racconti - stories

 

MICHELA CASTELLO

 


  Biografia

Sono nata a Pontedera (PI), città nella quale risiedo tuttora, il 28/03/1970.
Sono diplomata in Lingue e mi piace molto l'informatica.Sono non vedente, affetta da glaucoma congenito. Percepisco solo la luce e le ombre dall'occhio destro.Sono impiegata come centralinista in un ente pubblico. Purtroppo non è il lavoro che avrei voluto fare ma la mia situazione di non vedente non mi dava altre possibilità. Mi sarebbe piaciuto molto svolgere una mansione più dinamica e che mi consentisse di usare maggiormente il computer e le lingue.
Ma nonostante questo cerco di prendere il meglio di quel poco che la vita mi riserva.

 

 

IL NESPOLO


L'autunno si stava avvicinando e Sara, ormai 36enne, voleva dare una sterzata alla propria vita e interrompere una routine diventata per lei ormai soffocante e sempre più insopportabile. Decise allora di buttarsi a sua volta nella mischia e di fare quel famoso corso per la mobilità che fino a quel momento aveva sempre rifiutato. Ciò che l'aveva sempre frenata non era tanto la paura di non farcela. L'istruttrice, che a suo tempo le aveva fatto il primo corso per l'autonomia personale, le aveva infatti sempre detto che ne era perfettamente all'altezza e l'aveva ripetutamente incoraggiata e spronata a uscire dal guscio. Era il timore di ciò che avrebbe trovato fuori a trattenerla. La preoccupava il pensiero di incontrare per la strada persone pericolose, che potessero farle del male e lei, donna e non vedente, si sentiva indifesa e vulnerabile in tal senso. Ma gli anni passavano, dei pochi disposti a starle dietro ne aveva sempre meno e lei diventava ancora più amaramente consapevole di dover, suo malgrado, fare più affidamento solo su se stessa e sulle proprie forze. Si rivolse dunque a chi di dovere affinché le venisse assegnata un'istruttrice in grado di condurla passo passo verso una maggiore autonomia personale.
Conobbe così Marta: una ragazza di 27 anni, molto dolce e sensibile, che si rivelò determinante per lei in quel difficile momento di passaggio dalla vita da reclusa a quella da persona come le altre. Marta, così almeno gliel'avevano descritta, era alta, magra, con i capelli biondi e gli occhi celesti, come il colore del cielo. Marta era una persona molto calma e paziente e Sara percepì in lei fin dall'inizio tutto l'amore, la passione e la dedizione per quel lavoro, svolto egregiamente.
Sara iniziò timidamente a compiere i suoi primi passi verso l'autonomia personale, le prime volte con un certo disagio e un po' disturbata dal fatto che chi la conosceva potesse vederla. Le prime volte ciò si rivelò alquanto ostico. Il primo giorno che uscì fuori, tutti gli abitanti del condominio, che di solito se ne stavano in casa, sembravano essersi dati appuntamento per guardarla e ciò le creò non poco disagio. Ma per fortuna tutto ciò fu di breve durata e già la seconda volta superò l'imbarazzo con minore difficoltà. Man mano che usciva, si abituava alla presenza della gente e il fatto di fare incontri non le arrecava più molto disturbo.
Marta le fece notare che, a differenza di altri nella sua condizione fra quelli che aveva seguito, lei non solo dimostrava poca paura quando doveva attraversare la strada, ma anzi compiva questo passo con disinvoltura, addirittura correndo. Marta le consigliava di andare piano. Lei però, terrorizzata all'idea di vedersi travolgere da uno dei tanti pirati della strada, quando doveva attraversare, correva sempre. E questo continuò a farlo anche in seguito, seppure in misura minore.
Marta le insegnò a compiere i primi passi verso l'autonomia personale e ad acquisire una maggiore sicurezza e fiducia in se stessa. La condusse pian piano, insegnandole a fare attenzione a ogni minimo rumore e a orientarsi indicandole i vari punti di riferimento presenti sul territorio, fuori di casa.
Sara iniziò così a esplorare l'ambiente circostante e a conoscerlo più a fondo. Cominciò a prestare attenzione a sfumature e particolari ai quali fino a quel momento non aveva mai dato la giusta importanza.
Fu subito molto attratta da un albero che si trovava al termine della corte antistante casa sua, svoltando verso destra. Marta le insegnò, per orientarsi, a prestare attenzione al profumo di quell'albero che lei inizialmente pensava fosse un gelsomino, ma che in seguito apprese trattarsi di un nespolo. Iniziò a provare una sorta di simbiosi e, essendo lei molto amante della natura, ogni volta che passava da lì, andava verso il nespolo, lo salutava, gli parlava come a una persona cara e lo abbracciava. Il nespolo era grande, largo, colmo di foglie e di fiori e lei provava una gioia immensa quando poteva avvicinarsi a esso, toccarlo e abbracciarlo.
Alcuni anni dopo, passando di là, rimase molto turbata nel constatare che il nespolo non era più come l'aveva conosciuto. Nel frattempo l'avevano potato perché aveva raggiunto dimensioni esorbitanti arrivando ormai fino alla strada. Quando lo toccò, percepì un tronco di legno secco, nudo e spoglio e ne rimase molto toccata. Non riusciva a credere che quel nespolo, a suo tempo così bello, ricco di foglie e rigoglioso, fosse ormai ridotto a un albero morente. Arrivata a casa scoppiò in singhiozzi senza riuscire a darsi pace per quanto era avvenuto. Non "vide" mai più il suo nespolo lussureggiante come l'aveva conosciuto.
Non tornò più a trovarlo, ma si teneva costantemente informata sulle sue condizioni. Nel tempo capì che in realtà l'albero non era morto, ma che, quando raggiungeva dimensioni eccessive e quindi pericolose, si rendeva necessario potarlo affinché non producesse danni, ma che poi, pian piano, sarebbe nuovamente cresciuto e diventato grande e rigoglioso.
Dopo il corso sull'autonomia, iniziò per lei un interminabile periodo di calvario. Fu costretta a frequentare per circa un anno un secondo corso per svolgere in seguito un lavoro che odiava in modo viscerale e per il quale non era portata. Per tutta la durata di quel corso, intensissimo e pesantissimo, Sara si sentì un animale in gabbia e solo per un miracolo arrivò alla fine senza dare in escandescenze, come invece fecero molti dei suoi compagni. Ma esso la segnò per sempre. Quel corso la esaurì completamente, tirò fuori e amplificò ai massimi livelli i tratti peggiori del suo carattere e lei non tornò mai più quella di prima.
Con gli anni si ammalò sempre di più e la sua vita iniziò una lenta ma inesorabile discesa. Il male oscuro le succhiò col tempo tutta la linfa vitale, la forza di volontà e la voglia di lottare. I suoi polmoni si ammalarono gravemente e lei ebbe crisi respiratorie sempre più frequenti e provava sempre più spesso senso di vuoto e di soffocamento.
