Balbo, organizza una teorica scissione rivolgendosi a D’Annunzio
con l’intento di convincerlo a mettersi alla testa del movimento fascista.
Ma il vate non accetta..
Al congresso fascista del
novembre 1921, a Roma, Mussolini fa decadere ‘il patto’ con i socialisti,
al tempo stesso riesce a comporre i dissidi, trasformando il Movimento dei
Fasci in un vero e proprio partito, di cui tutti lo accolgono come guida,
Duce.
Dino Grandi e’ uno degli artefici di questa rappacificazione tra Benito ed i suoi estremisti, Benito, riconoscente, lo inserisce nella commissione del partito.
Dopo la Marcia su Roma Dino Grandi viene eletto Vicepresidente della Camera.
Come per molti altri gerarchi,
e’ solo con la crisi connessa al delitto Matteotti che acquista un ruolo.
Avendo bisogno di recuperare tutta la fiducia dei moderati, Mussolini si ricorda
di lui, gli affida la carica di Sottosegretario agli Interni.
Nel 1925 ancora lo promuove accanto
a se’ come Sottosegretario agli Esteri, ministero che ricopre lo stesso Mussolini.
Un cinegiornale Luce del 1927 lo
mostra durante la firma del trattato italo-ungherese.
Dopo quattro anni di esperienza
Mussolini ne fa il successore. E’ il primo Ministro degli Esteri dell’Italia
fascista
In aprile del 1929 e’ in visita
a re Zogu in Albania.
Per la storia italiana e’ un momento molto delicato. Il mondo e’ di fronte alla grande crisi del 29. L’America, l’Inghilterra, la Germania, meta’ dell’Occidente e’ sull’orlo del disastro. E paradossalmente molti paesi guardano proprio all’Italia al suo progetto di economia corporativa promossa da Mussolini come un possibile modello per uscire dal baratro.
Prende l’esempio di Mussolini, che nonostante le differenze ideologiche nel gennaio del 24 ha scambiato gli ambasciatori con l’Unione Sovietica.
Quando il 12 settembre 1929, nomina
Grandi Ministro degli Esteri, con un gesto inusuale, Mussolini gli fa trovare
sul magnifico tavolo di Palazzo Chigi totalmente sgombro di carte una rosa
rossa dal gambo lungo in un sottile vaso di cristallo.
Nei rapporti con lui emerge
il Mussolini borghese, l’uomo di buon gusto, l’antirivoluzionario, il quasi
decadente allievo di Margherita Sarfatti.
Ma anche una stima virile sottesa da un rispetto profondo e quasi aristocratico.
Fatto di intese, di non detto, di silenzi colmi di collaudata amicizia.
“Mi conosce troppo!” dice
di lui Mussolini.
Ma il 29 e’ anche l’anno della grande crisi. L'America, l'Inghilterra, la Germania, meta' dell'Occidente e' sull'orlo del disastro. E guardano paradossalmente all'Italia, al suo progetto di economia corporativa promossa da Mussolini, come un possibile modello per uscire dal baratro.
Gli obiettivi diplomatici
di Grandi sono subito con i piedi per terra, ben saldi alle necessita' dell'Italia
e liberi da ogni utopia politica.
Ed opera oculatamente per
tessere buoni rapporti fra stati, senza lasciarsi condizionare dai regimi
che li dominano. Favorisce la stipula di importanti accordi commerciali. Ma
soprattutto il suo costante obbiettivo e' il mantenimento della pace in Europa.
Applica la sua estrema sottigliezza
giuridica all'interno della Societa' delle Nazioni per creare cointeressenze
utili per far diventare l'Italia ago della bilancia dell'asse franco inglese.
E' la prima volta, nel novecento,
che si definisca chiaro il ruolo internazionale dell'Italia, e valido ancor
oggi, quello di potenza cerniera e di mediazione.
