INTRODUZIONE
PRESENTAZIONE DEL GIORNALE
CAPITOLO I
"ECCOMI DI RITORNO!"
1.1 -28 SETTEMBRE 1943: "IL REGIME FASCISTA" TORNA IN EDICOLA DOPO I
45 GIORNI.
1.2 -"QUEL MANIGOLDO VESTITO DA PRETE".
1.3 -PRESA DI POSIZIONE SULLA STAMPA NEI "QUARANTACINQUE GIORNI".
1.4 -I "TRADITORI" : BADOGLIO, I GENERALI, VITTORIO EMANUELE.
1.5 -IL RAPPORTO CON I TEDESCHI.
CAPITOLO 2
IL SETTIMANALE FIANCHEGGIATORE DE "IL REGIME FASCISTA": "CROCIATA
ITALICA"
2.1 -CHIESA E FASCISMO REPUBBLICANO: L'ATTEGGIAMENTO DE "IL REGIME FASCISTA"
2.2 -"SACERDOTI NOSTRI"
2.3 -LA NASCITA DI "CROCIATA ITALICA".
2.4. -SOSTENITORI E NEMICI DEL SETTIMANALE POLITICO CATTOLICO.
2.5. -IL TENTATIVO SCISMATICO.
2.6 -"IL SANTO PATRONO" DI DON CALCAGNO.
CAPITOLO 3
"INTRANSIGENTEMENTE FASCISTI"
3.1 -LA COMPONENTE ANTISEMITICA DE "IL REGIME FASCISTA"
3.2 -LA SOCIALIZZAZIONE NON CONVINCE
3.3 -IL CASO MIGLIOLI
3.4 -LA POLEMICA CON CARLO BORSANI ED IL RIPRISTINO DELLA CENSURA
3.5 -QUALCHE DIFFICOLTÀ PER IL GIORNALE: LA CENSURA TEDESCA.
CAPITOLO 4
IL DIBATTITO POLITICO
4.1 -LA QUESTIONE DELL'ESERCITO E L'INCHIESTA MACRI'
4.2 -PARTITO UNICO O PLURALISMO POLITICO?
4.3 - L'OPPOSIZIONE AL "RAGGRUPPAMENTO NAZIONALE REPUBBLICANO SOCIALISTA".
4.4 - L'EPILOGO
FONTI ARCHIVISTICHE
BIBLIOGRAFIA
ABBREVIAZIONI USATE
ACS : Archivio Centrale dello Stato, Roma.
RSI : Repubblica Sociale Italiana
SPD : Segreteria Particolare del Duce
b. : busta
f. : fascicolo
sf. : sottofascicolo
***
INTRODUZIONE
Il foglio cremonese "Il Regime Fascista" ricoprì un ruolo del
tutto particolare nel panorama della stampa quotidiana della Repubblica
Sociale Italiana. (1)1
In un periodo dominato dalle più grandi incertezze e dalla mancanza
di precisi punti di riferimento, "Il Regime Fascista" si affermò
come espressione del fascismo più "puro" e intransigente, che trovava
nel passato, o meglio nelle origini del movimento fascista, la spinta ideale
della lotta nel presente.
Il quotidiano di Cremona, fra i più diffusi nella RSI, si fece
dunque portavoce di quella parte di fascisti, la cosiddetta "vecchia guardia",
decisa a non arrendersi anche di fronte ad una evidente, tragica realtà.
Fu fedelissimo all'alleato tedesco, tanto da poter essere definito
"il più nazista dei quotidiani in lingua italiana". (2) 2
Il pensiero de "Il Regime Fascista" può essere ricondotto sostanzialmente
a quello di una sola persona, il fondatore, proprietario e direttore del
giornale: Roberto Farinacci, uno dei protagonisti più discussi del
ventennio fascista.
Già seguace di Bissolati e interventista, fu dopo la guerra
fra i fondatori dei Fasci di combattimento nel 1919, e uno dei più
sanguinari organizzatori di spedizioni punitive. Instaurò a Cremona
un vero e proprio regime dittatoriale, che gli valse il titolo di "ras".
Farinacci fu eletto deputato nel 1921. Sempre fra i protagonisti negli
anni della presa del potere di Mussolini, arrivò, il 12 febbraio
1925, ad essere nominato Segretario del Partito Nazionale Fascista, carica
che mantenne fino al 30 marzo 1926.
Diresse anche dopo l'ala del partito più incline a mantenere
un regime "eversivo" sia all'interno, che in politica estera. Non più,
per questo, in primissimo piano nella fase conservatrice e legalitaria
del regime, tornò alla ribalta con l'inizio della politica imperialistica.
Nell'anno della guerra etiopica, il 1935, entrò nel Gran Consiglio
del Fascismo e nel 1938 fu nominato da Mussolini Ministro di Stato. Fattosi
patrocinatore anche del razzismo e dell'alleanza più stretta con
il nazismo, sospettato da molti di tramare alle spalle del Duce, Farinacci
mantenne durante la seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 una fedeltà
integrale a Hitler (3) 3
PRESENTAZIONE DEL GIORNALE
L'avventura giornalistica di Roberto Farinacci iniziò il 18 Novembre
1914.
Dopo soli tre giorni dalla fondazione de "Il Popolo d'Italia", il quotidiano
milanese di Mussolini, nacque a Cremona "La Squilla", organo dei socialisti
interventisti. Il foglio, con una diffusione piuttosto limitata, mostrò
subito il carattere forte e il linguaggio spregiudicato del suo direttore,
conducendo fino al 1919 aspre battaglie dialettiche a favore dell'intervento
prima, e in difesa della guerra poi.
Nello stesso anno, dopo la riunione di Piazza San Sepolcro, "La Squilla"
assunse carattere settimanale con il titolo di "Voce del Fascismo Cremonese".
La "Voce" ebbe vita difficile: nei suoi tre anni di attività
collezionò una trentina di processi per reati di stampa, a riprova
di una linea editoriale senza compromessi. Farinacci comprese il ruolo
della stampa nel suo aspetto propagandistico e le polemiche che aveva suscitato
lo incitarono a continuare.
Agli inizi del 1922 il settimanale si trasformò in quotidiano
assumendo il nome di "Cremona Nuova".
L'ascesa di Farinacci verso le posizioni di maggiore prestigio del
Partito Nazionale Fascista impose ancor più all'attenzione generale
la sua voce su carta stampata.
Il giornale varcò presto i confini della provincia e della regione
e nel 1925 fu possibile trovarlo in tutta Italia.
All'inizio di gennaio del 1926 Mussolini decise di dare alla testata
un titolo nazionale:"Cremona Nuova" diventò "Il Regime Fascista".
Ogni momento della vita politica nazionale venne analizzato con quella
vis polemica ormai diventata un punto di riferimento di chi si riconobbe
nell'ala più fanatica ed oltranzista del fascismo.
Il 25 luglio 1943, dopo la seduta del Gran Consiglio, " Il Regime Fascista"
interruppe le sue pubblicazioni.
Uno dei primi provvedimenti presi dal maresciallo Badoglio, appena
assunto il potere, fu quello di far fermare le rotative de " Il Popolo
d'Italia" e, naturalmente, del quotidiano cremonese, che tornò a
far sentire la sua voce il 28 settembre 1943, al ritorno di Farinacci dalla
Germania.
La nostra analisi comincerà da quel momento, senza tralasciare
gli avvenimenti intercorsi fra le due date.
"Il Regime Fascista", che aveva come sottotitolo "Quotidiano fondato
da Roberto Farinacci", venne stampato nello stabilimento tipografico "Cremona
Nuova", dove aveva sede anche la redazione, con una tiratura di 150.000
copie .
Il periodo da noi preso in esame abbraccia 490 numeri, dal 28 settembre
1943 (a. XXIX, n. 178) al 26 aprile 1945 (a. XXXI. n.99).
Il foglio, di formato 41 x 58 cm., era di due pagine; alcuni numeri
erano di quattro pagine, solitamente in occasione di avvenimenti di una
certa importanza e comunque di approfondimento di dibattiti politici.
Il giornale constava di otto colonne per pagina; sulla prima pagina,
solitamente, trovava posto, nella prima o nell'ottava colonna, un corsivo
di contenuto politico, spesso polemico, talvolta a firma di Farinacci,
più spesso non firmato. Nel resto delle pagine ampio spazio veniva
lasciato alle notizie di guerra.
Nella seconda pagina continuavano le notizie della prima pagina.
Il resto era solitamente occupato dalla "cronaca della città".
Saltuariamente vi compariva una rubrica di "segnalazioni e commenti", e
un'altra intitolata "Radiocronaca", spesso tenuta dallo stesso direttore,
a commento delle notizie diffuse dalla radio (quella nemica, cioè
Radio Mosca, Radio Londra, Radio Bari, ecc.), seguite da articoli di carattere
culturale, recensioni, necrologi, lettere al direttore e una rubrica di
"Ultime notizie".
Venivano puntualmente pubblicate le note della "Corrispondenza Repubblicana
" scritte da Mussolini.
Il redattore capo fu fino al 30 settembre 1943 Ilario Suzzi, dal 1°
ottobre in poi Mario Mangani.
L'organico dei giornalisti era pressoché lo stesso del periodo
antecedente il 25 luglio. Le firme più ricorrenti erano quelle di
T. Agricola, che tenne una rubrica denominata "Gli intellettuali e la guerra",
dei sacerdoti Remo Cantelli (Il cittadino e lo Stato, Il cittadino e la
Chiesa) e Angelo Scarpellini (I cattolici e la guerra). Del ruolo
di questi sacerdoti e dei rapporti del giornale con il mondo cattolico
avremo ampio modo di parlare in seguito.
Spazio fisso trovavano poi le rubriche di giornalisti legati da anni
alla testata: Panfilo Mazza (situazione della scuola italiana), Guido Stacchini,
uomo molto vicino a Farinacci, autore della rubrica "Appuntamenti con gli
Italiani", e Alcide Almi, che si occupava di economia.
Altri collaboratori erano : G. B. Martelli (forze armate), Luigi e
Renato Roesch (servizi di guerra).
Veniva lasciato spazio anche alle donne; i nomi erano quelli di E.
Francesca Visconti, Wanda Garaventa, Elisabetta Macaluso; l'indiana Sita
Devi Robins scrive articoli sul mondo indiano e sull'Inghilterra.
L'intera collezione de "Il Regime Fascista" è conservata nella
Biblioteca Statale di Cremona.
CAPITOLO I
"ECCOMI DI RITORNO!"
1.1. - 28 SETTEMBRE 1943: "IL REGIME FASCISTA" TORNA IN EDICOLA
DOPO I 45 GIORNI.
Dopo la riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943
e le sue ben note conseguenze dovute all'approvazione della mozione Grandi,
Farinacci, che aveva votato contro questa proponendone una propria, si
rifugiò nell'Ambasciata di Germania a Roma; poi, travestito con
una divisa della Luftwaffe, fu portato a Monaco in aereo su ordine del
feldmaresciallo Kesselring.
Il 27 luglio venne ricevuto da Hitler nel quartiere generale di Rastenburg,
dove tentò di proporsi come nuovo capo del fascismo italiano. Ma,
come annotato da Goebbels nel suo diario, l'esito dell'incontro fu disastroso.
Il ras di Cremona, commettendo un grave errore di valutazione, criticò
la personalità e i provvedimenti del duce e non tenne così
conto del legame tra i due dittatori. Il capo della propaganda nazista
annotò che il Führer era << altamente deluso per quanto
riguarda Farinacci. Si aspettava di vedere un ardente seguace del duce
e in realtà si è trovato di fronte un uomo finito che tenta
di vituperare il duce con voce piagnucolosa. (...) Farinacci è annientato>>
(4) 4.
I capi nazisti si limitarono così a concedere a Farinacci e
a Giovanni Preziosi, il fondatore di "Vita Italiana", rifugiatosi anche
lui in Germania, il permesso di diffondere dai microfoni di Radio Monaco
una serie di messaggi al popolo italiano nei quali si esaltava la potenza
militare tedesca e si incitava a resistere contro gli "invasori" alleati.
Quando l'8 settembre 1943 si venne a sapere dell'armistizio concluso
tra il governo Badoglio e gli Alleati, i quali quel giorno stesso erano
riusciti a sbarcare a Salerno, i capi nazisti presero subito in considerazione
l'ipotesi di creare in Italia un governo fantoccio fascista. La notte dell'8
Settembre, Farinacci e gli altri gerarchi in esilio (Alessandro Pavolini,
Renato Ricci, etc.) trasmisero per radio un proclama agli italiani annunciando
l'imminente formazione di un nuovo governo nazionale fascista.
Quando Mussolini arrivò in Germania dopo essere stato liberato
dalla prigionia del Gran Sasso, Farinacci, secondo il diario apocrifo a
lui attribuito (5) 5 , tentò di convincerlo a farsi nominare primo
ministro della nuova repubblica. Ma il Duce, che non aveva cambiato opinione
su di lui e continuava a considerarlo con disprezzo "un vinto dalla sua
ambizione provinciale" (6) 6, lo tenne in disparte, e non gli affidò
neppure il meno importante dei ministeri.
Poco ci mancò, anzi , che lo facesse togliere di mezzo. Dopo
il processo di Verona (gennaio 1944) Mussolini aveva detto al ministro
Pellegrini : "Ora che abbiamo cominciato a far rotolare le teste, andremo
diritto fino in fondo". E aveva consegnato a Tamburini una lista di duecento
persone da arrestare e giudicare tra cui l'industriale Burgo, denunciato
dal maresciallo Cavallero, alcuni generali e ammiragli scelti come capri
espiatori della disfatta e un buon lotto di gerarchi, tra cui, appunto,
Farinacci, che trescava con i tedeschi per inseguire le sue mire personali.
Il progetto della colossale "purga" venne accantonato insieme a tanti
altri di quel governo senza potere, però Farinacci non riuscì
più a conquistarsi ne' la considerazione del capo, ne' un posto
di riguardo al suo fianco.
Persino le ultime leve del fascismo lo osteggiarono considerandolo
"un rottame del passato" e, in un volantino diffuso dalla "Brigata Nera
Aldo Resega" gli anteposero il cieco di guerra Carlo Borsani (direttore
di "Repubblica Fascista"), "simbolo della giovinezza italica", chiedendosi
polemicamente "Giovani o vecchi ? Mutilati o pescatori (Lago Tana )?" (7)
7 (Farinacci era rimasto menomato in seguito ad un incidente occorsogli
nel 1936 in Etiopia, in un maldestro tentativo di pesca con una bomba a
mano. Ettore Muti lo chiamava ironicamente "il nostro Martin Pescatore").
(8) 8
L'eterno conflitto fra Mussolini e Farinacci si risolse così
con l'uscita di quest'ultimo dalla vita pubblica.
Nella notte del 27 settembre, a bordo di un'auto del comando della
Luftwaffe e scortato da due motociclisti tedeschi armati, il ras di Cremona
fece ritorno nella sua città. Qui, dopo aver radunato in tutta fretta
i suoi fedeli usciti dai loro nascondigli, riprese possesso della propria
casa e, naturalmente, del sontuoso palazzo di piazza Marconi, sede del
giornale.
"Il Regime Fascista" poteva immediatamente tornare nelle edicole dopo
l'interruzione del 25 luglio.
Ma cosa era successo a Cremona durante l'assenza di Farinacci ?
La città, che aveva subito la sua più che ventennale
tirannia, sottratta alla sua minacciosa presenza, si era sfogata
a diffondere le calunnie più strane e inverosimili contro di lui.
In seguito ad una perquisizione nella sua casa sarebbero stati trovati
oro e viveri per mantenere l'intera città per tre giorni. La segretaria
Antonioli era stata accusata addirittura di essersi appropriata delle croce
del vescovo.
Il quotidiano cattolico "L'Italia", diretto da don Mario Busti, si
era insediato nel palazzo di "Cremona Nuova", e di lì alimentava
la propaganda scandalistica antifarinacciana.
Lo stesso Badoglio aveva dato disposizioni tassative di demolire le
personalità fasciste, e prima di tutti Farinacci, inviando un telegramma
al generale Giacomo Florio, comandante del presidio di Piacenza, perché
si recasse a Cremona, assumendo tutti i poteri e polverizzando il fascismo
locale, << che ha per esponente uno dei più terribili diffamatori
dello Stato Maggiore Italiano. Il momento è eccezionale e bisogna
ricorrere ad ogni mezzo per aizzare l'opinione pubblica contro il fascismo
>>. Il testo del telegramma venne pubblicato su "Il Regime Fascista" nei
primi giorni di ottobre insieme ad altro materiale sotto il titolo di "Il
fascicolo Florio". Il generale infatti, abbandonando velocemente la città,
aveva lasciato nel suo studio varie carte compromettenti, che vennero sfruttate
dal giornale per dimostrare il clima persecutorio dei 45 giorni.
Del resto questo fu l'indirizzo generale dopo il 25 luglio: colpire
le vecchie gerarchie fasciste con motivi scandalistici, di facile presa
sull'opinione pubblica, dato che gli avvenimenti stessi si erano incaricati
di dimostrare l'esito disastroso della politica fascista, anche se ben
pochi dei nuovi capi erano in grado di dimostrare di non aver collaborato
alla rovina dell'Italia.
Così si tentò di demolire la classe dirigente fascista
per le scelte politiche effettuate, ma anche perché costituita da
donnaioli e da corrotti. Ma mentre la prima delle due accuse poteva funzionare
per Mussolini, a Farinacci invece, che non aveva mai nascosto le sue avventure
galanti, sembrò più opportuno rinfacciare gli illeciti arricchimenti.
L'autodifesa del ras di Cremona avvenne anzitutto attraverso le colonne
del rinato "Il Regime Fascista".
La mattina del 28 settembre 1943 le pubblicazioni ripresero, dopo l'interruzione
del 25 luglio, con il n. 178 dell'anno XXIX, recante a tutta pagina un
titolo, "Eccomi di ritorno" che scoppia ad un tempo di gioia e di rabbia,
di trionfo e di rivincita (9) 9.
<< Da quel nefasto 25 luglio sono passati due mesi soltanto,
ma lunghi, interminabili in rapporto a quel che ho sofferto, non soltanto
per l'ingiustizia e la diffamazione subita, ma per quello che è
stato compiuto ai danni del mio Paese, della mia Patria, dell'onore del
popolo italiano.
E poi per le persecuzioni inumane, bestiali contro fascisti e verso
persone a me fedeli che oggi più che ieri, di fronte al vaglio cannibalesco
rimangono però moralmente integri e più decisi alla lotta
e più fermi di prima[...] E' finita l'ora della baldoria, è
finita l'ora del ricatto, è finito il periodo dell'assassinio morale!
>>.
Vale la pena di analizzare a fondo l'editoriale, perché tra
l'altro contiene alcuni dei temi che furono poi sviluppati nei giorni seguenti.
L'apertura del fondo, quindi, diede subito l'impressione che Farinacci
volesse instaurare il regno del terrore per vendicarsi dei molti che si
erano immediatamente schierati contro il fascismo il 25 luglio. (10) 10
L'attacco al "traditore Badoglio" e al suo inviato a Cremona, il generale
Florio, è diretto, immediato. Nello stesso numero, a pag. 2, compariva
un articolo dedicato a Florio dall'eloquente titolo "Fucilazione!".
Nell'elenco dei fascisti "puri" traditi e uccisi spiccano poi i nomi
di Ettore Muti (il soldato più decorato d'Italia, vero simbolo del
fascismo eroico) e del federale di Torino Gazzotti. Quindi l'autodifesa.
<< Poi è venuta la volta di Farinacci. Ero lontano, nella
impossibilità di difendermi e quindi bersaglio facile alle accuse.
Si sono pubblicate così le più fantastiche notizie di arricchimento
e di illeciti profitti mettendo poi in giro, ad opera di vari emissari,
la voce che in casa mia era stato rinvenuto oro in quantità, e si
erano trovati viveri accumulati che ad un certo momento erano perfino sufficienti
a rifornire la città per qualche giorno >>.
Come abbiamo visto queste erano state le voci messe in giro a Cremona
durante il periodo in cui Farinacci si trovava in Germania.
<< [...] Affermo al cospetto di Dio e degli uomini onesti e non
degli sporcaccioni che nei sequestri operati presso la mia casa, sono stati
trovati più di cento grammi di oro e neppure le provviste alimentari
sufficienti per una giornata. Altro che tonno distribuito alle truppe,
altro che sacchi di caffè e quintali di formaggio e prosciutto!
>>.
Ma, se queste potevano essere dicerie popolari, ben più pesanti
furono le accuse rivoltegli dalla commissione per gli illeciti arricchimenti.
Uno dei primi atti del governo Badoglio era stato la costituzione di
una commissione speciale per indagare sugli arricchimenti illeciti e il
sequestro cautelativo di tutti i fondi, le azioni e i beni immobili appartenenti
agli ex gerarchi fascisti.
La commissione aveva rinvenuto nella cassaforte de" Il Regime Fascista",
sotto forma di documento testamentario, un dettagliato elenco di tutte
le proprietà del ras, il cui insieme costituiva una notevole fortuna.
Risultò che lo studio legale avrebbe reso in diciassette anni
circa dodici milioni di lire; altri due milioni avrebbero fruttato gli
utili e le speculazioni sui titoli acquistati; Farinacci sarebbe
stato proprietario di una villa a Serapo (Gaeta), di un appartamento in
via Aterno, di una casa in via Nomentana a Roma e dello studio di Milano
in via Manara. Inoltre le azioni della società editrice "Cremona
Nuova" risultarono intestate al nome di Farinacci, che le aveva acquistate
o ricevute in oblazione da altri azionisti. Altri tre milioni e mezzo erano
impegnati in buoni del Tesoro; la commissione li sequestrò a garanzia
di eventuali penalità che potevano derivare da irregolari denuncie
fiscali. (11) 11
Informato di questo provvedimento durante il suo esilio in Germania,
il 28 agosto Farinacci aveva scritto alla commissione una lunga e particolareggiate
lettera (12) 12 per dimostrare che la sua ricchezza proveniva da
fonti legittime e non da atti camorristici o contributi politici. (13)
13
Ora che era rientrato in possesso del mezzo che meglio gli permetteva
di far sentire la sua voce, essendogli stata mossa l'accusa che per tanti
anni aveva rivolto agli altri, fu subito sua preoccupazione quella di difendersi,
e contrattaccare.
<< E' inaudito quel che si è detto!
[...] Un uomo che fin dal 1926, non avendo alcuna carica ne' di partito
ne' di governo ha dedicato gran parte della sua attività alla professione
forense aveva pure il diritto e il dovere di pensare alla vecchiaia e alla
propria famiglia, specie quando si vive in lotta e si partecipa ad ogni
guerra.
[...]Mai ho raccomandato un affare, mai mi sono occupato di forniture,
mai ho assunto processi che fossero in urto con l'etica fascista.
Posso dire a fronte alta e senza tema di smentita - oggi che molti
hanno frugato nel segreto delle mie carte - che la mia vita è sempre
stata improntata alla massima scrupolosità, e questo non solo per
istinto ma anche per furberia.
E questo dovrà essere dichiarato anche dalla commissione romana
per gli accertamenti degli arricchimenti indebiti, infatti io sono stato
il primo che ha pregato Mussolini di mantenere tale commissione perché
la luce deve essere fatta internamente >>.
Alla fine di settembre, quando Mussolini tornò nell'Italia Settentrionale,
disilluso e amareggiato nei confronti dei gerarchi, molti dei quali lo
avevano abbandonato, decise che la commissione dovesse continuare il suo
lavoro. E gli investigatori trovarono che tra il 1926 e il 1943 Farinacci,
secondo la sua stessa lettera dell'agosto precedente, aveva guadagnato
almeno dodici milioni di lire, ma che nello stesso periodo aveva denunciato
e pagato l'imposta sul reddito per cifre molto inferiori, e di conseguenza
aveva evaso il fisco per oltre tre milioni.
Su "Il Regime Fascista" del 5 ottobre 1943 venne pubblicata una lettera
che Farinacci indirizzava alla commissione per gli illeciti arricchimenti
contenente, oltre ai temi già toccati in "Eccomi di ritorno" (assoluta
liceità dei propri guadagni, risparmi per la vecchiaia, ecc.), una
denuncia contro i direttori di alcuni giornali colpevoli di avere più
o meno velatamente parlato dell'argomento, alludendo soprattutto ai rapporti
non sempre chiari che legavano il ras ad alcuni ambienti industriali e
affaristici.
Dopo alcune riunioni, la commissione emise il proprio verdetto il 15
giugno 1944 (14) 14 . Farinacci veniva multato di tre milioni, e il suo
giornale e i suoi beni, essendo stati finanziati mediante contributi esterni
e non con i suoi capitali personali, non appartenevano a lui ma allo Stato,
quindi confiscati.
Così il ras di Cremona, sebbene proprietario di una cospicua
fortuna, non era in grado di usufruirne, o perché collocata nel
sud, oppure perché sotto controllo pubblico.
Si spiega così il suo accanimento nella difesa dei propri beni.
Egli dedicò molto del suo tempo e delle sue fatiche a manovre legali
e intrallazzi politici nel tentativo di riacquistare il pieno controllo
del proprio patrimonio personale.
Farinacci scrisse due memoriali per documentare la sua innocenza: solo
in qualità di avvocato guadagnava 700.000 lire l'anno e ne risparmiava
400.000. Del resto la Commissione non aveva giudicato illeciti tali guadagni
dichiarando che << è giustificato l'accrescimento del di lui
patrimonio derivato dai risparmi. [...] Dire che "Regime Fascista" è
una società anonima di cui Farinacci dovrebbe elencare i finanziatori
e gli azionisti è ridicolo perché "Regime Fascista" è
Farinacci e Farinacci è "Regime Fascista" [...]. Se per fare contenti
i signori della Commissione lasciassi la direzione di "Regime Fascista"
e assumessi quella del giornale di Peretola, "Regime Fascista" diverrebbe
il giornale di Peretola e viceversa >> (15) 15. Denunciò al fisco
solo 90.000 lire delle 700.000 dei proventi avvocatizi ? Si, ma perché
tutto il resto se ne andava nelle spese generali, il suo studio non era
<< il botteghino del lotto >>. Il criterio fiscale di Farinacci era
abbastanza approssimativo per un avvocato, convinto che le 400.000 lire
annue di risparmi non fossero tassabili.