Si sentiva prigioniera in una spirale senza uscita. Cercava riparo rifugiandosi nella lettura di libri sulla spiritualità e sulla crescita personale e ascoltando film e DVD al computer. La sua vita scorse così per molti anni, fino a quando la morte pose fine alle sue sofferenze.
Erano circa le 13 di un giorno di primavera avanzata, ma nel piccolo "loculo" che le era riservato come stanza da letto, regnavano ancora le tenebre più profonde. Sara giaceva, sempre più debole e stanca, nel suo letto, in attesa che coloro che dormivano nell'altra parte della stanza si alzassero. Sarebbe stato finalmente possibile aprire la finestra e far entrare il Sole. Le forze la stavano abbandonando sempre più e lei sentiva che non le rimaneva molto da vivere. Si stava preparando al momento della sua dipartita, con un certo senso di sollievo misto a rassegnazione, confortata dal pensiero che presto si sarebbe finalmente ricongiunta ai suoi genitori e a tutte le altre persone care che aveva conosciuto e che erano scomparse prematuramente. Sperava solo, prima di partire per sempre, di poter "vedere" ancora una volta la luce del Sole. La percezione della luce e delle ombre dall'occhio destro le aveva sempre consentito di vedere il Sole e di gioire per il suo splendore. Il sopraggiungere, improvviso ma liberatorio, del sonno eterno, non le permise di esaudire il suo ultimo desiderio da viva. Sara sapeva però che, da quel momento in poi, avrebbe vissuto nella Luce e avrebbe visto il Sole rifulgere per sempre.
Il suo respiro si fece sempre più debole e lento, fino a cessare del tutto. Sara vide una figura luminosa in piedi in fondo al letto. Riconobbe sua madre. Era venuta a prenderla per condurla appresso. Sara si gettò tra le sue braccia e lasciò che sua madre la sollevasse e la conducesse via con sé. Iniziò a fluttuare e vide il suo corpo, esanime nel letto, sempre più piccolo, fino a diventare un puntino lontano. Poi esso scomparve del tutto. Sara salì sempre più in alto, cullandosi dolcemente tra le braccia di sua madre. La sua anima vagò a lungo, passando sopra paesi, continenti, monti, prati e distese infinite d'acqua. Poi, finalmente, giunse a destinazione.
Si trovò in un giardino immenso, illuminato dal Sole, pieno di fiori luminosissimi e dai colori più vari, vividi e sgargianti. Il Sole splendeva in tutta la sua stupenda Luce brillante, dorata e iridescente e Sara gioiva nel guardarlo rifulgere in tutta la sua Maestosità. Il Sole sembrava felice e che gioisse con lei perché, dopo anni di tribolazioni, finalmente era tornata a casa e avrebbe potuto godersi per sempre quella pace, quell'armonia e quella felicità che sulla terra non aveva mai provato. Adesso avrebbe potuto cullarsi in eterno nell'abbraccio di quella splendida Luce e vivere per sempre nell'Amore puro e incondizionato.
Iniziò a camminare in quel giardino immenso e stupendo e, man mano che avanzava, tutti i fiori si schiudevano e le davano il benvenuto.
Alla fine di quel giardino c'era un lungo viale pieno di piante, di alberi e di arbusti fitti e rigogliosi. Sara iniziò a percorrerlo e quanta gioia mista a meraviglia, nello scorgere, tra i vari alberi, anche il suo amato nespolo! Esso non era più quel tronco di legno spoglio come aveva constatato l'ultima volta, molti anni addietro, sulla terra. Era diventato grosso, largo, rigoglioso e lussureggiante. Era luminosissimo e pieno dei suoi splendidi fiori bianchi ed emanava il solito profumo intenso che lei a suo tempo aveva scambiato per gelsomino. Fu felice di ritrovare il suo nespolo di nuovo così grande e bello e, così come aveva fatto molte volte in vita, lo abbracciò appassionatamente.
Ma le sorprese non erano ancora finite. Il regalo più bello la stava ancora aspettando.
Sara avanzò ancora e giunse così al termine del viale.
Si trovò in un prato immenso dall'erba verde brillante, pieno di margherite e di corsi d'acqua purissima, fresca, trasparente e cristallina che zampillava di continuo, infondendo a quel Paradiso un'atmosfera ancora più idilliaca. Stava contemplando tutto ciò con occhi colmi di felicità e di gratitudine, quando improvvisamente si sentì chiamare. Il suo cuore ebbe un sussulto per la gioia, lo stupore e l'incredulità. Una figura si stava avvicinando a lei. Nell'udirla parlare, Sara riconobbe immediatamente colui che aveva dato la voce a tanti personaggi di altrettanti film e cartoni animati che le avevano tenuto compagnia durante la sua esistenza., Lui sulla Terra aveva 23 anni più di lei e la sua voce le aveva sempre fatto perdere letteralmente la testa, provocandole continue palpitazioni. Non aveva mai potuto conoscerlo di persona perché egli abitava lontano, le loro condizioni economiche e sociali erano troppo distanti e lui si teneva ben lontano dai riflettori, custodendo gelosamente la sua riservatezza. Ma la sua voce l'aveva sempre incantata e affascinata. Essa aveva sempre avuto un impatto emotivo molto potente su di lei fin da quando Sara, all'età di circa 10 anni, l'aveva sentita per la prima volta. Lui aveva una capacità straordinaria nel mutare di continuo il tono della propria voce e questa sua peculiarità la affascinava. La voce di lui alcune volte era dura come quella di un padre o di un compagno autoritario, rigido e severo e tale da incuterle quindi molta paura, rispetto e riverenza. Altre invece era calda, dolce e suadente e tale da metterla in imbarazzo e soggezione e da paralizzarla completamente. Lui si avvicinò a lei a grandi passi. La sua figura si trovava ora dinanzi a lei e si stagliava meravigliosa, luminosissima e splendente, verso l'alto. Lei poté allora, finalmente, sentire dal vivo quella splendida voce melodiosa, dal timbro non marcatamente maschile e che lei trovava per questo così dolce, stupenda, affascinante, misteriosa e intrigante. Il suo vero padre sulla terra aveva una voce più maschile e virile della sua, ma era un carattere debole e Sara non aveva mai percepito in lui una vera figura paterna. Quella dell'altro era invece più dolce, ma più decisa e autoritaria e le infondeva una sicurezza e una protezione maggiori. Sara aveva sempre provato una sorta di amore platonico nei suoi confronti. Allungò le braccia, prese le mani paterne, grosse e possenti di lui tra le sue, le strinse forte e i due si abbandonarono a un lungo e intenso abbraccio.
Sara lo condusse a conoscere il suo nespolo. Poi iniziarono a camminare, man o nella mano, su quel prato immenso e pullulante di margherite, illuminato dal Sole raggiante. Avevano molte cose da raccontarsi e adesso avrebbero finalmente potuto farlo, in piena libertà. Lei gli avrebbe parlato e detto tutto ciò che non aveva mai potuto dirgli da viva, libera da ogni sorta di pregiudizio e da inibizioni.