Dopo una prima giovinezza animata
da un qualche ribellismo, Grandi diviene il punto di riferimento degli italiani
moderati, dei piu’ accorti al buon senso dello Stato ed alla ricomposizione
dei conflitti interni del paese
Il suo essere moderato e la sua
estrema capacita’ di trovare soluzioni flessibili giunge al paradosso che
nel 22 poco prima della Marcia su Roma e’ proprio lui, l’ex estremista, a
volerne evitare i rischi, tentando un accordo attraverso il quale Mussolini
avrebbe fatto parte del nuovo Governo Salandra in qualita’ di ministro degli
Interni.
Dopo alcuni anni come sottosegretario,
nel 29, a 34 anni il Ministro degli Esteri Dino Grandi e' uno degli uomini
piu' stimati in Europa e nel mondo.
Sente profonda riconoscenza per
Mussolini. "Che cosa sarei stato se non ti avessi incontrato?" gli
scrive "Nulla piu' che un oscuro avvocato di provincia!"
Tuttavia non soggiace al
suo potere carismatico, anche se e’ convinto che Benito possieda una fiamma
bruciante di eloquenza che inebria le folle; e’ una forza straordinaria che
da secoli non e’ mai apparsa nella storia d’Italia. Ma quella energia occorre
intiepidirla, incanalandone la creativita’.
Per paradosso Grandi si comporta
nei confronti del Duce con lo stesso atteggiamento di Mussolini verso Balbo.
Al contrario di Ciano, che anni
dopo ne sara’ il successore, Dino Grandi e’ il Ministro e uomo politico in
un certo senso piu’ libero del Regime.
La sua astuzia e’ nel riuscire
a partire per le sue missioni senza ricevere istruzioni dal Duce, le quali
lo avrebbero immobilizzato.
Conclusi gli impegni si affretta
poi ad inviargli un telegramma con la efficace formula: “In obbedienza
agli ordini di vostra eccellenza ho portato a termine la missione concordata”.
Mussolini sa benissimo che non
e’ vero, ma ne rimane soddisfatto e placato. Questo menage spericolato, temerario
durera’ ben tre.
Operando secondo la sua
sottile strategia di pace all’interno della Societa’ delle Nazioni, non solo
riesce a trarre dalla nostra parte tutto il movimento pacifista, ma spiazza
anche quello antifascista che vorrebbe additarci a paese aggressivo e bellicoso.
In particolare i rapporti
che Grandi tesse con gli Stati Uniti sono cosi' solidi che il grande paese
della bandiera stellata sosterra' l'Italia sino all'ultimo, nonostante la
Campagna d'Etiopia e l'intervento in Spagna.
Lui piu’ volte si reca oltre Atlantico.
Inedito e’ il suo progetto
diplomatico. Al contrario di tutti gli stati europei che consideravano renitenti
alla leva tutti i giovani emigrati oltre atlantico, Grandi, con il consenso
di Mussolini si fa promotore della legge per l’esenzione dal servizio militare
di tutti i cittadini italiani presenti negli Stati Uniti. Durante la prolungata
crisi del 29 mentre le navi straniere attraversano l’Oceano vuote, le nostre
sono gremite di famiglie e ragazzi che tornano in patria senza il timore che
al loro arrivo possano essere arrestati.
Ma, ove possibile, Grandi cerca
anche di convincerli a rimanere, divenendo cittadini di quel paese in modo
da poter votare e contare di piu’ nel potere e nello Stato.
L'unica difficolta' per Grandi sono i rapporti con la Francia, che al contrario dell'Inghilterra, non ha nessuna intenzione di una politica favorevole al disarmo, temendo un futuro riarmo tedesco. E ne ha ragione, all'ascolto delle parole minacciose di un ambiguo leader che tra non molto prendera' il potere: Adolf Hitler.
Questo errore italiano nella
politica estera e' grave, bisogna decidere una mossa per salvare la faccia.
Grandi si mette d'accordo con Mussolini perche' ufficialmente si attribuisca
soltanto a lui e non al Governo questo errore. E dal 20 luglio del 1932 è
il Duce stesso che assume il Dicastero degli Esteri, tentando di frapporsi
tra Francia e Germania, applicando lo stesso atteggiamento che aveva sperimentato
Grandi tra Francia e Inghilterra.
Poi, con l'intenzione di
scardinare la nuova solidarieta' franco - britannica, Mussolini invia come
ambasciatore a Londra, appunto Dino Grandi.
