GIOVANNI BELLINI
"La luce"
di Marco Maggioni
Marco Maggioni
un esperto di orientamento al MANAGEMENTLEI - dopo il cupo Mantegna possiamo ora intravedere un pò di luce?!
LUI - e luce sia!
LEI - fanatico, chi ti credi d'essere
LUI - ma a chi hai pensato! Non mi permetterei...naturalmente mi riferisco a chi ha dato il via al luminismo cromatico veneziano: Giovanni Bellini, cognato del Mantegna...è riuscito a rischiarare perfino lui nell'ultimo periodo
LEI - se è per questo, Bellini ha praticamente influenzato mezzo secolo di pittura
LUI - mi sembra di capire che il tema del giorno sia la luce, ben venga, era ora
LEI - e non solo, parleremo anche di spazio, inteso nel senso naturalistico...
LUI - che in pratica vuol dire che uomo e natura vengono a patti, fanno pace
LEI - in un certo senso...
LUI - ....non più gli spazi epici del Mantegna, insomma, ma una dimensione lirica dell'ambiente, giusto?
LEI - proprio così
LUI - ... dopo Padova, mi sembra di capire, facciamo una visita a Venezia allora!
LEI - e come l'hai capito?
LUI - chiaro.... è lì che si rischiara tutto....scusa il bisticcio...parte da Venezia l'avventura della luce...
LEI - che illuminerà tutto il 500 e oltre...scusa il bisticcio...parliamone...
LUI - alt. prima cosa: ci vuole uno sguardo d'insieme, ti pare? non possiamo capire niente della svolta culturale che c'è stata se non facciamo un cenno alle condizioni economiche e politiche di Venezia nel '400, giusto?
LEI - doveroso, direi! cominciamo col dire che nel secondo Quattrocento, l'antica repubblica marinara dà segni di decadenza piuttosto evidenti
LUI - detto così, sembra una contraddizione. ma come! Abbiamo parlato di svolta e si parla di decadenza! O forse vuoi dire che grazie alla sua decadenza Venezia ha avuto modo di risorgere....
LEI - in un certo senso!!.... La città per secoli era considerata ponte di comunicazione tra l'Occidente e l'Oriente, ora cominciava a perdere questo ruolo per vari motivi
LUI - vediamo! uno sicuramente fu l'avanzata turca, dopo la caduta di Costantinopoli, nel 1453. i turchi erano una minaccia, soprattutto negli scali commerciali veneziani, nel Mediterraneo orientale
LEI - già; l'altro motivo poi fu il declino generale delle industrie italiane e l'impiantarsi di industrie analoghe nel nord Europa
LUI - quindi.. concorrenza .. E lo sviluppo delle città portuali del mare del Nord, che intaccarono il predominio veneziano sul commercio via mare??
LEI - E la scoperta dell'America? che spostò il traffico commerciale dal Mediterraneo all'Atlantico? penalizzò non poco la città lagunare!.
LUI - bè, ma allora con un tale disastro non si capisce come mai l'attività artistica, invece, ebbe un tale sviluppo!
LEI - è vero, ma c'è il risvolto della medaglia. nonostante tutto, Venezia restava sempre il più fiorente scalo commerciale italiano...il suo ruolo di tramite ovest-est lo manteneva, sia pure tra grosse difficoltà. La cosa più importante è che Venezia si espandeva sulla terraferma, si assicurava così le derrate alimentari e le materie prime di cui aveva bisogno
LUI - ho capito... é questo che l'ha salvata da una vera e propria decadenza
LEI - proprio così. l'espansione sulla terraferma fu determinante per Venezia, soprattutto per le sue conseguenze sul piano culturale. Dialogava e si scontrava con gli altri stati, s'inseriva nei conflitti locali, nelle questioni dinastiche. Terminava così un isolamento secolare
LUI - quindi Venezia, anche se in ritardo, risente della ventata umanistica di Padova. E' da questa...contaminazione che ha dato frutti del tutto originali sul piano artistico e letterario...chiaro!