 

***

 

 

LA LUCE OLTRE LA TORMENTA

 


Giulia si sporse dalla finestra. Fuori la neve continuava a cadere, soffice e copiosa. I suoi fiocchi avevano dolcemente ricoperto tutto il paesaggio circostante ed avevano completamente imbiancato i tetti delle case. In giro non c'era un'anima. Ovunque regnava un silenzio spettrale. Da molti anni la gente del paese non assisteva ad una nevicata così abbondante. L'ultima volta che ciò era avvenuto, una violentissima tormenta le aveva portato via, inghiottendoli, l'unico uomo della sua vita e la loro figlia Giada, di appena quattro anni. Erano usciti un pomeriggio per andare a fare a pallate. Ma poi Giada aveva insistito, affinché suo padre la portasse a vedere un lago gelato, situato non molto lontano dalla loro casa. E lui non aveva saputo dire di no. Ogni desiderio di sua figlia era un ordine per lui ed egli la viziava e la assecondava sempre in ogni suo capriccio. Nonostante Giulia, vedendo il cielo molto minaccioso, avesse cercato, in ogni modo,di dissuaderlo dal fare quella che per chiunque sarebbe stata solo una pazzia, ogni suo tentativo era stato vano. I due erano partiti, ignorando i suoi consigli. "Andiamo qui vicino. Cosa vuoi che ci succeda? Sei una madre troppo apprensiva!", l'aveva rimproverata lui. Giulia aveva dunque desistito dal suo intento di farlo ragionare. Sapeva che, quando lui si metteva in testa qualcosa, non c'era nessuno in grado di trattenerlo e niente che potesse fermarlo. Sotto questo aspetto Giada era la sua esatta fotocopia.
Erano passate diverse ore. All'imbrunire, non vedendoli rincasare, Giulia uscì a cercarli, in compagnia del suo pastore tedesco. Non aveva chiesto a nessuno dei suoi compaesani di aiutarla nelle ricerche. Tutti gli abitanti del paese tiravano solo acqua al proprio mulino. Figuriamoci se, nel bel mezzo di una tormenta di neve, avrebbero messo a repentaglio la propria vita, per cercare qualcuno che non apparteneva alla loro stessa famiglia! Giulia sapeva di non poter contare su di loro ed era quindi uscita da sola. La tormenta era molto fitta e Giulia non riusciva a vedere niente. La neve aveva ricoperto ogni cosa ed ella non era in grado di capire dove si trovasse. Improvvisamente il suo cane si era messo a guaire. Giulia si era voltata di scatto verso di lui ed aveva iniziato ad urlare, in preda al terrore ed allo strazio. Il cane stringeva tra le zampe anteriori uno dei due guanti di Giada. Suo marito e sua figlia erano morti ed adesso giacevano là sotto, ricoperti dal ghiaccio e dalla neve. La tormenta li aveva sorpresi quando si trovavano in prossimità del lago. E per loro non c'era stato scampo. La neve li aveva completamente sepolti e Giulia aveva dovuto aspettare alcuni giorni, prima che essa si sciogliesse e le restituisse i loro corpi. Alcuni suoi parenti che abitavano in una città poco distante, venuti ad assistere ai funerali, avevano cercato in ogni modo di convincerla a vendere tutto ed a trasferirsi nella loro città. Avrebbero pensato loro a trovarle una casa in affitto ed un lavoro. Ma lei non aveva voluto saperne. Aveva preferito rimanere in quella grande casa, desiderata per anni, frutto di duro lavoro e di tanti sacrifici e per lei così piena di ricordi, sola col suo dolore. La sua vita era sempre stata molto travagliata, aveva fortemente indurito il suo cuore ed ella aveva completamente perso la fiducia negli altri ed imparato a fare affidamento solo su se stessa.
Era rimasta orfana in tenera età. Aveva vissuto per molti anni presso alcuni parenti, in una casa piccola, nella quale regnavano
un caos, una confusione ed un nervosismo che la opprimevano.
A trentacinque anni, quando Giulia, ormai rassegnata, aveva completamente perso la speranza di trovare un compagno e di farsi una famiglia propria, la sua vita aveva avuto una svolta improvvisa ed inattesa. Durante una festa aveva conosciuto un ragazzo e tra loro era stato subito colpo di fulmine. Circa due anni dopo Giulia aveva coronato il suo sogno: i due si erano sposati e dalla loro unione era nata Giada. Il loro amore era stato breve, ma molto intenso ed ella lo aveva vissuto e se lo era goduto pienamente, attimo per attimo. Ma poi il destino glielo aveva portato via per sempre. Per lei ormai non c'era più niente che potesse dare un significato alla sua vita.
Giulia pensava tristemente a tutto questo, mentre guardava dalla finestra. Da allora erano ormai passati molti anni. Nel frattempo anche il suo cane era morto ed ella era molto invecchiata.
Camminava ormai a fatica e si sentiva sempre più debole e malconcia. Si approssimava il momento della sua morte ed ella lo aspettava con trepidazione. Non aveva più niente da fare al mondo e desiderava solo lasciare quella vita, per lei piena di tragedie e di sofferenze. Sapeva che, quando sarebbe morta, nessuno avrebbe mai pianto per lei, né messo un fiore sulla sua tomba.
Decise di uscire e di recarsi sul luogo della tragedia, dove alcuni abitanti del paese avevano messo e conficcato nel terreno, per lasciare ai posteri una memoria storica dell'accaduto, una croce di legno, a cui era stata in seguito attaccata una targhetta, con su scritto i nomi dei suoi congiunti.
Giunta nei pressi del lago gelato, Giulia si fermò e si mise a contemplare quella lapide, voluta con tanta insistenza dai suoi compaesani, forse per alleviare i loro sensi di colpa per avere, in un certo senso, condiviso con lei quella tragedia, rimanendone spettatori. Giulia trovava quella sorta di "monumento ai caduti" ridicolo. Ma non aveva potuto fare niente per impedirne la costruzione proprio là, nel luogo dove loro erano morti, tali erano state le pressioni dei suoi compaesani e dei suoi parenti. Non aveva mai sopportato le opere troppo imponenti e maestose. Lei amava ricordare i suoi cari, rivivendo nella memoria tutti i bei momenti che aveva passato insieme a loro. Andava poco anche al cimitero. Vedere quelle due tombe bianche, nelle quali giacevano coloro che un immane destino aveva per sempre strappati dalle sue braccia, la faceva solo soffrire. Fino a quel momento aveva sempre evitato di andare da quelle parti. Quel giorno però, la fotocopia, per certi versi, di quello della tragedia, ella si diresse proprio là, forse alla ricerca dei fantasmi di un passato ormai remoto. Si sedette sul bordo del lago e si addormentò. Improvvisamente scoppiò una terribile tormenta di neve. Si svegliò di colpo, in preda a dei brividi violenti, ma ella si era addormentata troppo profondamente, per accorgersene in tempo e potervi sfuggire. Fu inghiottita sempre di più nelle fauci della tempesta. Sentì il suo corpo diventare sempre più freddo e leggero. Infine ne perse completamente la percezione ed iniziò a fluttuare. Una calda e brillante luce bianca venne ad accoglierla, la attrasse a sé e le dette il benvenuto. Il suo lungo, doloroso ed estenuante viaggio nelle tenebre era terminato. Adesso Giulia era di nuovo a casa e poteva finalmente rivedere e godersi la luce.

 

 

***

 

La quercia

 