E Grandi rimane a Londra per sette anni, difendendo l'azione politica dell'Italia, nonostante la difficile crisi della Campagna d'Etiopia e della Guerra di Spagna. Diventa amico di Re Edoardo e di Re Giorgio, ma soprattutto di Winston Churchill.
Se da responsabile degli Esteri
ha adottato la strategia del partire senza ordini da ambasciatore adotta la
massima di Talleyrand: “Servire fedelmente il proprio paese vuol dire anche
disobbedire al proprio governo!”
E Grandi la applica in piu’ occasioni,
agendo contro le direttive di Mussolini ma poi ricevendone da questi perfino
un “Bravo!” complimento assai raro per il Duce.
Nel dramma della politica, l’episodio
che salda fortemente l’amicizia tra Mussolini e Grandi e’ il terribile trauma
dell’affronto franco inglese all’Italia, che viene lasciata sola dopo l’assassinio
per mano nazista del cancelliere austriaco Dolfuss. Nel luglio del 34 Mussolini
manda le nostre divisioni scelte al Brennero, nella speranza che anche i francesi
e gli inglesi siano interessati alla indipendenza dell’Austria. Invece in
aprile del 35, alla Conferenza di Stresa, sul Lago Maggiore, risulta evidente
che sia la Francia che l’Inghilterra non sono disposti a spendere ne’ un soldato
ne’ un soldo per salvaguardare la liberta’ dell’Austria.
A Grandi, Mussolini, deluso confida:
“Tra non molto avremo la bandiera dalla croce uncinata sulle frontiere
del Brennero. Saremo costretti un cattivo giorno ad abbracciare i tedeschi.
Non Sara’ un abbraccio piacevole!” Mai il Duce ha avuto cosi’ intensa
sincerita’ d’animo, e’ come se si fosse letto nel destino.
Per merito di Grandi che e’ riuscito
a convincere Churchill, Stresa ottiene comunque un successo: un tacito assenso
alla conquista dell’Etiopia.
La Societa’ delle Nazioni applichera’
comunque le sanzioni contro l’Italia, ma non per i prodotti militarmente strategici.
Non sempre il rapporto tra
i due fila liscio. Quando nel luglio del 36 Grandi riesce a convincere il
Governo Inglese ad eliminare le sanzioni contro l’Italia ed il quotidiano
londinese “Daily Express” pubblica in prima pagina una foto di Dino Grandi
apponendovi il titolo “Il Vincitore” Mussolini va su tutte le furie. Lo dimette
irosamente da Londra facendone un semplice governatore dell’Isola di Rodi.
E’ nel carattere di Mussolini essere precipitoso per capriccio, gelosia.
Ma accade che trovandosi
al Foreign Office per organizzare le consegne al suo successore, Grandi si
trovi ad assistere ad una riunione del “Comitato non intervento per la Spagna”,
all’ascolto del discorso dell’addetto di affari sovietico colmo di ingiurie
e di accuse per l’intervento dell’Italia in aiuto a Franco, ne rimane cosi’
indignato che, pur senza averne piu’ l’incarico, prende la parola ed interviene
nel dibattito, controbattendo alle sue accuse punto per punto con una acutezza
che fa sensazione. E’ tale lo scalpore che il testo viene pubblicato da tutta
la stampa internazionale.
A quel punto lo raggiunge la una
telefonata di Mussolini: “Rimani a Londra” gli dice. E ve lo tiene
per altri tre anni.
Nella sottigliezza del gioco fra
i due vi sono dunque anche atteggiamenti autolesionisti. Grandi invia
da Londra lettere enfatiche colme di sperticate lodi verso Mussolini. E’ cosi’
adulatorio nelle espressioni di fedelta’, talmente sottomesso, da risultare
lapalissiano che non e’ vero.
Mussolini tuttavia le gradisce,
gli servono innanzitutto per un possibile ricatto futuro, tant’e’ le pubblichera’
poi durante la Repubblica di Salo’, ma gli servono anche per arginare le insistenze
dei nazisti i quali vogliono che lo allontani.