LEI - per prima cosa, l'architettura! Nell'architettura il linguaggio classico ebbe forme originali. Soprattutto nelle opere di Antonio Rizzo, Pietro Lombardo, e Mauro Codussi, architetti appunto
LUI - e nella pittura?
LEI - Quanto alla pittura, lo sviluppo della vicina Padova, prima, e l'opera veneziana di Antonello da Messina, poi, permisero la formazione di una rinomata scuola locale ...e Giovanni Bellini ne fu la sua punta più avanzata
LUI - eccoci a lui, il genio della pittura quattrocentesca veneta! insieme al Mantegna, è certo il maggiore pittore dell'Italia settentrionale.!....Il colore ....la luce...la sua splendida ossessione! se si pensa infatti agli altri membri della famiglia Bellini, Jacopo e Gentile ....
LEI - e poi i Vivarini, Vittore Carpaccio, Cima da Conegliano, rivolsero tutti, è vero, il loro interesse al colore e alla luce
LUI - ...con quelle magiche visioni cromatiche di paesaggi lagunari
LEI - E tutto grazie alla lezione di Piero della Francesca e di Antonello da Messina
LUI - già, è vero, senza di loro...Ma si può dire come molti sostengono, che Venezia sia la patria del colore, mentre Firenze lo è del disegno? Non è eccessivo?
LEI - forse è eccessivo dirlo, sì, perché tutti i maggiori artisti veneti, da Giovanni Bellini a Carpaccio furono in realtà anche dei grandissimi disegnatori. però è anche vero che a Venezia prevalevano i valori cromatici, gli effetti coloristici
LUI - A Firenze, in pratica, il colore si utilizzava per sovrapporlo alla forma plastica del disegno; a Venezia, il contrario: la forma costituiva un tutt'uno con il colore. Giusto?
LEI - sì, se poi si vuole intendere il termine disegno in senso lato, come disegno mentale, concetto, ispirazione, è un dato di fatto che a Firenze si voleva dare veste pittorica a concetti astratti
LUI - si tendeva a una pittura metafisica quasi. del resto, col neoplatonismo imperante.....
LEI - ....mentre a Venezia si voleva mantenere un più stretto contatto con la realtà naturale
LUI - questo comunque non vuol dire che la cultura filosofica e a maggior ragione quella figurativa non fosse, per molti aspetti, simile a quella fiorentina
LEI - sì, sì, certo, ma a Venezia il platonismo fiorentino attecchì con qualche fondamentale differenza: divenne il substrato culturale di una società estremamente raffinata e civilizzata, desiderosa più di comunicare e comprendere il mondo piuttosto che rappresentare ideali rinnovati sì, ma astratti
LUI - e in effetti l'architettura è l'esempio lampante di quello che dici. Venezia fu la città italiana che oppose maggiore resistenza all'introduzione dei sistemi costruttivi originati in Toscana
LEI - lo si può anche capire. Aveva alle spalle una tradizione bizantina, araba, gotica, un insieme di stili che avevano segnato e caratterizzato a fondo l'aspetto urbano, difficilmente poteva accettare l'intrusione di stili troppo diversi
LUI - è chiaro, quindi, perché questa città, popolosissima, era bloccata nello sviluppo urbanistico e architettonico...e lo è ancora..
LEI - eh già, non può espandersi più di tanto. oltre i limiti delle sue fondamenta insulari, ogni intervento edilizio doveva e deve per forza di cose inserirsi in un contesto già ingombro di edifici, già tutti ben caratterizzati
LUI - I veneziani in sostanza sapevano che una nuova opera edilizia non poteva isolarsi dal contesto urbano. La facciata di un nuovo palazzo patrizio doveva affacciarsi sul Canal Grande a schiera con le altre facciate
LEI - una chiesa avrebbe trovato a stento un campo che la isolasse dal resto della città
LUI - Il rapporto con gli edifici esistenti era quindi un problema fondamentale
LEI - Questo spiega perché nel secondo Quattrocento, malgrado un intensa attività edilizia, non ci fu a Venezia un rinnovamento urbanistico, vi dominò uno stile di compromesso tra il gotico e il rinascimentale
LUI - però trionfò, anche lì, nell'architettura, il tono coloristico, chiaroscurale di cui parlavamo..