E terminò : << Chiedo che con apposita legge sia
ammesso il ricorso in Cassazione [...] a quanti sono giudicati dalla Commissione
per la devoluzione allo Stato dei beni di non giustificata provenienza
>> (16) 16
Attraverso le colonne de "Il Regime Fascista", attaccò senza
risultato alcuno il nuovo ministro della giustizia, Piero Pisenti, dal
quale dipendevano queste controversie (17) 17, e si appellò a Mussolini
con una lunga lettera nella quale accusava la commissione di perseguitarlo.
(18) 18
Ottenne così una udienza dal Duce e gli mandò una formale
richiesta di grazia accompagnata da una lettera nella quale, dopo aver
lamentato la perdita dello "studio di Milano danneggiato........ dalla
canea badogliana" e della "casa di Roma coi miei 12 ettari di terreno",
e sostenuto che gli erano rimasti soltanto i buoni del Tesoro sequestrati
dall'amministrazione repubblicana come garanzia del pagamento della multa
di tre milioni di lire per evasione fiscale, chiedeva che gli si condonasse
la multa e gli si restituissero i buoni del Tesoro.
Ma Mussolini non si lasciò commuovere e sull'originale del ricorso
di Farinacci, conservato nell'archivio della Segreteria Particolare del
Duce, annotò, in data 8 ottobre 1944, " scritta una lettera al ministro
[delle Finanze] Pellegrini, invitandolo a risolvere il caso Farinacci secondo
le norme e leggi vigenti per tutti i cittadini". (19) 19
I beni di Farinacci furono così al centro di una polemica. L'eredità,
che nel dopoguerra era valutata trecento milioni, è stata oggetto
di una lunga contestazione tra il tribunale di Cremona e gli eredi.
Dopo ben tredici sentenze del Tribunale e della Corte di cassazione,
il 5 marzo 1956 il Tribunale di Cremona decideva definitivamente, con sentenza
non impugnata, ordinando la confisca parziale dei beni. Fu confiscato l'intero
pacchetto azionario di "Cremona Nuova". (20) 20
1.2. - "QUEL MANIGOLDO VESTITO DA PRETE".
Nei primi giorni dell'agosto del 1943, il giornale cattolico "L'Italia",
diretto da Don Mario Busti, si era insediato nel palazzo di piazza Marconi
a Cremona, sede della società editrice de "Il Regime Fascista",
in seguito alla distruzione della propria sede di Milano.
Il ritorno in città di Roberto Farinacci segnò, ovviamente,
la fine del "soggiorno" cremonese del quotidiano cattolico.
Già dall'editoriale precedentemente analizzato, "Eccomi di ritorno",
arrivarono le prime ingiurie dirette a Don Busti e al Vescovo di Cremona,
mons. Cazzani, che vedremo presto bersaglio degli attacchi di Farinacci:
<< [...] quel manigoldo vestito da prete che è il direttore
del giornale cattolico "L'Italia", il quale, insediatosi qui nella nostra
sede, con la benedizione vescovile che doveva sanare l'indegno atto di
violenza sulla proprietà altrui, ogni giorno inventava sul mio conto
nuove calunnie sapendo di mentire >>.
Il giorno seguente, 29 settembre, l'attacco venne ripreso in un corsivo
in seconda pagina, non firmato ma sicuramente attribuibile al direttore;
il linguaggio si fa pesante, al limite del triviale. << Porco, arciporco
poi quel lurido prete che dirigeva il giornale "L'Italia", benedetto dal
nostro vescovo che più di tutti guazzava nella melma. Naturalmente
in nome della buona stampa!>> (21) 21.
Su pressione di Farinacci, don Mario Busti fu deferito al Tribunale
Provinciale di Cremona e condannato, per i suoi articoli nei 45 giorni,
a quindici anni di carcere. Per simili motivi fu condannato anche il direttore
del settimanale diocesano cremonese "La Vita Cattolica", don Genesio Ferrari.
(22) 22
Il giornale "L'Italia" si trasferì nuovamente a Milano, dove
fu vicino al cardinale Schuster e non allineato alla Repubblica Sociale
Italiana. Si trasformò, agli inizi del 1944, da quotidiano a settimanale,
pare per problemi di carta.
Ebbe vita sempre più difficile a causa soprattutto di Farinacci
e Mezzasoma che intentarono un vero processo ai direttori dei giornali
cattolici ("L'Italia", "L'Avvenire d'Italia", "L'Eco di Bergamo") in occasione
della riunione dei direttori di giornali, convocata dal Ministero della
Cultura Popolare il 20 febbraio 1944.
1.3. - PRESA DI POSIZIONE SULLA STAMPA NEI "QUARANTACINQUE GIORNI".
Le violente invettive de "Il Regime Fascista" non potevano naturalmente
risparmiare gli altri giornali, in particolare quelli "distintisi" nel
periodo 25 luglio - 8 settembre.
In realtà l'ambiente giornalistico fu sempre uno dei terreni
di battaglia di Farinacci e dei suoi collaboratori, sempre pronti alla
rissa verbale con chiunque dissentisse dalle proprie posizioni.
"Cremona Nuova" prima e dal 1926 "Il Regime Fascista", furono famosi
non tanto per la qualità del loro giornalismo, quanto per le violente
polemiche che, come abbiamo accennato, spesso portarono il direttore nelle
aule dei tribunali, chiamato in causa dai responsabili di altri quotidiani.
E' chiaro quindi come la situazione creatasi dopo l'8 settembre 1943
favorisse gli attacchi e le recriminazioni verso il mondo della carta stampata.
Le prime frecciate furono dirette contro singoli giornali come "Il
Messaggero" di Roma, accusato di solidarizzare con i nobili e i comunisti
(23) 23; "La Voce di Bergamo", giornale cattolico, espressione del Partito
Popolare, colpevole di aver affermato che il fascismo non sarebbe potuto
tornare (24) 24, "Gazzetta di Venezia", per richiamare all'ordine il federale
di quella città (25) 25 e "Lavoro" di Genova, che accusava i gerarchi
fascisti di essere pieni di oro (26) 26.
Anche l'attacco personale non viene risparmiato: Filippo Burzio, direttore
della "Stampa" di Torino, << è un traditore badogliano e andrebbe
fucilato >>. (27) 27
Del resto la parola d'ordine del giornale fu "essere brutali": <<
Si, proprio in quest'ora bisogna essere brutali nell'esporre il nostro
pensiero ! >> (28) 28.
Una analisi più approfondita del panorama giornalistico italiano
durante i quarantacinque giorni venne sviluppata in un articolo del 4 novembre
1943, a firma di Gino Sottochiesa, dall'eloquente titolo: "Occhio al quarto
potere: epurare la stampa!".
<< [...] La metamorfosi della stampa quotidiana, grande e piccola,
già accesa di un fascismo tanto esageratamente zelante quanto sospetto,
ha avuto la rapidità di un baleno. Ancora nelle poche ore notturne
del 26 luglio, la trasformazione è avvenuta con una improntitudine
che ha superato tutte le più azzardate supposizioni >>.
L'accusa è gravissima, anche se non priva di un certo fondo di
verità. In effetti, è sufficiente sfogliare i quotidiani
di quei tragici e confusi giorni per riscontrare in alcuni un veloce mutamento
di opinioni.
<< [...] In verità, ben conoscevamo a fondo la fede giornalistica
di certi non poco sedicenti giornalisti fascisti, direttori e redattori
di quotidiani grandi e piccoli, falsi apostoli del verbo mussoliniano e
rivoluzionario ai tempi delle vacche grasse e dei facili trionfi, zelantissimi
nel coniare gli aggettivi più elogiativi agli indirizzi dei gerarchi,
striscianti nelle anticamere della direzione romana del partito e del Minculpop,
pettoruti e insolenti nelle sedi redazionali dei loro ben paganti giornali.>>.
Come risolvere il problema della stampa quotidiana? Sottochiesa individuava
due campi di studio e di azione: il campo redazionale e quello amministrativo,
<< ovverosia padronale >>.
Per quanto riguardava il corpo redazionale, visto dall'articolista
come il settore sul quale agire più urgentemente, era necessaria
una rigorosa azione di selezione ed epurazione, perché ancora molti
erano coloro che, mimetizzati nelle redazioni << attendono impazienti
l'ora della loro ennesima trasformazione. Questi elementi, non difficilmente
identificabili, debbono essere spazzati via senza pietà e senza
perdere tempo! >>
L'epurazione, in realtà, c'era già stata. Nelle file
dei giornalisti e dei direttori ebbe luogo una purga generale, circa duecento
persone furono espulse dall'Albo professionale per "indegnità politica".
Era stato lo stesso Mussolini a diffondere l'elenco dei "traditori" e delle
rispettive prebende in una nota della "Corrispondenza Repubblicana" intitolata
"Canguri giganti" (29) 29. Quelli che non fuggirono, furono arrestati,
come Alberto Bergamini del "Giornale d'Italia", Tommaso Smith de "Il Messaggero",
e Mario e Silvio Crespi, comproprietari del "Corriere della Sera". (30)
30
Nella seconda metà del settembre 1943, dopo la prima riunione
del Consiglio dei Ministri, furono nominati i nuovi direttori dei grandi
quotidiani: Amicucci al " Corriere della Sera", Giorgio Pini al "Resto
del Carlino", Concetto Pettinato alla "Stampa", Bruno Spampanato a "Il
Messaggero", Enzo Pezzato al "Piccolo".
Ma, evidentemente, queste misure non potevano soddisfare la sete di
vendetta de "Il Regime Fascista", che invocava, nello stesso articolo di
Sottochiesa : << [...] E' ora di usare la ramazza, o (magari!) il
manganello! >>.
Ma ciò non doveva soltanto riguardare le redazioni. L'altro
settore di cui preoccuparsi era quello amministrativo e della proprietà
dei giornali: << In fondo, la stampa quotidiana e periodica è
legata al carro
di gente d'affari e di alti papaveri in fregola di insaziabile ambizione
personale... Nomi da fare ce ne sarebbero parecchi e saranno tirati fuori
quando ci piacerà di farlo >>. Ma le minacce caddero nel vuoto ed
i nomi non vennero fatti.
1.4. - I "TRADITORI": BADOGLIO, I GENERALI, VITTORIO EMANUELE.
Uno degli argomenti più ricorrenti sul quotidiano cremonese durante
tutto l'autunno e l'inverno 1943/1944 fu quello della congiura e del tradimento
contro il fascismo operato dal Re, in collaborazione con il maresciallo
Badoglio e le alte sfere dell'esercito.
Quello con Badoglio e con l'esercito era un duello che Farinacci aveva
ingaggiato molto tempo prima.
Il ras di Cremona aveva sempre mal sopportato la personalità
del "marchese bocciofilo di Caporetto" (31) 31, e non aveva mai smesso
di attaccarlo dal proprio giornale fin dal 1936. Così Farinacci
gli mosse una lunga serie di accuse nell'editoriale " La vera storia di
Badoglio il traditore", del 30 settembre 1943, (non firmato ma a lui attribuibile):
il maresciallo, nell'autunno del 1940, rifiutò due divisioni corazzate
tedesche per marciare su Alessandria; consigliò l'impresa di Grecia,
facendo sacrificare trenta divisioni in quella inutile campagna. <<
Nel 1940 Badoglio era Capo di S.M. generale, Maresciallo d'Italia, marchese
del Sabotino, duca di Addis-Abeba e semi - architetto del grande universo;
ebbene dopo i primi avvenimenti militari in Grecia, lo staffilammo a sangue,
sì da obbligarlo ad abbandonare l'alta carica militare>> (32) 32.
L'accentramento della sua colpevolezza nel tradimento, rispetto a quella
di altri personaggi considerati dai fascisti ugualmente responsabili, è
una caratteristica degli argomenti che lo riguardavano. Probabilmente questo
atteggiamento è da far risalire nell'antica posizione di Farinacci
in tema di gerarchie militari: egli fu costantemente perseguitato dall'incubo
di una cospirazione contro il fascismo da parte degli alti gradi della
gerarchia militare. Ora poteva finalmente esprimere il suo pensiero giustificando
le sue previsioni sulle sventure e sui tradimenti del fascismo. (33) 33
Badoglio divenne quindi il principale capro espiatorio di una fitta
e non casuale campagna recriminatoria (34) 34, nella quale venivano mosse
al Maresciallo d'Italia ogni tipo di accuse, compresa quella che più
bruciava a Farinacci: l'arricchimento indebito.
Badoglio, << che nel 1922 era soltanto proprietario di un modesto
appartamento >> (35) 35 avrebbe accumulato immense ricchezze, grazie agli
assegni percepiti come maresciallo, Capo di S.M., ecc. per la cifra
di un milione di lire all'anno, ma soprattutto sarebbe stato destinatario
dei favori economici degli inglesi.
Nel primo mese di pubblicazione de "Il Regime Fascista", l'attacco
a Badoglio fu quotidiano, sempre più rabbioso: troviamo titoli come:
"Il tradimento di due imbelli" (36) 36 (l'altro è, ovviamente, il
Re), oppure "Badoglio incita gli italiani al fratricidio" (37) 37, "Ignominia"
(38) 38, o "Verrà giorno...." (39) 39, con le annesse minacce di
fucilazione.
Il 9 ottobre il foglio cremonese pubblicò, con il titolo "Documento
per i pietisti", la circolare diramata da Badoglio il 26 luglio alla truppe
in servizio di ordine pubblico. Si trattava di misure molto energiche e
risolute, in pratica la proclamazione dello stato d'assedio, dirette evidentemente
contro i fascisti. La denuncia che il giornalista (presumibilmente lo stesso
direttore) faceva era rivolta a coloro che erano ora pronti << a
chiudere non due, ma anche quattro occhi su quello che era accaduto
>>.
Sulle spalle del Maresciallo d'Italia ricadeva inoltre la responsabilità
dell'omicidio di Ettore Muti. Un biglietto autografo inviato al Capo della
Polizia Senise e pubblicato da "Il Regime Fascista" il 20 dicembre 1944
incaricava quest'ultimo di eliminare uno dei simboli dell'eroismo fascista.
Le colpe del "vergognoso" tradimento non potevano però essere
del solo Badoglio, ma anche << dei generali di fiducia del Capo della
massoneria militare italiana >> (40) 40.
L'intero Stato Maggiore veniva così passato in rassegna da "Il
Regime Fascista": il gen. Vittorio Ambrosio, capo di S.M. generale, <<
un ufficiale di cavalleria quasi ignoto alle forze armate, giunto al sommo
grado per semplice virtù di annuario e perché legato
alla consorteria massonica>> (41) 41, alla diretta dipendenza di Ambrosio,
come capo di S.M. dell'esercito, era il gen. Mario Roatta, un <<
tipo di affarista senza scrupoli, dotato di rara immoralità, [...]
del resto, la disorganizzazione dell'esercito era stata accuratamente preparata
da vari anni dal Capo di Stato Maggiore e poi sottosegretario alla guerra
Alberto Pariani, ebreo >>. (42) 42
Così, la congiura andava attribuita << alla giudeo-massoneria
che teneva legati il Capo di S.M. Badoglio con i suoi generali e ammiragli.
Badoglio era riuscito pienamente ad inquinare e a decomporre esercito e
marina. >> (43) 43.
I magazzini militari erano pieni di equipaggiamento e di scarpe per
i soldati, ma gli ufficiali non davano l'ordine di distribuirlo per scoraggiare
le truppe.
<< [...] le forze armate già erano, insomma, affidate
a uomini corrotti, occupati sempre di avanzamento e di affari e non già
di creare uno strumento per la prova sanguinosa della guerra. Questa raccolta
di miserabili arrivisti che giocavano col sangue e con l'onore di tutto
un popolo ha avuto la fine ignominiosa che meritava. Ad essi e al loro
capo spetta intera la responsabilità e la vergogna di atti che getteranno
per secoli il disonore sulla nostra Patria>>. (44) 44
Gli infuocati corsivi de "Il Regime Fascista" non risparmiarono nessuno
dei vertici delle forze armate italiane, come l'ammiraglio Brivonesi, succube
di Badoglio (45) 45, e il generale Guzzoni, il quale aveva mandato alla
moglie dalla Sicilia l'orologio d'oro con le parole "Salviamo almeno questo!"
(46) 46
"Il Regime Fascista" seguì da vicino le vicende di alcuni
generali, quando, all'inizio del febbraio 1944, vennero giudicati dai Tribunali
Straordinari Provinciali con l'accusa di alto tradimento, invocando: <<
non vendetta, ne' legittima reazione, ma giustizia, severa giustizia deve
essere fatta>> (47) 47.
Gli editoriali di quei giorni furono tutti dedicati all'argomento,
e il quotidiano, attraverso la penna di Guido Stacchini, suggerì
la punizione da comminare ai generali alla sbarra :<< Quale pena?
La morte non basta, se la giustizia è lume >> (48) 48.
Ci si augurava, inoltre, la confisca dei beni dei condannati (ritorno
al tema dell'arricchimento indebito): << Rivoluzione non può
avere che un senso ammonitore: sangue e rovina personale >>. (49) 49
Farinacci denunciò prima il trattamento, a suo dire privilegiato,
riservato agli ufficiali nelle prigioni bresciane dove erano stati rinchiusi
in attesa del processo, poi, il Tribunale Provinciale di Cremona per essere
stato troppo tenero.
Ma i generali condannati non furono che una esigua minoranza sulla
quale furono gettate tutte le colpe di un complotto che aveva proporzioni
in realtà molto più vaste. (50) 50
Alcuni, come Guzzoni, furono addirittura assolti e riabilitati.
Come noto, pagarono per tutti gli ammiragli Campioni e Mascherpa: Mussolini
aveva infatti voluto colpire in modo esemplare la Marina, l'arma colpevole
di aver opposto una scarsissima resistenza agli sbarchi nemici a Pantelleria
e ad Augusta.
Ovviamente a fianco dei "traditori" vi furono quelli che aderirono senza
riserve alla Repubblica Sociale Italiana; non molti, per la verità,
e incaricati di dirigere un esercito incerto e mal equipaggiato (anche
per volontà tedesca) .
Il generale Emilio Canevari, noto scrittore di cose militari, collaboratore
ordinario de "Il Regime Fascista" sotto lo pseudonimo di Maurizio Claremoris,
fu nominato da Mussolini Segretario Generale del Ministero della Difesa.
(51) 51
Le forze dell'ordine non furono indenni dai richiami di Farinacci:
la Polizia, verso la quale nutriva propositi di vendetta (52) 52, e i Carabinieri,
colpevoli di aver tradito dopo il 25 luglio, favorendo il clima di persecuzione
verso i fascisti. (53) 53
Ma il massimo responsabile della "congiura" era considerato il re Vittorio
Emanuele III che, in combutta con Grandi, Bottai e l'esercito, aveva provocato
la caduta del fascismo e l'arresto di Mussolini a Villa Savoia. L'interpretazione
dei fatti data da Farinacci non era in fondo lontana dalla verità,
come evidenziato anche dagli storici nella ricostruzione degli avvenimenti
che portarono alla drammatica seduta del Gran Consiglio del Fascismo. (54)
54
Un motivo di fondo dei giornali della RSI, soprattutto di quelli vicini
alle posizioni di Pavolini e Mezzasoma, fu la polemica antisabauda, ispirata
dallo stesso Mussolini il quale, a cominciare dal 7 ottobre 1943, dedicò
diverse delle sue note della "Corrispondenza Repubblicana" (tutte puntualmente
pubblicate da "Il Regime Fascista") al Re, ai suoi tradimenti, alle sue
contraddizioni.
Assai frequentemente Re Vittorio fu fatto oggetto di satire grossolane
secondo la tecnica con cui anni addietro erano stati trattati il Negus,
"Ciurcillino" ecc.; pertanto si insistette sul fisico sgraziato del monarca
che venne denominato Bazzetta, Sciaboletta, il Re dei Tappi. E non fu solo
un tema dei fogli umoristici come "Il Barbagianni", ma anche quello di
diversi fogli politici, specie di provincia, tra i quali "Il Popolo di
Alessandria" (55) 55.
Naturalmente in questa campagna denigratoria si distinse, per il suo
linguaggio spregiudicato e la sistematicità degli attacchi, "Il
Regime Fascista".
Recriminando sul fatto che l'Italia si sarebbe dovuta liberare della
monarchia già nell'ottobre 1922 (all'epoca della marcia su Roma),
il quotidiano di Cremona tentò di dimostrare quale "storicamente"
fosse stato il carattere della Casa Reale. (56) 56
I tentennamenti, le furbizie, i voltafaccia dei Savoia (ma c'era chi
li chiamava Saboia) accompagnarono per decenni la vita politica italiana
fino al momento in esame, nel quale il Re, dopo la resa agli "alleati",
esortava gli italiani alla guerra fratricida (57) 57, dopo aver dichiarato
guerra alla Germania, il 14 ottobre 1943.
Vittorio Emanuele III, traditore della parola data, << oggi si
è schierato con il nemico che, pur servendosene, lo disprezza e
lo ingiuria >> (58) 58.
Ma Vittorio Emanuele III non fu certamente il solo esponente della
famiglia reale a cui vennero riservate le attenzioni de "Il Regime Fascista".
Molti velenosi articoli, firmati dai giornalisti di punta del quotidiano,
o in forma anonima dal direttore stesso, furono scritti contro il Duca
d'Aosta, <<un fesso alcolizzato>> (59) 59, oppure contro il duca
d'Acquarone, infido e doppiogiochista, chiamato sarcasticamente "un gentiluomo
di Casa Savoia" (60) 60. Umberto di Savoia, l'erede al trono, fu poi il
bersaglio di una pesante ironia tesa a raffigurarlo come un personaggio
vuoto e scioccamente vanitoso.
Il destino della dinastia sabauda, coinvolta irreparabilmente nella
congiura "monarco - giudeo - massonica", non poteva non essere che rovinoso
e infamante.
Gli alleati stessi, secondo il foglio di Cremona, non avrebbero mai
potuto riporre la loro fiducia in persone del genere, che avevano tradito
Benito Mussolini e, con lui, tutto il popolo Italiano.
La fine che avrebbe meritato il re era presto decisa: << [...]
non una, ma cento volte fucilabile, la berlina a cui oggi lo si mette è
poco, assolutamente troppo poco in confronto al plotone di esecuzione che
lo aspetta >>. (61) 61
Di qui la nuova parola d'ordine. << La monarchia ci ha divisi,
la Repubblica ci unirà >>: titolo a tutta pagina del 29 ottobre
1943.
1.5. - IL RAPPORTO CON I TEDESCHI.
Uno degli slogan più ricorrenti nel foglio cremonese fu :"Per
l'onore dell'Italia, a fianco della Germania". Il rilancio dell'alleanza
con i tedeschi fu un passo obbligato per molti quotidiani della RSI, ma
non per "Il Regime Fascista", che vantava di aver come direttore "il re
di Prussia", come lo chiamava il Ministro della Giustizia Pisenti (62)
62.
Farinacci era sempre stato l'uomo dei tedeschi. Abbiamo già
visto come, dopo la seduta del Gran Consiglio del 25 luglio, fosse riuscito
a salvarsi dall'arresto rifugiandosi nell'ambasciata tedesca a Roma e di
qui, con l'aiuto del Colonnello Dollmann delle SS e di Kesselring, a fuggire
in Germania, dove lo aspettava il suo vero protettore, Himmler.
Ora, tornato in patria, aveva praticamente le funzioni di "gauleiter"
della provincia di Cremona ed era voce assai diffusa che ricevesse dai
tedeschi un assegno mensile di 150,000 lire. (63) 63
Radio Londra lo chiamava ironicamente "Herr Farinacci" e lui se ne
compiaceva, perché in questo modo << si premia la nostra coerenza
e la nostra lealtà. Che noi siamo ciecamente con la Germania è
verità sacrosanta>>. (64) 64
Ovvio quindi che il giornale, come del resto aveva sempre fatto, esaltasse
i camerati germanici che combattevano
<< per respingere il nemico che calpesta il nostro suolo, che
tortura le nostre popolazioni>>. (65) 65
Non erano infrequenti titoli come: "Essere Tedeschi", dove si affermava
perentoriamente che << con l'essere tedeschi si è uomini d'onore,
con l'essere tedeschi si è liberi e vivi, con l'essere tedeschi
si è degni di vantarsi europei >>. (66) 66
"Il Regime Fascista", fin dalla ripresa delle sue pubblicazioni, si
impegnò a fondo nell'appoggiare la campagna di reclutamento di manodopera
italiana per la "organizzazione Todt" con una serie di annunci in seconda
pagina.
Nel 1944, il quotidiano dedicò, a volte, intere pagine per una
ben organizzata pubblicità di arruolamento di lavoratori italiani
da inviare in Germania, dove, secondo gli annunci, avrebbero trovato un
ambiente amichevole e accogliente, una lauta paga, un ottimo vitto (richiamo
non indifferente in quei giorni) e la possibilità di tornare spesso
in Italia per visitare i parenti.
L'iniziativa era strutturata in dieci "puntate", ognuna delle quali
illustrava i diversi aspetti della vita che avrebbe atteso il lavoratore
in Germania; a volte con l'ausilio di brevi storie a fumetti dove, ad esempio,
un lavoratore italiano, dopo il soggiorno tedesco, tornava soddisfatto
in patria e, con il denaro guadagnato, poteva acquistare una casa dove
andare a vivere con la fidanzata e una bella automobile.
L'impegno profuso da "Il Regime Fascista" in questa campagna è
possibile misurarlo nello spazio concesso che, a volte, come detto, era
di una intera pagina. Dobbiamo considerare che nel periodo preso in esame
uno dei più grandi problemi per i giornali fu quello della carta,
merce rara e ad alto prezzo (1400 lire al quintale), che costrinse la maggior
parte dei giornali a ridurre il numero delle pagine, e alcuni anche a chiudere.
Una intera pagina, quindi, significava molto!
Farinacci doveva molto ai tedeschi. In passato, essere il loro uomo
di fiducia aveva certamente aiutato la sua fortuna.
Secondo il ministro Pisenti, nei due anni della RSI, grazie alla loro
protezione, ebbe salva anche la vita. Pisenti, in una lettera a Mussolini
(67) 67, denunciò che nel processo di Verona, svoltosi nel gennaio
del 1944, dove vennero processati i diciannove firmatari dell'ordine del
giorno Grandi, il ras di Cremona non fu nemmeno toccato. Egli non depose
di persona, ma inviò una testimonianza scritta, che non aggiunse
molto a quello che tutti sapevano sulla vicenda del 25 luglio.
