Sin dalla seduta del 13 giugno, davanti agli sconfinamenti,
io grido l’alt con queste precise parole: «se dall’episodio tristissimo
si cercasse di inscenare una speculazione di ordine politico che dovrebbe
investire il governo si sappia chiaramente che il governo punta i piedi,
che il Governo si difenderebbe a qualsiasi costo»...
Supplemento del 16 giugno del «Popolo d’Italia».
Armamento di tutta la Milizia. Concentramento di tre legioni a Roma, tentativi
di sciopero generale abortitissimo. Il pericolo di una rivolta di piazza
è scomparso. Il tutto si ridurrà ai dieci minuti di silenzio
del 27 giugno.
Ma prima il 24 io debbo vincere una battaglia al
Senato. Battaglia pericolosa. Nel mio discorso dichiaro che il governo
resta al suo posto, che non si può pensare a sciogliere la Milizia,
che l’ipotesi di nuove elezioni è assurda.
Il Senato mi vota la fiducia con 225 voti favorevoli,
21 contrari e 6 astenuti. Voto importantissimo, oserei dire decisivo. Il
Senato, in un’ora difficile, nel pieno della tempesta politica e morale,
si schierava quasi unanime col Governo. Ciò serviva da indicazione
alla Corona. Ma se il Senato era oramai a posto, cioè aveva definito
il suo atteggiamento e si era oramai inesorabilmente impegnato, la Maggioranza
parlamentare appariva incerta e bisognosa di una parola. Il che feci
all’indomani 25 giugno 1924 nella Sala del Concistoro a Palazzo Venezia,
presenti ben 341 deputati su 381. È in questo discorso che io smentisco
l’esistenza della Ceka, che dichiaro che non è nemmeno da pensare
allo scioglimento della Milizia o della Camera e dico testualmente:
«A tutte le richieste dell’opposizione, credo
che il Governo non possa rispondere che un no fermo categorico solenne».
E a proposito della secessione Aventiniana dichiaro che
«la maggioranza non può subire il ricatto delle minoranze».
Per acclamazione viene votato il seguente o. del
g. «La maggioranza parlamentare, udite le dichiarazioni del Capo
del Governo, gli riconferma la sua piena fiducia e devozione».
Dopo il voto del Senato ecco la Magg. che fissa il suo
atteggiamento e salva la sua compagine. Anche questa è una indicazione
per la Corona.
Mese di luglio
Il cadavere non si trova – La tensione aumenta –
Le accuse di affarismo dilagano. È il 22 luglio che si tiene una
sessione del Gran Consiglio. Vi pronuncio un discorso che fu approvato
per acclamazione. Delle opposizioni parlo nei termini seguenti «La
verità è che i parlamentari non possono fare altro che passivamente
attendere e i non parlamentari non possono che votare degli ordini dei
giorno coi quali ingannano a loro volta l’attesa. Né gli uni, né
gli altri sono in grado nemmeno di pensare di rovesciare il governo fascista.
Voto parlamentare ed insurrezione antifascista sono entrambi impossibili».
Profetico!
Si parlava molto di normalizzazione, ma io preciso
«La normalizzazione significa fare il processo al regime? Allora
noi rispondiamo che il regime non si fa processare, se non dalla storia.
Posto in questi termini non esiste piú un problema di normalizzazione,
ma un problema di forza tra fascismo e antifascismo. Se l’antifascismo
è normalizzatore, il Fascismo non può non essere, per ovvie
ragioni di vita, che antinormalizzatore».
È in quel discorso che io anticipo di sedici
mesi la legislazione sindacale, dichiarando testualmente che «il
Fascismo deve elaborare quegli istituti mediante i quali la Corporazione
dovrà essere riconosciuta giuridicamente e innalzata come una forza
dello Stato».
Il 2 agosto
si apre nella Sala del Concistoro a Palazzo Venezia la sessione del Consiglio
Nazionale del PNF e io saluto gli intervenuti, con questo esordio: «Signori
mentre mi accingo a parlare dinnanzi a voi io sento diretti verso di me
gli stiletti sottili del PP, le rivoltelle nuove fiammanti del liberalismo
tripartito ed eziandio i tromboni della socialdemocrazia».
Dopo aver ricordato che nel Risorgimento italiano
c’è di tutto, non escluse le bombe di Felice Orsini, dichiaro che
l’allontanamento dei fiancheggiatori non deve dolerci e che l’ordine del
giorno d’Assisi non mi piace. Concludo col dare la parola d’ordine: Vivi
pericolosamente!