LEI - E' questa, in fondo, la caratteristica comune alle opere, del resto tanto diverse, degli architetti Rizzo, Lombardo e Codussi. in pratica non volevano le forme limpide e cristalline o le superfici stabili dei fiorentini, ma pareti traforate, forme vivaci e mosse, fatte apposta per specchiarsi nell'acqua dei canali ..
LUI - conosco bene... quegli effetti da caleidoscopio, è un continuo farfallìo di colori, di piani frantumati, di atmosfere che si incrociano...ah! Che nostalgia! chi sia andato a Venezia, sa di cosa parlo
LEI - io penso che l'incanto di Venezia è dovuto proprio a queste caratteristiche coloristiche, e del resto si rispecchiano in modo evidente anche nella pittura dello stesso periodo
LUI - secondo me si tratta di quel fascino tipico di quando si incrociano più culture, diversi modi di rappresentare se stessi...se ci pensiamo era un vero e proprio crogiuolo! La cultura bizantina, quella gotica, la fiamminga... inserite nella cultura rinascimentale hanno fatto il botto, veramente! In termini di splendore della rappresentazione...come in uno spettacolo pirotecnico
LEI - del resto già prima che Giovanni Bellini aprisse gli orizzonti della pittura veneta rinascimentale, ci avevano pensato suo padre Jacopo e suo fratello maggiore Gentile, pittori di cultura ancora tardogotica, portarono nella Serenissima le basi di una nuova luminosità, questo è certo!
LUI - due parole su Giovanni Bellini, posso? nato nel 1432 circa, morì nel 1516. insieme al cognato Andrea Mantegna, fu il maggior pittore dell'Italia settentrionale. Inventò, assieme ad Antonello da Messina, un modo nuovo di dipingere, sul piano formale ma anche iconografico: da esso discese lo stile dell'arte veneta almeno sino al XVIII secolo. Punto.
LEI - beh! Una sintesi un po' troppo sintetica, ti pare? Aggiungo qualcosa?
LUI - ma certo, mia cara, ben venga ogni tua erudita postilla alle mie lacunose informazioni
LEI - non fare il modesto! E...non mi prendere in giro!
LUI - dai! Illuminaci, visto che stiamo in tema!!
LEI - d'accordo, meglio non insistere...dunque...volevo dire che il Bellini non fu un genio precoce come Mantegna, la sua carriera fece una costante e strabiliante progressione, fu graduale.. dal momento dell'esordio fino agli ultimi anni.
LUI - ...e siccome visse circa 84 anni, ne ebbe di tempo!..
LEI - non era poco per quel periodo arrivare a quella età!
LUI - Fu un pittore che possiamo definire sperimentale?
LEI - direi proprio di sì, nel senso che non volle mai accontentarsi dei risultati raggiunti, mirò sempre a perfezionare, perfino a rivoluzionare il proprio stile. consolidati i risultati raggiunti ne faceva la base per ulteriori avventure formali
LUI - certo che mi affascina pensare all'incontro col Mantegna, deve essere stato fulminante...in termini di reciproco interesse...professionale ovviamente...
LEI - del resto si sono dati parecchio l'un l'altro
LUI - A parte che divenne uno di famiglia, perché sposò, nel 1453, la sorella di Giovanni. Nicolosia si chiamava, non è chiaro però chi prese di più dall'altro..
LEI - certamente Mantegna comunicò a Giovanni Bellini i suoi ideali figurativi umanistici: la figura umana ben definita plasticamente, scolpita quasi in una materia dura e tagliente, il paesaggio aspro e definito
LUI - comunque Giovanni non si fece influenzare più di tanto!
