Intervista di Ennio De Robertis a Enzo Natta
Che cosa possono avere in comune persone tanto diverse come Giuseppe Bottai,
Frédéric Rossif e Folco Lulli? Quale denominatore salda fra
loro queste tre "vite parallele" collegando strettamente episodi
pressoché sconosciuti che hanno trasformato le loro esistenze in esperienze
avventurose sulle quali hanno sempre mantenuto un ostinato quanto scruopoloso
riserbo?
Giuseppe Bottai fu ministro delle corporazioni ai tempi del fascismo, elaborò
la Carta del lavoro, base dell'ordinamento corporativo, e in seguito, come
ministro dell'Educazione Nazionale, si fece promotore di una riforma scolastica
che prevedeva fra l'altro l'insegnamento del cinema nelle scuole di ogni ordione
e grado. In seguito al voto contro Mussolini nella seduta del Gran Consiglio
del Fascismo tenutasi la notte del 25 luglio 1943 fu condannato a morte in
contumacia nel processo di Verona. Fuggito in Algeria si arruolò nella
Legione Straniera e partecipò allo sbarco in Provenza nell'estate 1944
assumendo un ruolo di primaria importanza nello svolgimento delle operazioni.
Frédéric Rossif, documentarista e regista francese, ha realizzato
film di montaggio su momenti e nodi decisivi della storia contemporanea come
Vincitori alla sbarra, Morire a Madrid e La rivoluzione d'ottobre. In televisione
ha firmato serie di successo come Gli animali e L'opera selvaggia. Di origine
montenegrina, era il nipote della regina Elena, moglie di Vittorio Emanuele
III, e nel 1940, allora diciottenne, si trovava a Roma, dove frequentava la
facoltà di matematica. Quando le truppe dell'Asse invasero la Jugoslavia,
fuggì dall'Italia, raggiunse in modo avventuroso la Siria, dove le
forze francesi erano rimaste fedeli al governo del generale De Gaulle, e si
arruolò nella Legione Straniera. Aggregato al corpo di spedizione francese
in Italia, alla fine del maggio 1944 prese parte a un audace colpo di mano
che permise agli Alleati di liberare Roma, scongiurando nello stesso tempo
il rapimento di Pio XII da parte dei nazisti.
Folco Lulli, debuttò come attore nel film Il bandito (1946) di Alberto
Lattuada rivelandosi subito interprete dotato di intensa capacità comunicativa
e di rilevante efficacia drammatica. Dopo aver preso parte alla campagna d'Etiopia
era stato richiamato e nel settembre del 1943 si trovava ricoverato all'Ospedale
militare di Torino per cause di servizio. E' in quell'ambiente che incontrò
alcuni militanti di "Giustizia e Libertà", una frequentazione
che contribuì ad accrescere in lui la crisi nutrita nei confronti del
fascismo, dell'alleanza con la Germania, della guerra. Sorpreso dall'armistizio,
era riuscito a raggiungere il Basso Piemonte, dove si era aggregato alle formazioni
partigiane di Martini Mauri, operative nella zona delle Alpi Marittime.
Che cosa hanno in comune Giuseppe Bottai, Frédéric Rossif e
Folco Lulli? Li accomunano le loro storie rubate, mai raccontate perché
scomode e tenute sottochiave a vario titolo. Li accomunano il silenzio con
cui hanno protetto il proprio vissuto negli anni della Seconda guerra mondiale,
il passaggio sotto altre bandiere (Bottai e Rossif militarono nella Legione
Straniera) e l'adozione di una diversa identità (tutti e tre cambiarono
nome, Lulli assunse il nome di battaglia di Farfalla e, mazziniano convinto,
mutò momentaneamente casacca aggregandosi a una banda partigiana monarchica).
Li accomuna il trauma che li spinse a chiudere alle loro spalle la porta di
un passato che se da una parte avrebbe potuto dispensar loro encomi a privilegi,
dall'altro evocava lutti e orrori. Un passato che era meglio dimenticare e
che li ha resi prigionieri di un volontario silenzio nel quale si erano ermeticamente
chiusi.
Bottai, Lulli e Rossif sono i protagonisti di Ombre sul sole - Storie di uomini-contro
(Tabula fati. Chieti, 2013. € 11,00), romanzo-saggio che Enzo Natta ha
ricostruito tassello dopo tassello e poi raccontato in questa non-fiction
novel dove storia, cronaca e racconto epico si intrecciano di continuo.
Ne parliamo con Enzo Natta cominciando dal significato del titolo.
"Bottai, Rossif e Lulli sono le "ombre sul sole" mitizzate
dai poemi epici giapponesi, macchie che hanno oscurato la "chanson de
geste" dei "ronin", samurai disillusi e senza padroni che hanno
scontato gli errori altrui riscattando colpe collettive e sacrificandosi nell'anonimato
di un eroismo mai celebrato dall'epica, che si sono sacrificati riscattando
attraverso una tardiva ma salutare presa di coscienza non solo l'ambiguità
dei loro trascorsi, ma anche gli inganni subiti e gli altrui tradimenti. Miti
rubati, eroi dimenticati, memorie perdute di uomini esiliati dalla Storia.
