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I TARLI
di Stefano Montanari
Atto unico





Presentazione
Ambedue gli atti unici I PIATTI DELLA BILANCIA e I TARLI sono ricavati da racconti che portano gli stessi titoli. In qualche modo le due pièces si somigliano: nessun giudizio politico, che è lontanissimo dai miei interessi, ma la costatazione di come non esista nulla che l'intelligenza umana non sia capace di giustificare. Il giudice vero, tuttavia, è quella parte di cervello che noi, commettendo un grave errore di fisiologia, chiamiamo "cuore", una parte di cervello che ci soppesa con soggettiva obiettività, se mi si passa l'ossimoro, nella nostra qualità di uomini kantianamente e misteriosamente morali.

Biografia:
Nel giugno del 1949 mia madre mi partorì a Bologna, distratta dalle imprese di Fausto Coppi che la voce di Ferretti illustrava alla radio.
Dopo un'infanzia e una giovinezza trascorse a Maranello nel covo della Ferrari, mi sono laureato in Farmacia e ho cominciato subito ad occuparmi, da tecnico e progettista, di aggeggi che servono ai medici per giustificare le loro parcelle e, in fin dei conti, a me per pagare il conto del macellaio.
La passione per l'arte in genere l'ho ereditata, credo, da mia madre. Così ho fatto, ben inteso da dilettante, il fotografo e il musicista, prima di passare alla scrittura di racconti e di pezzi teatrali.
Da mio padre ho ereditato la passione per lo sport e, finché gli anni non hanno preteso un pedaggio insostenibile, sono stato maratoneta con quindici campionati italiani amatoriali a squadre nel mio palmarès.
Come scrittore ho un bel po' di pubblicazioni al mio attivo, in italiano e in inglese, ma, ahimè, soltanto in campo scientifico. Come letterato, benché valga assai di più che come scienziato, nulla.
In famiglia sono l'ultima ruota del carro, con una moglie bioingegnere che fa ricerche a livelli stratosferici e due figli strumentisti e compositori, uno rock (chitarra) e uno classico (oboe). E allora scrivere mi serve per non beccare troppo distacco.
 


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PERSONAGGI:

CLAUDIO, figlio di Mario
LUISA, figlia di Mario
GIOVANE
GIORGIO ALBERTI, ospite della Colombara
MARIO, proprietario della Colombara
ERMES, partigiano (può essere lo stesso attore che rappresenta Claudio)

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SCENA 1

Primi anni Ottanta. L'ingresso di una casa di campagna trasformata in azienda agrituristica. Il bancone della reception dietro cui è seduto CLAUDIO, un ragazzo d'una ventina d'anni, qualche tavolo con le sedie per il ristorante, una credenza con le ante di vetro, un telefono a muro. A sinistra, la porta parzialmente vetrata che dà sull'aia, a destra la porta che introduce alle stanze e alla cucina.
Fuori scena uno sparo, poi un urlo di donna e, pochissimo dopo, un secondo uno sparo. Questo senza che Claudio lo percepisca.
Dalla porta di destra entra LUISA, ragazza di un paio d'anni più vecchia di Claudio, va alla credenza, la apre e vi cerca qualcosa.
Dal cortile si sente sbattere la portiera di un'automobile. Claudio si alza, va alla porta di sinistra, la apre un poco, guarda fuori, poi la spalanca e ne esce. Rientra dopo un momento, portando due valigie. Dietro di lui entrano un GIOVANE e GIORGIO, un uomo che ha passato da un po' la sessantina. I due sembrano non vedersi e sembreranno non vedersi mai. Il Giovane non parlerà direttamente a nessuno. Luisa si volta verso chi entra, guarda atterrita, lancia un breve grido soffocato e scappa, uscendo dalla porta di destra.

GIOVANE [senza rivolgersi a nessuno in particolare]: L'odore era quello di allora. Quello che aveva visto era ciò che aveva visto Lenny.

CLAUDIO [rivolto a Giorgio]: Benvenuto alla Colombara, signore. [Giorgio accenna con la testa.] Lei aveva prenotato, vero? [Giorgio annuisce, guardandosi intorno attentamente. Claudio va dietro al bancone e Giorgio gli porge la carta d'identità. Claudio la prende e la  apre.] Vediamo... [Apre il registro che sta sul bancone e lo scorre con il dito.]
Dieci aprile.... Oggi è l'undici:... Alberti... Sì, sì: è tutto scritto: signor Giorgio Alberti. Prenotato. Del resto c'è solo lei. Ecco la chiave, la numero uno. E' al piano di sopra. Se ha bisogno, io mi chiamo Claudio. L'accompagno.

GIORGIO [prendendo la chiave]: Sotto i travi?

CLAUDIO: L'accompagno sotto i travi?

GIORGIO: La stanza, dicevo.

CLAUDIO: La stanza? Sì, è sotto i travi... Lei è già stato qui? [Giorgio non risponde, prende le valigie e, seguito dal Giovane, va verso la porta di destra. Claudio esce in fretta dal bancone.] L'accompagno io... [Giorgio e il Giovane escono da destra.]
 
 
 

SCENA 2

La stanza da letto. Un letto, un cassettone, una sedia davanti a  un  tavolo, a destra una finestra, al soffitto le ravi di legno.
Giorgio apre le valigie che sono posate sul letto e ne toglie gl'indumenti che mette nei cassetti del cassettone. Infila le valigie sotto il letto, poi apre la finestra, guarda fuori e la richiude voltandole le spalle.Si siede sul letto e si nasconde il viso tra le mani. Il Giovane sta discosto e lo guarda.

GIOVANE: Essere lì ma non vedere niente per abituarcisi a poco a poco.
Si sente una specie di brusio ticchettante. Giorgio alza la testa, si guarda intorno, guarda in alto verso il soffitto.

Poi prende la sedia, la porta vicino al letto e vi sale sopra. Passa la mano sui travi.

GIORGIO: Tarli. [Riporta la sedia davanti al tavolo, da una valigia toglie un grosso quaderno e una penna che poggia sul tavolo. Va alla finestra, la apre di nuovo. Fuori è notte. Va al tavolo, si siede, pensa un attimo e comincia a scrivere. Con tono inizialmente leggero, sforzandosi di essere scherzoso] Ma perché, mi sono detto qualche giorno fa, devo proprio andare in vacanza ad agosto se posso permettermi di andarci quando ne ho voglia? Anche due o tre volte l'anno, se mi va.
Del resto essere scapoli e pensionati ha dei vantaggi. A modo suo il posto è bello: è quello che... [si ferma e cancella] Si dice che qui si mangi bene, e infatti la cena di stasera, presa appena arrivato, a mala pena con il tempo di salire in camera, è stata eccellente. Pare che io sia l'unico ospite dell'albergo o dell'azienda agrituristica o di come diavolo si chiama questo posto. Del resto... No, del resto l'ho appena scritto. E' ovvio che in aprile venga in mente a pochi di prendersi le vacanze alla Colombara... [cancella] le vacanze in un luogo come questo. Io, tempo ne ho, ne ho da vendere, se il tempo si potesse vendere a qualcuno e se qualcuno volesse comprare il mio. La seccatura credo verrà dai tarli che, a giudicare dagli scricchiolii, abitano le travi. [Facendosi involontariamente molto serio] Io li conosco... [si ferma e cancella] Di giorno non li senti perché la luce ti distrae, gli uomini si muovono, il pensiero è impegnato a far sopravvivere il corpo. Ma di notte i tarli fanno rumore. Sono lenti, cocciuti, inarrestabili e, piano piano, senza fretta, non lasciano che miseri relitti: gli avanzi di un processo lento e naturalmente giusto. [Smette improvvisamente di scrivere.] Un processo. [Si alza dalla sedia e si stende sul letto. I tarli si sentono più forte. Si volta verso il muro e vede che la luna traluce attraverso la finestra illuminando il muro e proiettando l'ombra di un albero che ha da poco cominciato a rivestirsi di foglie. Si alza, cerca di nascondere con il corpo quanto la luce della luna proietta contro il muro, poi chiude la finestra.] Un processo...