LEI - certo, quel che è più importante, non lo riprese acriticamente, lo adattò invece al proprio modo di sentire e di concepire l'espressione artistica
LUI - infatti. Alcune cose sono evidenti, ad esempio: niente enfasi per l'archeologia, cara al Mantegna, ma il gusto personale per la natura e il paesaggio; rivaluta il colore, che Mantegna subordinava al disegno
LEI - e, in particolare, accentua la naturalezza rispetto alle astratte cromìe di smalto di Andrea
LUI - diciamo che inserì il sentimento e la comunicatività nell'austerità del Mantegna
LEI - eh, sì, era troppo monumentale il Mantegna per Bellini
LUI - e poi lo spazio, vuoi mettere quelle ambientazioni così chiuse, definite del cognato, rispetto alle sue aperture verso spazi illimitati, quasi infiniti
LEI - È importante capire le differenze tra Andrea Mantegna e Giovanni Bellini in questa fase: solo così si intende il senso del forte scarto che Bellini fece negli anni successivi, verso la dimensione del colore, della natura, del sentimento
LUI - fu lenta ma decisa la sua evoluzione artistica... grandi artisti tutti e due, comunque...
LEI - altrochè! Facciamo un esempio. Parliamo della Trasfigurazione di Cristo, eseguita poco dopo il 1455
LUI - qui, certo, è molto visibile il peso determinante della poetica del Mantegna
LEI - indubbiamente! Ma al di là degli aspetti formali - come la linea angolosa e frammentata nel disegno della roccia nuda, il taglio nelle pieghe dei vestiti, la linea precisa nell'indicare un paesaggio scarno ed essenziale - c'è lo stesso senso simbolico di mistero che si avverte nelle composizioni religiose di Mantegna. è solo una assonanza poetica e basta, niente di più, per il resto....
LUI - sì, perché tutto è concentrato sulla spiritualità dell'immagine, vero? metti l'atteggiamento del Cristo: benedicente, in cima alla composizione, ricorda piuttosto uno stile bizantino, reso magari più espressivo, meno ieratico. e poi, l'ambientazione? Diciamo che è ben lontano dagli ambienti storici e monumentali di Mantegna
LEI - non c'è dubbio, l'archeologia, ampiamente utilizzata dal Mantegna, era raramente impiegata da Bellini; e quando è accaduto, ha un valore più che altro decorativo
LUI - Soltanto nelle opere più tarde Bellini aderirà a propria volta, come avremo modo di vedere, alla tematica mitologica cara a Mantegna
LEI - sì, ma la reinterpreta in tono libero, perfino scanzonato
LUI - Per Bellini, giovane e maturo, la verità religiosa non doveva confrontarsi con la storia ma con la natura. E' questa la sua convinzione
LEI - e la sua forza. Prendiamo ad esempio la Pietà o il Cristo sorretto dalla Madonna e da San Giovanni
LUI - quello che sta alla Pinacoteca di Brera, a Milano? Fantastico!
LEI - ecco, dipinta verso il 1460 chiude la fase giovanile mantegnesca. Non che lo stile di Mantegna fosse di colpo abbandonato. Nelle figure si rileva ancora una durezza scultorea che rimanda ad Andrea e, attraverso di lui, a Donatello. Ma l'intenso dolore umano della Madonna e di Giovanni, il terreo abbandono del Cristo morto non sono più idealizzati
LUI - affatto, anzi! non vi è nulla di dogmatico in quest'immagine religiosa, si tocca con mano un pathos umano, contenuto, sofferente,...sottolineato dal gioco degli sguardi e dal movimento delle mani
LEI - L'importanza del quadro non sta solo perché sancisce l'autonomia dal Mantegna. La Pietà di Brera rappresenta soprattutto un qualcosa di attuale, un martirio compiuto oggi, tanto l'immagine è di una umanità..... senza confini di tempo, mi spiego?