Non ha voglia di sacrificare
il suo uomo migliore ai tedeschi, Grandi gli garantisce con Londra rapporti
unici che nessun ministro, o ambasciatore avrebbe saputo tessere. Riesce perfino
ad ottenere spontaneamente che re Edoardo VII -nel maggio 36- lo convochi
a Palazzo Reale per esprimergli i suoi complimenti per l’entrata delle truppe
italiane in Addis Abeba.
Tre anni dopo riuscira’ a condurre a Roma il Primo Ministro Chamberlain per riconoscere ufficialmente la nascita dell’Impero.
L'atteggiamento di Grandi e' palesemente anti tedesco. Se Mussolini riesce a tenerlo a Londra per tanti anni, nonostante le proteste naziste, non puo' però piu' farlo dopo la firma del Patto d'Acciaio, altrimenti sembrerebbe scorrettezza grave nei confronti dell'alleato germanico.
Ma questo anche un altro sogno
di Grandi, tanto pieno di buon senso quanto estremamente difficile da realizzarsi:
spostare l’asse di alleanza dalla Germania all’Inghilterra, cosi’ come era
avvenuto nella Prima Guerra Mondiale. Lo spera, ma non ci riesce.
Anche Mussolini vive lo stesso
dilemma. Quando infatti i nazisti firmeranno tempo dopo l’accordo con Stalin
per la spartizione della Polonia, ancora una volta gli confida: “Ti ho
mandato via da Londra troppo presto!”
E Grandi procede alla riforma del Codice di Navigazione ed a quello di Procedura Civile. Importantissimo il fatto che si rifiuti di inserire le leggi razziali negli articoli del Codice. Tra l'altro si fa impegno di salvaguardare la Magistratura dalle ingerenze del PNF, i cui dirigenti, sobillati da agenti nazisti, cercano di infiltrarsi nei ranghi della Magistratura per ridurla al loro servizio.
Nel lavoro della riforma del Codice di Procedura Civile non solo ha come collaboratore Piero Calamandrei, ma, senza che Mussolini lo sappia, si avvale anche dell’aiuto del professore ebreo Cesare Vivante, espulso dalla cattedra di Diritto Commerciale all’Universita’ di Roma, vittima delle leggi razziali.
L'entrata in guerra dell'Italia
accanto ad Hitler è per lui una vera delusione. Il fallimento militare
sul fronte greco poi, lo convince della necessità di una soluzione
istituzionale per far uscire l'Italia dal conflitto.
Persegue questa idea per
tre anni.
Ancora oggi, dopo piu' di
mezzo secolo da quei fatti, affrontare le dinamiche che portano al Gran Consiglio,
all'allontanamento di Mussolini dalla carica di Capo del Governo ed allo sganciamento
militare dell'Italia dalla Germania e' ancora impresa in parte lacunosa. Sono
tuttora irreperibili i diari stesi di proprio pugno dai due attori protagonisti,
del Re e di Mussolini.
Dei rimanenti attori alcuni
non sopravvivono alla guerra. Altri esagerano il ruolo della Monarchia in
vista del Referendum.
Anche il ruolo di Grandi e’ da
circoscrivere. Per molti diventa il simbolo del traditore, dell’uomo astuto
e ingrato che mette in moto ogni strategia per ottenere la caduta del Regime
di cui e’ stato uno dei maggiori interpreti.
Ma questa e’ immagine distorta
che ne hanno dato soprattutto i fascisti di Salo’. La verita’ e’ che Grandi
si inserisce in un meccanismo enormemente piu’ grande di lui -di cui
lui stesso non e’ che un semplice ingranaggio- ed alla fine ne verra’ espulso.
Neppure le testimonianze successive dei militari sono attendibili. Sul loro capo v’e’ la mannaia dei processi in aula di Tribunale. Devono rispondere di omissioni gravissime, come per esempio la Mancata difesa di Roma. Per evitare la sicura condanna devono percio’ accrescere l’importanza del loro ruolo e far credere cose mai avvenute.
Per ricostruire la verita’
non sono di conforto neppure i documenti storici; da essi emerge uno sciame
di fatti decisamente contraddittori, confusi, privi di riscontro.