GIOVANE [sulla parola "processo" pronunciata per la seconda volta da Giorgio, non rivolto a Giorgio]: Un processo. Erano passati anni, decenni, la vita aveva preso svolte prevedibilmente imprevedibili. Si matura, s'invecchia. Ogni vita è diversa e ogni vita è banalmente assimilabile a qualsiasi altra vita e questa non aveva fatto differenza. I processi che contano veramente sono quelli che ci si fa da soli e quello era stato lungo, doloroso ed era finito con una condanna e un perdono. Non l'avrebbe fatto più. Non l'avrebbe fatto più anche perché le circostanze non avrebbero più potuto ripetersi. Non con lui. Non c'era merito in questo. Ma c'era demerito, colpa, nell'essersi trovato nelle condizioni di allora? Una persona resta la stessa solo perché porta lo stesso nome o è vero, piuttosto, che non ci s'immerge mai due volte nello stesso fiume?

GIORGIO [non rivolto al Giovane]: Lo stesso nome? No, non lo stesso nome.

GIOVANE: Eppure era bastata una zaffata di alberi in fiore, l'odore dell'aglio e del rosmarino pestati in cucina e due colline rotonde con il torrente che le divide da sempre perché tra i nomi non si frapponesse più nulla.

Giorgio spegne la luce. Resta il rumore dei tarli.
 
 
 

SCENA 3

L'ingresso. E' mattina. Solo il tavolo a cui siede Giorgio è apparecchiato. Sul tavolo, il diario. Il Giovane sta
discosto, in piedi. Giorgio, che indossa un paio di scarpe da montagna, si guarda intorno, un po' impaziente, ma pare non arrivi nessuno a servirlo. Dalla porta di destra esce Luisa. Si ferma un passo dopo, vede Giorgio, che non la vede, si volta ed esce in fretta.  Giorgio si alza, va verso la porta di sinistra, la apre, guarda fuori un momento, poi la richiude. Va verso la credenza e guarda attraverso l'anta vetrata: ci sono piatti, bottiglie, libri e un po' di cianfrusaglie. Si risiede al tavolo e fissa la porta di sinistra. Da destra entra MARIO, sui quarantacinque anni, tarchiato, con pochi capelli, dall'aspetto simpatico e vigoroso.

MARIO: [avvicinandosi da dietro a Giorgio] Buongiorno.

GIORGIO: [trasalendo, si volta di scatto]: Buon...

MARIO [sorridente, porgendo la mano a Giorgio che la prende dopo aver esitato un attimo]: Sono il proprietario della Colombara. Mi chiamo Mario. Le do il benvenuto. Mi scusi se ieri non ero ad accoglierla, ma sono dovuto scendere in città per sbrigare un po' di burocrazia. Ogni giorno c'è una scadenza nuova. Non ti lasciano in pace... Spero si troverà bene da noi. Non è stagione, sa. Qui è troppo alto per essere collina e troppo basso per essere montagna e allora...
Non è stagione e siamo a personale ridotto: oltre a me, adesso ci sono mia moglie e i miei due figli. Siamo a sua disposizione. Per qualsiasi cosa... [Fa per andarsene.]

GIORGIO: E'...

MARIO: Sì?

GIORGIO: Volevo dire... Qui non è cambiato molto.

MARIO: Cambiato? Beh, dipende da che cosa intende. L'azienda l'abbiamo aperta un paio d'anni fa e da allora...

GIORGIO: No, volevo dire... Stamattina mi sono alzato presto e ho fatto una passeggiata. Le case sono quelle di una volta. Solo i rampicanti...

MARIO: Eh, sì. Qui non ha costruito nessuno. I rampicanti hanno preso il posto degli uomini. Sono rimasti i vecchi [sorridendo] e quelli vanno in esaurimento. I vecchi non si riproducono, per fortuna. Qui siamo sempre in meno, ma non c'è da lamentarsi: ogni volta che devo scendere in città torno con il mal di testa. Magari abitare qui non è sempre comodo ma, se non altro, parole come traffico, inquinamento, criminalità le sentiamo alla televisione e, se si ha voglia di farsi i sei chilometri da qui alla strada provinciale e gli altri due fino alla tabaccheria dove vendono i giornali, possiamo leggerle. Qualcosa si perde, ma forse è più quel che si guadagna.

Entra Luisa con il vassoio della colazione che posa sul tavolo ed esce in fretta.

GIORGIO: Può darsi...

MARIO: Anche i miei due ragazzi, sa, quando vanno in città non vedono l'ora di tornare a casa.

GIORGIO: Questi posti rimangono dentro.

MARIO: Eh, sì. Lei conosce questi posti?

GIOVANE: Dopo due o tre svolte si era accorto che non aveva bisogno di fare alcuno sforzo di memoria per muoversi tra i campi.

GIORGIO: No.

MARIO: Mi era parso che dicesse che non c'era niente di cambiato.

GIORGIO [leggermente irritato]: Sì, niente... Niente come in tutti i posti di collina... o di montagna.

MARIO [sorridendo]: Già.

GIORGIO [più tranquillo]: E un posto vale l'altro.

MARIO: E un posto vale l'altro. Quando io ero bambino c'era la guerra. Per un po' di anni, a guerra finita, qui non ha abitato nessuno e quando in una casa non ci sta nessuno, fa presto ad andare in rovina. Qui in Appennino, poi, con la neve, le piogge... Dopo abbiamo rimesso tutto in ordine. Abbiamo rimesso tutto a posto ma qui non ci ha abitato nessuno fino a che non mi sono sposato. Mi sono sposato presto, sa. Io ho un diploma di geometra che mi è servito solo per rifare qui quello che avrebbe fatto un qualsiasi muratore. In realtà ho sempre fatto il contadino.

GIORGIO: Però adesso...

MARIO: Due anni fa mi è venuta l'idea dell'azienda agrituristica. Avevo letto sul giornale che in Germania vanno in vacanza in campagna e allora... Mah, oggi come oggi non mi pare un grande affare. Lei non è mai stato qui?

GIORGIO [di nuovo un po' irritato]: Le ho già detto di no.

MARIO: Sì, sì, mi scusi. [Va dietro al bancone della reception, si china e prende i documenti di Giorgio.] I suoi documenti. [Giorgio va verso il bancone e allunga il braccio per prenderli. Mario si ritrae impercettibilmente quel tanto che basta perché Giorgio non arrivi a prenderli. I due si guardano un attimo, poi Mario porge i documenti a Giorgio che li afferra e se li ficca in tasca frettolosamente.] Mi scusi, [fa per andarsene] ma debbo andare. Sa, faccio sempre il contadino e qualcosa da fare non manca mai... Per qualsiasi necessità... [Esce dalla porta di sinistra lasciandola aperta.]

GIORGIO [Va alla porta e la chiude]: Quell'odore... [Torna al tavolo, beve il caffè lasciando il resto della colazione. Poi apre il diario e inizia a scrivere. In tono sforzatamente scherzoso] Stamattina presto ho messo le pedule nuove ancora da domare e, rischiando la pelle, quella dei piedi, sono uscito a fare una passeggiata.

GIOVANE: Dopo due o tre svolte si era accorto che non aveva bisogno di fare alcuno sforzo di memoria per muoversi tra i campi.

GIORGIO: Qui non c'è altro che questo casone da contadini un po' goffamente trasformato in albergo. Per trovare qualche ulteriore vestigia umana bisogna scendere verso il torrente, e le case che vi si trovano...

GIOVANE [guardando attraverso i vetri della porta di destra]: ...sono sempre le stesse, solo coperte dai rampicanti...

GIORGIO: ...sono diroccate...

