Resoconto di uno studente universitario
testimone oculare della campagna di Grecia
agosto 1941
MEMORIANegli ambienti universitari viene dibattuto e discusso da vari anni sul non ancora esaurito e sempre all'ordine del giorno "problema dei giovani" problema che ha costituito e costituisce tutt'ora la base generale da cui si dipartono tutti gli studi e le polemiche e che si conglobano nel problema dei giovani. Tanto il dibattuto problema dei quadri nella loro formazione, quanto quello della immissione dei giovani negli organi della Rivoluzione e del come e in che funzione si dovrà esplicare la nostra generazione che è cresciuta dall'azione, è stata educata nell'azione e per l'azione, ma che fino ad ora non ha potuto agire e esplicarsi secondo i suoi intendimenti che sono squisitamente rivoluzionari, e perciò dogmatici e intransigenti. È un errore ritenere di poter calmare gli ardori di una intera generazione come la nostra, costringendola ad una disciplina che non è precisamente quella che ci vuole.
La disciplina per essere sentita osservata deve essere logica, quando esce dai dettami della logica e del buon senso cessa di essere disciplina, e coloro che la accettano o sono dei pecoroni o dei mentecatti. Questa parentesi sulla disciplina potrà parere come inutile nel quadro della discussione, ma se si pensa che appunto in virtú di una disciplina illogica e perciò non sentita si è voluto da tempo imbrigliare lo spirito e le idee di noi giovani, sarà facile comprendere e dedurre come si sia potuti addivenire ad un inasprimento polemico che ha portato ad acuire sul terreno politico il distacco fra giovani ed anziani. Distacco che noi non volevamo e che i piú della Vecchia Guardia non volevano, ma che è stato accolto con gioia dai cattedratici e dai pennaioli multicolori come la palese dimostrazione della nostra immaturità politica. E su questo argomento benché sottoscritto nei frontespizi dei giornali e delle dichiarazioni ufficiali, si è voluto insistere si è voluto discutere e in virtú delle conclusioni a cui giunsero i signori a noi opposti, si iniziò una vera e propria campagna svalutatoria della nostra gioventú. Campagna condotta sottilmente con lunghi giri, senza mai prendere la questione di petto, sempre evitandoci nel timore che la nostra parola tagliente rivelasse il gioco ormai palese di impedirci ad agire, discutere, criticare organismi sistemi, individui e società [sic]. Che se a noi fosse demandato da Partito, come certamente sarà di essere i "campanelli d'allarme della Rivoluzione" molte cancrenose situazioni cadrebbero, e alla luce della nostra pura fede la Rivoluzione trionferebbe in tutta la sua bellezza e in tutta la sua ampiezza. Quando noi parliamo di cancrenose situazioni intendiamo sia il sistema sia gli individui il piú delle volte tarati moralmente che rappresentano questo sistema. Individui che guastano quello che c'è di buono per meglio mascherarsi e nascondere la loro putredine.
Ma ritorniamo alla discussione e alle polemiche che per prime sono sorte e che per prime ci hanno forgiato allo stile guerriero dalla punta rovente che abbiamo adottata in luogo della penna d'oca a cui sono legati uomini di un altro mondo o giovani nelle cui vene non scorre il fuoco ardente e rivoluzionario dei fascisti universitari.
Dette polemiche sorsero e si svilupparono esclusivamente sulla stampa universitaria, intendendosi per stampa universitaria gli sparutissimi gruppi di giornali che da "vent'anni" a "moschetto" agitano con fede e con coraggio i piú scottanti problemi e le piú lesinate questioni nella volontà ferma e lodevole di risolvere, ordinare, decidere. I sottotitoli dei giornali che li indicano come "quindicinali di bonifica integrale" esulando dal nome bersaglieresco e garibaldino del giornale, dicono tutto quanto si deve dire sul loro contenuto, sul contenuto dei loro articoli "Bonifica integrale" cioè totalitaria di tutti gli angoli della Nazione, degli organismi degli uomini.