Ma il senso di tutto, forse,
è solo in quell'anelito di raggiungere di pace ed uscire dalla guerra
che ciascuno aveva e che pur privo di una solida guida, giunge comunque, fortunosamente,
ad ottenere la caduta di Mussolini, la nascita del Governo Badoglio.
Purtroppo non seguira’ il
tanto desiderato abbandono delle armi. La guerra continua.
La prima iniziativa di sondare
le intenzioni Alleate sull'Italia viene nell'estate del 42 e proprio da Grandi,
allora Ministro della Giustizia, che in occasione di un viaggio in Spagna
per un congresso giuridico, propone a Mussolini di incontrare l'amico inglese
Samuel Hoare, cola' ambasciatore.
Il Duce, prima da' il consenso,
poi lo ritira. Non essendo ancora svanita l'illusione di una possibile vittoria
ad El Alamein.
Eppoi ha timore che i tedeschi,
venendolo a sapere, possano insospettirsi.
Dunque, nel Duce, il tarlo
della sconfitta e di una pace separata inizia a farsi breccia prima di ogni
altro. Ed e' un proposito che non abbandonera' più. Tant'e', dopo il
rimpasto del Governo, in febbraio '43, autorizza il Sottosegretario agli Esteri,
Bastianini, ad intensificare i contatti con gli Alleati, tramite il Vaticano
e persone di fiducia in relazione con il Portogallo.
Di questi rapporti Mussolini
ne tiene costantemente informato il Re, al cui cospetto, e subito dopo il
fallimentare incontro con Hitler a Feltre il 19 luglio, dichiara che -comunque-
l'Italia si sarebbe sganciata dalla Germania, al piu' tardi entro il 15 settembre
di quell'anno.
E con il Sovrano e’ in contatto
anche Dino Grandi. I rapporti fra i due sono molto buoni, tanto che dopo il
suo allontanamento dal Governo, in febbraio, Vittorio Emanuele gli ha concesso
-Il collare dell'Annunziata- una onorificenza con cui diventa cugino del Re.
Importantissima, fra i gerarchi l’ha ottenuta solo Galeazzo Ciano.
Un colpo inatteso viene
però a distruggere la solidarietà fra Vittorio Emanuele e Mussolini:
la dichiarazione di Casablanca, in gennaio del '43.
Roosevelt e Churchill parlano chiaro e tondo di una resa senza condizioni
per l'Italia, specificando che -in ogni modo- nessun rapporto nuovo potra'
sussistere con un Paese ancora governato dal Duce, o da uomini legati al Regime.
Ecco, il nodo! Qualunque
azione Mussolini intraprenda, non sarebbe sufficiente a ribaltare la decisione
di condanna nei confronti dell'Italia!
Allora Vittorio Emanuele
matura faticosamente l'idea che si debba prendere gli Alleati in contropiede:
dimettere Mussolini, sganciarsi dalla Germania, poi a tempo debito dichiarargli
guerra, in modo che gli anglo americani si trovino nell'imbarazzo di essere
troppo severi con un loro amico e cobelligerante!
Il Re sa che anche le Forze Armate stanno per loro conto tentando una via d'uscita, che consiste soprattutto nel cambio al vertice degli uomini che le dirigono. Cominciando dal Comando Supremo, dove l'amico di Farinacci: Ugo Cavallero dovrebbe essere sostituito con il piu' indipendente Ambrosio. Poi, via via cambiare tutti gli altri comandanti con ufficiali meno legati al Regime e piu' favorevoli alla Monarchia.
Grandi rimane molto vigile. Non prende iniziative particolari. Si guarda bene dal frequentare i fascisti piu’ fanatici, ritirandosi nella sua Bologna. Tra l’altro si rifiuta di fare comizi nelle piazze a sostegno del Regime, come gli chiede Mussolini.
In gennaio l'intervento
di Ciano porta al primo successo, convince il Duce alla nomina del Generale
Vittorio Ambrosio. Il resto delle sostituzioni poi avviene in modo quasi fortunato
ed inspiegabilmente semplice.