GIOVANE: ...ma restano perfettamente riconoscibili...

GIORGIO: ... perché evidentemente nessuno ha il desiderio di venire a cacciarsi in un posto come questo...

GIOVANE: ...come è perfettamente riconoscibile ogni profilo di montagna, ogni salto del torrente, ogni albero...

GIORGIO: ... a meno che l'alternativa che gli si offre non sia ancora peggiore...

GIOVANE: ...perché qualsiasi cosa viva è rimasta cristallizzata, graziata per un poco del proprio inarrestabile divenire...

GIORGIO: ...poi sono tornato all'hotel dove ho incontrato il padrone...

GIOVANE: ... anche la gente sembra fatta come se la natura avesse perduto la fantasia: sempre uguale...

GIORGIO: ... un uomo dalla faccia comune come i suoi due figli...

GIOVANE: ...e l'idea è quella della centrifuga del laboratorio dove per anni...

GIORGIO: ... un uomo che, stucchevolmente come fanno in tanti che si prendono ad esempio, si è vantato di aver sofferto da bambino e...

GIOVANE: ... aveva separato le polveri. Così è la memoria.

GIORGIO: ... si è vantato di essere geometra.

GIOVANE: Mescolale pure, quelle polveri: basterà una bella girata di centrifuga per trovarsele di nuovo tutte belle e separate, in perfetto ordine.

Entra Claudio e si avvicina al tavolo.

CLAUDIO [guardando la colazione quasi intatta]: Non le è piaciuta?

GIORGIO: Ma no, ma no. E' solo che... E' solo che la mattina mi basta un caffè.

CLAUDIO: Perché se non le è piaciuta le porto qualcos'alto.

GIORGIO: Ma no, va benissimo.

CLAUDIO: Mio padre mangia le uova con il lardo la mattina.

GIORGIO: Ah, sì?

CLAUDIO: Sì. Se vuole glie ne faccio un paio.

GIORGIO: Ma per carità!

CLAUDIO: Della torta di mele? Mia madre...

GIORGIO: [un po' spazientito]: No, ho detto: va bene così.

CLAUDIO: Qualsiasi...

GIORGIO: No!

CLAUDIO [prendendo il vassoio della colazione e dirigendosi verso la porta di destra]: Mi scusi. [Esce.]
 
 
 

SCENA 4

La stanza da letto. Il Giovane sfoglia il diario di Giorgio, poi guarda dalla finestra. Mario entra in pigiama con uno spazzolino da denti in mano. Posa lo spazzolino sul tavolo e si sdraia sul letto dove si rivolta senza trovare una posizione che lo soddisfi. I tarli ticchettano percettibilmente.

GIOVANE: Quando Mario, il padrone della Colombara, durante la cena lo fissava alla nuca, la nuca formicolava.

GIORGIO  [Non trovando una posizione comoda a letto, si alza e si siede al tavolo dove comincia a scrivere sul quaderno]: Effettivamente non si mangia male. Però quel Mario è veramente fastidioso. A parte stamattina quando non la smetteva più di chiacchierare e mi ha fatto raffreddare il caffè, pare piuttosto taciturno o, almeno, stasera se ne stava immobile a guardarmi mangiare senza aprire bocca. Eppure è fastidioso. E poi c'è questo accidente di materasso che deve risalire ai tempi della guerra... [cancella] che sembra fatto di patate. Mi chiedo chi me l'abbia fatto fare di prenotare la bellezza di due settimane alla Colombara... [smette di scrivere e cancella] in questo posto... Dopo due giorni non ne posso già più.
Un posto...

GIOVANE: ... dove i tarli non smettono di mangiare lo scheletro della casa.

GIORGIO: ...dove i tarli non smettono di mangiare lo scheletro della casa. Allora ho deciso: domattina pago il conto e me ne torno in città.

GIOVANE: La partita con queste colline, con questa casa, con l'aia, con il portico, con la stalla, con la gente troppo uguale è finita da un pezzo. Non c'è ragione per riaprire un processo passato in giudicato, tanto più che, a condanna comminata dall'unico giudice possibile, non era mai stato chiesto di rivedere il giudizio, un giudizio che non poteva che essere accettato, visto che imputato e giudice coincidevano, un giudizio che era ormai sepolto sotto una crosta di contingenze. La pena non è mai commisurata al delitto, ma pena c'era stata. E sopprimere Lenny di pena ne era costata...

GIORGIO [sempre scrivendo]: Costerà magari qualcosa. Magari quel Mario pretenderà che gli paghi le due settimane per intero, ma mica sono in prigione. Io me ne vado quando mi pare. [Rumore di tuono. Giorgio si alza e va alla finestra da cui il Giovane si scosta. Ancora un altro tuono.] Ecco, ci mancava anche il temporale. Via, via: domattina si parte!
[Va a letto e spegne la luce, mentre da fuori entra il rumore della pioggia, del vento e di qualche tuono molto lontano. Nonostante il rumore del temporale, si sentono i tarli. Giorgio si rivolta nel letto, poi accende la luce e si siede sul letto, tappandosi gli orecchi. Si alza e va alla porta, la apre, chiama] Non c'è nessuno? [Aspetta un attimo e, non avendo avuta risposta, chiama più forte] Non c'è nessuno?... Ehi, non c'è nessuno qui? [Colpisce il muro con la mano aperta, poi richiude la porta e fa per tornare a letto. In quel momento bussa alla porta Luisa. Giorgio apre.]

LUISA [timida e un po' impaurita]: Scusi. Ha chiamato?

GIORGIO: [impaziente e molto nervoso]: Sì, ho chiamato. Ho chiamato dieci volte!

LUISA: Scusi, signore, ma c'è un temporale: mio padre e mio fratello stanno mettendo nella stalla...

GIORGIO: Sì, sì, va bene!

LUISA: Desidera...

GIORGIO: Desidero che questi tarli la smettano!

LUISA: I tarli?

GIORGIO: I tarli, sì, i tarli! Non li sente?

LUISA: Veramente...

GIORGIO [isterico]: Li sento io e questo basta! Non ha qualcosa, un insetticida, una pistola...

LUISA [atterrita]: Una pistola?

GIORGIO [accorgendosi di avere esagerato]: Ma sì, dicevo per dire...

LUISA: Scusi, vado a chiedere. [Esce quasi scappando]

Si spengono le luci. Leggero, il rumore dei tarli.
 
 
 

SCENA 5

L'ingresso. Rumore di pioggia e di vento senza più tuoni. La luce della lampada elettrica va e viene. Claudio parla al telefono a muro. Luisa, in piedi vicino a lui ascolta.

CLAUDIO: No, no, non abbiamo problemi... E' franata dove?...

LUISA [bisbigliando a Claudio che le fa segno con la mano di tacere]: Chiedi se si arriva alla strada.

CLAUDIO: E per arrivare alla strada provinciale?...

LUISA [sempre bisbigliando]: Chiedi per quanto tempo. [Da sinistra entra Mario vestito di un grande impermeabile bagnato e con un cappello in testa. Si avvicina al telefono]. Per quanto tempo siamo bloccati?

CLAUDIO: Ma per quanto tempo?... Sì, dico, per quanto tempo saremo bloccati?

MARIO [a Claudio]: Dai qua. [Prende la cornetta]. Ciao, sono Mario... Sì, lo so che è franata la provinciale. E c'è una bella frana anche qui alla Colombara, subito alla prima curva... L'ho appena vista e qualcosa casca ancora... No, per adesso non abbiamo problemi: cibo ne abbiamo finché vogliamo. [Entra Giorgio dalla porta di destra portando le valigie. Luisa lo vede, va dietro il bancone aspettando che passi, poi esce dalla porta di destra] Con un ospite solo... L'unico problema sarà l'elettricità. Speriamo che almeno il telefono regga... Avete le previsioni?... Speriamo non ci becchino...
Sì, sì, ciao. [Riattacca la cornetta, si toglie l'impermeabile e il cappello e si accorge di Giorgio.] Buon giorno, signore. [Guarda le valigie e, accennandovi con la testa, sorride]. Se vuole partire ho paura che... [La lampada balugina un po', la luce si fa rossastra e si spegne. Si avverte un po' di trambusto e dopo un attimo Claudio accende una lampada a petrolio.] Come quelle di una volta. [Sorride.]

