Lettera-articolo di P. Nenni
al "Corriere degli Italiani"
- 25 marzo 1927 -
Un'analisi del presente e un programma per il futuro

 

Signor Direttore,
Ho seguito e seguo con interesse la campagna del "Corriere degli Italiani" per un'unità d'azione antifascista. Non posso dire che questo interessamento abbia mai avuto occasione di mutarsi in ammirazione, perché ancora non vedo il porto d'approdo.
Ora il problema dell'unità d'azione (non parlo di unità organica perché questa non potrà farsi che fra i socialisti per dare al proletariato un partito capace di dirigere la lotta) non è l'ordine sentimentale, ma politico, non astratto, quindi, ma concreto. Un giornale che pone il problema della concentrazione delle forze antifasciste, non può farsi soltanto la eco delle passioni ingenue delle masse, ma deve indicare la linea dell'azione.
È necessario, avanti tutto, stabilire a che punto siamo nella crisi della società italiana, che ha nome fascismo.
Dal punto di vista politico il fascismo ha raggiunto ormai il suo punto culminante. La sua organizzazione è perfetta, completa, formidabile. Attraverso le leggi Rocco, tutta la legislazione reazionaria del secondo impero è stata introdotta in Italia: oggi il fascismo ha la possibilità di controllare ogni cittadino; nulla gli sfugge. Esso è arrivato a quel grado di potenza che Napoleone III, toccò dopo la guerra di Crimea e che fece scrivere ad un suo contemporaneo: "Notre pauvre société française semble n'avoir plus rien à attendre que des bontés de la providence".
Piú d'opinione pubblica, piú di pensiero. Il sistema di compressione e di adulazione nello stesso tempo, ch'è proprio del fascismo, si può dire che ha fatto... meraviglia.
Il popolo italiano è oggi spogliato di tutti i suoi diritti, esso sottostà ad un regime che è pressapoco quello che la civile Europa applica alle colonie.
Questo nel campo politico.
E nel campo sociale?
Anche qui il fascismo ha ripreso per suo conto l'esperimento napoleonico (secondo impero). Esso si è sforzato cioè di compensare l'abolizione dei diritti politici, con lo sviluppo industriale del paese dal quale attendeva un miglioramento economico per tutti.
Fino alla marcia su Roma - ed in gran parte ancora oggi - la piccola borghesia di città e di campagna ha formato la base morale del fascismo. Ma Mussolini, convinto di potersi assicurare la fedeltà dei ceti piccolo borghesi facendo leva sui sentimenti e risentimenti nazionali, ha fatto al potere gli interessi della grande industria. Innegabilmente il fascismo ha dato un grande contributo, fra il 1922 e il 1925, allo sviluppo dell'industria; le ha fornito capitali, ne ha aiutato l'espansione e, piegando ai suoi voleri la massa operaia, le ha dato la possibilità di sostenere la concorrenza straniera abbassando i costi di produzione. Ma la repressione che il governo ha esercitato contro la classe operaia e la sua feroce politica fiscale, hanno fatto sí, che dell'accresciuta prosperità economica, beneficiassero soltanto limitatissimi ceti.
Uno degli elementi che fino al termine del 1924 ha potentemente aiutato il fascismo a consolidare il proprio potere, è stato appunto questa accresciuta prosperità economica della nazione, della quale lo stesso proletariato ha beneficiato in forma indiretta, compensando cioè con un di piú di lavoro il peggioramento dei salari. (Qui apro una parentesi: coloro che, rifendosi all'Aventino, ci accusano di tutti i piú neri tradimenti o, nella ipotesi piú favorevole, dei maccheronici errori, non hanno mai tenuto conto di due fatti: 1° che dopo l'assassinio Matteotti se c'è stato uno spostamento o un rovesciamento dal sentimento pubblico, lo Stato fascista però non fu tocco dalla crisi; 2° che, socialmente parlando, le basi del regime non sono state minimamente scosse, come gli stessi comunisti hanno dovuto riconoscere. Quindi non ci fu mai una situazione rivoluzionaria).