LUI - eccome! e' indimenticabile quel volto dolorosamente interrogativo della Madonna. e lo sgomento dello sguardo di Giovanni? velato da una tristezza ....come se stesse per scoprire allora, in quel momento estremo, che la vita può pure finire. Ineluttabile. Grandioso
LEI - E le ferite di Cristo, sanguinanti, sono come la traccia realistica del delitto commesso. Gli uomini e la natura, così sobria e malinconica, è tutto proiettato nel mito cristiano
LUI - certo che questa caratteristica del Bellini, il pathos intensamente trattenuto, dignitoso.....lo ritroviamo poi, tramite Giorgione, nell'arte veneta del Rinascimento maturo
LEI - Posso sintetizzare?
LUI - fai pure
LEI - direi che lo scarto di Giovanni rispetto a Mantegna si basa sul recupero della luce e sulla rappresentazione del sentimento umano, caratteristiche queste tipiche dell'arte fiamminga
LUI - ah! Ci risiamo coi fiamminghi! Anche Bellini quindi, come Piero della Francesca e Antonello da Messina, ha a che fare con l'arte delle Fiandre!
LEI - del resto l'incontro è stato più che proficuo per tutti gli artisti del rinascimento italiano, come del resto lo è stato per loro, i pittori fiamminghi
LUI - è reciproco insomma! e allora? Dov'è che è palese il divario tra Bellini e Mantegna, dove avviene il distacco completo?
LEI - eccoci al Polittico di San Vincenzo Ferrer, nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, iniziato nel 1464. Qui è chiara la divergenza ormai decisiva rispetto a Mantegna. A dirne una, le figure dei santi delle tavole maggiori, acquistano plasticità grazie ad un'illuminazione unificante che proviene dal basso...
LUI - impensabile per il Mantegna, certo. il polittico, cioè, non è collegato nelle sue parti dalla prospettiva, come aveva fatto Andrea nella pala di San Zeno, ma dal preciso e unico riferimento a un'unitaria fonte luminosa. Accidenti la differenza è abissale, direi!
LEI - non hai torto, in questo momento Giovanni Bellini era già il più aggiornato e affermato pittore veneziano. Jacopo Bellini e Antonio Vivarini erano troppo vecchi per competere con la sua arte; Gentile Bellini, il fratello maggiore, non aveva superato lo scoglio del mantegnismo; Bartolomeo Vivarini si era dato agli eccessi stile Squarcione, senza la pacata grandiosità del Bellini. Solo Giovanni aveva saputo liberarsi con originalità dalle origini padovane
LUI - del resto noi sappiamo che fu capitale per Bellini l'incontro con l'arte di Piero della Francesca e poi con quella di Antonello da Messina !
LEI - ah beh, non c'è dubbio! ne possiamo cogliere i frutti nella cosiddetta Pala di Pesaro, o Incoronazione della Vergine, e nella pala di San Giobbe o Sacra conversazione
LUI - precisa sei! Parliamo dell'Incoronazione della Vergine...che è quella che mi affascina di più. quando Giovanni andò ad Urbino, mi pare che fu proprio negli anni in cui Piero della Francesca inseriva di luce...diciamo così.. fiamminga i volumi geometrici delle figure e le architetture in prospettiva
BELLINI - avete ragione, andò proprio così
LUI - oh, salve, ma spuntano sempre così senza preavviso?
LEI - ma sai, il nostro satellite è piazzato a captare il passato e una volta che apriamo la trasmissione, possono fare quello che vogliono, la trasmissione è loro, del resto!
BELLINI - scusate, ho disturbato?, volevo solo dire due cose e poi vi lascio. Mi preme sottolineare soprattutto quello che mi differenzia da mio cognato Andrea. Il mio problema era come uscire dai grafismi e dalle durezze del chiaroscuro del mio illustre cognato. Tanto di cappello a lui, per carità, con tutto quello che ho appreso dalla sua arte, ci mancherebbe! ma io avevo altre esigenze, non c'è niente da fare, quando si rincorrono i propri ideali espressivi niente ci può fermare e condizionare. Si va dritti per la propria strada, no? Io volevo dar respiro spaziale alle composizioni, questa era la mia prima esigenza; come combinare figure e sfondo in un insieme di monumentalità, una monumentalità però piu' naturale, piu' nobile, familiare quasi...il sentimento tragico di mio cognato mi ha sempre lasciato timoroso e distante...io vedo il mondo in un altro modo, che ci volete fare
LUI - per carità, a noi e non solo a noi va benissimo così, maestro, sei per noi un ...faro...un faro di luce. Piuttosto, a proposito di luce è vero che per te, maestro, fu determinante abbandonare la tempera per il colore a olio?