Cristina era fortemente legata alla grande quercia che si trovava a pochi passi da quella casa, ormai diroccata, che un tempo, durante gli anni più felici e spensierati della sua infanzia e della sua prima giovinezza, era stata la sua dimora. Quell'albero le era molto caro; ella era solita sedersi sull'erba e starsene così, per lunghe ore, con la schiena appoggiata al suo tronco, immersa nel silenzio ed assorta in profonde meditazioni.
Quando si sentiva triste e scoraggiata, la quercia era sempre lì, pronta ad accoglierla, a consolarla e ad infonderle nuovamente quell'energia, quella carica, quell'entusiasmo e quella forza vitale che ella non riusciva a trovare da nessun'altra parte.
Cristina era molto felice allora. Si considerava fortunata a poter vivere in campagna, a stretto contatto con la natura, lontana dal caos, dallo smog e dall'inquinamento delle città e di potersi svegliare tutte le mattine al canto del gallo che proveniva da una fattoria poco distante ed al cinguettio degli uccelli che giacevano appollaiati sui rami degli alberi, a quei tempi molto numerosi, che circondavano la casa o che volavano liberi nell'aria. Ogni primavera le rondini arrivavano, puntuali e sempre più numerose e nidificavano sul tetto della casa, rendendo l'atmosfera ancora più lieta.
Cristina amava molto quell'ambiente immerso nella natura incontaminata, dove gli unici rumori che si udivano erano il sibilo del vento, il fruscio delle foglie degli alberi, lo zampillare dell'acqua delle fontane, il dolce ticchettio della pioggia sulle finestre, sulle tegole e sul tetto ed il verso degli animali che popolavano le zone circostanti.
Durante la stagione primaverile ed estiva si alzava al sorgere del sole e faceva lunghe passeggiate per le colline circostanti insieme ai fratelli Alessandro e Marco ed a Katia, sua vicina, compagna di giochi ed amica del cuore. Cristina provava una gioia immensa mentre percorreva quei sentieri incontaminati. Tutto sembrava darle il benvenuto: il fruscio delle foglie e delle fronde degli alberi, lo scorrere dell'acqua dei ruscelli, il tiepido sole mattutino che le scaldava il viso, illuminandolo di gioia di vivere e la brezza del vento che, in quella stagione, si levava, leggera, sulla natura circostante, infondendole un'atmosfera ancora più incantata.
La sua meta preferita era un fiume che si trovava a poche centinaia di metri di distanza, al di là di una vasta valle. Quando giungeva a destinazione, si sedeva sulla sponda di questo fiume e dava il via al suo divertimento preferito: gettare sassi nell'acqua e godersi il suono che essi producevano quando cadevano nel fiume e gli schizzi che, in risposta, le giungevano sul viso e sul corpo. In piena estate, quando il caldo e l'afa erano insopportabili, Cristina si immergeva nell'acqua fresca, limpida e trasparente e si concedeva un piacevole bagno rinfrescante e rigenerante. Quell'acqua produceva in lei un effetto balsamico; ella si sentiva leggera ed in perfetta simbiosi con essa, si abbandonava completamente al flusso della sua corrente e si lasciava da essa cullare e massaggiare dolcemente.
Altre volte amava stare distesa per ore sull'erba fresca e profumata di un enorme prato fiorito antistante la casa e sognare ad occhi aperti, contemplando il cielo azzurro.
Durante la stagione autunnale ed invernale, quando non poteva concedersi di passeggiare, di giacere sull'erba e di fare il bagno nel fiume, andava, insieme a Katia, dalla sua amata quercia.
Quell'albero secolare (suo nonno le aveva raccontato una volta che, quando, da bambino, era venuto ad abitare lì, essa c'era già) sembrava volerle parlare, narrarle la sua storia e trasmetterle le sue emozioni. In quei momenti Cristina, così come avveniva quando si immergeva nel fiume, sembrava fondersi con l'albero, diventando un tutt'uno con esso ed anche tra loro si creava una perfetta simbiosi.
Quella vita idilliaca fu però interrotta bruscamente quando, verso i trent'anni, Cristina fu costretta, a causa di un improvviso cambiamento di lavoro del padre, a lasciare per sempre
quell'ambiente e a trasferirsi in città. Era una buia, gelida ed umida mattina d'inverno, quando ella, disperata ed in preda alle lacrime, dovette abbandonare la sua casa, Katia e, soprattutto, la sua adorata quercia. Anche l'albero sembrava disperato; reso completamente fradicio dalla pioggia che cadeva, copiosa ed incessante, da diversi giorni, sembrava piangere insieme a lei.
L'acqua, che ne aveva ormai totalmente ricoperto ed impregnato il tronco ed i rami, ne dava un'immagine straziante e creava tutt'intorno un'atmosfera spettrale. Quando l'auto del padre si mosse, ella si voltò per dare un ultimo, doloroso sguardo all'albero, dal conforto e dal calore del quale veniva ora brutalmente strappata contro la sua volontà.
Cristina non riuscì mai ad adattarsi al nuovo stile di vita. In città regnavano una confusione ed un caos che la opprimevano.
Conobbe molte persone, ma nessuna di loro sembrava capirla, comprendere ciò che provava ed a cosa era dovuta la profonda nostalgia che la attanagliava. Tutti gli abitanti della città erano con lei sempre molto freddi, scostanti ed ostili. Sembrava che, la vita, sempre più frenetica e stressante, che essi conducevano, li avesse completamente deturpati di ogni sorta di cordialità e di calore umano, rendendoli sempre più prigionieri del loro stesso benessere. Lo smog e l'inquinamento di cui era impregnata l'aria ebbero effetti devastanti sulla sua salute, facendola ben presto ammalare gravemente d'asma. Ogni volta che Cristina usciva all'aperto, veniva colta, a causa dell'aria asfissiante e piena di veleni, da attacchi molto violenti che le provocavano un forte senso di soffocamento, rendendone sempre necessario il ricovero in ospedale. Finì col non uscire più di casa.
Qualche anno dopo Cristina si sposò con un ricco imprenditore. Ma neanche ciò contribuì a farla stare meglio. Suo marito, uomo totalmente dipendente dagli affari e dal denaro, la lasciava quasi sempre da sola. Era troppo preso dai suoi, sempre più frequenti, viaggi ed impegni di lavoro, per aver tempo da dedicarle.
Gli anni passavano e Cristina perdeva sempre più il proprio entusiasmo e la propria vitalità. Il suo viso, prima sempre roseo e radioso, stava adesso appassendo come le rose durante la stagione fredda ed ella si consumava a poco a poco come le candele.
Aveva circa quarant'anni, quando, durante un gelido e piovoso pomeriggio d'inverno, mentre ripensava mestamente e con nostalgia al suo passato e riviveva nella memoria, con le lacrime agli occhi, tutti quei momenti dolci, meravigliosi ed indimenticabili, udì suonare il campanello. Corse ad aprire la porta e, con sua grande sorpresa mista a gioia, vide Katia comparire sulla soglia. Da allora non si erano più riviste. Ma la felicità di Cristina fu di breve durata. Si rese immediatamente conto che l'amica non era venuta a farle una visita di piacere. Katia si precipitò dentro casa, trafelata. Seguirono alcuni interminabili minuti di silenzio. - Demoliranno la nostra quercia! - disse infine l'amica, quando si fu un po' ripresa. - Tutti gli altri alberi sono già stati abbattuti, sembra che le radici smuovano il terreno, danneggiando il manto stradale. Hanno dovuto fermarsi a causa della pioggia degli ultimi giorni, ma domattina demoliranno anche la nostra quercia! Vieni! Ti porterò a vederla per l'ultima volta, prima che la taglino! Non preoccuparti, stanotte ti ospiterò io! -
Quella notizia le lacerò il cuore. Cristina si vestì in fretta, salì sull'auto dell'amica e, insieme a lei, partì alla volta della casa della sua infanzia. Giunta sul posto, rimase sconvolta. L'ambiente di una volta era profondamente e spaventosamente mutato. Gli alberi, che un tempo circondavano la sua casa, non c'erano più. Anche il prato era scomparso. Al posto della sua casa, diventata ormai un rudere in rovina, c'era un'altra nuova costruzione moderna a tre piani. Attorno, vi era solo asfalto. Cristina chiese a Katia di portarla a vedere il torrente dove da ragazze facevano il bagno. Ma si sentì rispondere (ed anche questo fu per lei un vero tuffo al cuore) che esso non c'era più. Tutta la zona era caduta in rovina a causa dell'inquinamento e dell'incuria. L'acqua del torrente era diventata, col trascorrere degli anni, una melma sempre più piena di detriti galleggianti ed infestata da insetti maleodoranti, conferendo all'ambiente circostante un'aria sempre più degradata. Agli abitanti del paese non era dunque rimasto altro che provvedere a far ripulire a fondo e bonificare l'intera zona. Adesso nei pressi vi sorgeva un'enorme costruzione di mattoni, adibita a deposito di attrezzi agricoli.
Infine giunsero davanti alla quercia. Cristina scoppiò in singhiozzi. Il suo corpo iniziò a tremare convulsamente e fu sul punto di svenire. Katia la trasse a sé, la prese sottobraccio e, con molta fatica, la trascinò via e la condusse a casa propria.
- L'hanno deciso le Autorità. Purtroppo non possiamo farci niente ! - le disse, cercando invano di consolarla. All'ora di cena, Katia tentò di convincerla a mangiare qualcosa, ma fu tutto inutile. Fece il possibile per cercare di calmare l'amica e persuaderla a mettersi l'anima in pace ed a rassegnarsi, ma alla fine dovette arrendersi.
La notte trascorreva lenta. Le ore sembravano non passare mai. Cristina si rigirava continuamente nel letto in preda all'angoscia ed alla disperazione. Restò così per un po' di tempo. Poi, preso atto del fatto che quella notte non avrebbe chiuso occhio, decise, nonostante fuori imperversasse un violento temporale, di andare a trovare la sua quercia e di rimanere a tenerle compagnia per tutta la notte, fino al momento della sua demolizione. Uscì di casa in punta di piedi e si diresse verso l'albero.
Giunta davanti ad esso, avvolse le sue braccia intorno al tronco e lo strinse forte a sé. Di nuovo scoppiò nei singhiozzi, creando, ancora una volta, una perfetta simbiosi con esso, fradicio di pioggia come il giorno in cui lei se n'era andata da quel luogo.
La mattina seguente, gli operai, cui era stato dato l'incarico di abbattere la quercia, giunsero sul posto con la motosega e altri attrezzi idonei e rimasero fortemente toccati dalla scena che si presentò ai loro occhi. Cristina giaceva ancora là, dura e gelida, abbracciata al suo amato albero. Il suo cuore non aveva retto al dolore e l'ennesimo, violento attacco d'asma le aveva risparmiato lo strazio di vederlo tagliare.
La pioggia era cessata. Un tiepido sole faceva capolino tra le nuvole. Adesso le condizioni del tempo non erano più proibitive. Era dunque arrivato il momento di procedere al taglio della quercia. Ma ogni azione in merito fu bloccata dall'Autorità in attesa degli sviluppi dell'inchiesta sulla morte della donna.
Ci fu una manifestazione di protesta da parte degli abitanti della zona che, sollecitati da Katia, raccolsero firme e coinvolsero tutto il paese. Alla fine le Autorità decisero di prendere tempo e il tempo, si sa, può prolungarsi a lungo, quando si tratta di decidere. La quercia è ancora al suo posto, grande e rigogliosa. Il corpo di Cristina, dopo gli accertamenti di routine, era stato sepolto nel cimitero locale, per volontà del marito , ma la sua anima era rimasta là, abbracciata alla quercia in perfetta simbiosi con essa.


 ***

 


LETTERA A UN PERSONAGGIO FAMOSO


Lentamente muore

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che
fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia
aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o
della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non
risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere
vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto
di respirare.

Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una
splendida felicità.