Soltanto che, Ambrosio, galantuomo,
contestando aspramente quell'ala oltranzista delle forze armate che propugna
addirittura l'uccisione di Mussolini, insiste con il Duce che deve essere
proprio lui ad attuare la scelta meno dolorosa, che eviterebbe ogni sorta
di conflitto coi tedeschi: proporre ad Hitler nell'incontro di luglio a Feltre
lo sganciamento italiano dalla guerra!
Invece il Fuhrer, infatuato,
dalla costruzione delle armi segrete a dal loro improbabile successo, impedisce
categoricamente al Duce di parlarne.
E tutto resta come prima.
Con l'Italia in guerra al suo fianco.
E' evidente al comando delle
Forze Armate che Mussolini ha, nei confronti del suo bruto alleato, un troppo
esiguo spazio di manovra, percio', attraverso il Ministro della Real Casa
Pietro Acquarone fa pressioni sul Re perche' individui un uomo adatto a sostituirlo.
Al tempo stesso le Forze Armate suggeriscono all'indeciso lentissimo sovrano
di sbrigarsi, prima che i tedeschi entrino in Italia con nuove truppe.
Tra i tanti possibili successori di Mussolini viene fatta anche l’ipotesi Dino Grandi. Ma il nome decade. Gli Alleati lo ritengono ‘troppo fondamentalmente debole’.
La scelta del Sovrano quindi cade su Pietro Badoglio, su cui, tra l'altro, convergono -tramite rapporti tessuti dalla principessa Maria Jose', moglie di Umberto- anche i consensi delle opposizioni, De Gasperi, Spataro, Bonomi ed altri.
Le decisioni del Re, cosi' caute da rasentare lo star fermi, hanno effetto solo a meta' luglio, quando, all'incontro con Badoglio, lo informa che sara' il nuovo Capo del Governo. Di un governo tecnico pero', quindi restano fuori tutti i partiti delle opposizioni. Peraltro non gli indica nessuna data, gli ordina solo di tenersi a disposizione.
Ma per realizzare questo
stratagemma bisogna procedere per gradi. Innanzitutto liquidare Mussolini.
Siccome nella sua qualita'
di Re, Vittorio Emanuele si e' sempre ritenuto il garante dello Statuto, quello
che gli ripugna e' licenziare il suo Capo del Governo senza un pretesto giuridico
plausibile. Non vuole un colpo di Stato, ma un avvicendamento il piu' possibile
in armonia con le leggi.
E cosi' ritiene che non sia
possibile dimettere Mussolini senza prima un voto di sfiducia da parte di
almeno uno degli organi consultivi: la Camera, o in mancanza di questa, il
voto del Gran Consiglio.
Ma la possibilita' che questi
due organismi si possano liberamente esprimere e' assai modesta. La prima
e' diventata Camera dei Fasci e delle Corporazioni, quindi totalmente ingessata
dal ventennale Regime; la convocazione dell'altro: il Gran Consiglio, invece
puo' avvenire solo per volontà del Duce.
E' a questo punto che emerge in modo risolutivo il ruolo dell'ex Ministro della Giustizia e Presidente della Camera Dino Grandi.
Ma, inatteso, è accaduto il fatto nuovo piu' importante, che rendera' le cose piu' facili, anzi, le anticipa. Il 16 luglio, durante una bagarre dei gerarchi, nata a proposito della crisi militare, Farinacci ha ottenuto da Mussolini la convocazione del Gran Consiglio, per le ore 17 del 24 luglio.
Dino Grandi, che si trova a Bologna, non appena informato, si precipita a Roma, abbozza il suo ordine del giorno, cercando di cogliere l'occasione per realizzare il favore promesso al Re.
Ma anche Farinacci ne ha
preparato uno, il cui contenuto in un certo senso e' noto. Percio' Dino Grandi,
determinato a vincere la diffidenza di tutti sottopone la propria bozza direttamente
a Mussolini, a cui il testo non piace; tuttavia, non reagendo, lo avalla.
Grandi, con diplomazia, quindi adotta ogni trucco per coagulare intorno a
se' il consenso degli altri gerarchi da spendere in sede di voto.
A nessuno confida di agire
per conto del Re.