GIORGIO: Ma io non posso restare qua.

MARIO: Ho proprio paura che...

GIORGIO [leggermente isterico]: Non potete trattenermi!

MARIO [allargando le braccia e abbassando un poco la testa]: Fosse per me...

GIORGIO: Ma sì, ma sì, vi ci siete messi tutti d'impegno!

MARIO: Purtroppo della primavera in montagna non ci si può fidare. Anche se qui non è proprio montagna a rigor di termini.

GIORGIO: Lei e la sua montagna che non è montagna! Ma che cosa vuole che importi a me se questa è collina o montagna?
Più in alto o più in basso, che cosa m'importa? Voglio andarmene! Ha capito? Voglio andare via, via, via di qua!

MARIO: Signore, lo vede anche lei. C'è una frana che ha bloccato la provinciale subito dopo l'innesto con la strada sterrata che viene qui e di frane ce n'è un'altra, pare più piccola, appena a monte. Qui, poi, appena passata la prima curva è venuta giù...

GIORGIO: Ho sentito! Ho sentito: qui crolla tutto! Qui crolla il mondo!

MARIO: Beh, il mondo, magari, no. Le frane, però, sono di casa. Lei dovrebbe saperlo.

GIORGIO: Io dovrei saperlo? E perché io dovrei saperlo?

MARIO: Mah, dicevo così... Lei è una persona istruita e lo sa che l'Appennino...

GIORGIO: Io so solo che voglio andarmene e sono bloccato qui. [Si avvicina alla porta di sinistra e guarda fuori dai vetri. Un tuono lontano.] Ecco: il tuono! [Guarda Mario come se fosse lui il colpevole del maltempo. Mario sorride e alza leggermente le spalle.] Evidentemente lei si diverte, vero?

MARIO: Proprio questo gran divertimento io non ce lo vedo, ma in fondo non è una tragedia. Mi dispiace che lei sia bloccato. Se è per il costo della camera...

GIORGIO: Ma quale costo della camera! Voglio andare via di qui!

GIOVANE: Dalla Colombara.

GIORGIO: Da questo posto!

MARIO: Vogliamo sederci un po'? Le offro un bicchiere di vino brulé. [A Claudio] Dai, Claudio, fai due bicchieri di vino brulé. [Claudio esce dalla porta di destra.] Magari facciamo due chiacchiere. Mi rendo conto che lei avrà l'abitudine a qualcosa di meglio, ma, visto che difficilmente potrà andarsene prima di qualche giorno...

GIORGIO: Qualche giorno? Ma sta scherzando?

MARIO: Prima, prima di qualche giorno, se stesse in me. Ma...

GIORGIO: E io? E io che cosa faccio qui?

MARIO: Eh, sì, lo ammetto: da noi non c'è gran che da fare per un visitatore se il tempo si mette al brutto. Si sieda, la prego. [Mario si siede. Giorgio resta in piedi. La lampada balugina un po' poi si riaccende.] Guardi: è tornata la luce.
Buon segno, le pare? [Un tuono. Mario alza le spalle e sorride. Giorgio si volta indispettito.] Vuole qualcosa da leggere?
Io non ho molto da offrirle, ma, aspetti un attimo... [Si alza, va alla credenza, la apre e ne toglie un libro che porge a Giorgio. Giorgio lo prende. Dalle pagine sfugge una cartolina che cade a terra. Mario la raccoglie e senza guardarla la mette contro il vetro della credenza, sostenuta dalla cornice.]

GIORGIO [guardando la copertina del libro e leggendo ad alta voce il titolo]: "Vent'anni dopo". [Guarda Mario con un sorriso ironico.]

MARIO: L'ha già letto? L'ha lasciato qui un signore un paio d'anni fa. Quando me ne sono accorto gli ho subito telefonato per avvertirlo e magari rimandarglielo. Ma lui mi ha detto di tenerlo, se per caso un ospite... Se lo vuole leggere... Ma se l'ha già letto...

GIOVANE:  [va verso la credenza e guarda la cartolina. La prende e legge]: 15 agosto 1937. Saluti da Riccione.

Mario e Luisa. [Rimette la cartolina al suo posto.]
Entra Claudio con un vassoio su cui sono i due bicchieri di vino brulé. Li posa sul tavolo. Mario ne porge uno a Giorgio che finge di non vedere. Allora Mario beve un po' del contenuto.

GIORGIO: E quanto durerà questa storia?

MARIO: La pioggia, dice? E chi lo sa. I carabinieri al telefono mi hanno detto che un fonogramma da Roma parla di altri due o tre giorni. Il problema sono le strade. Non è tanto raro, sa, che qui si resti isolati. Con la strada sterrata che abbiamo per arrivare alla Colombara, poi... D'inverno la neve, d'autunno e di primavera la pioggia e con la pioggia arrivano le frane. Lei lo sa...

GIORGIO: Io so che cosa?

MARIO: Sì, dicevo, lei è una persona istruita e lo sa che l'Appennino...

GIORGIO: Sì, sì: l'Appennino... [Prende le valigie e si dirige verso la porta di destra.]

MARIO: Aspetti, l'aiuta Claudio. Claudio!... L'aiuto io!

Giorgio esce dalla porta di destra con le valigie senza voltarsi.
 
 
 

SCENA 6

Camera da letto. Giorgio entra seguito dal Giovane e sbatte le valigie sul letto. Le apre. Apre un cassetto del
cassettone per riporvi di nuovo gl'indumenti e ne estrae una cornice d'argento piuttosto grande  che contiene una fotografia in bianco e nero. La guarda fisso. E' stupito perché quel cassetto dovrebbe essere vuoto. La tiene fra le mani. Dietro di lui il Giovane legge ad alta voce quanto è scritto sulla fotografia.

GIOVANE: 14 agosto 1937, anno quindicesimo dell'era fascista. Mario e Luisa sposi.

Si sente il ticchettio dei tarli. Giorgio si siede sul letto e si chiude gli orecchi con le mani. Mentre il ticchettio si fa più forte le luci si abbassano fino a spegnersi del tutto.
 
 
 

SCENA 7

L'ingresso. Giorgio sta in piedi e guarda fuori dal vetro della porta di sinistra. Il Giovane sta in un angolo. Mario sta scrivendo, seduto al bancone.

GIORGIO. Ha smesso di piovere.

MARIO: [continuando a scrivere] Prima o poi...

GIORGIO: Allora si può andare?

MARIO [alzando gli occhi verso Giorgio e sorridendo]: Le frane...

GIORGIO: Sì, le frane, le frane...

Squilla il telefono. Mario si alza e va a rispondere.

MARIO: Pronto... Sì... Oh, ciao! [copre il microfono del telefono con la mano e, rivolto a Giorgio, bisbiglia]  I carabinieri. [Giorgio si avvicina e Mario riprende a parlare al telefono] Ce l'avete fatta?... [un po' deluso guarda Giorgio e scuote appena la testa] Beh, però qualcosa avete riaperto... No, no, noi stiamo bene [guarda Giorgio che ha un breve atto di stizza]... No, vi dico, non c'è bisogno che facciate i matti per arrivare qua... Stiamo benissimo.
Da mangiare ne abbiamo per un mese e l'acqua non manca di sicuro. [Guarda Giorgio, sperando di averlo fatto ridere, ma questo si volta, mandandolo al diavolo con un piccolo gesto della mano.] Se avremo bisogno vi chiamerò io... Ciao, ragazzi. [Riaggancia la cornetta e, rivolto a Giorgio] La provinciale a monte è sgombra. O, almeno, con la camionetta si passa. Per la frana a valle dice che bisogna aspettare un po'. Lavorano, eh, stanno lavorando. Ma ha appena smesso di piovere e c'è un sacco di fango. E' venuto giù un bel pezzo di montagna. Il Monte delle Formiche, sa...