(Pablo Neruda)


Caro …
Mi chiedo spesso come sei nella realtà. Il mondo della finzione inganna, per cui non sai mai quando un attore è se stesso e quando recita. Solo chi ha una sensibilità particolarmente sviluppata o è sensitivo può leggere dentro una persona e sapere com'è veramente.
Due amiche a cui ho fatto vedere una tua foto presente on line concordano nel dire che dai loro l'impressione di una persona tranquilla e molto riservata. Un'altra amica mi ha detto che hai gli occhi profondi e che le dai l'impressione di una persona consapevole, che sa quello che fa, che è presente a se stessa. Ma come sei veramente? Chi si nasconde dietro a quella voce che non ha un timbro marcatamente maschile, che, in quanto tale, è perfettamente riconoscibile e impossibile da confondere con le altre e che per questo io trovo così misteriosa e, allo stesso tempo, così stupenda e affascinante? Chi si nasconde dietro a quella voce alcune volte così dura, tanto da incutermi paura (per non dire terrore) e soggezione, altre invece così dolce e suadente, tanto da incantarmi e paralizzarmi letteralmente, fin da quando ero piccola, ogni volta che la sento? Chi si nasconde realmente dietro ai vari personaggi che hai interpretato nell'arco della tua lunga e ricca carriera?
Di te so soltanto che hai 23 anni più di me (dall'età potresti essere mio padre) e che hai un figlio che fa il tuo stesso lavoro. Per il resto… Mistero totale! Almeno se anche tu avessi una pagina su Facebook o su Twitter a nome tuo, gestita direttamente da te, nella quale scrivi ogni tanto e dove ci dici solo ciò che vuoi farci sapere sul tuo conto, anche semplici bischerate, così da fugare ogni dubbio sul tuo stato di salute! Tutti o quasi gli attori e i vari personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport ce l'hanno. È da molto tempo ormai che la tua voce non si sente più in giro. Non vorrei che avessi problemi di salute o, peggio ancora…. Non voglio nemmeno pensare una cosa del genere!
Mi hanno detto che do molta, troppa, importanza alla voce delle persone. Mi hanno fatto notare che più del 99% della gente, invece, si preoccupa solo del loro aspetto fisico.
"Non tutti hanno una sensibilità accentuata come la tua" - così mi hanno detto - "che va oltre ma che non ti permette di cogliere certe sfumature e quindi di percepire le persone per come sono realmente. La voce delle persone inganna. Potresti rimanere molto male, se un giorno scoprissi che colui che tu idealizzi così tanto non è come tu lo immagini."
Può darsi benissimo che abbiano ragione. Purtroppo sono condannata a non saperlo mai!
Internet e i social networks hanno cambiato il mondo e resa l'informazione accessibile a tutti, ma tu, complimenti per come ci riesci così bene, rimani nell'ombra e ben nascosto al resto del mondo! Solo per questo sei da ammirare. Complimenti per come sai tutelare così bene la tua riservatezza e renderti pressoché invisibile al resto del mondo!
Ma è davvero così indiscreto e sfacciato desiderare di avere un'amicizia, anche se solo virtuale, con una persona famosa, chiederle ogni tanto, sempre ovviamente nei limiti del rispetto e della discrezione, come sta e sapere sue notizie, così come avviene con e per chiunque altro?
Mi hanno suggerito, pur non sapendo a chi mi rivolgo, di lasciar perdere. Mi hanno detto che non ne vale la pena. "Cosa succederebbe, infatti", mi hanno detto, "se scoprissi che la persona che stai idealizzando così tanto, è in realtà solo un grandissimo stronzo e un egoista? La voce delle persone inganna!" Mi hanno inoltre ammonita riguardo il fatto che, se tu ti senti infastidito, per non essere importunato, mi mostreresti solo il lato peggiore di te ed io quindi ne rimarrei molto turbata e ferita. Ma siete tutti realmente così? Io non ci credo e voglio sperare che esista ancora qualcuno che va controcorrente. Secondo me non ci sarebbe nulla di male nel desiderare semplicemente di avere un'amicizia virtuale con una persona famosa e chiederle ogni tanto come sta e avere sue notizie. In
fondo siamo tutti esseri umani e penso quindi che, anzi, desiderare di sapere
come sta un'altra persona, sarebbe più che legittimo. Ma temo che, quanto
desidero purtroppo sia un'utopia perché c'è disparità tra le persone in base alle
loro condizioni economiche e sociali.
Mi consola la certezza che verrà un giorno in cui saremo tutti uguali indipendentemente dalla nostra situazione economica e sociale e potremo interagire serenamente l'uno con l'altro senza correre il rischio di essere guardati dall'alto in basso e discriminati. Sento che ciò avverrà, anche se, purtroppo, non qui, su questa terra, dove regnano solo l'odio, l'egoismo, le ingiustizie, la sopraffazione, la disparità e la discriminazione. Un giorno, quando la nostra vita terrena avrà termine e potremo finalmente lasciare questo mondo insieme a tutti i suoi fardelli e alle sue zavorre, ci ritroveremo tutti nella dimensione della Luce, dove saremo finalmente liberi e vivremo nell'Amore puro e incondizionato, nella gioia, nella pace e nell'armonia, non esisteranno più disparità e saremo veramente tutti uguali e amati allo stesso modo. Quando ciò avverrà, sarà una gioia per me, quando ti vedrò, correrti appresso, stringerti quella mano che nella realtà è così lontana da me e irraggiungibile e abbracciarti. Qui, purtroppo, tutto ciò non esiste.

 

 

***

 

NATALE

 

 

Quel mercoledì faceva più freddo del solito, anche se fuori splendeva il Sole. Margherita si affacciò alla finestra e, dopo avergli augurato Buon Natale, iniziò a contemplarlo. Da anni aveva preso l’abitudine di parlare con il Sole, come se fosse una persona. Spesso trascorreva lunghi minuti a godersi la sua luce e a gioire nel vederlo splendere in tutta la sua regalità.
I suoi familiari erano partiti da poco. Erano andati a trascorrere il Natale presso alcuni parenti. Lei non aveva avuto voglia di andarci. La sera prima aveva detto loro, mentendo, di avere la febbre. Aveva così potuto defilarsi facilmente, senza dover dare troppe spiegazioni. Non aveva mai sopportato le feste di Natale, vissute dalla stragrande maggioranza della gente nel consumismo e nell’opulenza più sfrenati. Tante volte aveva provato il desiderio di andare a rinchiudersi in un eremo sperduto tra i monti e di rimanervi per tutta la durata di quel periodo. Da quando i suoi genitori erano morti per lei il Natale non aveva più alcun senso. Ogni anno non vedeva l’ora che arrivasse il sette gennaio, giorno in cui tutte le feste sarebbero finite e la vita avrebbe ripreso finalmente la sua routine quotidiana.
Quell’anno a tutto ciò si era aggiunto lo strazio per la scomparsa prematura di un uomo, avvenuta esattamente due mesi prima. Margherita non aveva mai potuto conoscerlo di persona, ma la sua voce aveva sempre avuto su di lei un impatto emotivo fortissimo, facendole perdere la testa e provare emozioni e sensazioni meravigliose e indimenticabili. Aveva dunque deciso di rimanere a casa, sola con il suo dolore. Non ne aveva mai parlato con nessuno. Non aveva alcun senso farlo. Non l’avrebbero capita. Se solo avesse osato dirlo, l’avrebbero derisa o, peggio ancora, presa per pazza. Avrebbero subito cercato di soffocare in lei quelle emozioni e di sminuire il suo strazio. Si era dunque sempre tenuta tutto il dolore dentro.
Consumò velocemente il pranzo frugale che le avevano preparato i suoi e si diresse nella sua stanza. Accese il computer, entrò nella cartella in cui aveva archiviato tutti i file contenenti la voce di lui e iniziò a zigzagare, premendo alternativamente il tasto invio quando su uno quando sull’altro. Dapprima ascoltò l’unica intervista di lui che era riuscita a reperire. Le lacrime iniziarono a rigarle il volto, diventando sempre più copiose. Colui che parlava se ne era andato per sempre sessantuno giorni prima, a soli sessantasei anni, stroncato da un male incurabile. Quando, dopo cinquanta anni di lavoro, avrebbe potuto, come diceva lui “riprendere un po’ i tempi della vita tranquilla… senza diventà rimbambito…”, la malattia era sopraggiunta, impietosa. Aveva sempre preso di più il sopravvento. Infine, la morte era venuta a prenderlo e l’aveva portato via con sé.
Mille pensieri cominciarono a turbinarle in testa, come un mulinello. Da due mesi si poneva sempre, ossessivamente, i soliti interrogativi inquietanti. “Come era possibile che una persona, che non aveva mai conosciuto, la facesse soffrire così?”. “Cosa aveva la voce di lui di così speciale, per ridurla in quello stato comatoso?” Qualcuno le aveva detto che quasi certamente tra loro due esisteva un legame molto profondo, forse risalente a una qualche vita precedente, che andava ben oltre quell’esistenza e la comprensione umana. Ma ogni suo tentativo di indagare in tal senso e di trovare una qualche risposta ai suoi interrogativi era miseramente fallito. Tutto era avvolto da un’aura di mistero e di impenetrabilità assoluti. Avrebbe dovuto, dunque, suo malgrado, aspettare il momento della sua dipartita per poter ricevere una risposta a tutte le sue domande. Solo allora, quando lo avrebbe incontrato nell’al di là, avrebbe finalmente saputo come stavano realmente le cose. Avrebbe dovuto, però, aspettare chissà quanti anni ancora, prima che ciò avvenisse. Solo a pensarci, provava un’angoscia indicibile. Le avevano detto che solo il suo Sé Superiore, unico conoscitore della Verità, avrebbe potuto risponderle in modo convincente e soddisfacente. Ma lo strazio le aveva da tempo annebbiato la mente, offuscandole completamente la sensibilità e la percezione lucida delle cose. La sua mente la faceva ormai da padrona, lasciandola in balia di tutti quei pensieri ossessivi e maniacali. Niente sembrava ormai più in grado di acquietarla. Quel giorno tutto era ancora più accentuato e terribile.
La sua memoria sembrò riavvolgersi, come il nastro di una bobina. Margherita si ritrovò così all’inizio, quando lo aveva sentito parlare per la prima volta. Allora aveva circa dieci anni. Rivisse in successione tutti i momenti e le emozioni meravigliosi che quella voce le aveva regalato durante quei trentatre anni. Tutto era finito per sempre due mesi prima con la sua morte. Le lacrime si fecero sempre più copiose, fino a trasformarsi in un singhiozzo convulso. Un vero e proprio tsunami era in atto in lei. La testa sembrava scoppiarle dal dolore.
Improvvisamente fu colta da malore e cadde dalla sedia. Si ritrovò per terra. Il battito del suo cuore e il ritmo del suo respiro si fecero sempre più lenti, fino a spegnersi del tutto. Avvertì un guizzo di energia. Qualcosa sembrò staccarsi da lei. improvvisamente il suo spirito venne strappato dal suo petto e trascinato verso l'alto come se fosse attratto da una calamita. La sua prima sensazione fu di liberazione.
La sua anima iniziò a fluttuare e a volare sempre più in alto. Uscì dalla stanza e si ritrovò fuori all’aperto. Continuò a salire, vorticosamente. Si sentiva libera e leggera. Si librava, felice, con la stessa regalità di un’aquila che, con le ali spiegate, solcava i cieli e si dirigeva verso il Sole. Fu catturata e assorbita da quella luce stupenda e amorevole e diventò un tutt’uno con essa. Vagò così a lungo, cullandosi dolcemente in quella Luce. Poi, dopo lungo peregrinare, giunse finalmente a destinazione.
Un grande cancello si aprì dinanzi a lei. Una figura alta e luminosissima era lì ad accoglierla. Nell’udire quella voce, Margherita fu pervasa da una gioia e da una commozione infinite. Era proprio lui! Non riusciva a crederci! Era grata per lo splendido regalo ricevuto. Lui ora si stagliava, luminosissimo, dinanzi a lei. Margherita gli corse incontro. Afferrò le grosse e possenti mani paterne di lui tra le sue e le strinse forte. Poi i due si abbracciarono intensamente. Iniziarono a camminare, tenendosi per mano. Margherita era felice. Ora avrebbe potuto conoscerlo, parlare con lui e fugare tutti i suoi dubbi. Presto avrebbe saputo la Verità. Era giunto anche per lei, finalmente, il momento della consapevolezza.