È nel 1925, mentre il fascismo teneva fermamente il timone politico, che e cominciata la crisi sociale, tuttora in pieno sviluppo.
L'imperialismo italiano non ha trovato i mercati che cercava. Di qui una prima contrazione fronteggiata con sempre piú gravi riduzioni di salari, al punto che oggi gl'industriali possono tranquillamente proporre delle riduzioni da sei a undici lire sui salari di venti lire. Di qui la necessità del ricorso al credito estero (un miliardo e mezzo); la corsa al rimborso dei titoli di Stato a breve scadenza che ha causato il consolidamento forzoso; di qui i fallimenti, il tracollo dei titoli, il marasma che oggi caratterizza il mercato italiano, senza che si veda una soluzione perché l'industria italiana è ormai ridotta al solo mercato interno, e la capacità di acquisto di questo mercato diminuisce tutti i giorni a causa della miseria.
Ed ecco allora, fatalmente, prodursi l'esasperazione nazionalista. Il fascismo denuncia la causa della crisi nell'assenza di mercati, nella congiura degli imperialismi soddisfatti, nella lega dei satolli contro gli affamati. D'onde, la torbida politica di Mussolini nei Balcani, il conflitto latente con la Jugoslavia, l'odio contro la Francia che i fascisti incontrano ovunque volgono gli occhi alla ricerca della terra promessa, l'asservimento all'Inghilterra nella speranza che essa ci offra qualche bricciola del lauto suo banchetto, l'ostilità contro la Russia.
Ecco, grosso modo e currenti calamo, il quadro clinico dell'Italia, la grande ammalata. Aggiungiamo, per esattezza e perché non giova farsi illusioni, che se la crisi non precipita e non può precipitare rapidamente, ciò si deve al fatto che l'economia italiana è tuttora prevalentemente agraria. Ora in questo trambusto fra il '24 ad oggi, che è successo dei vari ceti sociali?
Il proletariato è sempre passivo perché soffocato dall'apparato poliziesco e squadrista del fascismo, ma esso è piú che mai antifascista. Qua e là, sotto l'impulso del bisogno, esso dà segni non dubbi di irrequietezza. La piccola borghesia cittadina e parte di quella agraria, è malcontenta e disillusa. Non per questo s'era messa in camicia nera.
La piccola e media borghesia intellettuale, è in gran parte all'opposizione. La grossa borghesia agraria resta completamente fascista.
Nella borghesia industriale e bancaria non mancano segni di allarme sul cui carattere però non conviene farsi illusioni; ciò che l'inquieta non è il fascismo ma il timore che il fascismo non regga alla prova.
Prima conclusione: formidabile nella sua organizzazione politica, il fascismo è socialmente in piena crisi.
Carlo Marx ha detto dell'uomo del 2 dicembre che "Bonaparte avrebbe voluto essere il benefattore patriarcale di tutte le classi", ma che egli non aveva potuto "dare nulla ad una classe senza scontentare l'altra". A Mussolini sta succedendo altrettanto. Noi abbiamo già tutti gli elementi per prevedere che le forze sociali, nel loro sviluppo spontaneo, si rivolteranno contro il regime.
In altre parole, lo sviluppo della reazione non potrà essere contenuto nei quadri del fascismo.
Quale è allora il compito nostro?
Spronare, aiutare, fomentare, guidare lo sviluppo di queste forze spontanee.
Ed eccomi al punto, che si può considerare essenziale ai fini della discussione, aperta dal "Corriere degli Italiani".
Come possiamo far ciò?
Due mentalità sono in contrasto: quella di chi credendo nella virtú degli ideali, pensa che il compito essenziale sia quello di definire una serie di principî e di tenersi ad essi inflessibilmente. Sono gli educatori, i moralisti, i romantici. Ascolto volentieri le loro prediche, credo che non faranno molta strada. Essi hanno una grande capacità di definizione teorica del male, non hanno nessuna attitudine all'indagine dei fatti sociali. Non appena prendono la parola si sente che voleranno negli spazi siderei dell'Ideale, dell'Assoluto, del Diritto. Sono solenni, ma astratti. Ci indicano il punto di arrivo, ma non la strada da percorrere.