GIORGIO: So che cosa?

MARIO: No, dicevo così per dire. Noi quello lo chiamiamo il Monte delle Formiche.

GIORGIO: Interessante.

MARIO: Se me lo chiede il perché si chiami così, non lo so.

GIORGIO: Stia tranquillo che non glie lo chiedo.

MARIO: Ci saranno delle formiche.

GIORGIO: Sarebbe bizzarro. Comunque un bel mistero, questo.

MARIO: Però formiche ce n'è dappertutto.

GIOVANE: E tarli.

MARIO: Tarli?

GIORGIO: Tarli?

MARIO: Lei ha detto tarli.

GIORGIO: Io? Sì, tarli. La camera è piena di tarli. Non glie l'ha detto sua figlia? La mia camera è un condominio, una metropoli di tarli. Ci banchettano nella mia stanza e tra un po' franerà anche quella. I tarli passano la notte a mangiare i travi e non resterà che un pugno di polvere. Già il materasso è quello che è, poi quel ticchettio che non smette un secondo...

MARIO: Mi dispiace che non si trovi bene qui da noi. Vuole provare un'altra stanza?

GIORGIO: Macché! Una stanza vale l'altra.

MARIO: La due è un po' più piccola, ma...

GIORGIO: No!

MARIO: Le farò cambiare subito il materasso. Luisa!

GIORGIO: Non ci sarà un grande miglioramento.

MARIO: E' la cucina, allora, che non le piace.

GIORGIO: La cucina va benissimo.

MARIO: Grazie... Stasera abbiamo il cinghiale. Non l'ho preso io, sa. No, io a caccia non ci vado. Me l'hanno portato i carabinieri. L'hanno investito con la camionetta. Dicono. Loro mi portano i cinghiali che vanno sotto la camionetta e quando ne hanno voglia vengono a mangiarselo gratis e cucinato come si deve... [poi, con modestia] almeno come siamo capaci di fare noi...

GIORGIO: Verranno i carabinieri?

MARIO: A mangiare?

GIORGIO: No, dico: verranno e basta.

MARIO: A far che?

GIORGIO: Non so, a portare qualcosa. Cibo, medicine...

MARIO: Sta male? Se si sente male abbiamo una mezza farmacia in casa. Luisa!

GIORGIO: Sto benissimo. Per quanto si possa star bene impantanati qui.

MARIO: E allora?

GIORGIO: Che ne so io? Potrebbero venire.

MARIO: E se venissero?

GIORGIO: Io andrei via con loro. Prenderei la corriera e tornerei in città. O un taxi.

MARIO: Un taxi qui?

GIORGIO [ancora più spazientito]: La corriera!

MARIO: E la macchina?

GIORGIO: La macchina la lascerei qua. La tornerei a prendere fra una settimana, fra un anno, mai...

MARIO: Dovrebbe fare un bel pezzo a piedi, nel fango.
Giorgio, molto innervosito, si volta di scatto verso la porta di sinistra a cui si avvicina. Tamburella con le dita
sul vetro. Poi apre la porta ed esce. Dopo qualche secondo rientra.

GIORGIO [con dispetto e quasi piagnucolando]: Ha ripreso a piovere.

MARIO [allargando le braccia e, tra sé] Io, quel che dovevo fare in città l'ho fatto.[Riprende a scrivere. Passa qualche momento di silenzio, poi alza la testa e, rivolto a Giorgio]Non mi chiamo mica Mario, sa. [Giorgio resta immobile, girato verso la porta di sinistra.] Angelo: il mio nome vero è Angelo, come il fratello di mia madre morto appena nato.

GIORGIO: Un nome benagurante in famiglia.

MARIO: Mario era il nome di mio padre. [Il Giovane si siede al tavolo e guarda attentamente Mario. Giorgio resta immobile.] Tutti mi chiamano così perché dicono che sono uguale a lui. Io me lo ricordo poco. L'ha visto...?

GIORGIO [voltandosi di scatto]: Che cosa dovrei aver visto?

MARIO: La foto. La foto lì, sul vetro. [Va alla credenza, prende la fotografia e si avvicina a Giorgio.]

GIORGIO: [spazientito, tra sé]: Le foto di famiglia adesso. Mi mancavano...

MARIO: Guardi, guardi qua: non le sembro io? E invece è mio padre più di quarant'anni fa. Questa è mia madre, vede?
Erano al primo giorno di matrimonio. Tre giorni a Riccione si sono fatti, e qui da noi sembrava il viaggio di due grandi signori. Chi era mai stato a Riccione? Chi aveva mai visto il mare? Avevano messo da parte, lira dopo lira, i soldini per il pranzo e per il viaggio di nozze. Qui nessuno lo faceva il viaggio di nozze. Ma loro erano andati. Come due signori. Poi erano tornati qui...

GIOVANE: ...alla Colombara...

MARIO: ...alla Colombara e avevano ricominciato la vita di tutti i giorni: la campagna, che da noi è tutta su e giù e lavorarla non è roba leggera, le vacche da mungere, i vitelli che quando nascono sembra lo facciano apposta a nascere di notte, le amarene, le mele da raccogliere: la solita fatica, insomma, quella di sempre, però insieme. C'erano anche allora le frane, sa. Ha visto mia madre? Uguale a mia figlia. Ha visto la foto? Guardi. Tutte e due Luisa. Anche mia figlia si chiama Luisa.

GIORGIO: Quanto dista la prima fermata della corriera?

MARIO: La prima fermata? Beh... saranno... sono otto chilometri, qualcosa di più, forse.

GIORGIO: Otto chilometri...

MARIO: Però la corriera non passa mica adesso. La strada è sbarrata e per un po' di giorni... Sa, qui in Appennino...

GIORGIO: [con un gesto d'impazienza]: Ma sì, qui in Appennino! Qui in Appennino frana tutto, la strada, il Monte delle Formiche, le case con i tarli, il mondo! [Esce dalla porta di destra.]
 
 
 

SCENA 8

La stanza da letto. Rumore di tarli. Giorgio entra e si siede sul letto, prendendosi la testa tra le mani e guardando a terra. Il Giovane entra, si avvicina a Giorgio e raccoglie qualcosa tra i suoi piedi, porgendoglielo. Giorgio lo prende e lo guarda. E' una medaglia con l'occhiello infilato su di un nastro.

GIORGIO: Eh, no! Questo prima non c'era! Qui c'è qualcuno che fa il furbo. [Legge la scritta sulla medaglia] Patronato pei Figli del Popolo 1946 [getta la medaglia sul tavolo].

GIOVANE: L'intersezione di due curve. Un punto solo. Quando fu presa la decisione, affrettata o ponderata, capricciosa, generosa, cattiva, istintiva, eroica, contro natura, non importa; quando fu presa quella decisione fu impartita una direzione imperiosa ad una vita altrui, a più di una vita altrui. Un estraneo diventò fabbro di una fortuna che prima di quell'attimo non gli era mai appartenuta. Fu scelta una strada per qualcun altro e poi non ci si curò del cammino.

GIORGIO [si alza e si siede al tavolo su cui c'è il diario. Lo apre e inizia a scrivere.]: I tarli sono stupidi: scavano le loro gallerie, percorrono impietosamente il legno, annientandolo con pazienza infinita.

GIOVANE: Puoi ucciderne uno, cento, mille, forse, ma dietro quei mille ce ne sono altri mille...

GIORGIO: ...lì, ticchettanti, indaffarati, indifferenti...