BELLINI - sì, ormai avevo imparato bene la tecnica fiamminga e quindi me lo potevo permettere. Difatti, non so se notate, nella pala di Pesaro i personaggi sono investiti da una brillante luce solare, e cosa credete!, solo con la pittura ad olio si potevano dare quegli effetti luminosi!. È così che si esalta la lucentezza dei manti, del pavimento a lastre policrome, del finestrone che inquadra il Cristo e la Vergine
LUI - è vero, qui non ci sono affatto le fitte ombre stile Mantegna, sono colorate, liquide e vibranti, invece, le ombre; la scena non è occupata da corpi plastici inseriti nello spazio. Al contrario. vi sono esaltati i vuoti, gli intervalli... percorsi da raggi luminosi
BELLINI - ma sapete, è lo spazio...rendere la spazialità, questo era la mia scoperta e la mia ricerca, ed anche quella di Antonello, quando tutti e due ci siamo letteralmente abbeverati alla medesima fonte del grande Piero. Trovammo finalmente i mezzi prospettici e cromatici, grazie alla sua lezione e poi, chiaro, abbiamo anche noi la nostra personalità...l'abbiamo corretta in senso piu' naturalistico
LUI - e' evidente nella pala di Pesaro, disposizione geometrica sì, ma di figure in carne e ossa, sono tipi umani reali il fiero san Paolo o il rude san Francesco....il suo volto è perfino scurito dall'ombra della barba mal rasata!
LEI - piu' idealizzati sono invece i protagonisti, Cristo e la Vergine, isolati davanti alla finestra aperta verso una limpida visione della rocca di Gradara
BELLINI - chiaro! Tutta la pala è congegnata per esaltarli, quei due volti, il riquadro centrale è messo in risalto dalla grande spalliera marmorea, e poi piu' esterna, l'importanza della cornice, che io stesso realizzai, non vi pare che dia un tono ieratico al tutto?. ma è il ritmo che io volevo rendere, la scansione tra pieni e vuoti, tra figure e paesaggio, tra luci e cose. Perbacco, ci sono riuscito o no?
LEI - non sta a noi dirlo. È sufficiente credo la soddisfazione che sento nelle tue parole. Eri tu che dovevi essere convinto di quello che facevi
BELLINI - su questo potete star certi, ero convintissimo e soddisfatto, direi quasi orgoglioso, non lo nego
LUI - comunque credo che tu, maestro, con quell'opera hai dato una importante lezione anche ad Antonello da Messina, basta vedere la sua Pala di San Cassiano per riconoscere la tua influenza, ti pare?
LEI - altrochè, Antonello fece fruttare la lezione belliniana non solo nella pala di San Cassiano, ma anche nel San Sebastiano, nella Crocefissione. Maestro, dal canto tuo, hai ricevuto anche tu qualcosa da Antonello? forse un potenziamento delle tue doti di paesaggista?
LUI - forse anche più abile, grazie alla tua formazione mantegnesca, perché sei riuscito a conciliare la grandiosità delle figure con la nobiltà di sentimenti gravi e insieme delicati
BELLINI - bello e confortevole quello che dite, e tutto vero, devo molto ad Antonello e forse lui a me. Non c'è dubbio, io ogni volta che mi confrontavo con uno di valore ne volevo prima di tutto scoprire i segreti tecnici, la logica della composizione e le motivazioni espressive. Una volta fatto questo, dimenticavo tutto e facevo mio quello che si adeguava alle mie esigenze, alle mie avventure stilistiche. Sapete, quando c'è la passione che ti sostiene e ti guida, hai solo da concederti, lasciarti andare e governare al meglio gli strumenti che hai avuto la fortuna di possedere e incamerare. E' così che la vedo io
LEI - un altro esempio della tua autonomia e maturità stilistica è certamente il San Gerolamo
LUI - quello a Palazzo Pitti! Ce lo descrivi tu, maestro?