 

***

 

LA VENDEMMIA

 


Melissa aveva sempre amato molto la natura. I suoi genitori, di origine umile e contadina, le avevano trasmesso tutto il loro amore per la campagna. Melissa sognava di trasferirsi un giorno in una casa lontana dal frastuono e dall’inquinamento delle città. Desiderava più di ogni altra cosa al mondo andare ad abitare là dove si udivano solo il sibilo del vento, il fruscio delle foglie degli alberi, il cinguettio degli uccelli sui rami e il ticchettio della pioggia sui tetti. Sognava di andare un giorno a fare la contadina e di vivere con i frutti del lavoro della terra.
Melissa provava una gioia immensa quando poteva stare all’aria aperta e passeggiare per i boschi. Ciò però avveniva molto raramente perché aveva pochi amici con cui uscire e andare a passeggio. Ne aveva ancora meno che amavano la campagna.
Fu molto contenta quando Filippo, il suo fidanzato, le propose di andare a vendemmiare insieme ad altre persone in una vigna di proprietà di un suo amico. Non aveva mai vendemmiato in vita sua. Si accinse dunque ad affrontare quell’esperienza con entusiasmo e curiosità. Si chiedeva come lei e Filippo, entrambi non vedenti, avrebbero fatto. Le sue perplessità furono presto fugate. Le insegnarono a usare entrambe le mani per reggere i vari grappoli e cercarne l’attaccatura al ramo. Una volta che l’aveva individuata, avrebbe usato una mano per tenerli fermi e l’altra per impugnare le forbici e tagliarli. Lei li reggeva con la sinistra e li recideva con la destra. Inizialmente utilizzò i guanti. Ma si bucavano di continuo e doveva farsene dare ogni volta dei nuovi. Decise allora di vendemmiare a mani nude, incurante dei graffi e delle lacerazioni che le venivano sulla mano sinistra.
La prima volta vendemmiò soltanto la mattina. Le due successive, invece, lo fece per tutto il giorno. Melissa imparò presto a districarsi tra i vari grappoli e a tagliare anche quelli più insidiosi che erano attorcigliati attorno al filo di ferro. Le prime volte le accadde di recidere anche qualche pezzo di ramo. Ma affinò ben presto la tecnica e apprese a espletare quel compito con precisione quasi certosina. Il proprietario della vigna era soddisfatto nel constatare come lei svolgesse quel lavoro con tanta precisione e disinvoltura.
I primi due anni lei e Filippo vendemmiarono insieme. Lei stava da una parte, lui dall’altra del filare. Loro tagliavano i grappoli più grandi. Una persona vedente svolgeva dopo il lavoro di rifinitura, togliendo il poco che era loro sfuggito. Spesso accadeva che entrambi si avventassero sullo stesso grappolo e se lo contendessero. Lei lo tirava da una parte, lui dall’altra e le diceva di mollarlo. Melissa quasi sempre cedeva e lo lasciava a Filippo. Trovava tutto ciò molto divertente.
Tutti dicevano che vendemmiare dalla mattina alla sera era molto faticoso. Melissa, invece, paradossalmente, trovava quel lavoro poco stancante e, per certi versi, distensivo. Stare a ore in piedi a tagliare i grappoli e, nell’avanzare, a spostare ogni tanto le varie casse, sempre più piene e pesanti, le faceva scaricare le tensioni e la rilassava. Era una gioia per lei stare all’aperto, allietata dalla luce del Sole che illuminava la vigna e rifulgeva in tutto il suo splendore e in tutta la sua maestosità.
La terza volta che Filippo telefonò al suo amico per informarlo che anche quell’anno l’ultima domenica di settembre sarebbero andati con loro a vendemmiare, quest’ultimo gli comunicò una novità. I vari responsabili avevano deciso, per snellire il lavoro, di affiancare ognuno di loro due a una persona vedente. In questo modo il gruppo sarebbe stato più omogeneo. Il lavoro, di conseguenza, sarebbe stato molto più veloce ed efficace.
Melissa era eccitatissima all’idea di essere affiancata a un nuovo compagno. Non vedeva l’ora di conoscere la persona che le avrebbero messo accanto dall’altra parte del filare.
La mattina seguente si recò dunque alla vigna insieme agli altri, ignara di ciò che l’aspettava. Il responsabile andò da lei e le presentò colui che l’avrebbe affiancata.
«Lui è Paolo"» le disse.
Melissa rimase pietrificata. Capì subito che, sotto le spoglie di chi si faceva chiamare Paolo, si nascondeva in realtà qualcun altro. Aveva udito la sua voce la prima volta circa trentatre anni prima alla televisione e ne era rimasta subito incantata. Aveva percepito fin da allora un forte legame energetico con quella persona, risalente a tempi molto remoti. Era qualcosa di molto sottile, che andava ben oltre l’uso della parola. Entrambi vibravano sulla stessa lunghezza d’onda, per cui lei lo avrebbe percepito e riconosciuto sempre e comunque. Era incredula, sbalordita e paralizzata per lo stupore e l’emozione.
L’uomo si posizionò subito di fronte a lei, dall’altra parte del filare, senza proferir parola.
I due iniziarono a vendemmiare. Lui non parlava. Melissa faceva altrettanto. Tra loro si creò subito una sorta di simbiosi. Ogni tanto lei, per l’emozione, si distraeva, rischiando di tagliare qualche ramo. Lui allora le sfiorava leggermente la mano e le correggeva la direzione. Ma il suo era un tocco lieve, fugace. Evitava accuratamente di avere un contatto più intenso e di proferire parola. Forse temeva che, se avesse parlato, lei, nell’udire quella voce dal timbro non marcatamente maschile, lo avrebbe subito riconosciuto. Melissa, in realtà, aveva capito fin dall’inizio chi era lui. Ma aveva deciso di stare al gioco. Trovava anzi il silenzio di Paolo molto bello e carico di complicità e di significato. Sembravano conoscersi da sempre. Non avevano bisogno di parlare. Si intendevano e coordinavano alla perfezione, uniti da una sorta di legame telepatico.
Melissa era commossa, emozionatissima e imbarazzata. Ma allo stesso tempo provava una gioia immensa e indescrivibile. Le sembrava impossibile che lui fosse lì. Una domanda le martellava continuamente il cervello. Cosa faceva lui lì, persona famosa e importante, in quella vigna? Cosa aveva spinto un uomo ricco a recarsi là a svolgere un lavoro così umile? Paolo sembrava leggerle nel pensiero. Ma non faceva trasparire nessuna emozione. Lei non riusciva a carpire niente che potesse fugare i suoi interrogativi.