GIOVANE [sulla parola "indifferenti" pronunciata da Giorgio]: ...indifferenti alla morte dei mille compagni.

GIORGIO: Sono loro i padroni.

Il rumore di tarli aumenta di volume.
 
 
 

SCENA 9

L'ingresso. Mario parla al telefono.

MARIO: Sì, sì... Allora se potete arrivare con la camionetta e portarlo alla corriera... Credo di sì, la strada sterrata è abbastanza libera, se non vien giù altra roba: con la camionetta si dovrebbe poter passare... [Entra Giorgio dallaporta di destra] La macchina la tornerà a prendere quando tutto sarà a posto... Ciao. [Riaggancia il ricevitore, sivolta e si accorge di Giorgio] Oh, buon giorno, signor Giorgio. Dormito bene? [Giorgio fa una smorfia] Ha dormito?

GIORGIO: Sì... Non lo so. E chi lo sa, qui, se uno ha dormito?

MARIO: La colazione?

GIORGIO: Caffè.

MARIO: Glie lo preparo io. [Va verso la porta di destra] Claudio è ancora fuori a sgomberare la strada. [Esce. Fuori scena] Abbiamo cominciato stamattina alle cinque a spalare la frana...

GIORGIO: Ho sentito, ho sentito... [Va alla porta di sinistra, la apre appena, guarda il cielo e la richiude. Poi va al tavolo apparecchiato e si siede. Dalla porta a destra entra il Giovane e si siede al tavolo di Giorgio senza che questo ne noti la presenza.] Ho sentito che telefonava. Verranno a prendermi?

MARIO [fuori scena]: Alle cinque non pioveva più. Se dura...

GIORGIO [a voce un po' più alta]: Verranno a prendermi?

MARIO [fuori scena]: Come dice?

GIORGIO: [a voce ancora più alta]: Ho chiesto se verranno a prendermi. I carabinieri, dico. Ho sentito che...

Rumore di stoviglie che cadono.

MARIO [fuori scena]: Mi scusi, non sento. Accidenti! [Rumore di stoviglie] Luisa!. Mi scusi, vengo subito da lei. Luisa!

GIORGIO [alzandosi e dirigendosi verso la porta di destra, a voce più alta, mentre continuano i rumori in cucina]: Dicevo... [si ferma con un gesto d'impazienza e torna a sedersi al tavolo.]

MARIO [entrando dalla porta di destra con un vassoio che reca la tazzina del caffè]: Ecco, ecco...
[posa il tutto sul tavolo e si siede senza notare il Giovane] Diceva?

GIORGIO: Ho sentito che parlava con i carabinieri...

MARIO: Sì.

GIORGIO: Verranno a prendermi?

MARIO: Sembra di sì, così hanno detto. [Giorgio allarga le braccia e alza gli occhi al cielo, sollevato] La corriera partequalche chilometro più a valle del solito ma parte. Appena avranno tempo verranno...

GIORGIO [battendo un pugno sul tavolo che fa schizzare fuori il caffè]: Appena avranno tempo?

MARIO: ... con la camionetta. [Si alza e va dietro al bancone a prendere uno strofinaccio con cui torna e pulisce il tavolo bagnato di caffè] Verranno con la camionetta perché con la macchina non ci se la fa. Come diceva lei, la macchina la potrà lasciare qui e verrà a prenderla con comodo quando... Le faccio un altro caffè [accenna ad alzarsi ma Giorgio lo trattiene per un braccio].

GIORGIO: Ma no, ma no, lasci perdere: non ho voglia di caffè. E che cos'hanno da fare questi carabinieri che non hannomezz'ora per me?

MARIO: Beh, sa, io, veramente non saprei dire con esattezza. Certo ci sono ancora tante case che sono restate isolate...
In qualcuna, in molte, ci sono dei vecchi che hanno bisogno di qualcosa da mangiare, di acqua... Sì di acqua, perchéanche se di pioggia ne è venuta tanta, anzi proprio per questo, sa, qui in...

GIORGIO: Qui in Appennino. Sì, sì.

MARIO: Sa, giù al torrente... E' in piena come allora, il torrente...

GIORGIO: Come allora quando?

MARIO: No, no, dicevo... in aprile capita. Il torrente è in piena e giù, vicino al torrente, di là dal ponte, c'è
una famiglia con un bambino piccolo... Pensi, qui da noi un bambino piccolo. La mamma non ha latte, capre non ne hanno loro e non ne ha nessuno qui intorno. Così ci vuole la polvere, quella che vendono in farmacia. Ma alla farmacia non si arriva. Una volta, fino a poco dopo la guerra, non c'era la farmacia... Ecco una cosa che è cambiata. Alla farmacia non si arriva e bisogna che vengano i carabinieri. La strada sterrata l'abbiamo in parte liberata...

GIORGIO: Insomma, vengono a prendermi o no?

Dal vetro della porta di sinistra, improvviso, entra il sole.

MARIO: Il sole! [Giorgio e Mario si alzano e vanno verso la porta. Mario la apre.] Guardi, il sole! Si vede il cielo!

GIOVANE [Si alza e va verso la porta di sinistra mentre Giorgio e Mario ne escono. Si ferma sulla soglia]: Il mattino, soffocato nella nebbia, cedette all'improvviso, senza avvisaglie, ad un cielo lustro immacolato. Le montagne più alte scintillavano con le sommità intinte di neve, gli alberi fioriti luccicavano di goccioline, i prati, presi d'infilata dal sole basso, offrivano quanto restava della nebbia. Non il soggetto, ma la nitidezza pignola era di Bellotto. Qualsiasi bufera, per interminabile e disperata che possa sembrare, è destinata a finire. Il tempo presente nutre di loto il tempo passato. Giorgio il processo se l'era fatto; aveva emesso la sentenza; aveva espiato, soffrendo per purificarsi. Ora anche il sole diceva che poteva bastare, che la pace era fatta. Allora era uscito sull'aia che la pioggia aveva lavata. Gli si pararono davanti le montagne, la strada, il torrente tra le due colline rotonde. Si girò e vide il portico lastricato di pietra cotta che dava sul fienile. Una volta ci stavano un carretto e un aratro. Giorgio capì che non era finita.

Giorgio e Mario rientrano mentre il Giovane torna a sedersi al tavolo.

MARIO: Claudio le ha ridato i documenti, vero? [Giorgio grugnisce.] Ho visto che lei abita in Via Santa Margherita, a due passi dal mio vecchio collegio.

GIORGIO: Qualcosa che non va con Via Santa Margherita?

MARIO: No, no, dicevo così, per far passare un po' di tempo in attesa di questi benedetti carabinieri. [Sorride] Nel '45, era aprile come adesso, d'improvviso rimasi solo, senza ne mamma né papà e allora, ad ottobre, mio zio mi mandò a studiare in collegio. Avevo finito la seconda elementare. Patronato pei Figli del Popolo: così si chiamava il mio collegio. Quasi dietro casa sua. Fece studiare solo me, mio zio. Per quel poco che ho studiato, si capisce.
Il sabato sera tornavo a casa, non qui alla Colombara, qui per un po' non ci ha abitato nessuno, da mio zio... c'era sempre da fare, la domenica... tornavo, stavo da lui, a quella che era diventata casa mia, la sera e la mattina della domenica, poi, dopo pranzo, la domenica pomeriggio prendevo la corriera... io la prendevo malvolentieri, sa, la corriera che prenderà lei... prendevo la corriera e tornavo in collegio a piangere in camerata. Le notti non passavano mai. Però poi ci si fa l'abitudine e non si piange più. Come ad essere senza mamma e senza papà... Ci si fa l'abitudine, sembra quasi naturale... Mio zio mi ha sempre trattato come se fossi suo figlio. Anzi, meglio dei suoi figli. Credo che cercasse di riversare su di me la gratitudine che aveva verso mio padre e mia madre. I miei li ho persi insieme, in un colpo solo, in due colpi, a essere precisi, due colpi in un minuto a una settimana dalla fine della guerra. Mio zio era un po' più vecchio di mio padre...