A parte il riferimento a
sostegno del partito fascista e dell'alleato tedesco, a cui rimanere al fianco,
in cosa si differenzia l'Ordine del giorno Farinacci da quello Grandi, se
entrambi chiedono, in modo piu' o meno velato l'allontanamento di Mussolini
dal Governo?
La differenza e' che l'ordine
del giorno Grandi fa riferimento all'articolo cinque dello Statuto, premesso
il quale, il Duce avrebbe rimesso nelle mani del Re non solo l'incarico di
Comandante Supremo di tutte le Forze Armate, ma anche il mandato politico.
Nella fattispecie, con quel
riferimento, il voto del Gran Consiglio legittima il Re a fare il nuovo governo
e senza Mussolini. Cosa che viene fatta.
Con 19 voti a favore, 7 contrari e 2 astenuti, alle ore 2 del mattino
della notte del 25 luglio, il Gran Consiglio del Fascismo approva l’Ordine
del Giorno Grandi.
Nel pomeriggio il Re fa arrestare
il Duce a Villa Savoia. Si forma il governo Badoglio.
A proposito dell’ordine
del giorno e della sua formulazione, Mussolini, ai tempi di Salo’, afferma
di aver contestato Grandi definendo il suo testo ‘inammissibile e vile’. Quanto
ai suoi accordi in privato con il Re, poi, li ritiene indiscutibilmente da
‘traditore’!
Grandi ribadisce che il Duce
gli ha espresso si’ delle critiche, ma da uomo a uomo, soli. Anzi e’ proprio
questo silenzio a tutti gli effetti del Duce a permettergli di coagulare intorno
a se’ il consenso di uomini totalmente dediti al fascismo, che non avevano
nessuna intenzione di porsi contro il Regime.
E Grandi passa alla storia del fascismo con l’epiteto del Gran Traditore. Ma e’ giudizio che detesta: “Volli bene a Mussolini anche nella notte del 25 luglio” dira’ anni dopo. “Fui spietato nei suoi confronti ma era necessario. Sentii il dovere di agire contro la dittatura fascista per salvare il paese, ma questo dopo avergli anticipato 48 ore prima quello che avrei detto 48 ore dopo. Lui conosceva bene le implicazioni del mio ordine del giorno. Avevo il dovere di compiere l’estremo disperato gesto per rimediare all’errore fatale del 10 giugno 1940”.
Sintomatico e’ il rapporto
di necessita’ e di stima verso Grandi, quando nella tarda mattina del 25 luglio
Mussolini lo cerca a telefono alla Camera -e lui si fa negare!- e’ solo per
comunicargli che lo ha inserito nella lista dei ministri del nuovo Governo
che presentera’ al Sovrano nel pomerigggio -poco prima d’essere arrestato-
e nuovamente per rivestire la carica di Ministro degli Esteri. Il Re fa arrestare
Mussolini e non se ne fa nulla
Tuttavia il Duce non lo avrebbe
chiamato per farne un Ministro se lo avesse considerato per davvero un traditore!
Quanto credere percio' all’indignazione
espressa mesi dopo da un Benito concretamente prigioniero dei tedeschi, dai
quali ha fatto di tutto per sganciarsi militarmente!? Il suo giudizio non
puo' essere sincero e certamente non e' sereno. L'occultamento doloso dei
suoi diari, trafugati dopo la morte, ci impedisce poi di leggere i dettagli
del suo pensiero, le riflessioni piu’ recondite.
Molto rimane nel mistero.
Come pure in quel silenzio terreo che avvolse Grandi dopo i fatti, con quel
suo correre in Brasile e perdersi. Con quel recidere repentino i ponti con
la storia, con la sua Storia! mentre la coscienza naufragava nel rimorso…
per chi non era riuscito a fuggire. Per Marinelli, Ciano, Gottardi, Pareschi,
De Bono, fucilati un freddo mattino di gennaio a Verona, per un voto di sfiducia,
dei cui effetti erano assolutamente ignari.
I Documenti Luce
Nel file .zip e’ presente l’elenco di tutti i cinegiornali reperibili su Grandi presso l’Istituto Luce in Roma.