Venne il momento della pausa pranzo. Melissa si ricongiunse al resto del gruppo e mangiò insieme agli altri. Paolo invece se ne andò per i fatti propri. Stette tutto il tempo da solo, in disparte. Lei ne fu molto turbata. Era sempre più confusa e disorientata. Il comportamento di Paolo assumeva sempre più i connotati di un mistero. Tutto ciò la affascinava. Per tutta la durata del pranzo non fece che pensare a un modo per fugare il dubbio che tanto l’assillava. Ma non le venne in mente niente.
«Cosa ti succede?», le chiese Filippo, percependo in lei un certo distacco. «Ti sento assente!».
«Niente. Non ho semplicemente voglia di parlare», rispose Melissa freddamente, disturbata da quella domanda.
Continuò a mangiare in silenzio. Non vedeva l’ora di tornare alla vigna. Quella pausa sembrava non finire mai.
Quando finalmente ripresero a vendemmiare, lei fu molto felice di ritrovare Paolo davanti a sé. Si accinse a riprendere il lavoro, sconsolata all’idea che, di lì a poche ore, tutto sarebbe finito per sempre. Tutti avrebbero ripreso la via del ritorno, ognuno per i fatti propri. Provava uno strazio indicibile al pensiero che non lo avrebbe mai più rivisto. Presto avrebbero dovuto salutarsi. Ma lei non aveva potuto scambiare con lui nemmeno una parola. Tutto ciò la avviliva enormemente. Continuarono a vendemmiare per circa due ore. Poi il Sole cominciò a calare. La giornata volgeva al termine. Era giunto il momento di smettere.
Poco distante dalla vigna c’era un lago. Decisero di fare tutti insieme una passeggiata verso di esso, prima di separarsi. Melissa aveva gli occhi colmi di lacrime per lo sconforto. Il momento dell’addio si avvicinava, inarrestabile. Lei piangeva in silenzio. Nessuno per fortuna sembrava essersene accorto.
Uno dei suoi compagni la prese a braccetto e i due iniziarono a camminare. Melissa piombò in un silenzio glaciale carico di sgomento e di disperazione.
Improvvisamente udì un rumore di passi. Riconobbe subito che si trattava di Paolo. Quest’ultimo si avvicinò all’uomo che la teneva a braccetto. Percepì uno scambio di gesti tra i due. Poi l’uomo che l’aveva guidata fino a quel momento si allontanò.
Paolo la prese a braccetto e i due continuarono la passeggiata insieme.
Entrambi avevano un’andatura veloce e staccarono ben presto gli altri.
Giunsero velocemente nei pressi del lago. Si sedettero su un masso in prossimità di esso. Rimasero così, a lungo, in silenzio, studiandosi a vicenda.
Il Sole si stava abbassando sempre più all’orizzonte. Presto sarebbe tramontato e lei lo avrebbe salutato, come faceva di solito. Aveva preso l’abitudine da anni di dargli il buongiorno la mattina e la buonanotte la sera. Non dimenticava mai inoltre di ringraziarlo per tutte le volte che veniva a splendere. Contemplò il Sole mestamente. Di lì a poco, la sua luce sarebbe scomparsa, lasciando il posto al buio e alla notte. La consolava la certezza che l’indomani esso sarebbe tornato a rifulgere.
Melissa non ce la fece più a trattenere l’emozione. Scoppiò in un singhiozzo convulso.
Paolo le afferrò le mani e le strinse forte tra le sue.
Melissa si lasciò cullare dolcemente dal calore di quelle mani paterne. Pian piano si calmò.
«Vuoi dirmi qualcosa?», le chiese lui dolcemente. «So che hai un dubbio che ti assilla. Coraggio, tiralo fuori!».
Melissa, nell’udire quella voce, fu sul punto di cadere all’indietro per l’emozione. Lui le mise un braccio dietro la schiena e la sostenne.
«Tu sai chi sono io, vero?»
Melissa non poté fare a meno di dirgli la verità.
«Sì, lo so. Ho capito fin dall’inizio chi sei. Ma…»
«Ma cosa? Cosa ti turba così tanto?»
«Il fatto è che… Non riesco a crederci!»
«Cosa non riesci a credere? Che io sia qui?»
«Sì», rispose Melissa, sorpresa dal fatto che lui le leggesse dentro. «Mi domando cosa spinga una persona famosa come te e a svolgere un lavoro così umile. Questo interrogativo mi martella il cervello!»
Lui le sorrise.
«Tu dimentichi una cosa fondamentale», disse. «Tutti gli esseri umani nascono gli uni uguali agli altri. Poi ognuno di noi, nel corso della propria vita, segue il suo percorso e fa le proprie esperienze in base a ciò che ha scelto e a ciò che è venuto a compiere. Allora ognuno, a seconda dei casi, indossa gli abiti che gli servono per quelle determinate circostanze. Ma il corpo e l’anima di ognuno di noi sono puri, spogli e liberi da tutti gli orpelli. Non stupirti quindi se ognuno recita un ruolo diverso a seconda delle occasioni. Quello che conta, non dimenticarlo mai, è la persona in quanto essere umano, non il lavoro materiale che svolge. Quando lasceremo questo mondo, torneremo a casa solo con la nostra essenza e col nostro bagaglio di esperienze, non con i vestiti che abbiamo indossato in vita e con le ricchezze che abbiamo posseduto. Se ognuno di noi si ricordasse di ciò più spesso e lo avesse sempre presente, nel mondo ci sarebbero molte meno ingiustizie e il potere, la cattiveria e l’avidità non la farebbero da padroni. Se tutti fossimo più umili, vivremmo in pace, equilibrio e armonia. Non disprezzare la mansione che svolgi. Il lavoro materiale non nobilita la persona. Quello serve solo per darci da vivere. Sii sempre te stessa. Non permettere mai a nessuno di rubare o di intaccare la tua integrità.»
Melissa rimase estasiata da quelle parole.
Le altre persone del gruppo si stavano avvicinando. Melissa avrebbe continuato a parlare con Paolo in eterno. Ma fu costretta suo malgrado a interrompere la conversazione.
Il gruppo concluse la passeggiata. Poi ognuno riprese la via del ritorno, ciascuno per la propria strada.
Melissa non rivide mai più Paolo. Né tornò mai più a vendemmiare, a causa del precipitare delle condizioni di salute di Filippo. Ma non avrebbe mai dimenticato quell’esperienza e quella lezione di vita e di umiltà.