Intanto il 7 agosto i Combattenti di Roma, per protestare
contro Assisi, vengono in corteo a Palazzo Chigi. È la prima manifestazione
pubblica a Roma. Si rompe l’atmosfera greve del Lungo Tevere.
Discorso dell’8 [sic] agosto al Consiglio Nazionale.
«Se le opposizioni non riusciranno ad agganciarmi
– come non riusciranno – allora vedrete questa gente scendere in file disordinate
dai loro rifugio».
È in questo Consiglio Nazionale che sorge
la Commissione dei 15 per le riforme legislative.
Il 16 agosto col ritrovamento del cadavere dilegua
un incubo atroce.
Il 26 agosto riprendo contatto col popolo fascista
nel Casentino, a Poppi, nel castello dei Conti Guidi e a Bibbiena.
Il 31 agosto la cerimonia di Monte Amiata acquista
una particolare importanza. Dico a quei bravi minatori.
«Vi assicuro che il clamore delle opposizioni
è molesto, ma perfettamente innocuo. Le opposizioni tutte insieme
sono perfettamente impotenti. Il giorno in cui uscissero dalla vociferazione
molesta per andare alle cose concrete, quel giorno noi, di costoro, faremo
strame per gli accampamenti per le Camicie Nere».
Grande emozione – tentativo di dimissioni di Casati e
Sarrocchi. Colpo di sonda.
Giorno 11 sett. Assassinio di Casalini. 16 sett.
viaggio a Napoli e discorso al popolo – Accoglienze entusiastiche ad Ischia,
Sorrento, Castellammare, Torre A. 20 sett. Rimini.
22 settembre – passaggio a Ferrara. Immensa folla.
23 sett. Vicenza e altipiano di Asiago.
4 ottobre discorso del Cova dietro invito della
Costituzionale. Preannuncio della Riforma Costituzionale «Non vogliamo
toccare i muri maestri, ma la sistemazione interna è necessaria
nell’Italia di oggi che non è piú quella del 1848 ».
Manifestazione di Lodi – discorso a Milano inaugurale
del 4° Congresso Nazionale dei dottori Commercialisti – discorso a
Legnano agli operai della Tosi, a Gallarate a un popolo immenso.
12 ottobre – Visita a Rieti – e discorso sull’ulivo
che ha la foglia dolce e sottile, ma anche il legno aspro e duro.
Pomeriggio Aquila
23 ottobre Busto Arsizio.
27 ottobre Bergamo e Dalmine – Folle immense.
28 ottobre – Milano – Appuntamento nella stessa
piazza per l’anno successivo.
28 ottobre pomeriggio Pallanza.
29 ott. Cremona.
«Non saranno poche decine di politicanti che
possono fermare colle loro dighe cartacee il corso impetuoso di questo
fiume; non saranno i signori dell’Aventino, scendano o non scendano,
della qual cosa, del resto, io mi strainfischio, poiché non ci impedirà
di discutere a Camera aperta i grandi problemi che interessano il popolo
italiano: i problemi della sua economia, della sua finanza, i problemi
imponenti della sua difesa militare per terra, per mare, per cielo, né
di dare le savie e oneste leggi che il popolo attende».
Discorso a Pescarolo
31 ottobre a Roma «Fra poco, quando si saranno
accorti che è inutile e che alla fine è stupido mordere il
macigno, credo che sulle pendici dell’Aventino sarà issato
un cencio bianco e sentiremo dire come gli austriaci: bono fascista.
Noi aspettiamo tranquillamente, con assoluta certezza questo giorno».
11 novembre 1924. Discorso alla Sala Borromini, presenti 328 deputati
+ 35 aderenti. Si trattava dopo quattro mesi di tastare il polso alla maggioranza
e di saggiare il suo stato d’animo – Poiché si era accennato a un
invito che la Presidenza della Camera, avrebbe rivolto all’Aventino io
dichiaravo «La cosa è di un assurdo evidente. La Camera può
funzionare e funzionerà malgrado gli artificiosi atteggiamenti degli
avversari. Voi dovete prendere questo solenne impegno di fronte alla Nazione,
di fronte alla Storia. Gli assenti hanno e avranno torto».
22 novembre. Camera dei Deputati. In esso discorso sostengo
la necessità della riforma dello Statuto e la opera dei 15 che chiamo
«uomini che hanno un alto senso di responsabilità nazionale
e morale; non improvvisati della ultima ora; uomini di dottrina e di vasta
esperienza politica».