GIORGIO [debolmente]: Senta, ma a me...

MARIO [continuando come se Giorgio non avesse parlato]: Si era sposato poco dopo di lui e in cinque anni sua moglie gli aveva sfornato quattro figli. L'ultimo, il quinto, morì con lei. C'era la guerra e tanta neve... Sa, qui in Appennino... [guarda Giorgio che non reagisce] Io ero piccolo ma me lo ricordo bene. Lei stava male e la levatrice non riuscì ad a rrivare in tempo. Anzi, non arrivò affatto. Mia madre cercò di aiutarla ma non ci fu niente da fare. Emotiva com'era mia madre, credo abbia fatto più guai che altro... Quell'emotività che poi le costò... [Si alza, va verso la credenza] Pensi un po' com'è curioso il destino degli uomini: se mio padre, dico così, tanto per dire, fosse nato d'inverno e se in quell'inverno ci fosse stata tanta neve come quando non nacque mio cugino e se la levatrice non fosse arrivata e mia nonna fosse morta [prende la cartolina di Riccione,  la posa sul tavolo e si risiede] mio padre non sarebbe nato e lei non sarebbe qui.

GIORGIO [debolmente]: Ma che sciocchezza... e che cosa c'entro io con suo padre?

MARIO: Dico così per dire: senza mio padre io non ci sarei e l'azienda agrituristica non ci sarebbe... A mio padre la politica non interessava. Invece mio zio era un fascista. [Sorride] O così diceva lui. Oggi fa un po' ridere vedere le sue foto in camicia nera e in posa marziale. Guardi, [si alza, va alla credenza, la apre e comincia a rovistarvi] dovrei avere una sua fotografia... Aspetti, aspetti...Ecco, ecco è qui, [prende una piccola fotografia e la porta al tavolo a cui si risiede] guardi: questo è mio zio in camicia nera. Era un buon uomo. Lei crede che assomigliasse a mio padre?

GIORGIO [molto debolmente]: Ma che domanda...

MARIO: Fu anche podestà, lo sa...

GIORGIO [molto debolmente]: Ma che cosa...

MARIO [continuando senza prestare attenzione a quanto Giorgio dice]: ...il più giovane podestà della provincia, gli piaceva sottolineare. E qualcosa di buono riuscì a farlo. L'acquedotto lo portò lui, e anche l'elettricità. E riuscì a farlo in poco tempo. Pensi: l'elettricità qui in montagna... Adesso sembra niente, sembra naturale: uno preme l'interruttore e... tac: fiat lux! Si dice così? Ma allora... E' ancora vivo, sa, mio zio. Sopravvissuto... I suoi figli sono tutti in giro. Qui, però, non vuole venire a starci. Di quattro figli che aveva, fece studiare me... Non saprei dire che cosa lo attirasse del fascismo. Politica qui da noi, in realtà non se ne faceva. Chi leggeva il giornale erano due o tre nel raggio di dieci chilometri, e leggevano solo di domenica. C'era da lavorare sodo e basta. Quel che valeva erano gli uomini e la voglia di fare. Tutto il resto non contava. Magari come oggi [sorride]...

GIORGIO [con un filo di voce]: Il fascismo, la guerra... Ma a me...

MARIO: Sa, certe cose rimangono scritte per sempre in testa se le si scrive quando il cervello è ancora bello pulito.
Indirizzano la personalità. Fanno credere che il mondo sia fatto in una certa maniera. Imprinting... Si dice così?
[Entra Claudio con un valigia. La posa sul bancone, la apre, estrae un cinturone al quale è appesa una fondina con un pistola a tamburo e lo mette sul bancone. Esce da destra. Il Giovane va verso il bancone, si toglie la giacca, restando con una camicia a scacchi. Si allaccia il cinturone alla vita. Dalla porta di destra entra Luisa.] Mi scusi se dico delle parole inesatte: da quando sono diventato geometra, libri in mano ne ho presi pochi... Dica la verità: con questo bel sole non vuole più andarsene...

Le luci si abbassano senza spegnersi del tutto. Il sole entra dal vetro della porta di sinistra

GIOVANE: Giorgio ci aveva creduto. Aveva creduto di crederci, forse come lo zio: sullo stesso fiume ma sulla riva opposta.

GIORGIO: Anche ora, in quella prospettiva temporale di cui non era più padrone, era convinto che la scelta fosse stata giusta. Dal punto di vista storico, da quello filosofico, non aveva sbagliato. Anche i libri erano d'accordo.

LUISA: E' inutile costruire ad ogni generazione, con immutabile ingenuità, città ideali: l'uomo resta quello che è, indipendentemente dalla camicia che indossa.

MARIO: Forse non è nemmeno responsabile della natura che si trascina appresso.

LUISA: Forse non del tutto.

GIORGIO: Forse è la sua intelligenza a tradirlo...

LUISA: ...la sua dialettica, così sottile che è capace d'ingannarlo...

GIORGIO: ...che lo convince della giustezza di qualsiasi pensiero...

LUISA: ...di qualsiasi opinione...

GIORGIO: ...di qualsiasi decisione...

MARIO: ...di ogni cosa e del suo contrario.

GIOVANE: Gli orrori dell'Inquisizione, le guerre per un posto al sole, la giustizia disuguale, la menzogna: non esiste nulla che non si sappia giustificare; nulla che non si riesca a santificare. E non sono solo quegli uomini che gridano forte o che cantilenano in coro ad assordare le coscienze, ad anestetizzarle, e a corroborarsi l'un l'altro nella convinzione; è l'Uomo da solo che, dentro quell'universo inesplorato e sorprendente che è il suo cervello, riplasma la morale a suo uso. [Dalla porta di sinistra entra Ermes. Alla cintura porta una pistola] Non è l'intelligenza che fa difetto: è la forza. La forza di chiudere gli occhi e di processarsi tutti i giorni senza privilegi: ogni universo deve pesare esattamente come quello del suo prossimo. La forza di essere giudici, imputati e parte lesa insieme.

GIORGIO: Mi torna in mente che quello era, né più né meno, l'esame di coscienza di cui mi parlava il parroco. Prima, ben prima della guerra. Finché mi ero ricordato della cosa, l'avevo sempre trovata ridicolmente infantile. L'esame di coscienza! Quel vecchio prete rimbecillito con la testa che scuoteva di continuo [imita il tremore del morbo di Parkinson] come a negare ogni sua affermazione era una macchietta. Ma ora... Chissà se quel prete, poveretto, si rendeva conto appieno dell'enormità di quanto andava predicando, o se quella filastrocca che ripeteva da sempre e che, fuor di dubbio, aveva sentito ripetere da altri mille e mille volte lo aveva rincretinito così tanto da impedirgli di apprezzare la grandezza eroica che quella pratica impone. [Il Giovane ed Ermes si siedono al tavolo, l'uno di fronte all'altro]
L'esame di coscienza che in fondo porta al 'non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te': una pratica e una legge così squisitamente umane da essere fuori portata per qualsiasi uomo.

Si sente la sigla di Radio Londra.

GIOVANE [spegnendo una radio inesistente, rivolto a Ermes] Ce ne hanno messo di tempo, ma arrivano.

ERMES: E i Tedeschi, intanto, ne hanno fatte...

GIOVANE: E adesso?

ERMES: E adesso dobbiamo sbrigarci. Bisogna fargli vedere chi siamo. Devono capire che cosa abbiamo fatto. Se non ci fossimo stati noi, gli Americani sarebbero arrivati nel '50. Dai, Lenny, torniamo giù al torrente: il Capitano ci aspetta
[Esce da sinistra seguito dal Giovane]

GIOVANE [Uscendo]: Se la piena aumenta ancora un po', chi lo passa più il ponte?