Noi siamo vissuti e ci siamo educati nel credo fascista, ne abbiamo accettati i dogmi e quindi la mistica. Diventando noi dei mistici non possiamo scusare o giustificare compromessi di qualsiasi sorta e rimaniamo intransigentemente fascisti. Non afferma forse la dottrina che "chi non è intransigente non è fascista"? E noi avremmo dovuto peccare di transigenza e cioè di antifascismo, solo perché una categoria che si autoproclama e non lo è agisce e si da la forza di agire in maniera da falsare i principi dottrinari al punto di presentarli cosí falsati alla Nazione e alla massa? Siamo d'accordo che la massa politicamente non vale niente ma da parte di quei signori si è voluto dimenticare con calcolo, che tra la massa esisteva una minoranza, la nostra minoranza, la minoranza universitaria in una parola l'aristocrazia della Rivoluzione. Appena ci siamo accorti del gioco ci siamo scagliati a peso morto nella lotta; molti dei nostri v'hanno lasciate le penne, molti sono stati avvinghiati e sono passati al nemico venendo quasi a riprovare la giustezza delle affermazioni, ma i piú sono rimasti testardamente legati al posto di combattimento e vi rimarremo fino alla Vittoria; e noi vinceremo perché sappiamo di avere con noi la vecchia Guardia, perché abbiamo la certezza di essere noi la Rivoluzione perché sappiamo che il Duce ci sorride e ci comprende e ci scusa se pecchiamo contro la disciplina pure di giungere al nostro fine, che è il fine bello e ineluttabile del trionfo totale della Rivoluzione nei suoi principi nei suoi intendimenti, nelle sue istituzioni.
Alla violenza dei nostri articoli, delle nostre discussioni si è risposto con tendenziosi provocanti provvedimenti che lavoravano la stampa e ci impedivano lo sfogo ampio e completo dei nostri polmoni rivoluzionari; ma ai Littoriali fucina di uomini pronti ed esperti, esplosero le nostre bombe dinamiche, smisuratamente audaci, staffilanti in pieno viso i nemici e i profittatori. Delle conclusioni a cui si è giunti, delle nostre proposte non se ne è mai tenuto conto, e si è anzi sorriso con commiserazione quando "imberbi giovinetti" chiesero e propugnarono la libera critica, la libera discussione, che sono le uniche e vere lenti, con cui - alla luce della Fede - si possono mettere a fuoco e esaminare le situazioni le piú scabrose.
Ma la nostra irruenza non conobbe e non conosce ostacoli e perciò anche al di fuori dell'agone nazionale si continuò a discutere e a studiare seriamente i problemi. Chi si interessava di studi economici, chi di studi sociali, chi di coorporativismo, chi di filosofia chi di politica interna chi di ordinamento dello Stato, chi della dottrina e chi di studi scientifici, si arrivò cosí a compendiare tutti i campi e su tutti i campi ci si batté con euguale forza con euguale fede con euguale interessamento; ma per quello che piú ci riguarda da vicino e cioè le questioni politiche possiamo affermare che la nostra scrupolosa lealtà, a patto si rinunciasse alle mezze misure, alle misure e agli intrighi di corridoio per smorzare e stroncare situazioni paradossali e incontenibili, sicuri che presto o tardi la nostra voce sarebbe stata udita ed ascoltata, e che allora trionfando la verità dei nostri principi avremmo ora il premio piú ambito di avere ben meritato dalla Rivoluzione delle camice nere. Ma era necessario che la preparazione teorica trovasse compendio nella pratica, e fu proprio quando si scese in campo non piú con le parole e con gli articoli, ma con la volontà di sperimentarci nell'esigenza della nostra preparazione che cominciarono i primi sintomi e le prime lamentele da parte nostra lamentele profondamente giustificate da chi per tanto tempo aveva lavorato per collaborare e per conoscere. In una parola noi eravamo per gli anziani i concorrenti, e come concorrenti ci trattarono, non rifuggendo in ciò alle piú losche manovre in auge al tempo del sistema liberale e delle logge massoniche. Le pugnalate alla schiena piovvero con frequenza sempre maggiore e fecero gran largo nella massa entusiasta, ma noi siamo duri a morire e abbarbicati alle nostre barricate abbiamo continuato, ci siamo posti avanti a gomitate violentemente, siamo entrati negli organismi e li abbiamo studiati, sezionati e sottoponendoli alla chirurgia della nostra fede ne abbiamo individuati i mali e i difetti, ma proprio quando il taglio netto stava per avvenire, ecco sorgeva davanti a noi l'improvvisa barriera della burocrazia della malafede dell'arrivismo.