Per calcolo politico, per scelta propria. Ombre sul sole, uomini senza identità,
macchie che offuscano la verità e che suscitano lo sdegno della coscienza
civile, offesa da reiterati silenzi.
Giuseppe Bottai, Frédéric Rossif e Folco Lulli sono antagonisti,
uomini-contro che si sono ribellati al padre. Bottai a Mussolini, Rossif alla
zia Elena diventata regina d'Italia, Lulli a un'identità perduta dopo
aver preso parte alla campagna d'Etiopia e aver smarrito quelle certezze che
l'avevano spinto a partecipare all'avventura africana in cui visse quella
metamorfosi che Ennio Flaiano racconta in Tempo di uccidere."
- Com'è nato questo libro? -
"Tutto è cominciato grazie a Frédéric Rossif. L'avevo
conosciuto nella tarda primavera del 1987. Il regista franco-montenegrino
era arrivato a Cinecittà per Morandi, uno special di 52 minuti sul
pittore bolognese realizzato per conto della Rai e dell'Istituto Luce. Un
ritorno al vecchio amore per la pittura, ai famosi cortometraggi su Picasso,
Matisse, Cocteau e Chagall che gli avevano aperto le porte del cinema.
Rossif considerava Morandi il più grande pittore italiano moderno,
"il solo che non dipinge argomenti, ma fa della pittura pura, come Braque",
e lo paragonava a Leopardi per lo stesso sentimento di tragedia umana e la
stessa densità di creazione. Una passione, quella di Rossif per la
pittura, e lo stesso amore per Morandi, riscontrabili, fra gli uomini di cinema,
soltanto in Valerio Zurlini.
Il presidente dell'Ente Cinema, la holding del gruppo cinematografico pubblico,
era allora un ex sindacalista, molto pragmatico, romanaccio che andava per
le spicce e che disdegnava ogni formalità burocratica.
"Staje appresso" mi disse. Niente di più. Due parole che
bastavano a condensare più mansioni: delegato alla produzione, controllore,
assistente, accompagnatore, uomo di fiducia, responsabile degli ulteriori
sviluppi. Nel rispetto di una tradizione millenaria che in un gesto del Sommo
Pontefice diceva più di cento parole: "Ad nutum Summi Pontificis".
Bastava un cenno e la volontà superiore si esprimeva attraverso l'equivalente
di un'investitura.
Dell'intera opera di Rossif Morire a Madrid restava di gran lunga il prodotto
da me preferito. Motivi sentimentali, indubbiamente, che non tenevano conto
delle critiche mosse a quel film di montaggio, accusato di riassumere schematicamente
la guerra civile spagnola nell'antinomia fascismo-antifascismo e di sorvolare
invece sulla complessa dialettica politica, sociale, militare in cui si articolava
il fronte repubblicano. Tutte questioni che si legavano al ricordo di mio
nonno, lupo di mare, giramondo, cacciatore di tesori, libertario, che a settant'anni
compiuti raggiunse in Spagna i suoi compagni anarchici e che rischiò
di finire ammazzato dagli stalinisti dopo gli scontri di Barcellona del maggio
1937 assieme al suo amico George Orwell.
Storie raccontate nel Graffio della regina e che ora non è il caso
di ripetere. Ricordo soltanto che quando per puro caso ne accennai a Rossif
i nostri rapporti cambiarono e da formali diventarono via via confidenziali.
La comune passione per la Storia aveva spazzato via ogni riserbo.
Il ghiaccio si ruppe proprio con la guerra di Spagna. Rossif ammise che effettivamente
in Morire a Madrid la parte carente era proprio quella relativa alla divisione
delle sinistre, al contrasto fra anarchici e trotzkisti da una parte e stalinisti
dall'altra, sacrificata nella durata di 85 minuti al tono epico e lirico che
faceva da supporto alla rievocazione di quell'evento storico."Se dovessi
rifarlo oggi," mi disse allora "lo rifarei
con un altro taglio, meno celebrativo e più critico dal punto di vista
storico".
Le cose con il documentario su Morandi andavano per le lunghe e fu allora
che per riempire tempi vuoti feci una lunga intervista a Rossif per "Immagine
& Pubbico", la rivista dell'Ente Cinema, apparsa poi sul numero 4
del 1987. In quell'intervista Rossif parlò fra l'altro della sua partecipazione
alla campagna d'Italia nel corso della Seconda guerra mondiale. Inquadrato
nei corpi speciali della Legione Straniera impegnati sul fronte di Cassino
sotto il comando del generale Alphonse Juin, Rossif visse inizialmente una
snervante guerra di posizione che aveva inchiodato gli Alleati. Nonostante
intensi bombardamenti a tappeto, gli Alleati non riuscivano a rendere inoffensivo
il fuoco d'artiglieria tedesco a causa di un cannone a lunga gittata montato
su binari ferroviari che gli consentivano di rientrare in una galleria nei
pressi di Velletri e di sottrarsi in tal modo all'offensiva aerea. Per eliminare
l'inconveniente che sbarrava la strada per Roma, gli Alleati decisero un colpo
di mano con un'azione di commandos. Il compito toccò a una pattuglia
della Legione Straniera di cui faceva parte lo stesso Rossif.