GIORGIO [Va alla credenza, la apre, ne estrae un libro dal quale legge ad alta voce] Si sentiva: di lì a poco la guerra sarebbe finita. Bisognava sbrigarsi: come poi avrebbero detto i libri, i destini si stavano inesorabilmente compiendo.
Con esasperante lentezza gli Alleati risalivano verso Nord e i Tedeschi, da tempo alle corde, avevano modo di ritirarsi e di far male ancora. I Partigiani preparavano come potevano la strada all'esercito più imponente della storia. [Porge il libro a Mario che continua la lettura.]

MARIO: Quando Giorgio era scappato dalla casa in cui erano sfollati, suo padre, piccolo funzionario comunale, ne fu atterrito. Era la fine dell'inverno, tutto intorno le macerie s'imbevevano di pioggia e la guerra era perduta. Il Duce aveva sbagliato; solo la vita si poteva ancora salvare. E ora anche il ragazzo passava dall'altra parte. Andava a rischiare la pelle chissà dove, chissà per chi.
"Prenditi il nome che ti pare," gli aveva detto il Capitano.
"Lenny. Può andare bene?" Ma il Capitano si era già voltato.
Con un gruppo di altri ragazzi raggiunse le colline. Ogni tanto facevano saltare un tratto di strada, un ponte, un traliccio. Nessuno chiedeva il perché: erano gli ordini. Dormivano nei fienili, qualche notte in uno, qualche notte in un altro, stando attenti a non rovesciare sull'erba secca la lampada a petrolio. Facevano i turni di guardia scaldandosi con le sigarette. Intorno la neve marciva scoprendo il fango: tanto fango.

GIORGIO: Ermes aveva ucciso un tedesco.

MARIO [continuando la lettura]: Ermes era partigiano da oltre un anno e in autunno aveva ucciso un tedesco. Era il capo riconosciuto del gruppo. Lui parlava con il Capitano.
Più veloce degli Alleati arrivò la primavera con le sue piogge improvvise, con i suoi cieli senza macchie, con il suo vento e con le sue nuvole sfilacciate. Le montagne si scoprivano verdi e grigie.
Ogni giorno che passava la vittoria era più sicura. L'Italia sarebbe stata un paese ideale: niente più ingiustizie,
libertà per tutti. Mai più guerre, anche se la guerra era esaltante. Giorgio portava il suo contributo alla causa
giusta. [Posa il libro sulla tavola.]

GIORGIO: Radio Londra mandava i messaggi in chiaro e in codice. Ormai le colonne alleate erano vicinissime. Vincere non bastava: bisognava stravincere; bisognava offrire loro un'Italia purgata di ogni nemico; far vedere loro di che pasta si era fatti.

Escono tutti da sinistra.

GIOVANE [Fuori scena]: Hai visto il Capitano?

ERMES [Fuori scena]: Sì che l'ho visto.

GIOVANE [Fuori scena]: Allora?

ERMES [Fuori scena]: Il Podestà. Bisogna andare a cercare il Podestà. Abita alla Colombara, hanno detto.

GIOVANE [Fuori scena]: La Colombara?

ERMES [Fuori scena : Ma sì, due chilometri più su, verso la provinciale.

GIOVANE [Fuori scena]: Lo conosci il Podestà?

ERMES [Fuori scena]: L'ho visto.

GIOVANE [Fuori scena]: Com'è?

ERMES [Fuori scena]: E' uno robusto.

Il Giovane ed Ermes entrano dalla porta di sinistra. Si guardano intorno con circospezione, tenendo la mano sul calcio della pistola. Ermes va alla porta di destra. Tenta di aprirla ma inutilmente. Arriva il Giovane che, goffamente, bussa. Ermes lo spinge via, estrae la pistola, esplode un colpo che fa saltare la serratura e spalanca la porta. Nella camera da letto, al centro della stanza, c'è Mario da solo in piedi.

ERMES [a Mario]: Sei tu il Podestà? [Mario non risponde.  Allora Ermes grida] Sei tu il Podestà?
[Mario resta in silenzio] Capisci quello che dico? Sei il Podestà? [Mario non risponde. Ermes gli sferra un pugno sulla bocca da cui sgorga un fiotto di sangue. Mario si passa la mano sulla bocca senza reagire. Ermes lo afferra per un braccio e lo trascina nell'ingresso. Sempre gridando] Fuori! Vieni fuori! [Al centro dell'ingresso Ermes colpisce ancora ripetutamente Mario che, benché sia sicuramente più robusto dei due, non reagisce se non per ripararsi istintivamente. Mario cade. Ermes estrae la pistola e fa per sparare ma questa è inceppata. Tenta due, tre volte, ma ancora la pistola non spara. Ermes impreca. Il Giovane, allora, terrorizzato, estrae la sua pistola e spara un colpo che uccide Mario. Dalla porta di sinistra entra Luisa, correndo.]

LUISA [gridando]: E' Mario, lasciatelo stare!

Il Giovane, come ipnotizzato, spara a Luisa che cade a terra morta. Le luci si abbassano lentamente mentre Ermes e il Giovane escono tranquillamente.
Dopo diversi secondi le luci si alzano, con il sole che entra dal vetro della porta di sinistra. Mario e Luisa si rialzano e si rimettono a posto i vestiti. Mario si pulisce con un asciugamano dal sangue in faccia. Giorgio entra da sinistra e Luisa esce da destra..

MARIO [sorridendo, a Giorgio]: Stanno arrivando i carabinieri. [Giorgio non dice nulla] Stanno arrivando a prenderla.
Forse domani si riuscirà a passare anche con le macchine normali, ma lei ha fretta...

GIORGIO [esitante]: Le valigie... Non ho ancora chiuso le valigie. Non vorrei far perdere tempo ai carabinieri.

MARIO: Beh, allora è meglio che le chiuda perché quando verranno non avranno troppo tempo. Vengono per farle un favore, capirà.

GIORGIO: Sì, sì, certo. Non avranno tempo per me...

MARIO: Eh, no. C'è ancora un sacco di lavoro da fare.

GIORGIO: Allora vado... [si dirige, esitando, verso la porta di destra, poi si ferma e si volta verso Mario.] Il conto... Mi ha preparato il conto?

MARIO: Non si preoccupi: ci metto un secondo. Le ho fatto lo sconto, sa.

GIORGIO: Ma no, ma no. Quale sconto... Ho dato un sacco di noie. E poi dovevo restare due settimane e invece...

MARIO: Cinque giorni sono bastati.

GIORGIO: Ritornerò a prendere la macchina appena...

MARIO: Quando vuole. Qui non dà fastidio a nessuno. [Chiamando] Claudio! Claudio, le valigie!

GIORGIO: Allora corro in camera.

Entra Claudio da sinistra..

CLAUDIO: Stanno arrivando i carabinieri. Sono passati.

GIORGIO: Allora corro in camera [Dapprima esitando, poi in fretta esce da destra seguito da Claudio.]
Mario va alla credenza, la apre e ne toglie una fotografia che infila in una busta. Si siede al bancone e scrive
qualcosa sulla busta. Da destra entra Giorgio che va al bancone. Entra anche Claudio con le valigie ed esce dalla porta di sinistra.

MARIO: Ecco qua: il conto è fatto. [Porge il foglio del conto a Giorgio che lo guarda un attimo, estrae dalla giacca il libretto degli assegni, ne compila uno e lo dà a Mario.] Mi permetto anche di lasciarle un ricordo della Colombara
[Porge a Giorgio la busta con la fotografia.] Spero che, almeno, se non si è divertito si sia riposato, nonostante il rumore dei tarli. [Accompagna Giorgio alla porta e, mentre questo esce] Quando morirono mio padre e mia madre io ero nascosto lì, vede quella finestrina del fienile...
 

SIPARIO


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