La nostra sensibilità ci faceva però intuire che la causa di questo stato di cose era dovuta alla infiltrazione piú o meno palese di elementi eterogenei nelle file degli istituti del Regime, ed eccoci allora in campo a proclamare la famosa rivoluzione istituzionale che a nostro avviso avrebbe portato alla eliminazione decisiva di tutti gli elementi di scarto e dannosi. Sempre piú chiara si veniva formando in noi l'idea che solo un colpo decisivo e deciso potesse liberare di tanta zavorra la Rivoluzione, e allora sotto di nuovo a studiare nel segno del "credere". La Dottrina del Fascismo fu ed è la nostra Bibbia, ogni parola per noi è un ordine, e sapendo bene che nulla confonde piú il comando, quanto il disporre in un senso e prevedere che l'esecuzione degli ordini avvenga nel senso opposto, abbiamo dichiarato di esigere di volere che integralmente i comandamenti fossero eseguiti, e come Forza ci siamo posti allo stesso livello degli anziani, pronti a batterci in nome del principio dogmatico della Rivoluzione. E di tale principio dogmatico ne abbiamo tratto il motivo altamente mistico dei servi della rivoluzione "Nudi alla meta" che può essere ed è senz'altro il nostro motto e la nostra divisa. E alla luce mistica di ogni rinuncia, soli con la nostra fede e con la nostra volontà, nel lungo cammino della nostra preparazione abbiamo piú volte sostato per inginocchiarci per riflettere e apertamente coscenziosamente dichiarare "Signore Iddio io sono Fascista perché non mi da guadagno". E da ciò ne abbiamo tratti motivi di forza e di superiorità tali che ci fecero primi in ogni azione rivoluzionaria, primi propugnatori dell'antiebraismo forma larvata anzi larva di bolscevismo, del santo razzismo e di tutti gli studi piú osservanti e difficili, sino ad essere ancora i primi a chiedere e a volere la libertà delle terre italiane. Allora e prima di allora sui capi d'Africa e di Spagna i nostri gogliardi azzurrati furono fra i primi e i piú valorosi, ma ciò non costituiva se non un anticipo della superba prova che noi universitari sapevamo e ci sentivamo in grado di dare.
Volemmo la guerra, sulle piazze ci scagliammo contro i tentennoni e discordi perciò contro i piú e quando finalmente il mistico Guido Pallotta ci lanciò il fatidico grido "arrivederci ai Littoriali della Guerra!" sentimmo che l'ora della prova era giunta per noi e che avremmo avuto il crisma della nostra misticità e che dall'azione si sarebbe generato il luminoso e rettilineo pensiero fascista della nostra gioventú. Si sarebbe generato il pensiero vero, ossia il pensiero che genera una realtà aderente alla stessa realtà, da cui sarebbe sorto. E ciò sarebbe stata una riprova dell'affermazione dottrinaria "il Fascismo è prassi ed è pensiero" e una fiera risposta ai credenti della ragione. In una parola si può concludere "La pace non è perpetua".
È forse qui inutile rinvangare gli avvenimenti che seguirono l'ingiustificato ritardo alla nostra partecipazione alla guerra, i discorsi piú che [sic] ci accoglievano nel vederci forzatamente vestiti in borghese, mentre i nostri cuori esultanti e palpitanti non tacevano, sebbene nella tristezza dell'ora, la loro fede e il loro entusiasmo.
Noi non possiamo dimenticare le lunghe e ansiose soste nelle anticamere dei nostri GUF e alla Federazione quando palpitanti e timidi attendevamo l'ordine che non veniva mai. Non possiamo dimenticare tutta la nostra amarezza nel vederci tenuti lontani dalla guerra. Non possiamo dimenticare i taciti saluti con i camerati della stessa fede e della stessa idea, quando con gli occhi umidicci si guardava nel fondo dell'anima, pronti a cogliere il minimo segno di turbamento e di tentennamento, e il sorriso che sfiorava le nostre labbra quando nel passare oltre constatavamo soddisfatti che lo spirito era sempre alto e imbattibile.
E quanto si scrisse sui nostri giornali e quanto si studiò nel grigiore e nell'incertezza diffusa del nostro destino!
Poi finalmente un raggio di sole squarciò le nubi e il grido fatidico si parte si parte, passò di bocca in bocca; i fazzoletti azzurri che noi avevamo piegati sventolarono piú radiosi che mai al pallido sole di autunno, e quando l'inverno venne, le caserme ci accolsero e il santo grigioverde rivestí le nostre membra e i nostri spiriti. Il fine stava per essere raggiunto, ma bisognava lavorare, lavorare di muscoli disciplinati e fiduciosi. Il nostro spirito ribelle ogni tanto sfociava sotto l'impulso impaziente dell'entusiasmo che divora e precorre tutti i tempi e sorpassa tutti gli ostacoli, addimostrando che la severità della vita militare, invece di sminuire accresceva la nostra vitalità e la nostra impulsività ci faceva piú uniti piú buoni piú sereni. E in questa serenità abbiamo riposto all'ordine del giorno nelle sue linee piú significative il problema della nuova generazione, della classe dirigente in formazione e prossima a maturare. Nella discussione sono intervenuti molti anziani di anni ma giovani di spirito, che con largo spirito di comprensione negli entusiasmi del dibattito, hanno tastato con larghezza di idee i problemi, affermando la loro fiducia nella nostra sincerità e nella nostra sensibilità, addimostrando ancora una volta come la soluzione del problema si imponga e come essa non possa essere altrimenti che equa soddisfacente e completa.