Il Ministro della Giustizia insistette con Mussolini nell'affermare
che Farinacci non fu processato perché i tedeschi non volevano.
Eppure anche l'Ordine del Giorno da lui presentato prevedeva la destituzione
del Duce. (68) 68
Mussolini commentò:"stupidaggini, Farinacci non capisce mai
nulla [...] I tedeschi disprezzano Farinacci e non lo aiuteranno mai".
(69) 69
Comunque "Il Regime Fascista", come abbiamo gia visto, appoggiò
sempre con forza la Germania e non solo per l'intervento della Propaganda
Staffel.
Sostenere gli occupanti tedeschi e il loro esercito significava, in
quel momento, nascondere il totale sbandamento e l'inconsistenza dell'esercito
repubblicano: << guai se non avessimo trovato al nostro fianco quale
alleata la Germania che, per un principio di onore, di fedeltà e
di lealtà verso Mussolini e il Fascismo, ci offre ancora l'occasione
di riprendere la lotta e di salvare le future generazioni dalla più
grande catastrofe >> (70) 70.
Ma i rapporti tra "Il Regime Fascista" e i tedeschi non furono sempre
idilliaci: analizzeremo più avanti i problemi sorti con il controllo
della censura esercitata attraverso la Propaganda Staffel West e l'incaricato
speciale per la stampa dell'Italia settentrionale, il dr. Krause.
CAPITOLO 2
IL SETTIMANALE FIANCHEGGIATORE DE "IL REGIME FASCISTA":
"CROCIATA ITALICA"
2.1 - CHIESA E FASCISMO REPUBBLICANO : L'ATTEGGIAMENTO DE "IL REGIME
FASCISTA"
I rapporti tra la Repubblica Sociale Italiana e il Vaticano furono particolarmente
complessi e difficili.
La politica religiosa della RSI venne discussa fin dalla prima assemblea
del Partito Fascista Repubblicano tenuta a Verona il 14 novembre 1943.
Durante il dibattito, Pavolini, segretario del Partito, fece notare che
il vero problema non era il rapporto con la religione, ma quello con la
Chiesa.
Già dalla nascita della Repubblica Sociale affiorava non solo
la questione del clero "neutrale", ma soprattutto di quello apertamente
schierato "dall'altra parte". Nei paesi dove esisteva una chiesa nazionale
non c'era una opposizione alle azioni del governo: il fatto che la RSI
non avesse una chiesa nazionale la poneva in una condizione di inferiorità
rispetto agli altri paesi belligeranti.
L'assemblea, al numero 6 delle direttive programmatiche, passate sotto
il nome di Manifesto di Verona, sanzionò: "La religione della Repubblica
è la cattolica, apostolica e romana. Ogni altro culto che non contrasti
con le leggi è rispettato".
Come preparazione ad eventuali sviluppi le direttive erano quelle di
avvicinare con cordialità i sacerdoti, e trovandone di favorevoli,
indurli ad esprimersi pubblicamente con la parola e la stampa; abbondare
inoltre in cerimonie religiose dando ad esse carattere ufficiale.
Bisognava approfittare di tutte le occasioni affinché l'elemento
religioso potesse apparire strettamente legato all'azione del governo repubblicano,
contrastando direttamente con l'opera dei religiosi "neutrali", o comunque
tranquillizzando quanti restavano dubbiosi. Andavano inoltre denunciate
senza commenti, ma senza alcuna eccezione, tutte le notizie di scorrettezze
e di amoralità della parte ufficiale della Chiesa Romana (71).
71
Mussolini si mantenne sempre su posizioni di prudenza, rispettando
sostanzialmente la comunità dei credenti ed evitando polemiche pubbliche,
tanto che quando il 16 dicembre 1944 pronunciò il "discorso della
riscossa" destinato a rialzare gli animi sfiduciati, commentò il
manifesto programmatico, ma saltò di pari passo dal punto 5 al punto
7 per schivare lo spinoso argomento della politica ecclesiastica, enunciata
al punto 6.
Quale fu la posizione di Farinacci e del suo agguerrito foglio?
La questione dei rapporti tra Chiesa e Fascismo Repubblicano fu costantemente
al centro dell'attenzione del quotidiano cremonese, che elevò il
problema a tema fondamentale di una gran parte dei suoi articoli.
Farinacci, pur proclamandosi continuamente cattolico (72) 72,
non aveva mai amato la Chiesa alla quale rimproverava una profonda ingratitudine
per tutti i favori e i benefici che aveva ricevuto.
Egli era stato tra i più accesi oppositori al Concordato che
fu firmato l'11 febbraio 1929.
Scatenò dalle colonne de "Il Regime Fascista" una veemente polemica
per denunciare la Conciliazione, che invece Mussolini aveva ribadito per
non creare un conflitto ufficiale con la Chiesa e con la vana speranza
di usufruire di un appoggio dell'episcopato e del clero.
Il gerarca cremonese, nel ricordare il suo scetticismo nel 1929, faceva
notare che l'euforia di quei giorni durò poco più di un mese,
ma che poi mentre << il Fascismo cerca di accostarsi fiducioso ai
cattolici e al clero, sicuro di avere in essi dei preziosi collaboratori
nella sua missione di andare verso il popolo, trova invece freddezza, incomprensione,
dileggio, critica, disistima di tutto ciò che sappia di Fascismo,
la voluttà di sfuggire le redine con la conseguente gioia di averla
fatta al Fascismo e ai fascisti >> (73) 73.
L'atteggiamento di sfiducia del Vaticano nei riguardi del Fascismo
non era quindi, secondo l'editorialista, un fatto nuovo ma maturato negli
anni e culminato nel tradimento del periodo badogliano, fino a strumentalizzare
a volte addirittura le immunità previste dal Concordato.
Era infatti accaduto che agli inizi del febbraio 1944 la Guardia Nazionale
Repubblicana, in una irruzione all'interno del monastero romano di San
Paolo fuori le mura, aveva scoperto il gen. Monti e 48 renitenti alla leva,
arrestandoli.
Non era la prima volta che succedevano fatti del genere. Il mese
prima la polizia fascista aveva arrestato il gen. Caracciolo in un convento
romano, travestito da francescano, scatenando le ire di Farinacci. (74)
74
Questa volta "L'Osservatore Romano" espresse subito una vibrata protesta
contro il misfatto perpetrato dai militi fascisti.
"Il Regime Fascista" intervenne pesantemente giustificando l'intrusione
di stampo squadrista nel chiostro in un corsivo intitolato "Invece di vergognarsi",
insinuando la malafede dei religiosi per il mancato rispetto di una disposizione
della Congregazione dei Religiosi. (75) 75
La requisitoria di Farinacci può dirsi che riproducesse con
nitidezza la posizione dei fascisti repubblicani più intransigenti
e più autorevoli.
Egli fin dall'inizio aveva preteso dai vescovi, in modo ufficiale,
la condanna e la maledizione delle diserzione e delle renitenze alla leva.
L'esercito repubblicano era infatti una preoccupazione costante per Mussolini
ed i suoi gerarchi in quanto tutti essi si illudevano, con tale strumento,
di salvare l'onore, tradito dal Re e da Badoglio, e assieme, di mettersi
alla pari con la Germania di Hitler. (76) 76
L'episodio del monastero di S. Paolo ebbe vaste ripercussioni, che
riportarono di attualità il dibattito sul riconoscimento della Repubblica
Sociale Italiana da parte del Vaticano.
Gli esponenti fascisti, con Farinacci in testa, osservarono che l'immunità
per se stessa non poteva risolversi in un danno politico per lo Stato ospitante,
ne' coprire disertori (come era successo in molti conventi).
Il furbo gerarca cremonese colse l'occasione per tirare le sue conclusioni:
<< Se dunque la nostra Repubblica non la si vuol riconoscere, perché
noi dobbiamo mantenere e rispettare i patti che ci legano alla Santa Sede?
>>. (77) 77
La battaglia contro il Concordato fu così un punto fermo. Il
15 marzo 1944 "Il Regime Fascista" si chiese: << Perché certi
patti debbono avere soltanto valore unilaterale? Perché dobbiamo
puntualmente sborsare centinaia di milioni per le congrue, e difendere
tanti privilegi della gerarchia cattolica?>>. (78) 78
E nello stesso anno un redattore del giornale di Cremona, Gino Sottochiesa,
scrisse sull'argomento anche un libro dal titolo "I cattolici italiani".
(79) 79
Ma se il Vaticano non riconobbe mai la Repubblica Sociale Italiana,
questa non denunciò comunque l'accordo del 1929.
La fedeltà, almeno sostanziale, di Mussolini al Concordato è
parzialmente spiegabile anche con la sua volontà di prevenire qualunque
accusa di aver tradito i patti internazionali, dato che poi il Duce aveva
insistentemente giustificato lo Stato Italiano sul presupposto dell'onore.
Al fondo dovette agire anche la preoccupazione di non sconcertare ancor
di più la dissestata situazione e non inimicarsi più del
necessario l'episcopato.
Ma c'è chi aggiunge che Mussolini, sia per la latente velleità
di dispiacere al soverchiante alleato tedesco, e sia perché <<
come si sa, detestava il Farinacci, novello antipapa, si potrebbe opinare
che tale stato d'animo lo spingesse non che altro, a frenare il suo innato
anticlericalismo >>. (80) 80
Fra gli episodi che innescarono le polemiche fra RSI e Vaticano vi
fu senz'altro quello, assai eclatante, del bombardamento della S. Sede.
La notte del 5 novembre 1943 un aereo di nazionalità sconosciuta
lanciò alcune bombe sulla Città del Vaticano. Non vi furono
vittime e anche i danni furono esigui, ma l'impressione fu enorme.
Subito la stampa fascista si impegnò in una clamorosa campagna
contro gli anglo-americani. Da una bomba inesplosa, infatti, si arguì
che l'iniziativa era inglese.
Prontamente "Il Regime Fascista" titolò: << Gli anglo-americani
hanno attaccato il Vaticano con meditata perfidia>> (81) 81, e trovò
subito anche un movente: le bombe inglesi avevano lo scopo ben determinato
di creare una atmosfera ostile ai tedeschi.
<< Gli anglo-americani rimangono inchiodati alle loro responsabilità.
Però non bisogna escludere la complicità di Vittorio Emanuele
e Pietro Badoglio nelle nuove gesta dei gangsters >>. (82) 82
Nel frattempo da più parti cominciarono ad avanzare forti dubbi
sugli autori del bombardamento. Un volantino inglese avvertiva le popolazioni
di bombardamenti di basi militari intorno a Roma, ma insinuava anche che
qualcuno avrebbe colpito il Vaticano per rendere responsabili gli alleati,
mentre essi avevano ben altro da fare e non avevano nessuna intenzione
di compiere atti insensati.
Eisenhower, da parte sua, si era affrettato in un comunicato a rigettare
qualsiasi responsabilità delle sue truppe.
Così. mentre "Il Regime Fascista" titolava il 13 novembre: <<
Anglicani e badogliani contro il Vaticano >> prospettando anche un coinvolgimento
bolscevico, la verità cominciava a venire a galla. Fu accertato
che l'aereo che sorvolò Roma la notte del 5 novembre era partito
da Viterbo, pilotato da un certo sergente Parmeggiani.
I tedeschi, proprio loro, imputarono a Farinacci di aver organizzato
la losca impresa, confermando in questo modo quella che fino a quel momento
era solo una voce popolare. (83) 83
2.2 - "SACERDOTI NOSTRI"
Intorno a "Il Regime Fascista" ruotava un gruppo sia pure esiguo di
sacerdoti scontenti, avventurosi, nazionalisti in lotta con i vescovi,
nostalgici del ventennio e dell'abbraccio clerico - fascista.
Le direttive del Congresso di Verona del novembre 1943 trovarono in
Farinacci un fin troppo zelante esecutore.
Il fenomeno dei sacerdoti che appoggiarono il fascismo repubblicano
fu in realtà abbastanza isolato, (si trattò per la maggior
parte di ex cappellani militari) ma sufficiente a creare un vasto dibattito,
soprattutto quando si paventò un presunto distacco dalla Chiesa
di Roma per crearne una nazionale di stampo fascista. (84) 84
Nell'autunno del 1943 comparvero regolarmente, sul foglio di Cremona,
articoli firmati da don Angelo Scarpellini, don Remo Cantelli, Siro Contri
e il domenicano Damiano Zago. Costoro, che Farinacci chiamava i "sacerdoti
nostri" in contrapposizione evidentemente al clero ufficiale, che ormai
orientava inequivocabilmente la sua azione in appoggio al "nemico", formarono
successivamente il nucleo centrale del movimento "Crociata Italica", guidata
da don Tullio Calcagno.
La campagna di affiancamento al fascismo repubblicano fu portata avanti
con caparbietà da questo sparuto manipolo di sacerdoti.
Quello che incontrava i maggiori favori del direttore de "Il Regime
Fascista" era don Angelo Scarpellini, un dotto quanto focoso propagandista
del clerico - fascismo.
Questo prete romagnolo, prima di collaborare al quotidiano cremonese,
aveva edito a Bologna il volume "L'Italia della Conciliazione", in cui
più di una volta aveva anteposto il Duce al Romano Pontefice ed
aveva concluso le 181 pagine magnificando la << santità, la
religiosità della guerra, dell'Asse e del Tripartito >>. (85)
85
Successivamente diventò cappellano militare della Brigata nera
"Facchini", che lo porterà, nei suoi successivi scritti, ad affrontare
spesso il tema della scarsa fede patriottica dei soldati, pavidi della
morte, di cui egli glorificava, invece, il valore. (86) 86
La collaborazione di don Scarpellini con "Il Regime Fascista" iniziò
nell'ottobre 1941 con un articolo dal titolo "Riflessioni cattoliche" e
continuò saltuariamente nel 1942.
Con la nascita della RSI il sacerdote romagnolo riprese attivamente
l'impegno giornalistico. Egli infatti vedeva la RSI come la risposta all'urgente
imperativo etico di difendere l'onore della patria, al di sopra di ogni
parte e di ogni interesse personale. Chi combatteva e affrontava il sacrificio
dava anche, per don Scarpellini, il contributo più grande al trionfo
della fede, perché il cattolicesimo non poteva essere sinonimo di
debolezza disarmata e di passività, ma religione virile che avrebbe
armato la mano in difesa dei giusti diritti. (87) 87
Uno dei primi e più accesi sostenitori della RSI fu poi don
Remo Cantelli, pseudonimo di don Carlo Barozzi, fra i collaboratori più
rappresentativi del giornale farinacciano.
Negli articoli "Parliamoci chiaro" ed "Equivoci" (88) 88 don
Cantelli, paventando un invadente pericolo bolscevico, contrapponeva <<
la nostra santa crociata contro gli aizzatori dell'anarchia religiosa,
economica, sociale e familiare che mettono in gioco i valori dello spirito
>>, sottolineando così la necessità assoluta per la Chiesa
di condurre fino in fondo, abbandonando ogni forma di pietismo e di colpevole
parzialità verso i nemici, una guerra santa contro la dissacrazione
operata dal comunismo ateo e materialista dei valori di ordine, gerarchia,
rispetto della religione e dell'integrità della famiglia. (89)
89
Per don Cantelli non vi è che una sola via: << [...] è
santissimo dovere impugnare le armi per espellere il distruttore dalle
nostre città, l'invasore dalla nostre terre>>. (90) 90
L'opera di questi preti fu affiancata anche da quella di alcuni laici
come Siro Contri, che, su posizioni meno esasperate, si occupò di
aprire un dibattito sulla educazione cattolica, che egli definì
<< unilaterale in quanto manca il raccordo fra educazione religiosa
ed educazione civile - politica >>. (91) 91
Adesioni e attestati di stima da parte di altri sacerdoti arrivarono
alla redazione di piazza Marconi che, ovviamente, provvide subito a pubblicarle,
sotto l'occhio compiaciuto del direttore, che vedeva il suo impegno coronato
dal successo.
Tra le varie lettere che il quotidiano pubblicò prendiamo come
esempio quella di don Antonio Bruzzesi, cappellano della Brigata Nera "Aldo
Resega": << Io sto con te, Farinacci, perché la tua fedeltà
all'idea fascista fu sempre assoluta e indiscussa.[...] Primissimo tra
i primi, nei giorni dell'infamia badogliana, affermasti la necessità
del riscatto, per riguadagnare l'onore perduto. La tua battaglia non ha
soste, procede serrata, stringente, mordace, guidata da una logica ferrea,
dettata da una volontà d'acciaio. Bene, Farinacci, io sto con te
anche se non sei infallibile >>. (92) 92
"Il Regime Fascista", oltre ad avvalersi costantemente del nucleo di
sacerdoti che abbiamo visto, ospitò saltuariamente le firme di padre
Damiano Zago, il cui slogan fu "non discutere, ma combattere" (93)
93, don Casoli, don Mario Pannori, padre Igino E. La Trea.
Per Farinacci il terreno era ormai pronto per l'iniziativa che da tempo
meditava, la creazione di un giornale clerico -fascista. L'arrivo a Cremona
di don Tullio Calcagno gli permise di organizzare e realizzare il suo progetto.
2.3 - LA NASCITA DI "CROCIATA ITALICA".
Don Tullio Calcagno fu senza dubbio una delle figure più controverse
e discusse della RSI .
Ternano di nascita, entrò in seminario a 10 anni. Combatté
come ufficiale di fanteria nella prima guerra mondiale, e nel 1924 ricevette
l'ordinazione sacerdotale.
Il suo orientamento in senso filofascista risale probabilmente al 1936,
sull'onda del consenso per l'impresa etiopica. Don Calcagno partecipò
alla famosa adunata di preti a Palazzo Venezia del 9 gennaio 1938, di cui
ostentò poi la foto ricordo negli uffici di Cremona.
Diventato fascista, sposò subito la causa dell'Asse, si schierò
per la guerra e fin dal 21 gennaio 1940 chiese alle autorità competenti
di essere arruolato, con una lettera pubblicata il successivo 31 maggio
su "Il Regime Fascista", cui offrì la sua collaborazione.
Nel 1942 don Calcagno pubblicò a Spoleto il volume "La scure
alla radice della Royal Oak, ossia Guerra di giustizia", poi più
volte ristampato. Il libro evidenziava l'esasperato disprezzo per i nemici
dell'Italia e della Germania, sostenendo la giustizia della guerra mussoliniana,
che l'autore dichiarava "santa".
Ma il volume comparve senza "l'imprimatur", allora severamente imposto
dal can. 1386 del codice di diritto canonico, perché giudicato inopportuno.
Don Calcagno fu convocato presso la congregazione del S. Ufficio il 30
giugno 1943, dove gli furono contestati due passi di "Guerra di giustizia",
soprattutto uno in cui il prete ternano affermava: <<Quando è
lecito o doveroso uccidere, è lecito o doveroso odiare>>. (94)
94
Il sacerdote tornò a Terni con la diffida di pubblicare libri,
opuscoli e articoli sull'argomento trattato nel libro incriminato, cosa
che aveva già fatto l'anno precedente su un paio di articoli apparsi
su "Il Regime Fascista".
L'armistizio dell'8 settembre spinse don Calcagno su posizioni ancora
più oltranziste, che egli manifestò pubblicamente sull'organo
bisettimanale ternano del rinato partito fascista, "Prima linea".
A causa di questa intemperanza don Calcagno incorse nella sospensione
"a divinis", con decreto della suprema congregazione del 24 novembre 1943.
Questo provvedimento, che senza dubbio lo colpì profondamente,
lo convinse ulteriormente di essere vittima di accuse ingiustificate da
parte delle alte gerarchie ecclesiastiche, rafforzando così le sue
idee nazionaliste.
A questo punto, lasciata Terni, don Calcagno si recò a Bologna
in cerca di protezioni e amici, guardandosi bene dal far sapere del suo
stato. Formò un sodalizio ideologico con altri sacerdoti schierati
come lui al fianco del fascismo: erano don Edmondo De Amicis, don Antonio
Bruzzesi, don Remo Cantelli, il sac. Angelo Scarpellini, padre Blandino
Della Croce, padre Eusebio. Gli stessi che abbiamo visto collaborare con
il quotidiano di Cremona.
Si diedero appuntamento a Milano, dove cercarono di venire a contatto
con Carlo Borsani e con l'on. Stefano Cavazzoni, l'ex deputato popolare
che aveva aderito al fascismo, il quale stava tentando di dar vita ad un
movimento cattolico di lealismo repubblicano. Ma furono accolti con diffidenza
e presto allontanati. Il gruppetto si sciolse in attesa di migliori occasioni.
Don Calcagno decise allora di puntare su Cremona e su Farinacci. E'
probabile che gli importasse solo di avere protezione e aiuto: cercarlo
presso il gerarca cremonese significava sì avere la possibilità
di amplificare la propria voce su uno dei maggiori organi del fascismo
repubblicano, ma anche scontrarsi con una personalità fortissima,
pronta a servirsi di tutto e di tutti per raggiungere i propri obiettivi.
Il 23 dicembre 1943 uscì un articolo dal titolo "Lealtà
e lealismo" firmato da don Calcagno. Le posizioni del prete umbro si erano
ormai estremizzate, e il linguaggio si era fatto ancora più ardito
e bellicoso, nel perfetto stile de "Il Regime Fascista".
Dopo una requisitoria contro il Re traditore e Badoglio, l'articolo
si rivolgeva soprattutto contro i << santissimi, eminentissimi, reverendissimi,
molto reverendi, reverendi badogliani>>, elencando le benemerenze di Mussolini
in materia religiosa. Seguiva poi una serie di precise richieste rivolte
alla Chiesa, un "manifesto" del clerico - fascismo:
<< Ammenda, prima di tutto, e riparazione per gli errori e ingiustizie,
pubbliche e private, finora commesse; secondo, riconoscimento solenne,
con relativi nunzio e ambasciatore, del nuovo Stato Repubblicano Sociale,
come l'unico e legittimo erede e successore dell'ex regno d'Italia; terzo,
collaborazione leale, devota, completa, fino alla vittoria, col governo
repubblicano; quarto, rispetto e fraternità con i nostri veri, leali,
generosi alleati germanici; quinto, propaganda patriottica, scritta e orale,
raccomandata o almeno libera, a tutti i sacerdoti e obbligatoria ai cappellani
militari in virtù della loro missione specifica >>.
E' interessante notare la commistione tra i motivi tipici di don Calcagno
e i temi più battuti da Farinacci, come l'alleanza con la Germania.
L'influenza di quest'ultimo sull'inquieto sacerdote cominciava evidentemente
a farsi sentire.
Don Calcagno, nello stesso articolo, si lanciava in una difesa della
propria opera, che tanti guai gli aveva procurato: << E non più
Cardinali e Vescovi filogalli che interdicono invece libri italiani senza
leggere null'altro che il titolo "Guerra di giustizia" >>.
In quei giorni le riunioni fra Farinacci e don Calcagno negli uffici
di via Costanzo Ciano a Cremona, sede del direttore di "Regime Fascista",
furono pressoché quotidiane.
L'idea di un giornale sul quale ospitare le voci di questi sacerdoti
filofascisti, ufficialmente distinto da "Il Regime Fascista", era stata
proposta da don Calcagno al ras di Cremona già dal novembre. Farinacci
era troppo un buon politico per non capire che cosa avrebbe potuto ricavare
la propaganda fascista da questo prete che veniva a fargli professione
di fascismo repubblicano.
Gli affidò anche il commento al discorso natalizio di Pio XII,
al posto di don Scarpellini, che era stato fino a quel momento l'uomo di
punta tra i sacerdoti che scrivevano sul giornale, forse perché
considerato il più dotto.
Don Calcagno, eludendo le affermazioni del Papa sulla democrazia, si
soffermò sulle espressioni di commiserazione per i lutti seminati
dalla guerra e le invocazioni di pace. (95) 95
Don Calcagno chiedeva soprattutto al Papa di pronunciarsi sul pericolo
mortale che incombeva sulla Patria, prendendo una posizione ben definita.
Qualche giorno dopo, il 30 dicembre, in un terzo corsivo dal titolo
"Supernazionalismo e antinazionalismo". il sacerdote scriveva: <<
Carità per tutti, ma prima per la Patria; perdono per tutti, ma
prima giustizia per la Patria >>. E dettava i suoi imperativi: <<
E se è vero, come è vero, che l'Italia combatte per una causa
giusta, santa, per la causa di Cristo e della sua Chiesa, cattolici con
le armi in pugno fino alla Vittoria. Dio è con noi e non ce la negherà
>>.
Si nota in questo personaggio la tipica mentalità del cappellano
militare, legata spesso ad una concezione strumentale della religione.
Tale carica però, don Calcagno non era mai riuscito ad ottenere
nonostante lo avesse chiesto per ben tre volte. Allora, quando giunse a
Cremona si autonominò cappellano militare, commettendo un abuso
riprovato dall'ordinario militare mons. Casorato. (96) 96
I primi giorni del gennaio 1944 furono decisivi per l'organizzazione
e l'allestimento della nuova iniziativa editoriale, che sarebbe stata ampiamente
spalleggiata da "Il Regime Fascista".
Don Calcagno mandò un telegramma agli amici che già chiamava
"i crociati" e li invitò a Cremona per il 7 gennaio. Il giornale
sarebbe stato stampato nella tipografia di "Cremona Nuova" e finanziato
da Farinacci, che comunque provvedeva a rivalersi mediante un contributo
dal Minculpop.
Dopo alcune discussioni sull'opportunità di avere Cremona come
sede del giornale, si decise l'uscita del primo numero per il 9 gennaio,
di lunedì.
Il nome "Crociata Italica" era stato deciso già nel novembre,
forse suggerito da padre Blandino. (97) 97
Ma prima che il giornale apparisse in edicola l'8 gennaio, il vescovo
di Cremona, mons. Cazzani, intervenne duramente con questa diffida: <<Vediamo
preannunziata la pubblicizzazione di un settimanale, "Crociata Italica",
che si qualifica "politico - cattolico", diretto da don Tullio Calcagno.
Perché non sia sorpresa la buona fede dei cattolici è nostro
dovere avvisarli che il predetto sacerdote di diocesi lontana dalla nostra
è sospeso da ogni sacro ministero e in nessun modo autorizzato alla
pubblicazione di un giornale e, pertanto, il giornale sunnominato non può
essere considerato come cattolico >> (98) 98.