Ora è la strada che conta. È stato detto: il fine è nulla, il movimento è tutto. La prima proposizione è dubbia, la seconda è perfetta. Sí, il movimento è tutto. Non bisogna cercare gli effetti estetici che sono ad un dito dagli effetti burleschi (ah, quel Consiglio Nazionale per cui sospira e geme il simpatico poeta Campolonghi!), bisogna cercare la cosa positiva.
Ne vedo tre:

1) attirare contro il fascismo l'opinione pubblica internazionale;
2) tenere i contatti con l'Italia, inondare l'Italia di stampa clandestina, avendo presente che l'antifascismo efficiente si fa di là e non di qua delle Alpi;
3) mobilitare attraverso lotte parziali le masse italiane, rieducandole alla lotta.
Il terzo punto è l'essenziale, il secondo in certo senso lo condiziona, il primo lo completa.
Per realizzare il terzo punto non è ad una funzione educativa e pedagogica che bisogna dedicarsi, ma all'agitazione.
Ma qui vedo un dito minaccioso ad un palmo del mio naso ed odo una voce corrucciata che mi grida: "Come? tu hai detto lotte parziali? Abbiamo capito: lottare per la liberazione dei prigionieri politici perché un bel giorno arrivi Mussolini con l'amnistia; lottare per la difesa dei salari per creare nel proletariato l'illusione che esso può difendere i suoi salari anche in regime fascista; lottare per la libertà di associazione per far credere che si può conciliare il fascismo con la libertà. Mai, mai. La sola lotta seria è quella per il rovesciamento del fascismo alle radici. Il resto è opportunismo".
Rispondo: Amico interruttore, rivoluzionario, integrale ed assoluto, se tu credi che dal fascismo ti libererà il re o il padreterno o il suo vicario in terra che sta in Vaticano; se tu credi che dal fascismo ti libereranno i banchieri o gli industriali; se tu aspetti il terremoto o Sedan, allora hai ragione. Ma allora statti tranquillo, bevi e mangia se puoi, godi i giardini di Parigi e le sue donne che sono piú belle dei giardini e aspetta che qualcuno abbia cavato la castagna dal fuoco per te. In ogni altro caso, se pensi cioè che solo la rivoluzione popolare (i comunisti, coi quali noi socialisti siamo sostanzialmente concordi nell'indicare come si deve lottare, vorrebbero la rivoluzione proletaria, e qui sta il dissenso che portò noi sull'Aventino ed essi, ohimè!, non sulle barricate, ma a Montecitorio), se tu pensi che solo la rivoluzione popolare ci libererà del fascismo, allora apprendi dalla Russia degli Czar, dalla Germania di Bismarck, dalla Francia di Napoleone III (per stare ai tempi nostri) che la rivoluzione popolare non sgorga su all'improvviso per la virtú di un principio, ma è il risultato di piccole lotte e di battaglie parziali, ognuna delle quali è stimolo e condizione di battaglie piú grandi. E non ti corrucciare romantico interruttore, l'uomo del tutto o nulla: l'importante è scuotere l'atonia, smuovere la piazza; che tu la smuova per l'amnistia o per i salari non conta, importa il fatto; importa che la massa riprenda l'iniziativa dell'azione. Può darsi che la tirannia, di fronte alla piazza in subbuglio, faccia delle concessioni. Ma le concessioni non avrebbero salvato Napoleone III anche senza Sedan, come non salvarono Bismarck e non avevano salvato un secolo prima Luigi XVI, e non hanno salvato un secolo dopo Nicola II di Russia. Questo è il responso della Storia, questo sarà il responso dei fatti.
Seconda ed ultima conclusione: Questo sarà il responso dei fatti tanto piú presto quanto piú sollecitamente ci organizzeremo per una lotta che si svolga su elementi concreti e positivi, smettendo di disputare e di dividerci sul 2000, unendoci contro il nemico che tutti ci calpesta e ci umilia.
Gradisca, Signor Direttore, i miei saluti. Pietro Nenni