Si è pensato al carattere squisitamente rivoluzionario di questa guerra anche nel suo aspetto interno, si è pensato alla successione fra la vecchia e la nuova classe dirigente, si è discusso nuovamente si è studiato nuovamente. Alle domande infingarde di "che vogliono i giovani?" "come hanno appresa la dottrina?" noi abbiamo tacitamente fatto intendere che la risposta piú eloquente l'abbiamo data affluendo volontariamente alle armi, l'abbiamo data col nostro sacrificio continuo e metodico, la daremo sui campi di battaglia col nostro sangue.
E solo perché vogliamo colpire con la nostra forza tutta la schiera imbelle e imbecille dei gerarchi a doppio fondo e solo perché vogliamo scrutare col fuoco ardente e bruciante della nostra anima negli ascosi meandri degli organismi da cui trafilano gli acidi velenosi che intossicano l'ambiente circostante creando cosí una zona pericolosa e infetta che a poco a poco dilaga nel tentativo di sommergere i principi sani della nostra dogmatica e solo perché abbiamo il coraggio di agitare tali problemi anche in tempo di guerra e solo perché abbiamo il coraggio delle nostre idee e delle nostre affermazioni e perché noi rifuggiamo dall'anonimo scriviamo a caratteri cubitali le nostre firme e il nostro preciso indirizzo nella speranza che qualcuno si muova e si faccia avanti, siamo sorvegliati sospettati, si è la parola, di attentare la saldezza del Regime. Ma non si accorgono i signori delle cattedre del ridicolo in cui si mettono?
La saldezza è minata, lo affermiamo e lo sosteniamo, dalla schiera cancrenosa che ancora venera nel buio della propria vigliaccheria le cifre massoniche, e da esse trae motivi e corollari per alienare al regime la massa dei giovani attuando il famoso principio anche questo dogmatizzato nei protocolli dei Savi Anziani di Sion del "Divide et Impera".
Ma noi ci sentiamo forti e forti di fede di muscoli e di anni non rinunceremo mai ai nostri principi alle nostre aspirazioni alle nostre mete costi quello che deve costare, pronti a scendere sulle piazze e decidere sulle barricate il trionfo del nuovo sul vecchio, del sano contro il moscio, del puro contro l'impuro. La nostra intransigenza invece di essere lodata, non è che motivo di biasimo per noi e per i nostri principi la nostra sensibilità invece di essere apprezzata è ritenuta e data come nemica del sistema. La nostra azione squisitamente rivoluzionaria è indicata come deleteria e sovvertitrice. Il nostro entusiasmo lo si dichiara favorito dalla pazzia. Da questa sorda pazzia che si chiama Fascismo e si chiama Patria.
E con abilità funambolica si girano e si rigirano gli argomenti ci si ostacola in tutto anche sul cammino del combattimento ci si vuole costringere nei legami sistematici degli ordini e dei contrordini ci si vuole anche allontanare dalla guerra e ci si vuole a tutti i costi escludere davanti alla Nazione.
Ma basta le maschere le abbiamo strappate e abbiamo indicato il male lo sradicheremo. Quis contra nos? Chi contro di noi? Come noi nessuno si fa avanti e scende lealmente in campo a viso aperto per dire alla gioventú fascista quello che pensa quello che intende quello che vuole?
No la vigliaccheria è sistema di vita per i signori del compromesso e fra noi e loro non c'è base di discussione non ci sarà mai. Né noi ci abbasseremo a discutere con loro. Il tempo delle discussioni riteniamo sia superato e quando ritorneremo dalla guerra combattuta se ritorneremo faremo giustizia.
Noi siamo la Rivoluzione avanzata e trionfante!
Nelle lunghe veglie nel silenzio delle nostre camerate abbiamo parlato e lungamente meditato e siamo giunti a conclusioni che risulteranno disastrose per il nemico interno. Ci siamo sentiti piú vicini e quello che non avevamo potuto dirci ce lo siamo detto a bassa voce cuore contro cuore con gli occhi brillanti e sfavillanti nell'entusiasmo della Vittoria certa e certissima.
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