A questo grave documento si diede subito la massima diffusione. Lo
pubblicò "L'Italia", l'organo della curia milanese, che tante noie
aveva avuto da Farinacci; lo riprese la più parte della stampa cattolica;
lo riportarono i bollettini parrocchiali, venne affisso alle porte delle
chiese e dei ritrovi diocesani; fu addirittura annunciato e commentato
nelle prediche durante le messe.
Il pronunciamento di mons. Cazzani fu un duro colpo per don Calcagno;
egli si sentì ancor più perseguitato dalle istituzioni ecclesiastiche,
che notificavano pubblicamente la sua sospensione senza precisarne le cause.
Scrisse così una lettera di tono supplichevole al vescovo, pregandolo
di rendere noto anche il motivo della sua sospensione, che egli non riteneva
disonorevole. (99) 99
La risposta di mons. Cazzani, paterna ma decisa, arrivò quattro
giorni più tardi, e ribadiva le proprie posizioni. (100) 100
Nel frattempo era avvenuto il lancio del giornale. Il 9 gennaio "Il
Regime Fascista" annunciava l'uscita di "Crociata Italica" fondata da <<
un gruppo di sacerdoti e cattolici, uniti nella stessa fede in "Dio e Patria".
Per tutta la durata della guerra quest'organo illustrerà dal punto
di vista cattolico, la necessità che il clero fiancheggi con tutte
le sue forze la lotta che dovrà ridare all'Italia la sua unità
e il prestigio >>.
Con una tiratura di 100.000 copie, "Crociata Italica" comparve nelle
edicole il 10 gennaio 1944 con un articolo programmatico di don Calcagno,
"Dio e Patria". Tipograficamente il giornale si presentava di quattro pagine,
solo sporadicamente di due; ogni numero riportava, con ironico commento,
almeno una documentazione fotografica della distruzione di chiese e di
edifici religiosi compiuta dagli anglo-americani.
Andò immediatamente esaurito, forse anche a causa dell'inconsapevole
pubblicità che mons. Cazzani aveva provveduto a fargli.
2.4.- SOSTENITORI E NEMICI DEL SETTIMANALE POLITICO CATTOLICO.
Il quotidiano di Farinacci sostenne costantemente "Crociata Italica",
e soprattutto lo difese dai suoi molti nemici, che avrebbero reso difficile
la vita a don Calcagno e ai suoi amici.
"Il Regime Fascista", il 13 gennaio 1944, scriveva di un <<plebiscitario
consenso alla nobile idea di fondare "Crociata Italica" da parte di un
gruppo di sacerdoti di fede, moralità e patriottismo ineccepibili
>>.
Effettivamente il settimanale fu un successo editoriale, venne venduto
dagli edicolanti addirittura a borsa nera. Si diffuse anche fra le forze
armate e fra le truppe in addestramento in Germania.
Fu quasi certamente il periodico più diffuso della RSI.
L'improvviso successo della nuova e astuta iniziativa di Farinacci
(perché di questo si trattava) colse di sorpresa molti. Arrivarono
adesioni, ma non furono moltissime e neanche quelle sperate da don Calcagno.
Don Calcagno aveva invitato il sacerdote modernista don Lasciola, che
dalla cattedra e dalle colonne di "Gerarchia" aveva esaltato il fascismo
e la guerra, ma questi non accettò, anche se le sue teorie furono
un preciso punto di riferimento per il settimanale. (101) 101
Arrivarono isolati attestati di simpatia da varie città del
nord, da Cremona parole di incondizionato apprezzamento da Luigi Tambini,
comandante provinciale della città , e, attraverso "Il Regime Fascista",
quelle dell'arcivescovo di Bologna, il cardinale Nasalli Rocca. (102)
102
Comunque gli unici personaggi di un certo rilievo che aderirono furono
il poeta americano Ezra Pound e Nicola Bombacci, che nei numeri del 19
e 25 marzo 1945 pubblicò l'opuscolo "Questo è il bolscevismo",
dove tra l'altro affermava <<Non si può essere cristiani e
bolscevichi>>.
Ma i veri "crociati" erano solo una quindicina, non di più.
Oltre al settimanale era anche sorto, qualche mese dopo, un movimento
vero e proprio, con lo stesso nome, che si proponeva di gettare le basi
di una vasta associazione a livello nazionale, dotato di uno statuto che
ne delineasse le caratteristiche programmatiche e le strutture amministrative
e gerarchiche.
L'associazione, già impostata a grandi linee, venne regolarmente
costituita, sotto la direzione del suo promotore, solo il 18 settembre
1944, in base alla decisione presa dall'assemblea degli iscritti riunitasi
per la prima volta a Milano, che si riservò di sottoporre lo statuto
alla ratifica delle autorità della RSI. Il riconoscimento ufficiale
mancò, con grande sorpresa di don Calcagno, anche perché
il sodalizio poteva vantare l'approvazione personale del Duce. (103)
103
L'atteggiamento di Mussolini verso i "crociati" fu però abbastanza
ambiguo: nel colloquio finale in arcivescovado con il card. Schuster, che
rimproverava alla RSI l'appoggio dato al movimento scismatico, egli finse
di non essere al corrente di nulla, e deprecò a posteriori quei
fatti (104) 104, ma, in realtà, il Duce sapeva tutto di don
Calcagno e del suo movimento, e lo approvava.
Il 17 marzo 1944 egli ricevette il sacerdote a Gargnano con il gruppetto
di preti che redigevano il settimanale, e li elogiò: << seguo
da vicino l'opera che avete intrapreso con nobiltà e serietà
di interventi, con fede ed entusiasmo e con quella vivacità polemica
che non esclude oggettività e serenità>>. (105) 105
Data la sua posizione di primo piano, il Duce non poteva, diversamente
da Farinacci, non calcolare seriamente il rischio e le conseguenze dell'urto
con le autorità ecclesiastiche, cui lo avrebbe sicuramente esposto
un eventuale appoggio ufficiale al movimento di don Calcagno.
Diverso fu l'atteggiamento dei tedeschi. La Propaganda Staffel, che
aveva sede a Verona, si accorse subito di ciò che stava succedendo
e pensò di sfruttare a suo vantaggio i fatti.
Offrì mezzi e appoggi a don Calcagno, per prenderlo alle proprie
dipendenze, ma il prete era furbo, capì che, se si fosse posto al
servizio dei tedeschi, la sua carica di convinzione avrebbe perso quasi
tutta la sua forza, e allora ne' lui ne' il suo giornale avrebbero più
interessato.
L'azione di sostegno de "Il Regime Fascista" continuava assumendo toni
trionfalistici: << La nuova bandiera di verità e di giustizia
ha incontrato i consensi più entusiastici. Non vi è città,
non vi è paese dove "Crociata Italica" non sia attesa con impazienza,
La massa dei credenti trova conforto nella parola di questi sacerdoti che
coraggiosamente additano a tutti la via del dovere e dell'onore >>. (106)
106
"Crociata Italica" incontrò una vasta disapprovazione da parte
del clero. Lo stesso giornale riferiva spesso delle frequenti denuncie
provenienti dai pulpiti e dai bollettini parrocchiali.
La più costante opposizione fu indubbiamente quella del vescovo
di Cremona, mons. Giovanni Cazzani, che resse la diocesi della città
per l'intera durata del fascismo. Si è già parlato della
sua notificazione dell'8 gennaio 1944; ma già nell'omelia dell'Epifania,
due giorni prima, mons. Cazzani aveva invitato i fedeli a non scandalizzarsi
di fronte ai ministri di Dio che parlavano contro la Chiesa, alludendo
evidentemente alla propaganda orale e scritta (su "Il Regime Fascista")
dei sacerdoti che avrebbero di lì a qualche giorno fondato "Crociata
Italica". (107) 107
All'omelia di mons. Cazzani seguì, l'11 febbraio, una attestazione
di fedeltà del clero cremonese su "La vita cattolica", l'organo
della diocesi, testimoniando così uno schieramento compatto accanto
al vescovo nella riprovazione di "Crociata Italica".
Il foglio farinacciano ne prese atto con rabbia:<< Credevamo
che anche quella parte del clero che ha dei torti da farsi perdonare avrebbe
accettato, anche passivamente, questa nobile iniziativa. Poteva rappresentare
per essi un alibi per il domani. Invece no.[...] spronare i fedeli alla
preghiera per la nostra vittoria, è stato ritenuto, da qualche prelato,
un atto di indisciplina >>. (108) 108
Farinacci sosteneva che il vescovo si era dato molto da fare per scrivere
ai cardinali e ai capi delle altre diocesi, perché venisse arginata
la diffusione del foglio. In realtà non ce ne sarebbe stato bisogno;
nonostante la vasta diffusione, "Crociata Italica", oltre che nelle mani
di molti curiosi, finì solo in quelle dei seguaci del ras, di brigatisti
e ausiliarie.
All'iniziale pronunciamento esplicito del vescovo di Cremona, fecero
seguito omelie, notificazioni e lettere pastorali che pur senza mai nominare
"Crociata Italica", contenevano riferimenti insistenti ora chiari ora velati,
ma sempre molto significativi.
L'avversario diretto di mons. Cazzani non fu però don Calcagno,
che si mostrò verso di lui sempre deferente e non lo attaccò
mai apertamente, ma Farinacci, polemico e velenoso come non mai.
Ne è dimostrazione la relazione scritta che don Calcagno fece
di un suo colloquio con mons. Cazzani, avvenuto il 25 gennaio 1944. Finì
sul tavolo di Mussolini con questa nota di Farinacci : << Ti mando
copia di un colloquio avvenuto tra il direttore di "Crociata Italica" e
questo porco vescovo di Cremona. Se non sarò molestato questo signore
me lo lavorerò per benino >>. (109) 109
Nel teso colloquio tra i due religiosi, mons. Cazzani ribadì
le sue posizioni, che erano poi quelle ufficiali dell'episcopato; dopo
aver rimproverato al prete ternano le sue cattive amicizie (si riferiva
ovviamente a Farinacci), disse: << Ma il clero italiano non poteva
e non può essere contro la maggioranza del popolo italiano, che
è contrario al fascismo e a questa guerra. Perciò come non
poteva approvare la guerra, non può riconoscere ora la Repubblica
Fascista sotto un governo imposto dai tedeschi >>.
Don Calcagno rispose: << [...] Per me la dichiarazione di guerra
del 10 giugno 1940 alla Francia e all'Inghilterra è stato l'atto
più giusto e sacrosanto, per cui perdono al fascismo e a Mussolini
tutti i suoi errori e le sue colpe reali e supposte >>.
Le vicende cremonesi suscitarono un vivo interesse anche nell'opinione
pubblica "nemica", tanto che Farinacci, in un corsivo del 22 giugno 1944
(contenuto nella rubrica che spesso teneva, "Radio cronaca"), consigliava
ironicamente a mons. Cazzani di cercare conforto nelle trasmissioni di
Radio Londra e Radio Bari, << che da vari giorni lo esaltano come
uno dei loro amici migliori >>.
Il vescovo, che inizialmente aveva cercato di riavvicinare a sé
il sacerdote ribelle, continuò con sincero dispiacere la sua opera
di denuncia contro l'oltraggioso giornale.
Il 17 luglio 1944, nella notificazione "Pro ecclesia et pontefice",
ribadiva la sua << angosciosa preoccupazione>> per l'accanimento
di certa stampa, che -diceva il documento-<< pare abbia il centro
più focoso in mezzo a noi >>. (110) 110
Nelle sue omelie mons. Cazzani colpiva alla radice l'atteggiamento
di "Crociata Italica" sottolineando l'impossibilità per la chiesa,
madre di tutti i credenti, di schierarsi con un gruppo piuttosto che con
un altro, l'obbligo per i suoi pastori di mantenersi superiori alle divisioni
di parte e liberi da ogni asservimento politico.
"Il Regime Fascista" continuò la sua campagna denigratoria,
che dovette presto estendersi anche verso la persona del card. Ildefonso
Schuster, Vescovo di Milano, che intervenne con la sua autorità
in difesa dell'unità dell'episcopato, soprattutto di fronte alle
posizioni scismatiche che "Crociata Italica" ad un certo punto assunse,
come vedremo meglio nel prossimo paragrafo.
2.5. - IL TENTATIVO SCISMATICO.
"Il Regime Fascista " e la sua filiazione "Crociata Italica" non esaurirono
la loro opera nella sola critica alla politica delle alte sfere ecclesiastiche
e della curia vaticana, ma avanzarono delle pericolose istanze di riforma
della chiesa e del cattolicesimo.
Il mancato riconoscimento del governo fascista repubblicano da parte
della S. Sede e il mancato appoggio alla guerra che esso conduceva a fianco
dei tedeschi spinse don Calcagno e il suo seguito all'affermazione della
necessità di un primate in Italia che non fosse il Papa.
L'origine della polemica è da ricercarsi in un fondo apparso
su "Il Regime Fascista" il 20 febbraio 1944, sicuramente scritto dal direttore:<<
[...] ma insomma, per difendere la nostra religione, dobbiamo ricoverarci
nel forte e schietto baluardo di un cattolicesimo nazionale? Non crediamo
che si voglia arrivare a questo. I primi ad esserne addolorati saremmo
noi, che abbiamo sempre visto e onorato in Roma il centro del cattolicesimo
universale. Pure, se saremo costretti, agiremo, e fino in fondo >>. (111)
111
Il progetto di chiesa nazionale fu poi meglio elaborato da "Crociata
Italica": il settimanale muoveva dalla constatazione che avere il pontefice
per primate si era risolto in un danno politico per l'Italia. Infatti il
papa, nella sua posizione di capo della chiesa universale, non poteva dare
priorità agli interessi di una nazione e doveva quindi attenersi
ad una condotta neutrale; inoltre, in virtù dei patti lateranensi
il Papa era considerato capo di uno stato estero nel territorio italiano.
Ma il clero nazionale, inserito nella realtà italiana, non poteva
attendere le decisioni di una potenza straniera, né seguire indirizzi
sopranazionali contrari agli interessi della propria patria. Si prospettava
quindi come necessaria la presenza di un primate nazionale, eletto nella
persona di un vescovo italiano: egli, non vincolato ad una politica neutrale,
avrebbe potuto schierarsi con libera autorità a favore degli interessi
politici italiani. (112) 112
<< La Chiesa italiana diventerebbe così chiesa nazionale,
senza per questo cessare di essere cattolica >>, scriveva don Calcagno
il 12 giugno 1944 su "Crociata Italica". (113) 113
Queste affermazioni scatenarono le reazioni del card. Schuster, che
seguiva già dal gennaio i movimenti dei "crociati", costantemente
informato da mons. Cazzani.
Il metropolita lombardo colpì "la strana eresia" in un discorso
pronunciato nel Duomo di Milano il 20 agosto 1944 e chiaramente indirizzato
al giornale cremonese. Egli condannò, oltre all'intervento denigratorio
contro il Papa, "l'ibrido cambio di teologia politica". (114) 114
Il card. Schuster aveva già nel mese di maggio condannato "Crociata
Italica" come lettura pericolosa, facendo divieto al clero di collaborarvi
e di favorirne la diffusione. (115) 115
"Il Regime Fascista" non perse così l'occasione di manifestare
al card. Schuster tutto il suo astio in attacchi quasi quotidiani.
In una "lettera aperta" il foglio di Cremona si rivolse al cardinale,
mostrando meraviglia verso colui che in passato aveva lodato il fascismo
e Mussolini e ora, invece, incitava alla preghiera, rinunciando a sostenere
la Patria nel momento del bisogno. E si chiedeva: << Perché
finora, come Primate della Lombardia, vi siete preoccupato di minacciare
anatemi contro quei sacerdoti di "Crociata Italica" che vogliono salva
la Patria e la Chiesa dalle orde giudaiche e comuniste? In quest'opera
siete stato attivissimo. Per i casi opposti siete rimasto silenzioso. [...]
Non è lecito che un principe della Chiesa si ricordi o si dimentichi
di essere italiano, secondo le circostanze e le proprie valutazioni utilitarie>>.
(116) 116
Nel novembre Farinacci fece la voce grossa, passando direttamente
alle minacce: << se fosse possibile, vorremmo che venisse ascoltato
[dal card. Schuster] pure un nostro suggerimento sincero: cercare di non
scoprire il fianco ad una nostra inevitabile, energica reazione>>. (117)
117 Contro "Crociata Italica" si levarono altre voci. Accanto al card.
Schuster si collocò il card. Piazza, patriarca di Venezia, che bollò
don Calcagno di scismatico ed eretico. Ad essi fecero eco altri presuli,
fra i quali mons. Colli di Parma e l'arcivescovo di Torino Maurilio Fossati.
Quest'ultimo, secondo quanto afferma "Il Regime Fascista" del 12 agosto
1944, si fece promotore di una riunione di vescovi del Piemonte per interdire
la lettura del settimanale clerico - fascista, in quanto giornale retto
da "sacerdoti ribelli". (118) 118
Infine, il colpo decisivo fu inferto a "Crociata Italica" dal decreto
di scomunica inflitto al suo direttore il 24 marzo 1945. Il provvedimento,
infatti, non colpiva solo, a titolo personale, don Calcagno per l'inosservanza
delle ammonizioni rivoltegli, ma, con l'allusione all'attentato contro
l'unità della Chiesa, coinvolgeva naturalmente il settimanale che
era stato strumento della sua azione di divisione del mondo cattolico.
(119) 119
Ma vi fu veramente un tentativo di creazione di una Chiesa nazionale?
La questione, che abbiamo visto strettamente correlata a quella del
primate d'Italia, non è chiara.
Se è da escludere l'ipotesi di una vasta manovra dei "neopagani
delle SS" (120) 120 e di collegamenti con una costituenda chiesa tedesca
scismatica di cui Farinacci e don Calcagno non sarebbero stati che dei
semplici mezzi (121) 121, anche l'addossare tutte le colpe politiche su
Mussolini, come fece il card. Schuster nel citato colloquio del 25 aprile
1945, appare eccessivo. (122) 122
E' probabilmente il caso di ridimensionare la portata del progetto:
si trattò. forse, di un'altra delle trovate di Farinacci (123) 123,
sulla cui volontà effettiva di attuare una "riforma" come quella
paventata da don Calcagno e il suo giornale, è lecito avanzare qualche
dubbio.
Il ras di Cremona agitò una tale prospettiva come uno spauracchio
per ridurre a più miti consigli vescovi e clero. Don Calcagno, che
pagò con la vita il suo fanatismo, non aveva la levatura morale
per far pensare seriamente ad uno scisma all'interno della Chiesa italiana,
che si sarebbe retto su delle così scarse base teoriche. (124) 124
Mussolini, che in quei drammatici giorni sul lago di Garda non aveva
certo tempo per progettazioni religiose, definì la faccenda di "Crociata
Italica" come << l'ultima canagliata di Farinacci>> (125) 125
2.6 - "IL SANTO PATRONO" DI DON CALCAGNO.
Farinacci non amava ne' don Calcagno ne' il ristretto gruppo di sacerdoti
che formavano il nucleo di "Crociata Italica". Spesso li maltrattava e
soprattutto don Calcagno dovette assistere alle violente sfuriate
del direttore de "Il Regime Fascista" nel suo ufficio di via Costanzo Ciano.
Quando don Calcagno, nel novembre 1943, si presentò a Cremona
a chiedere protezione al potente e temuto ras, questi pensò di aver
trovato l'uomo giusto da insinuare in campo avverso, a predicare il contrario
di quanto predicavano, più o meno apertamente, i suoi confratelli.
Una voce che poteva dare alla RSI, secondo i progetti di Farinacci, la
patente che gli mancava, quella della maurrassiana unione del Potere con
l'Altare.
D'altra parte il ras di Cremona sapeva bene quanta potenza avesse il
clero anche tra la gente di campagna e tra i giovani delle associazioni
cattoliche.
Egli, che addossava all'Azione Cattolica molte della colpe dei comportamenti
devianti del clero, rievocava spesso <<la scaramuccia contro i circoli
cattolici nel 1931 >>. (126) 126
Ora nelle intenzioni di don Calcagno c'era anche quella di fare di
"Crociata Italica" l'organo di un movimento cattolico rinnovato che facesse
da contraltare all'Azione Cattolica, fino a sostituirsi completamente ad
essa dopo l'esito vittorioso della guerra.
Don Calcagno era indissolubilmente legato a Farinacci, che rappresentava
la ragione e lo strumento della sua attività e della sua stessa
sopravvivenza. La difesa che il ras di Cremona faceva pubblicamente del
direttore di "Crociata Italica" era puramente strumentale, egli considerava
l'inquieto sacerdote come una pedina da muovere sul suo scacchiere politico.
Già pochi mesi dopo la fondazione del giornale, i rapporti tra
i due cominciarono ad incrinarsi. Don Calcagno pensava ingenuamente ad
una "collaborazione" con Farinacci, su un piano di reciproca indipendenza.
Ma ovviamente non era così.
Il controllo esercitato dal "patrono" era opprimente, arrivava persino
alla correzione preventiva degli articoli di "Crociata Italica", quando
erano ancora in bozze.
Fra i motivi di dissenso vi era la valorizzazione della Conciliazione
da parte di "Crociata italica", che vi dedicò il numero del 14 febbraio
1944, mentre, come noto, Farinacci fu dell'avvenimento un acceso nemico.
Testimonianza del crescente malcontento del gerarca cremonese è
una lettera del 9 maggio 1944, in risposta ad un biglietto del prete: <<
Lo sapete che io non condivido in tutto il vostro pensiero [...] ma ognuno
combatte con le sue armi e io riconosco che la vostra battaglia è
bella e necessaria. Non avete che da continuare, moltiplicando gli sforzi.
Questo e nessun altro è oggi il vostro pulpito >>. (127) 127
Quest'ultima frase era un incoraggiamento a don Calcagno a restare
a Cremona: per un momento era stato tentato di abbandonare la città
lombarda e affidare la stampa del giornale alla "Staffel", che aveva sede
a Verona.
Farinacci si stava convincendo dell'inutilità dello strumento
di propaganda, che egli appoggiava con tanto clamore, e del suo direttore,
che cominciava a creargli qualche fastidio.
Nell'incontro avvenuto nell'aprile 1944 fra Guido Miglioli, l'antico
avversario del ras, quest'ultimo e don Calcagno negli uffici di piazza
Marconi, il prete ternano giocò, forse inconsapevolmente, un brutto
tiro al suo protettore. Farinacci, presentando don Calcagno a Miglioli,
ne esaltò le qualità personali e l'opera che stava conducendo.
Questi, per tutta risposta, esclamò: << Io sono sempre stato
un migliolino! >> lasciando di stucco i presenti. (128) 128
La massiccia avversione del clero verso "Crociata Italica", le costanti
reprimende vescovili, e soprattutto il desiderio di don Calcagno di sganciarsi
dal suo "santo patrono", portarono Farinacci a indirizzare, il 17 novembre
1944, una dura lettera al sacerdote.
<< Noto da qualche tempo su "Crociata Italica" che si vuole di
proposito far sapere che sia il giornale, sia l'associazione che ad esso
si ispira, pur aderendo all'Italia Sociale Repubblicana, sono assolutamente
indipendenti da qualsiasi partito o da altre associazioni.
[...] Se l'intenzione fosse quella di svincolarsi dalla mie direttive,
o meglio, dall'indirizzo di "Regime Fascista", mi sento allora in diritto,
in obbligo e in dovere di ristabilire la sostanza dei nostri rapporti;
e questo unicamente perché non sorgano equivoci. Se ben ricordo
la Società Editoriale "Cremona Nuova" nell'affidarvi, in data 29
gennaio 1944, la direzione di "Crociata Italica" fissava fra le altre condizioni,
da voi accettate, la seguente: "L'alta sorveglianza, con quella riservatezza
che il caso conviene, del settimanale politico cattolico "Crociata Italica"
viene affidata all'Ecc. Farinacci".
La conseguenza era che "Crociata Italica" non può proclamare
la sua indipendenza, quando è sottomessa da un contratto alla mia
alta sorveglianza. E poi sarebbe stato assurdo che io avessi creato un
giornale cattolico assumendone tutte le gravi spese, per rendere indipendenti
il direttore e i suoi redattori. "Crociata Italica" è sorta col
preciso scopo di fiancheggiare con maggior prudenza la campagna di
"Regime Fascista" contro la politica del Vaticano e di una gran parte
del clero, che agiscono in pieno contrasto con gli interessi della nostra
Patria >>. (129) 129
E' bene soffermarsi su questo documento, che permette di cogliere i
principali motivi che spingeranno Farinacci ad abbandonare don Calcagno
nella primavera dell'anno seguente: << Io non sono mai stato entusiasta
che a fianco del giornale sorgesse una associazione portante lo stesso
nome. Prima, perché se l'associazione si distacca dall'indirizzo
del giornale dovrei pretendere la sua sconfessione proprio da "Crociata
Italica"; poi, perché presto o tardi il governo o il Partito potrebbero
stroncare un movimento non autorizzato >>. (130) 130
I contrasti tra don Calcagno e Farinacci divennero insanabili nel febbraio
1945. Il gerarca cremonese lasciò al suo destino il sacerdote: ormai
la sua opera era considerata inopportuna e controproducente. A Farinacci
non serviva più.
Il 24 marzo, l'inizio del tragico epilogo: il decreto di scomunica
trovò totalmente impreparato don Calcagno, accusato di "attentare
all'unità stessa della Chiesa". (131) 131
Ferito gravemente nella sua dignità di sacerdote dal decreto,
diffuso ampiamente tramite la stampa, le radiotrasmissioni italiane e straniere
e l'affissione, qualche settimana dopo, alle porte delle chiese di Cremona,
don Calcagno si allontanò dopo qualche giorno.
Il 9 aprile apparve su "Crociata italica" il comunicato del suo abbandono
della direzione del giornale, << essendo stato, a sua domanda, richiamato
alle armi >>.
Il 27 aprile 1945, fuggito a Crema, fu catturato dai partigiani e,
dopo un processo sommario, fucilato due giorni più tardi.
CAPITOLO 3
"INTRANSIGENTEMENTE FASCISTI"
3.1 - LA COMPONENTE ANTISEMITICA DE "IL REGIME FASCISTA
Con la Repubblica Sociale Italiana, che intendeva riproporsi come continuazione
ideale del fascismo, si riaffacciò il problema ebraico.