 

 

***

 

LA LUCE DELLA LUNA

 


Era una calda serata estiva, quando Gaia si recò con una coppia di amici ad assistere alla seconda lezione organizzata da un’associazione di Astrofili, rivolta ai non vedenti.
La prima, prettamente teorica, aveva avuto luogo la settimana precedente. In quell’occasione, Gaia, da sempre amante dell’astronomia, aveva ascoltato le varie spiegazioni riguardanti il sistema solare con molto interesse, misto a gioia e a meraviglia. Aveva potuto toccare i vari modelli plastici e in rilievo rappresentanti la struttura del sistema solare con i vari pianeti e satelliti e i vari crateri. Era rimasta anche molto colpita da un modellino raffigurante il pianeta Saturno circondato dagli anelli. Tutto ciò aveva suscitato in lei molta emozione e commozione.
Si apprestava dunque ad assistere alla seconda lezione con altrettanto entusiasmo, interesse e curiosità. Il responsabile dell’associazione parlò di asteroidi, di comete e di altre cose per lei molto belle e interessanti. Ascoltandolo, ne rimase affascinata.
L’insegnante a un certo punto la condusse dove erano piazzati i vari telescopi e glieli fece toccare uno alla volta affinché lei potesse capire come erano fatti. Alcune persone ipovedenti poterono, supportate da un computer, guardare il Cielo. Lei, per ovvie ragioni, non poté fare altrettanto. Le venne allora un’idea, forse un po’ bizzarra. Ma volle togliersi quello sfizio. Chiese al suo oratore, dato che percepiva la luce e le ombre dall'occhio destro, se poteva provare a guardare anche lei dal telescopio. Lui la assecondò subito, senza problemi.
Dapprima le mostrò il pianeta Saturno. Ma emanava poca luce. Gaia non percepì niente.
Le posizionò allora il telescopio in direzione della Luna, che era molto più luminosa. Gaia ebbe a quel punto una grande e piacevole sorpresa. Quando appoggiò l'occhio destro sulla lente del telescopio, provò una grande gioia, mista a incredulità e meraviglia, nel vedere la luce della Luna! Essa rifulgeva in tutto il suo splendore. Gaia muoveva continuamente l'occhio sulla lente del telescopio perché non riusciva a crederci. Provava un'emozione fortissima. Le persone che erano lì presenti le dissero in seguito che aveva fatto un gran salto per la gioia e lo stupore e loro si erano emozionate e commosse con lei.
Gaia, estasiata, si lasciò catturare e avvolgere da quella luce fulgida, brillante e meravigliosa. I pochi attimi si espansero e dilatarono lo spazio temporale.
Iniziò a fluttuare e a salire sempre più in alto. Si sentiva leggera e protetta e percepiva un senso di amore e di abbraccio materno. Vagò a lungo, avvolta in quella luce splendente, come in un bozzolo. Poi iniziò a discendere.
Si trovò in un prato pullulante di primule dai colori più vividi e sgargianti nel pieno della fioritura. Iniziò a camminare su di esso, con la gioia, lo stupore e la spensieratezza di una bambina.
Giunta al termine di quel prato, si trovò dinanzi a un bellissimo lago. Nel lago c’erano degli splendidi fiori di loto che si stagliavano in tutta la loro regalità.
Gaia si sedette sul bordo del lago e iniziò a contemplarlo, cullandosi dolcemente nell’ascolto del rumore lieve della sua acqua fresca e cristallina. L’acqua era purissima e trasparente e Gaia poteva specchiarsi in essa.
Rimase così a lungo.
Improvvisamente, percepì una presenza accanto a lei, sulla sua sinistra. Non le ci volle molto per capire chi era. Rimase pietrificata per lo stupore e l’incredulità. Fu assalita da un senso di gioia, mista a commozione e inibizione. Per un attimo le mancò il respiro. Provò un forte senso di soffocamento. Fu sul punto di svenire per l’emozione. Lo aveva sentito parlare per la prima volta alla televisione quando era ancora una bambina e ne era rimasta subito incantata. Era sempre stata affascinata da quella voce di uomo, ma dal timbro non marcatamente maschile. Quest’ultima aveva sempre provocato in lei sentimenti, reazioni ed emozioni forti e tra loro contrastanti. Spesso assumeva un tono duro, autoritario, di minaccia o pareva celare in sé un qualche mistero. In quelle occasioni lei provava molta paura, impotenza e imbarazzo e si sentiva completamente sottomessa e in balia di essa. Altre volte invece era calda, dolce, suadente e affettuosa. Lei allora la ascoltava con gioia e commozione, mista però a soggezione. Tante volte si era chiesta come fosse la persona che possedeva quella splendida voce, per lei così melodiosa e intrigante. Tante volte aveva invidiato quel ragazzo nato 87 mesi esatti dopo di lei, per avere un padre così stupendo e prezioso. Aveva sempre sognato di incontrare quell’uomo tanto affascinante, per il quale nutriva un vero e proprio amore platonico. Tante volte si era chiesta cosa sarebbe accaduto se un giorno lo avesse conosciuto di persona. Mai avrebbe osato immaginare che ciò sarebbe accaduto realmente!
Adesso lui era lì, accanto a lei. Tutti i sentimenti e le emozioni che la sua voce aveva sempre suscitato in lei si erano ulteriormente accentuati, riducendola in un profondo stato di prostrazione.
Gaia giaceva seduta, immobile e imbambolata, accanto a lui. Era incapace di proferir parola.
Lui, percependo il suo disagio, le afferrò le mani, le prese tra le sue e le strinse forte. I due rimasero così a lungo, le mani dell’una in quelle dell’altro, studiandosi a vicenda.
Pian piano Gaia si calmò e iniziò a rilassarsi. Cominciò a percepire una sorta di legame profondo tra lei e l’uomo, forse risalente alla notte dei tempi. Non riusciva a capire né a ricordare quando esso aveva avuto origine. Ma ciò ormai non aveva più alcuna importanza. Ciò che contava per Gaia ora era che lui era lì, seduto accanto a lei!
«Sei più tranquilla, ora?», le chiese lui dolcemente, rompendo il silenzio. «Come vedi, non sono poi così terribile»!
Gaia scoppiò in un singhiozzo convulso che sembrava non aver fine. Poi, pian piano, si calmò. Raccolse tutte le forze e, con un fil di voce, disse balbettando:
«Il fatto… è che…ho sempre desiderato… di incontrarti e di conoscerti. Ma… Non pensavo… che ciò sarebbe avvenuto realmente!»
«Tu mi hai sempre conosciuto. Io sono sempre stato e sono sempre con te. Non mi hai mai percepito perché non sei mai stata sufficientemente attenta.»»
Gaia non capiva.
Allora lui proseguì:
«Io sono sempre presente in ogni cosa. Sono con te in ogni momento e ti parlo, ma tu non sai ascoltarmi. Sono presente quando tu contempli il Sole, gioisci della sua luce e gli parli con dolcezza. Sono in quella luce dinanzi alla quale hai provato poco fa tanto stupore e che stentavi a credere di poter vedere. Sono in quel prato pieno di primule per le quali provavi la gioia e la spensieratezza di una bambina. Sono nell’acqua di quel lago nella quale poco fa ti sei specchiata. Ma, soprattutto, io sono sempre presente nel tuo cuore! Come vedi io ci sono sempre e ti ho sempre parlato. Non cercare mai cose e persone all’esterno perché tutto è già dentro di te. Basta solo che tu impari ad ascoltarti di più.»
Gaia fu molto colpita da quelle parole. I due si abbandonarono a un lungo e intenso abbraccio.
Quando si destò dall’incantesimo, tutto era scomparso. Non c’erano più né Lui, né il lago con i fiori di loto, né il prato pullulante di primule. Lei era di nuovo in piedi davanti al telescopio insieme ai suoi compagni.
Rimase ancora alcuni minuti a contemplare la luce della Luna, colma di gioia e di gratitudine per lo splendido regalo ricevuto. Poi dovette suo malgrado staccarsi dal telescopio e far posto ad altri. Non seppe mai se quanto aveva vissuto era accaduto realmente o se si era trattato solo di una suggestione. Eppure tutto era stato così bello e le era sembrato così reale!
Per Gaia vedere la luce della Luna era stata una gioia immensa e l'emozione le tenne compagnia per molto tempo. Non avrebbe mai dimenticato quell’esperienza. L’avrebbe portata e custodita gelosamente per sempre nel più profondo del suo cuore.
Forse, per chi vede, ciò che è descritto in questo racconto è banale e scontato. Ma per le persone come Gaia, anche percepire semplicemente una luce, dà una gioia e un’emozione immense. I vari membri dell’associazione astrofili lo avevano capito. Apprendere che questi ultimi si erano addirittura emozionati e commossi e che avevano gioito con lei, fu una grande vittoria. Uno dei muri più grandi, insidiosi e difficili da abbattere cominciava finalmente a scalfirsi: quello del pregiudizio.


webmaster Fabio D'Alfonso


 
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