L'operazione fu coronata da successo e gli Alleati trovarono spianata la la
via per Roma. Fortunatamente per Rossif, che era stato catturato e rinchiuso
nella famigerata prigione di via Tasso.
Rossif non parlava volentieri di quell'esperienza, ma poco alla volta si lasciò
andare a confidenze. Al punto che si cominciò ad accarezzare l'idea
di realizzare un film di montaggio su quell'episodio, originato dal tentativo
di sventare il rapimento di Pio XII da parte dei nazisti."
- Un progetto che se ne è portato appresso un altro, vale a dire quello
su Bottai. -
"L'operazione per far fallire il rapimento di Pio XII, allora secretata
dagli Alleati e rimasta tale, ne richiamò subito un'altra (e qui entra
in ballo Bottai) di cui nella Legione si parlava diffusamente e che Rossif
era riuscito a portare alla luce andando a scovare l'ultimo sopravvissuto
in una casa di riposo per vecchi legionari in Provenza.
Dato che su quest'ultima operazione militare che portò alla liberazione
della Provenza e della Costa Azzurra non esisteva alcun materiale filmato,
Rossif aveva pensato a una fiction. Fu così che cominciò il
nostro lavoro. Che non era un lavoro ma un divertissement. Rossif lo chiamava
un bricolage, fatto quasi per scherzo e per ingannare il tempo. Rossif parlava,
con tale precisione e lucidità che gli appunti si traducevano ipso
facto in un testo. Lui lo rivedeva apportando soltanto qualche lieve correzione.
Fu così anche per la fiction su Bottai, un'esperienza che lo divertì
moltissimo perché si trattava di conferire una veste romanzesca a un
fatto storico quasi del tutto ignorato. "Ti è venuta qualche idea?"
mi chiedeva. "Mettila dentro e non aver paura di esagerare. Gli americani
non si preoccupano di spararle grosse e sfidare l'inverosimile. Per questo
i loro film hanno successo."
Sul progetto di fiction, per il quale Rossif suggerì il titolo Nuit
sur la victoire ("Buio sulla vittoria"), iniziammo anche a far qualche
prova su una "story-board". Ai corsi di filmologia organizzati dai
circoli del cinema dell'Ancci (Associazione nazionale circoli cinematografici
italiani) avevo conosciuto Luca Bosio, un giovane architetto prematuramente
scomparso, che disegnava molto bene e lo convinsi a buttar giù un po'
di idee. Luca sfornò alcune tavole che incontrarono l'approvazione
di Rossif. "Benissimo" commentò. E subito dopo aggiunse ridendo:
"Se non riusciremo a realizzare la fiction avremo pur sempre ottimo materiale
per un fumetto."
- E Folco Lulli come si è aggiunto a Bottai e Rossif? - Tutt'altra
storia. L'iniziativa per ricordare il centenario della nascita di Folco Lulli
era partita da Romano Milani, segretario generale del Sindacato nazionale
giornalisti cinematografici. Accettai di entrare a far parte dell'iniziativa
a patto di limitarmi a raccontare l'esperienza del Lulli partigiano. Lo avevo
intervistato all'inizio del 1970 per "Il Giornale d'Italia" quando
stava per iniziare le riprese di Le stelle cadono d'estate, film nel quale
voleva raccontare un episodio connesso a quell'esperienza. L'anno prima aveva
diretto Gente d'onore debuttando nel lungometraggio a soggetto e a quel punto
intendeva ripetersi con un soggetto autobiografico.
Sull'avventura di Folco Lulli negli anni della Resistenza disponevo di pochissimi
elementi, ma per fortuna i figli mi avevano consegnato alcune lettere di ex
commilitoni che avevano combattuto al suo fianco. Tutti residenti in Piemonte,
a Mondovì. Andai a cercarli, ma trovai soltanto delle vedove. Di buona
memoria, per fortuna, e tanta voglia di chiacchierare. Dai loro racconti è
scaturita una storia che ha dell'incredibile e che se non fosse stata verificata
sino in fondo ancora adesso potrebbe sembrare sbalorditiva."
Gente d'onore è stata l'unica regia di Folco Lulli. E Lulli era uomo
d'onore fino in fondo. Lo dimostra la disputa sulla regia di Fuga in Francia,
da Lulli attribuita a Pietro Germi. Non è vero? -
"Verissimo! A inizio riprese Mario Soldati si ammalò e Germi,
che aveva già due regie alle spalle, oltre che recitare si mise anche
a dirigere. Voi giornalisti, voi critici dovete dirlo, si raccomamdò
Lulli dopo avermi raccontato come andarono le cose. Ottemperare a questo desiderio
mi è sembrao il miglior modo per rispettare quelle ultime volontà."
Ennio De Robertis
webmaster Fabio D'Alfonso