E, se a dispetto delle leggi razziali del 1938 il fascismo si era dimostrato
molto più blando del nazismo nella lotta contro gli ebrei (132)
132, invece la RSI accentuò l'ostilità antisemita, che era
stata già enunciata fin dal 15 novembre 1943 al punto 7 delle direttive
programmatiche del Manifesto di Verona. Esso diceva: "Gli appartenenti
alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a
nazionalità nemica".
Le Direttive vennero tradotte sul piano operativo in un'ordinanza di
polizia diramata ai capi delle province e pubblicata il 1° dicembre
1943 sui quotidiani.
L'Ordinanza prescriveva l'invio in appositi campi di concentramento
di tutti gli ebrei "anche se discriminati, a qualunque nazione appartengano";
il sequestro immediato in attesa di essere confiscati di tutti i loro beni,
che la RSI "destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle
incursioni aeree nemiche"; una speciale sorveglianza per i "nati da matrimonio
misto".
I giornali della RSI intentarono una campagna antisemita che risultò
subito più feroce che nel passato per la subordinazione ai tedeschi
e in obbedienza alle " Direttive per la propaganda " dettate da Mezzasoma
in data 12 gennaio 1944: << un tema che merita di essere sempre più
approfondito è quello della lotta contro l'ebraismo e la massoneria.
E' un argomento che ha sempre bisogno di essere volgarizzato, perché
si tratta di nemici della cui pericolosità il popolo difficilmente
si rende conto da se stesso, trattandosi di nemici occulti ed espertissimi
nell'arte sottile di avvelenare i popoli ...>> (133) 133.
Accanto a fogli estremisti come "Il Popolo di Alessandria", "Il Fascio"
di Milano, "Italia e Civiltà" e "La difesa della razza" del noto
Telesio Interlandi (con cui collaborava Giorgio Almirante), si distinse
immediatamente "Il Regime Fascista".
Il quotidiano cremonese fu il perno della più violenta propaganda
antiebraica.
Si alternarono così articoli con pretese "scientifiche" ad altri
di pura e semplice minaccia.
Gli ebrei venivano demonizzati e considerati responsabili non solo della
morte di Cristo, ma di ogni altra macchinazione: << Le origini dell'attuale
conflitto risalgono alla crocifissione di Cristo. Con l'avvento del Cristianesimo
gli ebrei si dilatarono nel mondo, occupandone via via i punti più
ricchi e interessanti ai loro fini politici, economici e religiosi >> (134)
134.
Secondo Farinacci, una volta compresa la potenza del cristianesimo
nei suoi aspetti organizzativi oltre che religiosi, i giudei contrapposero
a questo la propria organizzazione anonima e occulta, mirando soprattutto
al monopolio della materia (oro, mercati, ecc.) convinti, come tutti coloro
che sono privi di spiritualità, che nella materia fosse l'unico
segreto del potere.
La preponderanza giudaica nel settore economico rappresentava così
un motivo di ostilità verso gli ebrei, ai quali si contestavano
l'imperialismo finanziario esercitato tramite il controllo delle banche,
la monopolizzazione dei commerci e dei posti chiave della vita economica
europea.
Di qui prendeva avvia il mito della "Internazionale ebraica", ossia
dell'azione cospiratoria esercitata a livello mondiale dall'ebraismo attraverso
una fitta rete di organizzazioni politiche e finanziarie.
E a sostegno del gigantesco complotto "Il Regime Fascista" non esitò
a rispolverare "I Protocolli dei savi anziani di Sion", il famoso falso
che costituì il cavallo di battaglia della pubblicistica razzista
del tempo.
Farinacci si rallegrò quindi dell'orientamento più deciso
che la RSI aveva deciso di assumere, recriminando per ciò che non
era stato fatto in passato: << Abbiamo minacciato fulmini per gli
ebrei, che sono il lievito per tutti i movimenti anarcoidi, e non siamo
stati capaci di torcere loro un capello. Le leggi razziali vennero passate
agli archivi...>> (135) 135.
Nella campagna antisemita furono coinvolti anche il gruppo di sacerdoti
che abbiamo visto animare "Crociata italica".
Già prima della fondazione del giornale, don Scarpellini su
"Il Regime Fascista" prese posizione contro "lo sfrontato sopravvento giudaico"
scrivendo: << [...] le superstrutture settarie, economiche, culturali
ebraiche sono "goim" cioè pagani della peggiore specie che vanno
distrutti come i rettili e le belve feroci! >>. (136) 136
Successivamente anche "Crociata italica" ebbe una tendenza antiebraica,
cercando come punto di riferimento il movimento nazionalista d'oltralpe
de "L'action française".
Il quotidiano di Farinacci inasprì i toni, e dopo aver dichiarato
che << il giudaismo è la causa di tutto >> (137) 137, incitò
all'azione armata: << due o tre fascisti formano già una squadra
d'azione. [...] Oggi non è condannabile colui che toglie dalla società
una tara che contamina l'ambiente. Della legalità ci si preoccuperà
a suo tempo >> (138) 138.
E' inoltre evidente, ne "Il Regime Fascista", un antisemitismo di matrice
nazionalistica volto a colpire l'antipatriottismo degli ebrei, per natura
apolidi e quindi incapaci di assimilarsi alle comunità nazionali
che li ospitano, per le quali, secondo Farinacci, rappresentano una minaccia
costante a causa delle loro aspirazioni ad una supremazia mondiale.
Vi era inoltre una identificazione tra ebraismo e bolscevismo, dedotta
dalla presenza di elementi israeliti in seno al movimento comunista e dall'origine
ebraica di alcuni suoi teorici, Marx compreso.
Ma in larga misura l'atteggiamento antisemita de "Il Regime Fascista"
può essere ricondotto al razzismo, già implicito nella avversione
per le minoranze etniche e il disprezzo per le "orde barbare di colore".
(139) 139
Ne è dimostrazione un editoriale dal titolo: "Il problema dei
problemi. Difesa della razza": << E' il sangue alterato, il sangue
e lo spirito imbastarditi attraverso incroci con altre razze meno sane,
quali quella ebraica, che ha portato la corruzione nei costumi come nella
politica e nella morale, l'intossicazione nella famiglia come nella finanza
e nell'economia>>. (140) 140
In questa occasione "Il Regime Fascista" si avvicinò particolarmente
alla "Decima Mas", la famosa formazione del principe Junio Valerio Borghese,
ospitandone alcuni interventi di stampo chiaramente razzistico, che intendevano
ribadire che: << A tradire furono gli ebrei, i massoni, i comunisti,
la feccia dell'umanità >>. (141) 141
Roberto Farinacci non era certamente un antisemita dell'ultima ora.
Il suo impegno nel denunciare e perseguire le attività ebraiche
era cominciato almeno venti anni prima, quando era Segretario del Partito.
Egli vide ovunque il pericolo giudaico, spesso accomunato alle attività
della massoneria. Anche il campo delle arti e della letteratura era inquinato
dal giudaismo ed egli non esitò quindi a lanciare i suoi fulmini
contro la Triennale di Milano.
Il ras poteva vantarsi poi di aver istituito il Premio Cremona <<
per reagire contro questo avvelenamento progressivo e per unire i due popoli
dell'Asse anche sul terreno artistico>>. (142) 142
La politica antisemitica della RSI fu determinata di fatto - come in
gran parte di tutta la vita del rinato Partito Fascista al nord - dai tedeschi,
direttamente o attraverso il loro uomo di fiducia. Quest'uomo di fiducia
era l'ultra fanatico e temutissimo Giovanni Preziosi. (143) 143
In passato Farinacci era stato il suo protettore e il suo interprete
politico. Preziosi si legò al gerarca cremonese, e il suo organo
"Vita Italiana" cominciò ad uscire con il sottotitolo "Pubblicazione
mensile del Regime Fascista", svelando così la provenienza dei finanziamenti.
All'inizio del 1943 Preziosi aveva litigato con Farinacci: le sue farneticazioni
erano arrivate ad un punto insopportabile anche per il ras di Cremona.
Si spezzò così dopo molto tempo ogni legame tra "Vita Italiana"
e "Il Regime Fascista".
Nel breve periodo della Repubblica Sociale, Giovanni Preziosi ritrovò
un momento di celebrità. Mussolini, che pure lo detestava definendolo
un "essere repulsivo, vera figura di prete spretato" (144) 144, lo riceveva
tutte le volte che gli si presentava e il 15 marzo 1944 lo nominò
Ispettore generale per la "Razza e demografia". Riprese così a pubblicare
il suo mensile, sul quale, a volte, attaccava Farinacci.
Quest'ultimo, in un lungo e articolato fondo, rispose nel maggio all'ex
alleato.
Prendendo spunto da un opuscolo pubblicato da "Italicus" sul tradimento
di Badoglio, ma nel quale si affrontava anche la questione ebraica, il
ras, ripercorrendo la storia del fascismo, trovava innegabile che esso
<<ha il merito di essere stato, almeno implicitamente, antigiudaico
fino dalle origini, e poi, esplicitamente, antimassonico>> (145) 145.
Farinacci, volendo contrapporsi a Benedetto Croce, con un semplice
sillogismo, affermava perentoriamente che: << dottrina politica imbecille
è uguale a democrazia e che democrazia è uguale a massoneria
e massoneria a giudaismo >>. Pur riconoscendo l'opera condotta da Giovanni
Preziosi su "Il Mezzogiorno" e poi su "Vita Italiana", tendeva a ridimensionare
la sua attività, anche per la diffusione assai limitata che avevano
avuto quei giornali.
"Il Regime Fascista" invece, essendo una delle voci su carta stampata
più importanti a livello nazionale, affrontò con forza e
costanza il problema ebraico, accompagnando alle parole scritte le azioni.
La propaganda antigiudaica del ras di Cremona si esplicò quindi
anche nel tenere numerosi discorsi e conferenze in giro per l'Italia. (146)
146
L'antisemitismo di Farinacci potrebbe quindi sembrare, dopo quello
farneticante di Preziosi, uno dei più coerenti e decisi.
A questo punto occorre però rilevare che da più parti
si afferma che questo suo atteggiamento non fosse altro che una tattica
germanofila, più in ossequio ai suoi protettori che alle proprie
convinzioni personali.
Certo, Farinacci in passato era stato un massone e anche un amico degli
ebrei. La sua stessa segretaria, Maria Antonioli, era ebrea. A Cremona
giravano insistenti le voci che il ras ricevesse dalla comunità
israelita un assegno mensile.
Alfassio Grimaldi, nella biografia del gerarca cremonese, riferisce
di una dichiarazione ritenuta attendibile, secondo la quale alla richiesta
del Comando germanico dell'elenco dei 53 semiti di Cremona, Farinacci rispose
consegnando l'elenco, ma avendo fatto preventivamente avvertire le famiglie
perché si mettessero in salvo. (147) 147
3.2 -LA SOCIALIZZAZIONE NON CONVINCE
Il trinomio "Italia - Repubblica - Socializzazione" era stato ideato
da Mussolini già prima del Congresso di Verona, probabilmente tenendo
conto della piattaforma programmatica avanzata da un gruppo di ex socialisti
facenti capo a Nicola Bombacci. (148) 148
Il carattere sociale del nuovo stato fascista era già stato
annunciato in un discorso pronunciato dal Duce il 17 settembre 1943 dai
microfoni di Radio Monaco e ribadito durante la prima riunione dei ministri
il 27 settembre. (149) 149
Il Manifesto di Verona prevedeva così l'unica vera novità
della Repubblica Sociale Italiana: al punto 1 era proclamata "l'abolizione
del sistema capitalistico"; il punto 12, il più rilevante, prevedeva
che "in ogni azienda [...] le rappresentanze dei tecnici e degli operai
coopereranno intimamente, attraverso una conoscenza diretta della gestione,
all'equa fissazione dei salari, nonché all'equa ripartizione degli
utili [..]". (150) 150
Il 13 gennaio del 1944 il Consiglio dei ministri, su proposta di Mussolini,
approvò la "Premessa fondamentale per la creazione della nuova struttura
dell'economia italiana" (meglio conosciuta come "Premessa Tarchi").
Abbandonato il corporativismo, la socializzazione puntava a modificare
il sistema a partire dalle piccole aziende, attraverso i consigli di gestione.
Nell'azienda socializzata, presidente diveniva un membro del consiglio
di gestione e la proprietà, in se' non toccata (anche se allargata
attraverso la partecipazione agli utili), non possedeva più la "leadership",
che passava ai lavoratori attraverso le loro rappresentanze, tutte elette
a scrutinio segreto. Alcune esperienze pilota furono anche realizzate in
provincia.
Mussolini affidò a Bombacci (151) 151 l'incarico di supervisionare
il processo di attuazione della legge sulla socializzazione, pur relegandolo
in un ufficio studi a Maderno privo di autorità gerarchica e di
incidenza sulle varie realtà.
La socializzazione, che voleva essere "il nuovo audace balzo in avanti
della Rivoluzione mussoliniana, la fase decisiva della Rivoluzione Fascista",
secondo le "Direttive per la propaganda" di Mezzasoma, che raccomandavano
anche che "tra i temi di politica interna, quello della socializzazione
deve sempre primeggiare", fu un progetto pressoché irrealizzabile.
Le resistenze incontrate all'attuazione del programma furono massicce.
Contrari erano innanzitutto i nazisti, che non vedevano di buon occhio
la socializzazione proprio perché troppo socialista, e perché
preoccupati di una crisi dell'industria bellica.
Essi tendevano ad un diretto rapporto da un lato con l'apparato industriale,
dall'altro con la classe lavoratrice, saltando la mediazione repubblicana.
Questo, in particolare, fu l'atteggiamento del generale Leyers, incaricato
in Italia della produzione bellica.
Ai tedeschi interessava appunto la produzione, non le riforme.
Ugualmente contrari erano gli industriali del nord, che nonostante
tutto continuavano ad avere una propria forza, cercando di venire a patti
con i tedeschi per ottenere commesse o, comunque, evitare smantellamenti
degli impianti (allora la RUK funzionava a pieno regime).
Bombacci, dotato di una buona oratoria, cercava di darsi da fare come
poteva, tenendo comizi nelle fabbriche. Ma le classi lavoratrici non si
fidavano, il programma era considerato vago, senza garanzie, fondato più
sulla teoria che sulla pratica.
Sulla stampa si parlava sempre più di socialismo, irritando
ovviamente gli ambienti del fascismo più fanatico.
"Il Regime Fascista"presentò inizialmente la socializzazione
con un moderato entusiasmo, accompagnando l'esposizione della teoria a
brevi commenti esplicativi di Alcide Almi, il giornalista che abitualmente
si occupava di economia sul quotidiano. (152) 152
Ma ben presto il direttore adottò una decisa linea editoriale
al riguardo, precisando il proprio pensiero a più riprese nel corso
del 1944 e nei primi mesi del 1945.
Il giorno successivo alla "premessa Tarchi", Farinacci frenò
alquanto gli entusiasmi. Egli, che si era sempre mostrato diffidente nei
confronti della classe operaia, si sentì in dovere di fare una personale
" premessa alla premessa": <<la socializzazione si farà solo
se gli operai verranno incontro al fascismo repubblicano. [...] . Premessa
necessaria quindi è di servire la Patria in armi>>. (153) 153
Ma gli operai, pochi giorni dopo la pubblicazione del decreto sulla
socializzazione, il 1 marzo del 1944, proclamarono uno sciopero generale
in tutta la repubblica.
Lo sciopero, che durò in alcune fabbriche anche quattro giorni,
aveva un carattere nettamente politico, antifascista e contro la guerra,
ma c'era anche, da parte dei dirigenti, la palese volontà di silurare
in partenza la socializzazione, di cancellare subito dall'animo delle masse
ogni eventuale effetto favorevole che l'indirizzo sociale della repubblica
potesse aver suscitato.
Nei primi mesi del 1944 "Il Regime Fascista" non si oppose mai nettamente
alla socializzazione, pur dimostrando uno scetticismo di base, ma si limitò
spesso a presentare freddamente le (poche, per la verità) iniziative
prese.
Mussolini, per dimostrare di credere veramente al trinomio "Italia
- Repubblica - Socializzazione", nominò podestà delle grandi
città degli operai. A Milano fu nominato Giuseppe Spinelli, tipografo
linotipista, che aveva lavorato per molti anni nella tipografia della società
"Cremona Nuova", ed era poi passato nei ruoli delle organizzazioni sindacali.
Nel gennaio 1945 il Duce nominò lo stesso Spinelli Ministro
del Lavoro perché fosse proprio un operaio a realizzare la socializzazione.
Ma forse c'era una punta di malignità verso Farinacci, che,
non essendo mai riuscito a farsi nominare ministro, vedeva il suo ex-linotipista
giungere dove lui non era giunto. (154) 154
Di fronte agli stentati risultati raggiunti, "Il Regime Fascista" tracciò
un primo pessimistico consuntivo nell'agosto 1944: << Con la parola
"sociale" si voleva mettere in evidenza la nostra decisa volontà
di risolvere i problemi inerenti alla produzione e al lavoro e far così
breccia nelle massa operaie. Vana illusione.
La massa dei lavoratori, ad eccezione di quella minoranza che premette
la vittoria ad ogni interesse di classe, è rimasta indifferente
ad ogni nostra enunciazione perché - fuorviata da torbidi elementi
al soldo del nemico - non crede più alla rinascita dell'Italia >>.
(155) 155
Il problema della socializzazione andava quindi affrontato dopo la
vittoria; la classe lavoratrice, poi, non piaceva a Farinacci, perché
considerata irriconoscente, e anzi << gli fa schifo >>. (156) 156
Ma il motivo politico della tiepida accoglienza riservata alla tanto
pubblicizzata riforma era presto detto: << Se non sciogliamo eccessivi
inni alla socializzazione è perché la riteniamo una ripetizione
meno felice della Carta del Lavoro, che rimane sempre un documento regolatore
della vita politico - economica della Nazione >>. (157) 157
L'opinione di Farinacci era quindi quella che la Carta del Lavoro fosse
più che sufficiente alle esigenze dei lavoratori, e la politica
sociale aveva in parte già trovato pratica realizzazione.
Nell'editoriale "Intransigentemente fascisti", titolo che riassumeva
senza dubbio la posizione del giornale, e non solo in tema di socializzazione,
il direttore scrisse: << Per anni e anni si è inneggiato al
corporativismo quale geniale creazione mussoliniana, ci siamo inorgogliti
quando le altre Nazioni hanno seguito la nostra politica corporativa; ora,
improvvisamente, veniamo a sapere che tutto era soltanto una "premessa".
[...] Il corporativismo non aveva limiti, non conosceva barriere e poteva
dare sviluppo ad ogni riforma più ardita>>. (158) 158
Farinacci si trovava così d'accordo con Ugo Manunta, direttore
de "La Sera", nel constatare le forti resistenze alla socializzazione,
<< una legge improvvisata, che ancore oggi, a distanza di mesi, si
offre alle più contrastanti interpretazioni >>. (159) 159
Non si vedeva quindi il motivo di cambiare un documento come la Carta
del Lavoro, considerato base dell'ordinamento corporativo dell'Italia fascista,
frutto di seri studi, necessarie considerazioni e profonde valutazioni
del sistema economico.
Le colpe non potevano che ricadere sui congressisti di Verona, autori
del famoso Manifesto dei 18 punti, di cui ben 10 dedicati al tema sociale.
Il ras di Cremona ritrovava il suo linguaggio assai poco diplomatico:
<<In quei giorni precedenti e susseguenti all'adunata di Verona,
avremmo - lo confessiamo candidamente - picchiato nel mucchio ad occhi
chiusi e avremmo socializzato le costole di tutti coloro - industriali,
operai, intellettuali - che bestialmente si opponevano alla rinascita fascista
e attendevano ansiosamente i "liberatori">>. (160) 160
Ma anche di fronte alle innegabili difficoltà, non tutti erano
persuasi della irrealizzabilità del programma della socializzazione.
Mussolini stesso, innanzitutto, e poi la parte più moderata del
fascismo repubblicano. Anche Bombacci, sebbene di diversa estrazione
ideologica, era tra i più convinti sostenitori della nuova politica
sociale dello stato fascista.
Egli si trovò direttamente coinvolto, nell'autunno 1944, in
una polemica con il direttore de "Il Regime Fascista".
Infatti il 4 novembre 1944 Nicola Bombacci scrisse a Mussolini per
reagire con veemenza ad un articolo di Farinacci (161) 161, che aveva contestato
l'utilità, sostenuta da Bombacci, di << radunare anche non
fascisti (ex comunisti, ex socialisti, ex popolari, ecc.) intorno non al
fascismo ma alla socializzazione della RSI >> (162) 162.
Si chiedeva allora Bombacci: << E l'Italia ? E' lo stesso ragionamento
dei nostri nemici: cada l'Italia purché muoia il fascismo ! Ma poi
parliamoci chiaro, con che faccia, dopo la vergogna del 25 luglio, proprio
Farinacci può parlare di intransigenza di Partito ? Ma Farinacci
ha dimenticato che il Partito è stato mutilato dall'azione delittuosa
del Gran Consiglio ?
E se oggi non la concezione fascista ma il Partito è ritornato
ad essere sulla scena della storia, lo è solo perché Tu lo
hai voluto facendolo risorgere per affidargli la realizzazione di un programma
che si chiama "Italia Repubblica Socializzazione". Non capire ciò,
peggio contrastarlo, vuol dire far opera non di confusionismo ma di vero
disfattismo anche se ciò è fatto incoscientemente >>. (163)
163
La socializzazione restò sostanzialmente un progetto, un opera
incompiuta. Alla fine del gennaio 1945, Mussolini diede la consegna al
ministro del lavoro Spinelli di seminare la valle padana di "mine sociali".
(164) 164
Il governo annunciò inoltre che entro il 21 aprile la socializzazione
doveva essere un fatto compiuto. (165) 165
Si tentò di forzare la situazione almeno nelle aziende giornalistiche,
e ci fu la socializzazione della società genovese editrice de "Il
Lavoro" e di quella dei fratelli Crespi.
Ma anche qui, come in altri casi, le maestranze ostentarono una certa
indifferenza al programma sociale e vi fu un notevole assenteismo in occasione
della elezione dei rappresentanti del Consiglio di gestione.
Le proposte del fascismo repubblicano non raccoglievano più
alcun consenso tra le masse ormai completamente sfiduciate.
"Il Regime Fascista", lungi dal socializzare la propria società
editrice, tracciò un bilancio di quella che avrebbe voluto essere
la grande novità della RSI, non senza una punta di compiacimento:
<< Gli operai, politicamente immaturi, si prestano al gioco altrui.
(166) 166
Essi credono di essere furbi. [...] Tutto ciò a noi non
dispiace >>. (167) 167
Farinacci ribadì le sue convinzioni facendo un richiamo al passato
(168) 168: <<In questo momento tragico per la nostra vita, sentiamo
maggiormente il bisogno di dichiararci ancora una volta intransigentemente
fascisti, facendo nostre le parole pronunciate da Mussolini nel 1921: "La
Patria non è ne' degli industriali, ne' degli operai, ne' degli
agricoltori, ne' dei contadini". La Patria è di chi la difende,
è di chi la potenzia, è di chi oggi la salverà dal
fango in cui è stata sommersa >>. (169) 169
3.3 - IL CASO MIGLIOLI
Guido Miglioli era sempre stato l'avversario politico di Roberto Farinacci.
(170) 170
L'ex deputato popolare, esiliato volontariamente alla fine del 1925,
aveva peregrinato per l'Europa fino a giungere in Russia e trovando poi
stabilmente rifugio a Parigi. Qui fu arrestato dalla Gestapo nel 1941 e
rinchiuso nel carcere della "Santé", ove talvolta scrisse delle
lettere a Farinacci. Venne liberato qualche tempo dopo e poté riprendere
discretamente la propria opera politica.
Ma il gerarca cremonese lo fece tenere sempre sott'occhio, soprattutto
quando Miglioli tornò nelle sue terre, riallacciando le antiche
amicizie sindacaliste e prospettando la ripresa del movimento contadino.
Il 5 ottobre 1943 "Il Regime Fascista" pubblicò un articolo
dal titolo "L'ultima farsa - Il caso Miglioli" nel quale venivano riportati
alcuni brani delle sue lettere a Farinacci dal carcere della "Santé"
con chiaro intento denigratorio. Nell'editoriale si intendeva dimostrare
come i fatti accaduti durante i 45 giorni. gravemente lesivi dell'immagine
del ras, fossero da ricondurre in parte alla responsabilità di Miglioli;
non venivano risparmiati neanche i suoi amici, come ad esempio Giuseppe
Speranzini, << agitatore migliolino >> (171) 171, arrestato e denunciato
dal Tribunale Militare Fascista.
Nell'inverno 1943/44 Miglioli mantenne una presenza discreta e riservata
a Cremona e a Milano presso parenti e amici.
Ma la sera del 21 aprile 1944 con un espediente venne arrestato ad
una fermata del tram a Milano da agenti dell'UPI. Caricato a forza su una
macchina, venne velocemente portato a Cremona da Farinacci. (172) 172
Questi lo accolse nel suo ufficio de "Il Regime Fascista", dove lo
raggiunse anche don Calcagno. Dopo un vivace dibattito durante il quale
ognuno dei presenti ribadì le proprie posizioni politiche, Farinacci
propose al suo vecchio nemico di rimanere in città presso la sorella
perché fuori dalla provincia sarebbe potuto incorrere in rappresaglie
fasciste.
Miglioli rispose di preferire addirittura la prigione. Ma il gerarca
di Cremona lo fece affidare, dagli agenti della questura, alla sorella,
che sarebbe stata direttamente responsabile dell'allontanamento di Miglioli.
Qualche settimana più tardi Carlo Silvestri, il socialista indipendente
che ebbe durante la RSI rapporti con i vari fascisti "conciliatoristi"
e con lo stesso Mussolini (173) 173, scrisse una lettera a "La Stampa"
(174) 174 di Torino, e per essere certo che trovasse pubblicazione, ne'
mandò copia alla "Repubblica Fascista".
Il quotidiano milanese presentò l'articolo in prima e seconda
pagina.