BELLINI - volentieri: il santo è completamente immerso in un paesaggio dalle tonalità brune. le rocce, l'erba, la lucertola, il corpo del santo, ho voluto descriverli in modo particolarmente accurato, di lontano uno sfondo urbano che sembra faccia parte della roccia stessa, perché, sapete, il mio intento era proprio quello, fare protagonista la roccia
LUI - e ci sei riuscito eccome! Con quella magica luce sembra viva! E' così che sei diventato il più straordinario pittore di paesaggio dell'Italia quattrocentesca; soltanto nelle opere di Antonello o dei lombardi si trova qualcosa di simile ai tuoi fondali, non certo paragonabili per grandiosità di concezione
BELLINI - se mi permettete, posso dire che a me premeva dare un senso di serenità religiosa nei miei paesaggi
LEI - un senso panteistico, divino, della natura
BELLINI - sì...desideravo rappresentare un rapporto armonioso tra l'uomo e il creato, erano le concezioni religiose del mio periodo, quelle immanentistiche, ottimistiche, libere da contrasti drammatici, tipiche dei veneziani, chiaro?
LUI - chiarissimo, concezione questa che da te, maestro, passerà tramite Giorgione nell'arte veneta di tutto il Rinascimento maturo
BELLINI - può darsi, ma forse piu' di altre mie opere credo che dovete prendere in considerazione la Pala di San Giobbe o Sacra conversazione
LEI - già! quella che inaugura la grande stagione del classicismo veneziano: la monumentalità dell'impianto, la regalità delle figure inserite in uno spazio reale
BELLINI - cari miei, per me e per Antonello, l'esperienza di Piero della Francesca, in questo senso è stata davvero determinante. E' sulla scia della Pala di Brera di Piero infatti che ci siamo dedicati alle nostre sacre conversazioni
LUI - Ma perché si chiamavano così? Cos'era, qualcosa tipo i nostri talk show televisivi?
BELLINI - non ne ho idea, può darsi! Di fatto era un modo per mettere insieme, quasi sullo stesso piano, sacro e profano, uomini laici magari viventi e uomini santi... come se stessero in un cenacolo a parlare di cose sacre, raccolti in semplice venerazione intorno al Cristo oppure alla Maria Vergine. Di questo si trattava. Erano i committenti che lo esigevano, anche perché spesso erano interessati a parteciparvi a queste conversazione...
LUI - lo credo, consapevoli com'erano dei capolavori realizzati, sarebbero rimasti nella storia grazie a voi!