E piú oltre
«Pensate che sia giunto il momento di governare
senza il Fascismo o, peggio contro il Fascismo? Disilludetevi!»
5 Xbre. Discorso al Senato.
(30 novembre Circolare ai Direttori)
C’era stato un attacco in forze contro la Milizia
da parte dei Generali dell’Esercito, da Giardino a Zuppelli a Tassoni.
Rivendicai il diritto e la necessità di avere la Milizia ai miei
ordini «Nel giugno scorso – dissi – lo sciopero che si tentava a
Roma – e i muratori avevano già abbandonato i cantieri – gelò
non appena sfilò per il corso la legione Ferrucci di Firenze. Tutti
capirono che non c’era da scherzare ”.
E piú oltre
«Si dice che il liberalismo fiorisce. Non
me ne sono mai accorto».
E ancora in risposta a Crispolti
«Nessuno vuole attentare ai muri maestri della
Costituzione. Ma la nazione si è ingrandita, la Nazione è
diventata potente, sono sorti altri istituti, c’è tutto un movimento
sindacale corporativo economico che, introdotto nella Costituzione, allargherebbe
le basi dello Stato».
Dopo avere polemizzato e distrutto la tesi albertiniana
di un governo di militari «Non credete, non credete che il Fascismo
sia vicino al tramonto. Sarebbe un errore colossale. E la storia si incaricherà
di dimostrarvelo!»
Nella stessa occasione, io stritolavo l’incauto senatore
Lusignoli, il quale non si è piú riavuto da quella improvvisa
tegola.
E infine
«Che cosa si propongono i signori dell’Aventino?
Di non scendere. Bene. La Camera funzionerà lo stesso. Alla insurrezione
non ci pensano: del resto sarebbe soffocata».
E poiché si parlava di fiducia condizionata
io concludevo dichiarando che a questa preferivo la «netta sfiducia».
L’11 Xbre parlai nuovamente al Senato in tema di
politica estera, fra il consenso generale.
Verso la fine di dicembre la situazione poteva cosí
sintetizzarsi
a) le masse ondeggianti del popolo si erano riaccostate
al Fascismo
b) la nausea dello scandalismo era oramai all’estremo
in tutta la Nazione
c) le opposizioni non erano uscite dalle trincee dei loro
giornali e dei loro ordini del giorno e ad esse come ho dimostrato non
si era fatto la minima concessione
d) la Corona – per quanto bersagliata in ogni modo e fatta
oggetto di inaudite pressioni interne ed esterne – non dimostrava affatto
la volontà di cedere alle pressioni o alle insidiose suggestioni,
che l’avrebbero messa in contrasto Coi 2 rami del Parlamento e sopra tutto
col Senato, la cui azione dal giugno al Xbre è stata essenziale
e) il Partito aveva superato la crisi del revisionismo
e del rassismo e aveva mantenuti intatti i suoi attributi di disciplina,
ma per vari segni appariva oramai insofferente di ulteriori pazienze
f) la Maggioranza parlamentare aveva oramai collaudata
la sua solidità fascista poiché solo due o tre dozzine di
deputati, espulsi, traditori avevano abbandonato il campo
g) la manovra dei 3 presidenti era abortita
h) all’estero – colle dimissioni di Mac Donald era caduto
un largo tratto del fronte internazionale antifascista.
Le opposizioni colla pubblicazione – da me autorizzata
e provocata – del memoriale Rossi, avevano sparato col 420 ed esaurito
le loro munizioni.
Tutte le condizioni esistevano oramai per sferrare
il contrattacco. Venne il discorso del 3 gennaio, seguito da alcune non
eccezionali misure di rigore, che bastarono a far crollare il castello
dell’Aventino. Il colpo fu vibrato al tempo giusto ed è stato mortale.
Tutto quello che è accaduto – da allora in poi – nel nostro e nell’altrui
campo – ha un riferimento a quella data fatale e fatidica. La storia del
1925 è cosí presente nei nostri spiriti e nelle opere nostre
che è inutile rievocarla. Basta riassumerla in queste parole solenni:
Abbiamo creato un regime inconfondibile con tutti gli altri. Abbiamo semplicemente
cambiato la faccia economica, politica, amministrativa, morale della Nazione.
Col 3 gennaio ha inizio il terzo tempo legislativo della Rivoluzione fascista.
Ma qualcuno scriverà – forse io stesso – un libro che avrà
questo titolo: Storia del Fascismo nell’anno 1925.III