Nella lettera di Silvestri risultava che Miglioli era perseguitato
da Farinacci: << [...] La sconcia offesa a Miglioli è l'offesa
ad un italiano al quale la Patria dovrebbe essere riconoscente [...] [Bisognerebbe]
sentire il dovere di rendere l'onore e gli onori ad un uomo che invano
Farinacci ha tentato di insozzare e che egli, con inaudito procedimento,
si permette di tenere sotto abusivo sequestro come se Cremona non fosse
una città soggetta alle leggi della Repubblica Sociale Italiana>
(175) 175.
Il giorno dopo, 27 maggio, arrivò puntuale la risposta violenta
de "Il Regime Fascista" in un editoriale del direttore dal titolo " Frugando
fra le immondizie".
Farinacci rivangava nel passato di Carlo Silvestri, definito <<
vecchia carogna antifascista >> (176) 176, e rispondendo punto per punto
alle accuse da lui formulate nell'articolo del giorno precedente, affermava
che Miglioli era stato fermato dalla Guardia Repubblicana di Cremona perché
frequentava persone sospette e circolava con documenti falsi.
Anche sull'obbligo per Miglioli di rimanere a Cremona, Silvestri era
<<un volgarissimo mentitore >> perché << gli agenti
sono per sua difesa, e Miglioli gradisce queste attenzioni, perché
i cremonesi che ricordano le sue gesta non lo ammirano, ne' lo esaltano
come il suo degno compagno Silvestri.
[...] In quanto all'ammirazione di Guido Miglioli e del Silvestri
per il comunismo russo (177) 177 possiamo anche noi associarci. In Russia,
le cose si fanno seriamente e là un Guido Miglioli e un Carlo Silvestri,
cittadini russi, a quest'ora non farebbero più parlare di loro.
Là, certe generosità e dabbenaggini, non si concepiscono,
e le fosse di Katin non sono riservate solo ai prigionieri di guerra.>>
(178) 178.
Farinacci richiamava inoltre l'attenzione del ministro Mezzasoma, affinché
esaminasse il fascicolo su Silvestri esistente presso la Direzione della
Polizia Repubblicana.
Un attacco veniva riservato anche a "Repubblica Fascista", che avendo
riprodotto la lettera di Silvestri, si era resa soggetta alla reazione
di Farinacci, a meno che lo scopo della pubblicazione non fosse stato <<
quello di attirare nell'orbita del giornale tutti i vecchi rifiuti della
politica antifascista. Ne qual caso raccomandiamo una cosa sola: cambiare
il titolo al giornale>> (179) 179.
Inevitabile a questo punto fu l'entrata in scena del direttore di "Repubblica
Fascista", Carlo Borsani, spostando così la polemica su un piano
più personale fra i due direttori di testata.
Analizzeremo nel prossimo paragrafo questo scontro, che ebbe notevoli
ripercussioni per l'intero giornalismo di quei giorni, in quanto ripropose
il problema del controllo preventivo dell'operato dei quotidiani.
3.4 - LA POLEMICA CON CARLO BORSANI ED IL RIPRISTINO DELLA CENSURA
Il clima di tensione riacceso dai due più importanti fogli della
RSI richiamò l'attenzione di Mezzasoma, che in una nota per Mussolini
del 27 maggio osservava :<< La politica della Repubblica Sociale
di non ricorrere alla censura preventiva non ha dati finora i risultati
che ci si attendeva, soprattutto per la scarsa maturità e il deficiente
senso di responsabilità della maggioranza dei giornalisti italiani.
L'eterno problema, infatti, è quello degli uomini; e non si
può negare che la crisi che l'Italia attraversa e che ha disorientato
quasi tutte le categorie del nostro popolo, lo ha reso più acuto
e grave >> (180) 180.
<< Prima di tutto ce ne freghiamo del consiglio di Roberto Farinacci
di cambiare il titolo al nostro giornale perché siamo dell'avviso
che, semmai, occorre cambiare le teste>> (181) 181.
Così Carlo Borsani iniziava il suo editoriale del 28 maggio
1944. Lo scontro con il gerarca di Cremona era ormai diventato frontale.
Il giornale milanese, sorto nel gennaio 1944 al posto del vecchio "Ambrosiano",
era stato voluto da Mussolini e Pavolini, i quali avevano congiuntamente
scelto il nome della testata; rappresentava la voce del fascismo più
moderato e più aperto al dialogo con tutte le forze in campo.
Borsani, assumendosi la diretta responsabilità di aver ospitato
sul proprio foglio le opinioni di Carlo Silvestri in difesa di Miglioli,
si sentiva in dovere di contrattaccare alle accuse del ras.
Scriveva infatti: << Noi non difendiamo il Miglioli, in quanto
è Miglioli, ne' apriamo la porta del nostro giornale "a tutti i
vecchi rifiuti della politica antifascista", intenzione che ci attribuisce
il Farinacci, cui restituiamo la gratuita accusa di ignoranza.
[...] E' inutile quindi ogni tentativo di diversione polemica. richiamando
i supremi interessi del Paese proprio a noi che li professiamo con il sangue
e non con le parole. (182) 182
[...] Come può accertare il camerata Farinacci, c'è un
alto motivo in noi per cui abbiamo rotto la lancia, non contro Farinacci
nemico politico del Miglioli, ma contro un sistema illegalitario e antimussoliniano
di cui non per la prima volta il Farinacci ha dato prova >> (183) 183.
Borsani accompagnò queste parole ad un gesto clamoroso, che
cercheremo ora di ricostruire. (184) 184
Il 29 maggio il Capo della Provincia di Cremona riferì telefonicamente
a Gargnano che la mattina del giorno prima alcuni giovani armati si erano
recati a Cremona con un camioncino per vendervi "Repubblica Fascista".
Il Capo della Provincia, fece sequestrare i giornali e allontanare gli
strilloni.
Ma il mattino seguente si presentarono a Crema altri giovani <<
armati di mitra e in divisa, con un altro camioncino per vendervi lo stesso
giornale.>> (185) 185.
Fatti fermare dal Capo della Provincia, << i giovani dicevano
che il giornale doveva essere diffuso per ordine del Duce >> (186) 186.
Immediatamente informato, Mussolini, molto contrariato, diede disposizioni.
Due ore dopo aver ricevuto la telefonata di cui sopra, il Segretario Particolare
scriveva che d'ordine del Duce aveva comunicato al prefetto di Cremona
che: <<nessun ordine è stato dato per la vendita del giornale
"Repubblica Fascista" e che i legionari devono essere fermati e messi dentro
>> (187) 187.
Tuttavia, il 30 maggio, il Segretario Particolare del Capo della Provincia
di Milano fornì in un rapporto una versione dei fatti parzialmente
diversa. Egli, infatti, comunicò: << [...] a seguito di accertamenti
si esclude che gli strilloni inviati domenica mattina da "Repubblica Fascista"
a Crema fossero accompagnati da uomini armati di mitra. Gli strilloni furono
soltanto invitati a rientrare a Milano perché il giornale "Repubblica
Fascista" era stato sequestrato dal Capo della Provincia di Cremona.
Ieri mattina, lunedì, Borsani inviò la sua macchina personale
a Crema, guidata dal suo autista, che è un capo Sq. della GNR, armato
di mitra, con a bordo il capo della rivendita e alcune migliaia di copie.
Appena giunta a Crema la macchina è stata fermata, le copie confiscate
e i due accompagnatori arrestati.
Nella giornata di ieri Borsani ha dato evidenti segni della sua irritazione...
Molta impressione ha fatto stamani a Milano l'accusa formulata da "Regime
Fascista" odierno di un'attività di Borsani in appoggio di un movimento
di giovani contrario al DUCE. Il giornale "Regime Fascista" ha avuto larga
vendita stamane a Milano >> (188) 188.
Infatti quel giorno, 30 maggio 1944, il quotidiano di Cremona pubblicò
un nuovo, lungo editoriale di Roberto Farinacci: "Perché cessi la
commedia - risposta a Carlo Borsani".
Con la consueta aggressività il fondo, articolato in un prologo,
tre parti e un epilogo, intendeva chiudere la polemica con Borsani, non
cercando una conciliazione, ma anzi insultando ulteriormente l'avversario.
<< Siamo stati chiamati in causa sotto l'accusa di aver calunniato
Guido Miglioli, e abbiamo risposto mettendo con le spalle al muro il nostro
accusatore.
[...] Ma l'autore della risposta, Carlo Borsani, è stato di
pessimo gusto soprattutto là dove ci ricorda ch'egli ha versato
e ha dato molto alla Patria [...] sarebbe assurdo che un chirurgo volesse
acquistare autorità in chirurgia, perché mutilato.
Carlo Borsani.... doveva rispondere e non menare il can per l'aia prestandosi
al fianco di vecchie bagasce della politica italiana che distinguono il
fascismo dal mussolinismo>>. (189) 189
Dopo essersi difeso dalle accuse formulategli da "Repubblica Fascista"
a proposito dei sistemi illegali usati e dal comportamento tenuto la notte
del 25 luglio, Farinacci, ribadendo sostanzialmente le posizioni già
espresse negli articoli scritti nei giorno precedenti, lanciava un ultimo
attacco al direttore del foglio milanese.
<< [...] Borsani ci richiama alla disciplina verso il Partito
e all'obbedienza verso il Duce. Egli è in questo stato d'animo?
O invece non si è prestato coscientemente o incoscientemente al
giuoco dell'antifascismo?
[...] E poiché Borsani si vanta di aver avuto in consegna "Repubblica
Fascista" in premio alla sua sensibilità politica, noi dobbiamo
non credere alla fedeltà di lui al governo della Repubblica Sociale,
al Partito, a Mussolini...>> (190) 190
Dopo le allusioni, cui abbiamo già accennato, a delle presunte
attività di coordinamento di un gruppo antimussoliniano da parte
di Borsani, Farinacci chiudeva il suo intervento invitando Pavolini e Mezzasoma
ad indagare per vederci chiaro, << perché i tempi non ammettono
equivoci>>.
Il 2 giugno il Segretario del P.F.R., Pavolini, intervenne per rilevare
<< l'intempestività di discussioni del genere >> e deferendo
<< l'esame del caso alla Commissione di disciplina del Partito per
i provvedimenti del caso >> (191) 191.
"Il Regime Fascista", riportando in un trafiletto in seconda pagine
la notizia, così commentò il giorno seguente: <<Plaudiamo
con entusiasmo alla decisione del Segretario del Partito, che noi stessi
avevamo chiamato in causa >>.
Tre giorni prima, 31 maggio, il Minculpop comunicava che era stata
ufficialmente ripristinata la censura preventiva <<per tutte le pubblicazioni
quotidiane e periodiche, trovando controproducente che la stampa fascista
offra questo pietoso spettacolo di insensibilità, di mancanza di
misura e di irresponsabilità >> (192) 192.
La polemica tra "Repubblica Fascista" e "Il Regime Fascista" era stata
l'occasione immediata del provvedimento: <<Questo episodio, che è
una nuova manifestazione della persistente tendenza alla critica demolitrice
e di pretto e meschino pettegolezzo - affermava ancora la nota ministeriale
- sta a dimostrare come la stampa italiana, nella grande maggioranza dei
casi, non abbia saputo mostrarsi degna della libertà tanto intensamente
invocata e malamente sciupata >> (193) 193.
Ad insistere per l'adozione del provvedimento era stato personalmente
Mussolini, preoccupato per i toni e per le personalità che caratterizzavano
il litigio.
Un censimento da lui ordinato il 1° giugno 1944 avrebbe registrato
25 giornali "rivoluzionari", schierati cioè con i vari Borsani,
Pettinato, Pini, e 14 "reazionari", sostenitori di Farinacci e Pavolini
(194) 194.
La frattura attraversava verticalmente la struttura del regime.
Mezzasoma invece era stato abbastanza scettico sull'efficacia del provvedimento;
gli riconosceva una sua validità oggettiva per la << tendenza
ancora presente [...] nella stampa quotidiana alla critica demolitrice
>> (195) 195, ma ne temeva l'implicita confessione di debolezza dopo che
la censura preventiva, istituita da Badoglio, era stata abolita <<
per dimostrare che il governo fascista repubblicano non bandisce la critica
e non la teme >> (196) 196.
Egli era piuttosto, concordemente alle opinioni di Farinacci, per una
rigorosa epurazione e l'abolizione di tutti quei giornali ritenuti inutili
o dannosi.
Con questa patente di immaturità, la "libertà" di stampa
vissuta con molti stenti lo spazio di un mattino veniva definitivamente
affossata anche come principio.
Lo scontro tra Farinacci e Borsani non fu immune da conseguenze per
quest'ultimo. Un mese più tardi, il 13 luglio, il ministro Mezzasoma
lo licenziò.
Dato il rilievo del personaggio, tuttavia, si diede formale notizia
di sue "dimissioni" per dedicarsi interamente all'Associazione Mutilati.
Il ministro però in privato non mancò di scrivergli una lettera
di vero e proprio licenziamento, dal tono assai sgradevole, in cui lo rimproverava
di nutrire sentimenti in aperto contrasto con le idee e gli interessi del
fascismo (197) 197.
Al posto di Borsani giunse a "Repubblica Fascista" il 16 luglio 1944
un altro giornalista del gruppo Pavolini - Mezzasoma, cioè dell'oltranzismo
intollerante e fanatico: Enzo Pezzato. Il suo esordio non lasciò
dubbi: << Ci si batte>> scriveva nel suo primo editoriale <<
per o contro il fascismo: non c'è via di scampo >> (198) 198.
3.5 - QUALCHE DIFFICOLTÀ' PER IL GIORNALE:
LA CENSURA TEDESCA.
Abbiamo visto come il 31 maggio 1944 fu ristabilita la censura preventiva
da parte del Minculpop. Ma una forma di controllo governativo sui giornali
della RSI non era mai stata abolita, grazie soprattutto all'opera del severo
ministro Mezzasoma.
Egli teneva periodicamente a Milano delle riunioni con i direttori
e i giornalisti dei fogli più importanti, impartendo istruzioni
sul modo "corretto" di trattare le notizie e la cronaca. In queste riunioni
ordinava talvolta di mettere in evidenza certi avvenimenti o progetti,
o riprendeva questo o quel giornale perché non si manteneva strettamente
"in linea". Ma tali incontri erano assai meno frequenti che anteriormente
al 25 luglio.
La prima riunione fu tenuta il 12 novembre 1943. In un rapporto successivo
Mezzasoma tolse di mezzo ogni dubbio circa la libertà di iniziativa
dei giornalisti: << Desidero dirvi subito - per deludere la eventuale
aspettativa di qualche nostro collega che coltiva ancora strane debolezze
per la più utopistica delle libertà, la libertà di
discussione - essere mia intenzione svolgere un sempre più severo
controllo sugli organi di informazione >> (199) 199.
Ma, come in passato, non ci fu una vera e propria censura preventiva
sulla stampa. Lo Stato continuò ad esaminare tutto il materiale
a pubblicazione avvenuta.
La censura dei giornali si faceva in buona parte a livello locale.
Gli uffici censura annessi ai Capi delle Province esaminavano i giornali
pubblicati nei rispettivi territori e provvedevano a dare notizia delle
trasgressioni al ministero.
L'informazione e gli annunci di carattere ufficiale, che costituivano
la parte più consistente del materiale pubblicato dai giornali,
erano forniti dall'Agenzia Stefani, posta dal marzo 1944 sotto la direzione
di Luigi Barzini.
Ma sull'intera attività giornalistica del periodo della RSI
stava sospesa l'ombra minacciosa delle autorità propagandistiche
tedesche.
Immediatamente dopo la costituzione del nuovo governo fascista l'organismo
tedesco Propaganda Staffel, voluto dal feldmaresciallo Rommel, cominciò
ad assumere tutte le funzioni di censura della stampa esercitate in passato
dal Ministero della Cultura Popolare, compresa l'emanazione di direttive
e divieti, la stesura di interi articoli (di cui si imponeva la pubblicazione
), la convocazione di conferenze stampa. La vivace reazione dei giornalisti
italiani fu frenata dalle minacce di una riduzione forzata delle tirature
(200) 200.
Dopo un primo comportamento da "zona occupata" e le rimostranze del
governo della RSI, venne stipulato un accordo in base al quale la censura
tedesca avrebbe dovuto limitare le proprie competenze alle notizie di natura
militare. (201) 201
Ma di fatto non cambiò nulla, sia perché con l'aggravarsi
delle difficoltà della guerra e con l'interruzione delle vie di
comunicazione il Minculpop risultava meno presente in forma diretta, e
soprattutto perché era la Propaganda Staffel stessa, sotto l'inflessibile
comando del dr. Krause, a stabilire se una certa notizia avesse carattere
militare.
Farinacci protestò vivacemente con una lunga lettera indirizzata
a Mussolini per la sorveglianza che egli e il suo giornale dovevano subire
ad opera della polizia. (202) 202
Qualche volta i tedeschi preferirono intervenire nelle faccende della
stampa fascista per interposta persona, cioè facendo esercitare
la censura dalle autorità della RSI: ciò al doppio scopo
di conferire alle stesse un certo prestigio e di non sembrare troppo invadenti
agli occhi degli italiani.
I rapporti di Farinacci con l'organismo di censura germanico furono
di natura alterna.
L'onnipotente Propaganda Staffel intervenne per bloccare perfino le
iniziative del Duce e per censurarle.
A proposito dei notissimi articoli che Mussolini pubblicò sul
"Corriere della Sera" nell'estate del 1944 ( poi raccolti con il titolo:
"Storia di un anno - il tempo del bastone e della carota"), la Propaganda
Staffel fece togliere tre brani.
Uno di questi era ostile a Farinacci riguardo al suo comportamento
nel Gran Consiglio del 25 luglio. Il brano diceva che se avesse vinto l'Ordine
del Giorno Farinacci il risultato non sarebbe stato diverso da quello ottenuto
con l'approvazione della Mozione Grandi.
Secondo quanto ha comunicato il ministro Pisenti a Tamaro (203) 203,
fu Farinacci a far intervenire i tedeschi, con ira e inutili rimostranze
di Mussolini a Rahn.
Ma se in questo caso il ras di Cremona ebbe dei benefici dalle sue
amicizie in campo alleato, il controllo degli organi tedeschi era talmente
opprimente che egli fu addirittura costretto a rivolgersi all'ambasciatore
germanico.
Il direttore de "Il Regime Fascista" indirizzò il 22 febbraio
1945 una lunga lettera a Rudolf Rahn in un francese pieno di errori, Ne
mandò una copia a Mussolini accompagnandola con un biglietto che
diceva: <<prima che succeda qualche casino>>. (204) 204
Nella lettera Farinacci denunciava il comportamento dei funzionari
della propaganda Staffel nei riguardi del suo quotidiano: <<Spesso
essi censurano alcune notizie in un modo assurdo, altre mi si vieta di
riprenderle, anche se esse sono già state date dalla Radio repubblicana
e già diffuse da altri giornali, notizie - bisogna notarlo bene
- che hanno già avuto preventivamente l'approvazione della censura
tedesca. Alle mie rimostranze, si risponde che gli ordini arrivano da Milano
>>. (205) 205
L'occasione dello sfogo del gerarca cremonese era data da un <<
caso di una gravità eccezionale, perché ferisce la mia fede
di italiano, di fascista e di amico e difensore del Grande Reich >>. La
propaganda Staffel aveva imposto il taglio di un articolo scritto dal direttore
quando questo era già in macchina, sotto la minaccia di non far
uscire il giornale.
Altro motivo di lamentela era quello della mancanza dei mezzi indispensabili
per una buona distribuzione del giornale; già il mese precedente
Farinacci si era rivolto pubblicamente al ministro Mezzasoma (206) 206
per gli stessi motivi, ma evidentemente senza ottenere alcun risultato.
Ma Farinacci approfittava del momento per denunciare all'ambasciatore
Rahn il clima ormai davvero pesante che i tedeschi avevano imposto, parlando
per la prima volta della << convinzione che i camerati tedeschi siano
considerati degli occupanti piuttosto che degli alleati>>. (207) 207
CAPITOLO 4
IL DIBATTITO POLITICO
4.1 - LA QUESTIONE DELL'ESERCITO E L'INCHIESTA MACRI'
Ricostituire un esercito su base nazionale ( e non soltanto dare vita
a formazioni minoritarie armate di volontari e di militanti del P.F.R.
) significava per il governo della Repubblica Sociale Italiana conquistare
due obiettivi fondamentali: dimostrare la legittimità della RSI
come nuovo stato e provare in concreto che gli italiani rifiutavano il
25 luglio e l'armistizio, ed erano decisi a riprendere la lotta accanto
ai nazisti, credendo ancora nel fascismo.
Per questo la "battaglia per l'esercito" fu uno dei nodi centrali della
vita della RSI.
E' già stato evidenziato come il problema delle forze armate
stesse particolarmente a cuore a Farinacci. Egli, che riteneva la casta
militare corresponsabile della caduta del fascismo, volle seguire con grande
attenzione le vicende del costituendo esercito della RSI. (208) 208
Ma ben presto si pose una questione politica che rifletteva ancora
una volta gli orientamenti dei due diversi schieramenti che convivevano
nella RSI. Infatti da più parti si sosteneva, in sintonia con l'anima
più moderata, che l'esercito repubblicano dovesse rimanere apolitico,
dovendo battersi per il bene di tutti, senza alcuna distinzione. (209)
209
Il quotidiano cremonese affrontò il tema in alcuni articoli,
che iniziarono il 18 gennaio 1944 con l'editoriale: "L'apoliticità
nell'esercito. Bando agli equivoci". (210) 210
Rievocando gli errori commessi nel passato, Farinacci poneva l'accento
sul fatto che l'esercito dovesse rappresentare innanzitutto la riscossa
fascista di uno stato fascista. La necessità di opporsi fino all'ultimo
sangue all'invasore anglo americano in combutta col bolscevismo poteva
essere sentita solo da un corpo militare fedele all'Idea. Ugualmente esaltata
era naturalmente la fedeltà all'alleato germanico, i cui soldati
erano l'esempio vivente del coraggio e della disciplina.
"Il Regime Fascista" ricorse ad ogni tipo di appello per il reclutamento
nel precario apparato militare repubblicano. Dal richiamo "Ai soldati fuggiaschi"
dopo l'8 settembre affinché << facciano quindi opera santa:
chi più può più operi >> (211) 211, a quello "Alle
donne italiane" firmato da Francesca Visconti (212) 212, dove si spronavano
queste affinché spingessero al combattimento i mariti.
Ma i problemi dell'esercito repubblicano erano molti: disorganizzazione,
mancanza di direttive precise, renitenza alla leva, diserzione, e non ultimi
i tedeschi, che intendevano tenere volutamente basso il livello delle forze
armate della RSI.
La stampa cercava, da parte sua, di coprire lo sfacelo; il 4 gennaio
1944 il ministro Mezzasoma aveva inviato ai direttori dei giornali una
velina dove si affermava: << I direttori dei giornali e dei periodici
devono abbandonare le critiche alle forze armate repubblicane. Tale atteggiamento
della stampa serve alla propaganda nemica e provoca sfiducia nel popolo
italiano.[...] L'apporto dell'esercito repubblicano ala guerra sul fronte
italiano va messo sempre nel massimo rilievo >> (213) 213.
Il riferimento di Mezzasoma alle critiche all'esercito riguardavano
proprio "Il Regime Fascista" che nel novembre 1943 si rese protagonista
di un "caso" che coinvolse le forze armate.
Infatti un fondo del direttore, da titolo "Non ricominciamo", creò
subito un'allarme nei vertici dell'esercito della RSI. L'articolo di Farinacci,
prendendo spunto da una lettera di due militari che denunciavano le condizioni
disagiate e il malgoverno delle caserme, ammoniva i comandi e li invitava
ad una maggiore vigilanza, per non far ricominciare "quell'andazzo" che
aveva caratterizzato la vita delle forze armate nel passato. (214) 214
Graziani, allarmato, fece immediatamente aprire un'inchiesta affidandola
al gen. Federico Macrì, responsabile del Comando militare regionale
del Lazio, il quale visitò alcune province della Lombardia per sincerarsi
della situazione e riferire in un rapporto riservato. (215) 215
Macrì si recò subito a Cremona, dove era atteso da Farinacci.
Il direttore de "Il Regime Fascista" denunciò senza mezzi termini
la situazione critica in cui versava l'esercito, il malcostume, il fatto
che gli alti gradi fossero ancora inquinati dalla massoneria. Naturalmente
il ras non risparmiò i nomi degli ufficiali a lui sospetti, che
vennero allontanati dai loro incarichi.
In quei giorni pervennero a Farinacci, che le trasmise al gen. Macrì,
alcune lettere di soldati che gli segnalavano episodi di malcostume e corruzione.
Ad esempio il ten. Domenico Motta, in una lettera del 29 novembre, riferiva
che << con un pò di riso oppure un salame avvolto in fogli
da mille si ottengono tutti i congedi che si vogliono >> (216) 216.
Le cartelle dell'inchiesta Macrì permettono tra l'altro di inquadrare
il comportamento tenuto dagli alleati germanici in quei primi mesi di vita
della RSI. In un rapporto si legge: <<Il contegno dei tedeschi desta
dappertutto sospetti. [...] Praticamente ci hanno spogliati di tutto e
continuano a spogliarci dei rimasugli. A Cremona hanno asportato tutto,
mano pochissimi oggetti in qualche caserma.[...] Hanno bruciato le carte
della scuola allievi ufficiali >> (217) 217.
Il Ministro della Difesa Graziani fu spinto da Mussolini a far effettuare
l'inchiesta, ma preoccupato per le conseguenze che gli articoli di Farinacci
potessero avere, gli mandò una lettera in data 26 novembre 1943,
dove diceva: << Al tuo "Non ricominciamo" io oppongo perciò
il mio "Per carità di Patria non creiamo equivoci" >> (218) 218.
4.2 - PARTITO UNICO O PLURALISMO POLITICO ?
Nelle file dell'intransigenza fascista, come reazione spontanea al "tradimento",
si era affermato subito dopo l'8 settembre un netto rifiuto per un modello
di partito di massa, in stretta simbiosi con lo Stato come era stato il
P.N.F.
Prevaleva una concezione esclusivista: << Il Partito deve essere
minoranza eletta e non maggioranza bacata >>, scriveva "Il Regime Fascista".
(219) 219
Per l'ala moderata del neofascismo, invece, si trattò all'inizio
semplicemente di trovare gli strumenti più efficaci per l'organizzazione
del consenso intorno al nuovo regime, rifiutando in questo senso il partito
dei "pochi ma buoni".