LEI - torniamo alla Pala di San Giobbe. La tecnica e lo schema iconografico è quello di Antonello, ma qui c'è maggiore solennità, direi. la Vergine, pur umanissima, è divenuta una figura regale: un'imperatrice bizantina sembra, tradotta nel più puro linguaggio rinascimentale
LUI - e' la luce straordinaria! La luminosità dell'impianto, tanto più per quei bagliori dei mosaici dorati dell'abside. Certo che è veramente nuova questa maestosità di forme grandiose costruite per forza di luce
LEI - E' qui il vero atto di nascita del classicismo veneziano. Il periodo tra il 1485 e il 1490 è punteggiato da straordinari capolavori. maestro, hai ripreso ed elaborato la sintesi antonelliana di monumentalità e luminosità
BELLINI - è vero, il mio scopo era proprio questo. Vi faccio un altro esempio: la Madonna tra le sante Caterina e Maddalena. E' un olio su tavola che realizzai attorno al 1490... i tre volti femminili, li ho resi molto dolci, si stagliano su un fondo scuro, la luce radente che modella i tratti, delicatamente, accende i gioielli con cui sono ornate le sante e trascorre morbida sopra le vesti di raso. Ecco questo calore, così intimo, questa religiosità così naturale, per di più le figure sono a mezzo busto, all'apparenza direste che non c'è niente di monumentale in ciò, ebbene la mia sfida era invece quella di poter conciliare questo calore quasi domestico con il senso ieratico e monumentale dato dalla composizione. Ci sono riuscito? Non so, so soltanto che questo volevo e questo ho fatto
LUI - accidenti, è proprio questo che si voleva dire, ci sei riuscito talmente bene che è stato molto difficile per i tuoi posteri in arte superarti. Hai inventato in pratica un nuovo genere artistico
LEI - bisogna aggiungere che l'inventività dei soggetti di queste composizioni poteva contare sullo stimolante rapporto con una committenza aristocratica, raffinata, che richiedeva opere religiose non vincolate dagli schemi tradizionali
BELLINI - ahh! Questo è sicuro, i più tradizionalisti si accontentavano delle Madonne con il Bambino, richieste in gran copia; ma committenti più audaci mi hanno stimolato a inventare nuove iconografie, a sperimentare nuove opere
LUI - diciamo che ormai, maestro, eri un pittore versatile ed eccelso in ogni campo
LEI - Trionfavi nelle drammatiche Pietà, ad esempio, tra le quali è bellissima quella degli Uffizi, verso il 1500
LUI - Eri un grandissimo ritrattista, sapevi dare un profondo naturalismo insieme ad un alto senso di dignità sociale. Uno per tutti il Ritratto del doge Leonardo Loredan. magistrale!
LEI - Eppure, giunto a settant'anni, non eri ancora pago dei risultati raggiunti, vero??, come mai?
BELLINI - non so non so, certo ormai premeva la nuova generazione, quella di Giorgione e di Tiziano, i quali proprio da me avevano appreso a valorizzare nei dipinti l'elemento coloristico; loro intendevano però anche andare oltre il tipo di luminosità a me cara, lo vedevo ogni giorno, visto che stavano in bottega da me, volevano conseguire una cromìa più calda, corposa, che addirittura desse corpo al pulviscolo dell'atmosfera. E io che feci? Beh! Non mi tirai certo indietro. Ci provai anch'io!
LUI - Ho capito!! Quel capolavoro sommo, quell'altra Sacra conversazione, quella che hai fatto per la chiesa di San Zaccaria a Venezia, nel 1505
BELLINI - esatto. Qui vi riprendo lo schema della pala di San Giobbe, ma, abbandono ogni grafismo, investo l'immagine con una luminosità di valore ormai tonale, secondo le nuove tendenze alla Giorgione. Vedete come è piena la fusione di figure e sfondo, tutto è plasmato con un unica sostanza: la luce che sfuma, tutto tocca, rivela, svapora
LEI - Non a torto il cronista veneziano Marin Sanudo nel 1507 dichiarava Bellini il "più excellente pitor de Italia". Avevi percorso una strada lunghissima, dagli estremi bagliori del tardogotico, al più moderno accordo quattrocentesco di forma e colore, al cromatismo tonale e alla grandiosità classica del pieno Rinascimento cinquecentesco. Quanti passaggi hai vissuto!
LUI - e quanti capolavori ci hai lasciato! Il 29 novembre 1516, Marin annotava nei suoi Diari: "Se intese, questa matina esser morto Zuan Belin optimo pitor, la cui fama è nota per il mondo, et cussì vechio come l'era, dipenzeva per excellentia." Scusa la pronuncia...
LEI - Le tue conquiste stilistiche, maestro, sopravvissero per molti anni, hai avuto molti allievi....
LUI - che ne dici Maestro della tua fama? Maestro? Maestro..
LEI - è andato..
LUI - forse perché ho evocato la sua morte?...si è offeso.. lo vado a cercare...Maestro, maestro!
LEI - non ti preoccupare, non si è offeso, uno spirito libero come lui....figurati
LUI - dici? Avrà capito che è finita la puntata, allora..
LEI - la sua puntata, sì