Le posizioni si delinearono meglio a partire dalla primavera del 1944,
grazie ad dibattito a distanza che si svolse tra i più importanti
quotidiani della RSI.
La linea seguita da "Il Regime Fascista" è ben esposta in un
editoriale del direttore pubblicato nel luglio 1944: << Noi dobbiamo
creare la classe dirigente fascista, e questa volta sul serio, non a parole,
o con gli articoli di giornale, o la creazione di una pachidermica burocrazia.
E il nostro regime non potrà che essere autoritario, un regime
che sappia cioè trarre dalla supreme finalità nazionali le
norme dell'ordine giuridico e dell'attività politica, economica
e sociale.
Solo in seno al partito le discussioni e le responsabilità devono
essere ampie, e le decisioni coscienti. Gli Italiani dovranno giudicare
dai risultati l'opera del Fascismo; ma prima degli Italiani sono i Fascisti
che hanno il diritto e il dovere di giudicare.
Nessuno dovrà scandalizzarsi per questa nostra impostazione,
che è la stessa del Fascismo affermatosi tra il 1919 e il 1926.>>
(220) 220.
Nel ribadire la propria visione elitaria della classe dirigente fascista,
Farinacci muoveva delle forti critiche al passato del P.N.F., al suo apparato,
alla sua ricerca forzata del consenso di massa.
Il gerarca cremonese volle distinguere tra Partito e Fascismo, cioè
tra uomini e idee.
Ed era proprio le scelte individuali fatte nel passato quelle che più
avevano nociuto alla causa del fascismo:<<Nessuno più di noi
per lunghi anni sentì l'angoscia di un Partito burocratizzato e
immemore della sua missione. E quando tentammo di insorgere cozzammo contro
la moltitudine infame dei così detti fascistoni - erano poi quelli
dell'anno santo - che per costituirsi i titoli di benemerenza al concorso
di posti lauti osannavano questo o quel segretario del partito, minacciando
i reprobi.
Naturalmente, dopo il 25 luglio e l'8 settembre, costoro svanirono
d'un tratto e molti si misero a gridare di essere stati ingannati proprio
da noi>>. (221) 221
Il partito di massa voluto da Storace era la causa principale della
sua stessa rovina: << [...] Quale disgusto nel leggere le cifre mastodontiche
del partito rivoluzionario! Quante nere previsioni nel riconoscere che
la burocrazia, sotto i segni del littorio, aumentava di numero, di prepotenza,
di incapacità, di irresponsabilità, e invadeva come un cancro
maligno tutto il corpo della Nazione!>>. (222) 222
Farinacci poteva così rivendicare con orgoglio il proprio passato:
<<Noi apparteniamo alla schiera dei pochi che non amavano il partito
gigante, ma volevamo una minoranza qualitativa e una fedeltà incrollabile
ai principi fascisti, da non confondere col divieto della stretta di mano,
con l'imposizione del voi, con le divise e i distintivi, e i giuochi da
circo equestre, non escluso il salto nel cerchio di fuoco>>. (223) 223
Senza dubbio il giornale di Cremona vedeva nelle origini del movimento
fascista il suo momento migliore, arrivando, ad esempio, il 28 ottobre
1943, a titolare a tutta pagina: "28 ottobre 1922. Torniamo indietro e
riprendiamo decisamente la marcia".
La critica al passato regime, o meglio al suo apparato burocratico
e agli uomini incaricati di dirigerlo, non poteva essere per Farinacci
solamente uno sfogo a posteriori per trovare un alibi di fronte al disastro
avvenuto: << Queste idee le abbiamo sostenute non solo sui giornali,
ma in sede adatta, in sede di discussioni responsabili e competenti, diciannove
anni or sono.>> (224) 224.
Lo spunto di queste affermazioni venne da una polemica nata inizialmente
con Giuseppe Castelletti, direttore de "L'Arena" di Verona.
In una serie di articoli sul proprio quotidiano, questi aveva sostenuto
che bisognava andare verso il popolo, capire le esigenze della gente in
un momento così grave, implicando con ciò l'esigenza di una
maggiore disponibilità anche politica da parte del governo.
Egli finì con lo scrivere, l'11 maggio 1944:<< [...] Si
può essere contro Farinacci senza essere contro Mussolini. Meno
male.>>.
"Il Regime Fascista" rispose immediatamente alla provocazione riaffermando
innanzitutto che << per essere con Mussolini occorre essere ad ogni
costo fascisti >> (225) 225
In risposta alle accuse personalmente fattegli, Farinacci dichiarava
di non ammettere << precedenze di fedeltà all'Uomo e alla
Causa >>, rivendicando per sé il merito di avere sempre servito
Mussolini << non ruffianescamente, ma dignitosamente e lealmente,
sempre pronto a dirgli la verità anche quando il coro osannante
gridava che tutto andava bene >>. (226) 226
La vena polemica del ras di Cremona si scontrò successivamente
con quella di uno dei più valenti giornalisti della RSI: Concetto
Pettinato, direttore del giornale di Torino "La Stampa".
La discussione verteva sull'opportunità del mantenimento del
partito unico oppure, come molti giornalisti ormai affermavano a chiare
lettere, l'apertura verso un disegno pluralistico, legato alla consapevolezza
dell'insufficienza del P.F.R. come strumento di conquista della maggioranza.
In sostegno di quest'ultima tesi Piero Parini, ex prefetto di Milano,
scrisse alcuni articoli su "La Stampa", affermando tra l'altro che: <<
Il partito unico ha dimostrato di non avere capacità selettiva degli
uomini destinati al comando e consente ogni sorta di tradimento [...];
non è detto che le distanze tra noi e alcuni dei movimenti che si
usa chiamare clandestini non si possano accorciare e anche annullare con
un franco parlare >>. (227) 227
In queste ultime parole è possibile scorgere la tematica del
"ponte" che tante discussioni porterà nell'ultima parte della vita
della RSI.
L'intervento di Parini, appoggiato da Pettinato, non poteva non provocare
la dura reazione de "Il Regime Fascista": "Contro il meretricio politico"
fu il titolo della sua risposta del 1° dicembre 1944.
Il quotidiano di Cremona diceva in prima pagina: << Con l'illusione
di non compromettere l'unità della patria si finirebbe invece per
approfondire, con il sorgere dei nuovi partiti, l'abisso che divide noi
dagli altri e creare una confusione di idee >>. (228) 228
Anche Enzo Pezzato, dalle colonne di "Repubblica Fascista", pose l'accento
sulla necessità dell'esistenza, nel nuovo regime, di gruppi politici
autonomi che potessero funzionare da stimolo critico al "partito guida"
e di governo.
E' opportuno ricordare che Pezzato, successore di Borsani nella guida
del quotidiano milanese, proveniva dalle file del fascismo più intransigente;
eppure anch'egli affermò che << un'avanguardia non può
camminare da sola >>. (229) 229
Bisognava tener conto della nazione, che era formata da << una
massa già articolata e segnata da diversi atteggiamenti mentali
>>. (230) 230
Si inserì nella controversia lo stesso Mussolini, con una nota
radiofonica della "Corrispondenza Repubblicana" del 3 dicembre 1944 intitolata
"Il sesso degli angeli" (231) 231, per deplorare che questa discussione
avvenisse mentre Bisanzio stava cadendo e per negare la validità
del pluripartitismo. Non era possibile, secondo Mussolini, ammettere l'esistenza
di quei partiti che, l'8 settembre, avevano consegnato l'Italia al nemico
al quale ora si prostituivano. E quindi, "Non si capisce perché
si dovrebbe concedere il diritto di cittadinanza a quegli stessi partiti,
che nell'Italia invasa non solo impediscono ogni attività al Partito
Fascista, ma lo considerano extra-legge". (232) 232
Il Duce ribadì questi concetti, anche se in maniera più
sfumata, nel famoso discorso del Lirico di Milano tenuto il 16 dicembre
1944, richiamando l'inattualità di ogni discussione sul problema
della pluralità dei partiti dopo l'abolizione della tessera come
requisito essenziale per gli impieghi.
Ma i toni laconici e vaghi usati da Mussolini in quest'ultimo intervento
consentirono a entrambi gli schieramenti di leggere nel discorso di Milano
la conferma delle proprie opinioni.
Pezzato e Pettinato da una parte, Farinacci dall'altra, tornarono quindi
a scontrarsi polemicamente anche nei primi mesi del 1945.
Concetto Pettinato rimproverò al direttore de "Il Regime Fascista"
<<chiusura e conformismo >> (233) 233.
Farinacci gli rispose accusandolo di << capeggiare la tendenza
all'abbracciamoci tutti in seno al partito >> in una visione demagogica
del rapporto con il << popppolo >> al quale era invece sufficiente
- e l'esempio "ordinato" di Cremona lo confermava - una solida autorità
efficacemente repressiva. (234) 234
Il 14 gennaio 1945 fu convocato al Ministero della Cultura Popolare
l'ultimo rapporto ai direttori dei quotidiani.
Il ministro Mezzasoma, seguendo il filo di una rigorosa continuità,
si schierò ancora una volta dalla parte di Farinacci: << Ebbene
io vi dico camerati - affermò a proposito del dibattito in corso
- che quei giornalisti fascisti i quali sentono così acutamente
la necessità della coesistenza dei partiti nell'Italia Repubblicana
altro non sono che dei fascisti i quali si sentono a disagio, essi stessi,
nel partito unico >>. (235) 235
Forte delle proprie convinzioni, arrivò da "Il Regime Fascista"
un editoriale, intitolato "Da Enzo a Concetto", del 21 febbraio 1945 dove
Farinacci affrontava direttamente gli avversari del dibattito.
Riferendosi a Pezzato, il direttore del foglio di Cremona scriveva:
<<Egli non desidera, non ammette e non tollera che dei camerati,
facendo tesoro del passato, cerchino che il Fascismo non ricada negli stessi
errori. Vede, in certe critiche, malafede, opportunismo e vecchi rancori
da sfogare>>. (236) 236
Ma Pezzato era già stato apostrofato da Farinacci nel mese precedente:
<< [...] A Pezzato non piace il nostro tono giornalistico, a noi
non piace il suo. Dopo 6 mesi che si dirige un giornale è audacia
presentarsi agli esami di Ministro della Cultura Popolare, scegliendo proprio
noi come argomento di discussione. Rappresentiamo una materia troppo complessa
per poter essere limitata in quattro e quattr'otto >>. (237) 237
Era poi la volta di Pettinato: << [...] Gli errori della politica
del consenso, del collaborazionismo, degli italiani tutti uguali, dell'abbracciamoci
tutti, si ripetono, oggi, in misura maggiore. Per convincersene basterebbe
leggere gli articoli di fondo su "La Stampa". [...] Questa prosa, caro
Pettinato, puzza di alibismo >>. (238) 238
Il giorno successivo, 22 febbraio 1945, Farinacci rincarava la dose
contro il responsabile del quotidiano torinese: << [...] Se questa
prosa non provenisse dal direttore di un giornale fascista dovremmo seriamente
preoccuparci. In un momento in cui prepariamo i nostri giovani a combattere
i nemici sul fronte appenninico e nel fronte interno, siano essi stranieri
o agenti dello straniero, certi improvvisi sentimentalismi, certe strane
proposte potrebbero avere sapore di serio disfattismo >>. (239) 239
Questo contrasto interno non sfuggì agli osservatori tedeschi;
infatti al comando supremo pervenne una relazione, sia pure carente nei
particolari, nella quale era chiaramente riconosciuto il contrasto sui
contenuti tra la << corrente "fascista - riformista" rappresentata
soprattutto da Pettinato e il gruppo che si attiene rigorosamente ai vecchi
principi [...], rappresentato soprattutto da Farinacci>>. Pettinato <<propugna
l'opportunità di tollerare l'esistenza di gruppi diversi all'interno
del fascismo, al fine di interessare la popolazione, ora in massima parte
estranea, grazie alla possibilità di vedere rappresentate le proprie
opinioni, mentre Farinacci vede in questo il principio della fine e difende
senza cedimenti una dittatura che non si faccia alcuno scrupolo >>.
(240) 240
Il 2 marzo 1945, dopo una serie di articoli sul movimento di Cione,
Pettinato fu destituito; al suo posto alla direzione de "La Stampa" fu
chiamato Francesco Scardaoni, il vecchio direttore del "Popolo di Roma".
Con il plauso di Farinacci fu anche annunciato il suo deferimento alla
Commissione centrale di disciplina del P.F.R.
Non fu però uno dei soliti avvicendamenti. Il clamore della
polemica, la notorietà dei protagonisti, la fragilità del
regime ormai sull'orlo del collasso, fecero emergere una consolidata opposizione
al provvedimento.
<< Non si punisce Farinacci quando dice che il popolo italiano
va trattato con il bastone; si punisce Pettinato quando afferma la suprema
verità che bisogna riconciliare tra loro gli italiani >>, scriveva
Pini a Mussolini per protestare contro << questa nuova manifestazione
di insofferenza gerarchica verso una voce che ben sappiamo onesta, volenterosa,
e con noi apertamente compromessa>>. (241) 241
I redattori, gli impiegati, le maestranze de "La Stampa" firmarono
un telegramma di protesta a Mussolini (242) 242; fu contrario alle
decisioni di Pavolini e Mezzasoma, protagonisti sia della destituzione
che del deferimento di Pettinato alla Commissione di disciplina, anche
il nuovo Ministro degli Interni, Zerbino. (243) 243
Concetto Pettinato si era già reso protagonista, l'11 giugno
1944, del più famoso caso giornalistico della RSI, pubblicando un
editoriale dal titolo "Se ci sei, batti un colpo" dove coraggiosamente
denunciava i risultati non raggiunti, le aspettative deluse, la disorganizzazione
generale che regnava nella RSI. (244) 244
Pino Romualdi, che presiedeva la Commissione di disciplina, ammise
in seguito che: << Il famoso articolo "Se ci sei, batti un colpo",
interpretò magistralmente, seppure a tinte caricate, ma con una
sincerità di cui ognuno deve essergli grato, lo stato d'animo e
la situazione di quei giorni.
L'accoglienza che l'articolo ebbe dimostrò che Pettinato aveva
colto nel segno.
La risposta dello stesso Farinacci (245) 245, una volta tanto
schierato dalla parte del governo, fu debole e priva di convinzione>>.
(246) 246
La commissione di disciplina si riunì il 24 marzo. Un suo comunicato
ufficiale fu pubblicato sul "Corriere della Sera" dell'11 aprile 1945.
A Pettinato veniva inflitta una semplice deplorazione, "In considerazione
della sua precedente attività di scrittore e di giornalista, delle
responsabilità volontariamente accettate schierandosi dalla parte
della RSI". Fu tuttavia condannata la sua "complessa attività di
questi ultimi tempi intonata ad una pratica di compromesso e di alibismo".
(247) 247
Il caso era chiuso, con un compromesso.
Ma in quei giorni una nuova vicenda era destinata a riaccendere le
polemiche nella stampa della RSI: il Raggruppamento Nazionale Repubblicano
Socialista di Edmondo Cione.
Ci soffermeremo nell'analisi di questo "caso" nell'ultima parte di
questo lavoro.
4.3. L'OPPOSIZIONE AL "RAGGRUPPAMENTO NAZIONALE REPUBBLICANO SOCIALISTA".
Edmondo Cione era un professore napoletano dalla personalità
incerta e contraddittoria (248) 248. Ex allievo di Benedetto Croce,
al quale era stato in passato molto legato, tanto da valergli il nomignolo
di "'O Vaccariello" (il vitellino che segue sempre la mucca), si era trasferito
a Milano dove insegnava nei licei e lavorava nella biblioteca di Brera.
Moderatamente antifascista, era stato iscritto al P.N.F. per un breve
periodo nel 1934. Successivamente, aveva aderito al "Manifesto Croce" degli
intellettuali contro il fascismo, e all'inizio della guerra, nell'agosto
1940, era stato internato nel campo di concentramento di Colfiorito di
Foligno, dove entrò in contatto con esponenti antifascisti come
Lelio Basso e Eugenio Colorni.
Nel settembre 1943 Cione fondò, senza nessuna risonanza, il
movimento "Pro Italia Unita", confluito successivamente, dopo l'8 settembre,
nel movimento antifascista clandestino "Unione Nazionale", nato a Roma
in polemica con il C.L.N. (249) 249.
Nell'estate del 1944 il Ministro dell'Educazione Nazionale, Carlo Alberto
Biggini, ricevuto in udienza da Mussolini, recò con sé il
suo amico Cione, un libro del quale era appena stato letto dal Duce.
Nel corso dell'incontro, durante il quale Mussolini elogiò il
libro del giovane professore dichiarando anche la sua ammirazione per lo
stesso Croce, smentendo con ciò precedenti atteggiamenti, nacque
l'idea di fondare un partito socialista ed antifascista che però
aderisse alla RSI e ai suoi principi essenziali - riassunti nel trinomio
"Italia Repubblica Socializzazione" - gettando un ponte fra fascisti onesti
ed antifascisti in nome dell'unità nazionale e della salvezza della
Patria. (250) 250
Il presupposto non detto era che la guerra fosse per la Germania ormai
perduta e che si fosse ormai vicini alla resa dei conti. Mussolini e Cione
erano persuasi che fosse possibile un'intesa al di là degli intransigenti
di ambo le parti per un trapasso indolore dalla RSI all'Italia del domani.
Secondo Cione, comunque, l'idea del partito fu di Mussolini, che propose
a lui di metterla in atto. Il filosofo accettò, specificando però
che non avrebbe fatto il "fiancheggiatore" ma "l'oppositore", anche se
assicurava la lealtà di una critica costruttiva.
Ma Edmondo Cione non era proprio l'uomo adatto: una mediazione tra
fascisti ed antifascisti avrebbe richiesto una personalità di primissimo
piano disposta a sacrificarsi e a giocare tutta se stessa, non un giovane
antifascista estraneo alla politica e non ancora, nemmeno come intellettuale,
di grande prestigio.
Il 14 febbraio 1945 la "Stefani" dava notizia della costituzione del
"Raggruppamento Nazionale Repubblicano Socialista". Veramente la "Stefani"
trasmise, e i giornale pubblicarono, che il "Raggruppamento" si chiamava
"Nazionale Socialista Repubblicano", avvicinandolo così nella dizione
al nazionalsocialismo tedesco. (251) 251
Cione protestò vivacemente e ottenne, il giorno seguente, la
rettifica. (252) 252 Quindi sollecitò, per coprirsi le spalle, una
lettera autografa di Mussolini. (253) 253Questi la scrisse e gliela fece
recapitare dal figlio Vittorio.
Mussolini era deciso ormai a compromettersi fino in fondo su un terreno
che si presentava sempre più spinoso anche a causa della crescente
opposizione da parte dei fascisti intransigenti. Per il Duce quell'operazione
era di vitale importanza, malgrado la modestia politica di Cione: presentarsi
al tribunale della storia con un progetto politico che ristabilisse la
dialettica democratica all'interno del sistema significava per lui staccare
il fascismo, come tradizione storica, dal partito unico, dal gerarchismo,
dalle brigate nere. (254) 254
Cione cercò di prendere contatti a sinistra, ma si ritrovò
con poche persone intorno e di secondo piano.
L'unico giornalista che diede la sua adesione fu Ugo Manunta, direttore
della "Sera" di Milano. Gli altri personaggi che formavano il "Raggruppamento"
erano Gastone Gorrieri, capo ufficio stampa della Legione Autonoma "Muti",
il socialista Gabriele Vigorelli, un vecchio oppositore di estrazione sindacale,
Pulvio Zocchi, il comunista Germinale Concordia, il socialista Corrado
Bonfantini.
Il 16 febbraio "Il Corriere della Sera" pubblicò un articolo
(255) 255 in cui Cione tracciava il programma del movimento, annunciando
la prossima uscita di un giornale.
Molti fascisti accolsero con malcelato o aperto disappunto l'autorizzazione
concessa alla costituzione del "Raggruppamento".
Apparve su "Il Regime Fascista" il sarcastico editoriale di Farinacci
"Quasi quasi...", in cui si fingeva di scoprire con sorpresa che in fondo
gli obiettivi del fascismo repubblicano e quelli del nuovo movimento di
opposizione coincidevano: <<Quasi quasi avremmo chiesto l'iscrizione
al Raggruppamento Nazionale e a tutto quello che segue >>. (256)
256
Qualche giorno più tardi il ministro Mezzasoma ebbe un colloquio
con Cione, di cui riferì subito in questo "Appunto per il Duce":
<< Ho parlato a lungo con Edmondo Cione e con Vittorio (Mussolini).
Dopo il primo infortunio dell'errore di trasmissione del comunicato annunciante
la costituzione del Raggruppamento Nazionale Repubblicano Socialista, é
sopravvenuto l'articolo di Farinacci la cui inopinata adesione é
riuscita tutt'altro che gradita al Cione. In sostanza Farinacci ha voluto
dire ai suoi lettori che il programma del Raggruppamento é tanto
fascista che i fascisti più intransigenti potrebbero sottoscriverlo
a due mani >>. (257) 257
In seguito Concetto Pettinato ospitò su "La Stampa", in apertura,
al posto dell'abituale articolo di fondo, un'ampia intervista con Cione
(258) 258, e ciò fu addebitato al direttore del quotidiano torinese
da Pavolini, quando gli fu intentato un vero e proprio processo di partito.
(259) 259
L'atteggiamento che assunse "Il Regime Fascista", dopo le dichiarazioni
di Cione sul giornale torinese, questa volta fu chiaro, diretto, carico
di minacce: << Prevediamo fin da ora che se la nostra dovrà
essere una rivoluzione, una vera rivoluzione fascista, questo Raggruppamento
morirà, presto o tardi, o di morte naturale o di morte violenta
>>. (260) 260
L'editoriale del direttore, dopo aver analizzato punto per punto le
affermazioni degli esponenti del "Raggruppamento" nell'intervista rilasciata
a "La Stampa", così concludeva: <<Quindi fra poco, da parte
dei novelli salvatori della Patria, assisteremo alla denigrazione delle
nostre idee, del nostro movimento e della massa dei nostri uomini. Ma credono
i signori Cione, Zocchi ed altri loro amici, che noi assisteremo impassibili,
in casa nostra, ad una anche piccola edizione quartarellista? Non si illudano.
[...] Ci combatteremo attraverso i nostri giornali, ci ritroveremo
nei comizi e nelle adunate. Se le discussioni non saranno sufficienti,
faremo ... la rivoluzione. E sarà per noi una gioia rivivere le
ore della vigilia. >>. (261) 261
Nonostante i ritardi e gli intralci frapposti alle vicende interne
ed esterne all'attività del "Raggruppamento", come l'arresto di
Concordia o la scarsa fornitura di carta per il giornale, il 28 marzo 1945
vide la luce il primo numero de "L'Italia del Popolo".
L'uscita del giornale ebbe una indubbia risonanza - data la novità
dell'avvenimento - a livello di opinione pubblica. La tiratura iniziale
fu di 50.000 copie, che avrebbero potuto essere assai di più, perché
venivano esaurite non appena poste in vendita; c'erano edicole che le cedevano
a borsa nera, a 10 lire la copia.
Ma accanto all'opposizione fascista al movimento di Cione, cresceva,
ben più violenta, quella degli antifascisti, cioè di quelli
"dall'altra parte del ponte".
La stampa clandestina antifascista colpiva duramente il "Raggruppamento",
"L'Unità" definiva Cione "un gaglioffo" (262) 262, il Partito d'Azione
sconfessava quel progetto mistificante, i repubblicani negavano ogni disponibilità
di dialogo.
Anche i tedeschi si interessarono al movimento di Cione, tanto che
Von Ribbentrop interrogò l'ambasciatore Anfuso sulla natura del
"Raggruppamento" e sulle reali intenzioni di Mussolini.
I nazisti pensavano che Cione volesse costituire un partito socialista
di stampo inglese, ed erano preoccupati dell'autorizzazione rilasciata
da Duce. Ma Anfuso rispose che il "Raggruppamento" non era un partito concorrente
al Fascismo; si trattava solo di incanalare una opposizione, che diversamente
sarebbe andata ad ingrossare le fila dei fautori degli anglo americani,
riportandola sulle linee dell'ortodossia verso il Duce e verso la Germania,
e ammettendo una discussione di quei problemi sociali la cui soluzione
si era impegnati a portare a termine. (263) 263
Mussolini stesso, interpellato dall'ambasciatore tedesco Rahn, ripeté
il 31 marzo le stesse cose, sottolineando gli aspetti più tattici
di una manovra politica di questo tipo e concludendo: << Affermare
che Mussolini si voglia allontanare dal fascismo... è stolto >>.
(264) 264
"L'Italia del Popolo", dopo solo pochi giorni dal suo debutto cominciò
ad avere i suoi guai.
I fascisti oltranzisti passarono all'azione e in qualche città
si ripeterono scene ben note alle squadrismo del 1922 con pacchi di giornali
bruciati davanti alle edicole per impedirne la vendita.
"Il Regime Fascista" attaccò con assiduità il nuovo quotidiano
portavoce del "Raggruppamento" in una serie di articoli che non si fermavano
solo a considerazioni politiche.
Come aveva già fatto altre volte, Farinacci si volgeva al passato
per analizzare il presente: << Ci tornano alla mente episodi del
1923 - cioè di subito dopo la marcia su Roma - quando altri uomini,
della mentalità di Cione e compagni, si professavano mussoliniani
per rivendicare il diritto di criticare uomini e opere del Fascismo. E'
una vecchia canzone che ha già fatto il suo tempo.>>. (265) 265
La linea di continuità seguita dal ras di Cremona era rigorosa.
Bisognava << ritornare ai postulati del 1919 che, ancor oggi, sono
d'attualità e, soli, possono permettere di dare agli Italiani uno
Stato consono alla loro mentalità ed alla loro maturità politica>>.
(266) 266
Ma lo scontro più violento con Cione e il suo giornale, Farinacci
lo ebbe il 7 aprile 1945, quando, in un lungo articolo di fondo, il gerarca
cremonese scrisse: << "L'Italia del Popolo" prende ogni giorno fiato
e, incoraggiata dagli avvenimenti militari, si propone, con un menefreghismo
spavaldo, non più di criticare, con intento collaborazionista -
così come era stato dichiarato - gli atti del Governo e della Amministrazione,
ma di fare addirittura il processo alla Repubblica Sociale.
[...] Alquanto irritati, chiediamo ai ministri competenti come
la nostra rivoluzione possa tollerare che quattro signori si arroghino
l'autorità ed il diritto di creare una super - Procura di Stato
>>. (267) 267
Il direttore de "Il Regime Fascista" si rivolgeva quindi a Mezzasoma,
approfittandone per recriminare, come già aveva fatto in passato,
sulle limitazioni che il suo foglio quotidianamente doveva incontrare:
<< [...] Ci sembra inconcepibile che mentre noi, per dovere di disciplina,
dobbiamo mordere continuamente il freno sotto la continua minaccia di un
sequestro del giornale, gli altri, ex confinati definitisi oppositori implacabili
del Fascismo, godano non della libertà, ma di una vera e propria
licenza che in nessun paese democratico, divampando la guerra, sarebbe
tollerata.
Costoro fruiscono anche di certi privilegi. Hanno avuto per il giornale
una assegnazione di carta tolta ai nostri quotidiani, i quali sono stati
costretti così a circoscrivere la propria diffusione >>. (268) 268
Le conclusioni erano presto tratte: << La misura è già
colma. Bisogna riconoscere che il Raggruppamento - voluto e appoggiato
soprattutto da alcuni fascisti che dovrebbero essere presi per il bavero
e trascinati davanti alla Commissione di disciplina del P.F.R. - altro
non vuole essere che un cavallo di Troia - molto troiesco invero - in mezzo
al nostro movimento di riscossa.
[...] Qui siamo di fronte ad una indiscutibile malafede. Cione
e compagni, derisi e minacciati dagli stessi antifascisti, tentano di crearsi
un alibi. Ma noi non siamo più disposti a tollerare >>. (269) 269
Sulla stessa linea de "Il Regime Fascista" si era schierato "Repubblica
Fascista" di Pezzato, e, sul "Corriere della Sera", Goffredo Coppola, che
aveva intitolato il suo editoriale " 'O Vaccariello" in senso dispregiativo
verso il professore napoletano. (270) 270
Gli oltranzisti erano solo in attesa di un passo falso che consentisse
di porre la parola fine all'esperimento del "Raggruppamento".
Direttamente chiamato in causa da tante accuse, Cione affidò
le proprie risposte a dei sarcastici corsivi, firmato "Sopho", apparsi
su "L'Italia del Popolo", lasciandosi sempre più coinvolgere nella
polemica.
L'atteso passo falso arrivò quando Cione, il 7 aprile, replicò
ad un attacco rivoltogli su "Repubblica Fascista" da Guglielmo Montani,
prefetto, ex combattente, padre di un caduto medaglia d'oro. (271) 271
Poiché Cione aveva adoperato un linguaggio in effetti volgare
e offensivo (272) 272, Montani organizzò con altri ex combattenti
e decorati una spedizione punitiva nella redazione di via Romagnosi, sfasciando
tutto quello che trovò.
Bastò al Capo della Provincia di Milano per sospendere, il 10
aprile, le pubblicazioni del quotidiano << per aver turbato l'ordine
pubblico e non aver tenuto fede agli impegni di critica costruttiva e nazionale>>.
(273) 273
Farinacci commentò compiaciuto il provvedimento in corsivo su
"Il Regime Fascista" dal titolo: "I diritti a chi spettano", dove, dopo
aver ulteriormente demolito la figura di Cione, riaffermava che la critica
ad un governo fascista potesse essere mossa << solo da chi vuole
rafforzarne la compagine, e non da chi, idiotamente, vorrebbe distinguere
Mussolini dalla nostra rivoluzione.>>. (274) 274
Dopo che Cione si era appellato alla mediazione di Carlo Borsani (275)
275 presso Mussolini, questi lo ricevette brevemente il 22 aprile, concedendo
l'autorizzazione per la ripresa delle pubblicazioni de "L'Italia del Popolo".
Il quotidiano uscì ancora il 24 e il 25 aprile, con rinnovati
appelli alla pacificazione e al senso della fierezza nazionale, <<
nel nome di una Italia socialista d'ampio respiro che sia la confluenza
ideale di spiriti liberi e sia la premessa a realizzazioni audaci >>. (276)
276
Il 26 aprile Cione avrebbe voluto far uscire normalmente il suo giornale,
ma le maestranze in sciopero non lo permisero ed egli chiese, assurdamente,
al nuovo prefetto Riccardo Lombardi, di poter pubblicare il suo quotidiano,
dal momento che, secondo lui, sarebbe stato repubblicano e socialista.
La risposta fu ovviamente negativa.
Il "Raggruppamento" chiuse così la sua breve esistenza con la
fine della RSI.
Il tentativo di contatto voluto da Mussolini tra fascisti ed antifascisti
era fallito definitivamente.
E' già stato sottolineato come Cione non fosse la persona più
adatta per una operazione di tale portata.
Egli aveva incontrato la violenta opposizione dei fascisti intransigenti
e il discreto interesse dell'opinione pubblica; era mancata totalmente
la disponibilità antifascista.
Alla prova dei fatti, Edmondo Cione non ebbe alcun rapporto preciso
con il C.L.N.. Non ne ebbe, dunque, con l'organo che avrebbe dovuto, caso
mai, essere ritenuto una delle due "spalle" del famoso "ponte" che egli
aveva in mente.
Va constatato, quindi, che Cione rimase su posizioni di puro idealismo,
con scarsi risultati concreti; non per questo il suo tentativo fu meno
curioso e spregiudicato. (277) 277
4.4 - L'EPILOGO
Lo scontro con Cione ed il suo "Raggruppamento" fu l'ultima vera battaglia
politica de "Il Regime Fascista".
Negli ultimi giorni della RSI il giornale di Farinacci si aggrappò
sempre più ai tedeschi lanciando continui proclami di fedeltà.
In un corsivo dal titolo: "Dichiarazione solenne" si può leggere:
<< Qualsiasi cosa accada, noi rimarremo, fino all'ultimo, affianco
dell'alleato, senza tentennamenti, con la stessa solidarietà dei
giorni di gloria >>. (278) 278
La morte del Presidente degli Stati Uniti Roosevelt, il 12 aprile 1945,
fu salutata dal quotidiano cremonese con titoli trionfalistici come "Dio
esiste". (279) 279
Soddisfatto per la fine del << minorato della Casa Bianca>>,
Farinacci proclamava che << come folgore giustiziera, era giunta
a lui la maledizione di quanti vedevano nella sua opera l'oltraggio criminale
ad ogni senso umano e cristiano. La sua é stata la morte del dannato.
[...] Noi vediamo la mano dell'Onnipotente nel castigo inflitto all'uomo
che impersonificava Satana sulla Terra>>. (280) 280
Ma la tragedia era ormai incombente. Le forze alleate, che avevano
passato l'inverno sulla cosiddetta Linea gotica, sferravano l'offensiva
finale. Entro pochi giorni buona parte dell'Italia del nord sarebbe passata
sotto il controllo delle forze partigiane. Cremona stava per cadere.
Il 25 aprile uscì l'ultimo numero de "Il Regime Fascista" con
un messaggio di Farinacci ai suoi concittadini, che per l'ultima volta
poterono leggere il suo linguaggio minaccioso, da ras: << Se la feccia
tornerà per qualche giorno alla ribalta, la maggioranza dei cittadini,
come la maggioranza degli italiani, non avrà che da recitare il
mea culpa. Noi sentiamo però che il Fascismo trionferà, non
tanto per volere nostro ma per volontà popolare.
Tengano ben presente questo, nell'ipotesi peggiore della nostra ritirata,
coloro che osassero toccare un capello ai nostri camerati, e specialmente
alle loro famiglie. La repressione sarebbe feroce e forse indiscriminata.
E ne avremmo tutto il diritto, in quanto che in questi giorni, nei quali
tutto potremmo osare, abbiamo richiamato alla più ferrea disciplina
tutti i fascisti, compresi quelli evacuati da altre città.>>. (281)
281
Ma queste promesse di rappresaglia furono inutili.
La mattina del 25 aprile Guido Miglioli si recò nel palazzo
di piazza Marconi, sede de "Il Regime Fascista", in rappresentanza di importanti
personalità del mondo cattolico, per proporre una resa incondizionata.
Farinacci, fedele fino in fondo al suo personaggio, reagì vivacemente:
<< Non siamo ancore alla fine. Ho quattromila camice nere e mille
soldati tedeschi, tutti pronti. In due ore posso spianare la città...
>>. (282) 282
Poi si abbandonò alle recriminazioni, parlando dell'incapacità
e della vigliaccheria dei suoi amici e beneficati, contro i quali si scagliò
con disprezzo feroce.
Farinacci non volle scendere a patti con nessuno, tanto meno arrendersi
al suo ventennale nemico; lasciò il giornale e lo stabilimento tipografico
"Cremona Nuova", dal valore di 9 milioni di lire, perché il reddito
fosse devoluto alle maestranze.
Il 27 aprile abbandonò la città, che aveva conquistato
ventitré anni prima, diretto in Valtellina. Ma a Beverate la sua
auto fu bloccata ed egli fu catturato dai partigiani della brigata "Adda".
La mattina del 28 aprile il ras di Cremona fu condotto nel municipio di
Vimercate, dove venne processato da un tribunale d'emergenza del quale
facevano parte i rappresentanti dei vari partiti inclusi nel Comitato di
Liberazione Nazionale. Farinacci venne condannato a morte.
Fu fucilato poche ore dopo.
NOTE
(1) 1 Per una esauriente trattazione dei quotidiani della RSI: V. PAOLUCCI: I quotidiani della Repubblica Sociale Italiana (9 settembre 1943 - 25 aprile 1945), Argalia, Urbino, 1989; U. ALFASSIO GRIMALDI: La stampa di Salò , Bompiani, Milano, 1977
(2) 2 G. NOZZOLI: I ras del regime. Gli uomini che disfecero gli italiani, Bompiani, Milano, 1972, pag. 163
(3) 3 Cfr.le due biografie su Roberto Farinacci:U.ALFASSIO GRIMALDI, G: BOZZETTI: Farinacci, il più fascista!, Bompiani, Milano, 1972; H.FORNARI: La suocera del regime. Vita di Roberto Farinacei, Mondatori, Milano, 1972. Cfr. inoltre R. DE FELICE: Mussolini il fascista. La conquista del potere. 1921 - 1925. L'organizzazione dello stato fascista. 1925 - 1929, Einaudi, Torino, 1966-1968; ID. Mussolini il duce. Gli anni del consenso. 1929-1936. lo stato totalitario. 1936-1940, Einaudi, Torino, 1974; ID Mussolini l'alleato, 1940-1945. Pt. 1. dalla guerra breve alla guerra lunga. Pt. 2. Crisi e agonia del regime, Einaudi, Torino, 1990.
(4) 4 Cfr. J. GOEBBELS: Diario intimo, Modadori. Verona, 1948. Citato in U. ALFASSIO GRIMALDI, G. BOZZETTI: Op. cit. pag. 234.
(5) 5 Il quotidiano "Il Tempo" pubblicò nel gennaio e
febbraio del 1947 una serie di articoli presentandoli come estratti di
un diario di Farinacci. Il diario fu poi giudicato apocrifo, ma molti particolari
dimostrano che l'autore doveva conoscere benissimo Farinacci. Lo stile,
poi, a tratti sembra proprio della penna che firmava gli accesi editoriali
de "Il Regime Fascista". L'autore deve essersi comunque basato su
degli scritti del ras di Cremona.; nel complesso il diario, che riguarda
gli avvenimenti che ruotarono intorno al colpo di stato del 25 Luglio,
può considerarsi attendibile.
Il diario fu ripreso, successivamente, anche da altri quotidiani, come
ad es. "Il Giornale", l'anno seguente.
(6) 6 G. DOLFIN: Con Mussolini nella tragedia. Garzanti,Milano, 1946.
(7) 7 il testo del volantinoè in G. PANSA: Il gladio e l'alloro. L'Esercito di Salò. Mondatori, Milano, 1991, pag.31.
(8) 8 G. NOZZOLI, op. cit., pag. 162.
(9) 9 U. ALFASSIO GRIMALDI ; G. BOZZETTI :op. cit., pag. 245
(10) 10 U. ALFASSIO GRIMALDI ; G. BOZZETTI :op. cit., pag. 246
(11) 11 H. FORNARI, : op. cit. pag. 242
(12) 12. Farinacci alla commissione speciale, ACS, SPD, RSI, Carteggio Riservato, b.1, f.12. sf.2, "Farinacci".
(13) 13 H. FORNARI, op. cit. , pag. 243.
(14) 14 Decisione della commissione speciale per la confisca da parte dello Stato delle ricchezze d'origine ingiustificata, 15 giugno 1944. ACS, SPD, RSI, Carteggio Riservato, b.45, f.423.
(15) 15 ACS, RSI, SPD, Carteggio Riservato, b.1, f.12, sf.2, "Farinacci".
(16) 16 Ibidem
(17) 17 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI) : "Magistratura sui generis", " Il Regime Fascista", 28 giugno 1944
(18) 18 Farinacci a Mussolini, 6 aprile 1944, ACS, SPD, RSI, Carteggio Riservato, b.1, f,12.
(19) 19 H. FORNARI, op. cit. ; p.248
(20) 20 F BELLOTTI :" La repubblica di Mussolini.", Zagara, Milano, 1974, p.144
(21) 21. NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI) : "La baldoria è finita!"- Il Regime fascista , 29 Ottobre 1943.
(22) 22 E. G. LAURA: ".L'immagine bugiarda - Mass media e spettacolo nella Repubblica di Salò'" (1943-1945) - Milano 1986, pag. 97.
(23) 23 NON FIRMATO: "Proposta", Il Regime Fascista, 6 ottobre 1943
(24) 24 NON FIRMATO: "Rassegna", Il Regime Fascista, 30 ottobre 1943
(25) 25 NON FIRMATO: "Radio cronaca", Ivi, 19 ottobre 1943, pag. 2
(26) 26 NON FIRMATO: "L'oro dei gerarchi ", Ivi, 24 ottobre 1943
(27) 27 NON FIRMATO: "Radio cronaca", Ivi, 30 ottobre 1943. pag. 2
(28) 28 NON FIRMATO: "Essere brutali", ivi, 2 novembre 1943
(29) 29 "La "Corrispondenza Repubblicana" era un'agenzia quasi del tutto personale di Mussolini. Spampanato dice: "Le note le scrivevano i giornalisti più vicini al Ministero o all'ambiente di Mussolini. E talvolta fu Mussolini stesso il compilatore stesso delle" Corrispondenze" più importanti"( B. SPAMPANATO: Contromemoriale, vol. V, pag. 1385).
(30) 30 E. AMICUCCI : I 600 giorni di Mussolini, Ed. Faro, Roma, 1948, pp.105-106-107.
(31) 31 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): "Un'altra prova", "Il Regime Fascista, 2 ottobre 1943
(32) 32 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): "La vera storia..... "cit.; vedi anche U.ALFASSIO GRIMALDI , op. cit., pag. 235
(33) 33 G. GABRIELLI: La "defascistizzazione" della stampa della R.S.I., F.I.A.P., Roma 1986.
(34) 34 V. PAOLUCCI :" I quotidiani nella repubblica sociale italiana ( 9 settembre 1943 - 25 aprile 1945)", Ed. Argallia, Urbino, 1989, pag. 263
(35) 35 NON FIRMATO: "Uno dei Catoni" Il Regime Fascista, 3 ottobre 1943
(36) 36 NON FIRMATO: Ivi, 29 settembre 1943
(37) 37 NON FIRMATO, Ivi , 5 ottobre 1943
(38) 38 NON FIRMATO, Ivi, 7 ottobre 1943
(39) 39 NON FIRMATO, Ivi, 13 ottobre 1943
(40) 40 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Badoglio e i suoi generali . Il Regime Fascista, 1 ottobre 1943
(41) 41 Alla fine del gennaio 1943 il gen. Ambrosio era stato nominato capo di S.M. generale al posto dell'amico di Farinacci, il maresciallo Ugo Cavallero.
(42) 42 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Badoglio e i suoi generali. cit.
(43) 43 Ibidem
(44) 44 Ibidem
(45) 45 NON FIRMATO: "La parola d'onore dei Badogliani", "Il Regime Fascista" , 3 novembre 1943
(46) 46 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): "Il caso Guzzoni", Ivi, 27 novembre 1943.; Cit. in: G. BOCCA: La repubblica di Mussolini , Milano 1970, e U. ALFASSIO GRIMALDI, G. BOZZETTI, op. cit., pag. 235
(47) 47 NON FIRMATO: "Alla sbarra" Il Regine Fascista, 30 gennaio 1944
(48) 48 G. STACCHINI : "Tribunale rivoluzionario", ivi, 5 febbraio 1944, pag. 3.
(49) 49 Ibidem
(50) 50 Cfr. G. BOCCA , op. cit., pag. 96.
(51) 51 E. AMICUCCI, op. cit. Canevari fu autore, nel dopoguerra, di un volume memorialistico edito a Roma nel 1947 dal titolo "Graziani mi ha detto".
(52) 52 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI) : "Generosità...ma con riserva!", Il Regime Fascista, 7 ottobre 1943.
(53) 53 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI) : "I cattivi e i buoni", ivi, 10 ottobre 1943.
(54) 54 Cfr. DE FELICE: Mussolini alleato..., cit.
(55) 55 U. ALFASSIO GRIMALDI : La stampa di Salò , Bompiani, Milano, 1979, pag.42
(56) 56 NON FIRMATO: I tradimenti dei Savoia, "Il Regime Fascista", 20 ottobre 1943
(57) 57 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Ivi, 17 ottobre 1943
(58) 58 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI) :La guerra continua, Ivi, 15 ottobre 1943
(59) 59 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Chi si contenta ..., Il Regime Fascista, 1 ottobre 1943.
(60) 60 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Un gentiluomo di Casa Savoia, Ivi, 27 ottobre 1943
(61) 61 E. SOLARI: Traditore perpetuo, Il Regime Fascista, 8 aprile 1944.
(62) 62 Lettera di Pisenti a Mussolini, in ACS, SPD, RSI, carteggio riservato, b. 49, f. 202. Il ministro si lamentava con il Duce delle accuse rivoltegli da Farinacci.
(63) 63 U. ALFASSIO GRIMALDI, G. BOZZETTI : Farinacci, op. cit., pag.247
(64) 64 NON FIRMATO: Radio cronaca, "Il Regime Fascista", 27 novembre 1943.
(65) 65 NON FIRMATO: Al di sopra dei programmi, "Il Regime Fascista", 16 ottobre 1943
(65) 66 G. STACCHINI: Esser tedeschi, ivi, 8 aprile 1945.
(67) 67 Lettera di Pisenti a Mussolini, in ACS,SPD, RSI, carteggio privato, b.49, f.202, sf.2.
(68) 68 L'O.d.G. Farinacci era comunque antitetico rispetto a quello presentato da Grandi.
(69) 69 F. BELLOTTI : op. cit., pag. 63
(70) 70 NON FIRMATO: La guerra continua, "Il Regime Fascista", 15 ottobre 1943
(71) 71 FAPPANI - MOLINARI: Chiesa e Repubblica di Salò, Marietti, Milano 1976, pp. 53-56
(72) 72 Il ras di Cremona era stato anche autore di una biografia di Santa Caterina da Siena dal titolo: Donne d'Italia: Caterina da Siena, Ed. Cremona Nuova, Cremona, 1944.
(73)73 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI) : La nostra lealtà, "Il Regime Fascista", 11 febbraio 1944
(74) 74 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Il generale Caracciolo frate francescano deferito al Tribunale Speciale, "Il Regime Fascista", 5 gennaio 1944
(75) 75 NON FIRMATO: Invece di vergognarsi, ivi 9 febbraio 1944.
(76) 76 FAPPANI - MOLINARI : op. cit., pag. 106
(77) 77 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): A chi bisogna credere: ai benedettini o ai giudei?, "Il Regime Fascista", 20 febbraio 1944.
(78) 78 NON FIRMATO: Siamo onesti e sinceri, ivi, 15 marzo 1944
(79) 79 G. SOTTOCHIESA : I cattolici italiani, Venezia 1944.
(80) 80 A. CICCHITTI SURIANI : La "Repubblica Sociale Italiana" ed il Concordato del 1929, in "Nuova Antologia", ottobre 1951, pag. 125.
(81) 81 NON FIRMATO: La Città del Vaticano bombardata, "Il Regime Fascista", 7 novembre 1943.
(82) 82 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Le bombe sul Vaticano, ivi, 9 novembre 1943.
(83) 83 P. MONELLI : Roma 1943, Roma, 1945.
(84) 84 Cfr. A. CICCHITTI SURIANI: La Repubblica Sociale Italiana tentò lo scisma? In "Nuova Antologia", novembre 1951, pag. 151-183.
(85) 85 FAPPANI - MOLINARI, op. cit., pag. 124.
(86) 86 Cfr. don A. SCARPELLINI: Più che la vita, "Il Regime Fascista", 14 dicembre 1943.
(87) 87 A. DORDONI: "Crociata Italica". Fascismo e religione nella Repubblica di Salò, Sugarco, Milano 1976, pag. 57.
(88) 88 "Il Regime Fascista", 14 ottobre e 7 dicembre 1943.
(89) 89 A. DORDONI: op. cit., pag. 15.
(90) 90 Don REMO CANTELLI : Parliamoci chiaro, cit. L'articolo rispondeva polemicamente ad un editoriale apparso su "L'Italia" il 9 ottobre 1943, dal titolo " La tunica inconsutile".
(91) 91 SIRO CONTRI : L'educazione cattolica, "Il Regime Fascista", 18 gennaio 1944
(92) 92 Don ANTONIO BRUZZESI : Farinacci sto con te, "Il Regime Fascista", 26 agosto 1944.
(93) 93 Padre DAMIANO ZAGO: I veri sacerdoti d'Italia, "Il Regime Fascista", 30 ottobre 1943.
(94) 94 A. DORDONI: op. cit., pag. 48.
(95)95 Cfr. Don TULLIO CALCAGNO: Dopo il discorso del Papa. Quello che chiediamo, "Il Regime Fascista", 25 dicembre 1943.
(96)96 A. DORDONI : op. cit., pag. 50.
(97) 97 FAPPANI - MOLINARI: op. cit., pag. 250.
(98) 98 Il documento, pubblicato anche da "Crociata Italica", 6 marzo 1945, è riprodotto integralmente in A. DORDONI, op. cit., pag. 51.
(99) 99 La lettera fu pubblicata su "Crociata Italica" il 6 marzo 1944.
(100) 100 Ivi, 6 marzo 1944.
(101) 101 FAPPANI - MOLINARI, op. cit., pag.158.
(102) 102 Cfr.: NON FIRMATO: La lettera di un vescovo e il testamento di un prete, "Il Regime Fascista", 30 gennaio 1945.
(103) 103 A. DORDONI: op. cit., pag.19.
(104) 104 I. SHUSTER: Gli ultimi tempi di un regime, Mondatori, Milano, 1960, pag. 133.
(105) 105 Don A. SCARPELLINI: La nascita di Crociata Italica, "Crociata Italica", 29 gennaio 1945.
(106) 106 NON FIRMATO: "Il suo volto", "Il Regime Fascista", 22 gennaio 1944.
(107) 107 A. DORDONI : op. cit. , pag. 144
(108) 108 Ibidem
(109) 109 ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.51, f.617, "Crociata Italica"
(110) 110 FAPPANI - MOLINARI, op. cit., pag.167.
(111) 111 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): A chi bisogna credere: ai benedettini o ai giudei?, cit.
(112) 112 A. DORDONI: op. cit., pag.108.
(113) 113 Ibidem.
(114) 114 Il testo dell'omelia è su "L'Italia", 23 agosto 1944, e riprodotto integralmente in A. DORDONI: op. cit., pag. 183.
(115) 115 Cfr. I. SHUSTER: Gli ultimi tempi di un regime, Mondatori, Milano, 1960, pag. 12.
(116) 116 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): "Lettera aperta a S.E. il card. Idelfonso Schuster". "Il Regime Fascista", 3 maggio 1944
(117) 117 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): "Tempestivo consiglio", "Il Regime Fascista", 1 novembre 1944.
(118) 118 NON FIRMATO: "Rdio cronaca", "Il Regime Fascista", 12 agosto 1944.
(119) 119 A: DORDONI: op. cit., pag. 151.
(120) 120 Cfr. E. AMICUCCI: op. cit., pag. 96.
(121) 121 Cfr. R. BASCHERA : I cattolici invocano Dio contro lo stato, "Historia", maggio 1973.
(122) 122 Cfr. I. SHUSTER: op. cit.
(123) 123 don. A. SCARPELLINI: "Storia di Crociata Italica", in "L'ultima Crociata", aprile- maggio 1967.
(124) 124 Cfr. A. CICCHITTI SURIANI : "La Repubblica Sociale Italiana tentò uno scisma?", cit.
(125) 125 FAPPANI- MOLINARI: op. cit., pag. 49.
(126) 126 NON FIRMATO: "Un benedettino ci scrive", "Il Regime Fascista", 27 maggio 1944.
(127)127 A.A.V.V.: La RSI nelle lettere dei condannati a morte, Il Borghese e Ciarrapico, Roma 1976, pag. 157
(128)128 Cfr. Memoriale di Miglioli in data 24 aprile 1944 in ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.41, f.368, "Miglioli Guido"
(129)129 ACS, RSI, SPD, carteggio riservato b.51, f.617 sf.2.
(130)130Il movimento "Crociata Italica" fu sciolto d'autorità nel febbraio 1945.
(131)131 Per il "Decreto di scomunica della suprema s. Congregazione del s. Uffizio" cft. A. DORDONI, op. cit., pag. 167.
(132)132Cfr. R. DE FELICE : Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino 1961.
(133)133. ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b. 58, f. 640, sf .2, riportato anche in P. CANNISTRARO: La Fabbrica del consenso, Laterza, Bari 1975, pag. 469
(134)134 NON FIRMATO: Israele o Cristo, "Il regime Fascista", 8 dicembre 1943
(135)135 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): La tremenda realtà, "Il Regime Fascista", 30 novembre 1943
(136)136 Don A. SCARPELLINI : Aberrazioni contro Dio e l'umanità, "Il Regime Fascista", 4 gennaio 1944
(137)137 D. VANELLI: Muoversi, ivi, 27 gennaio 1944
(138)138 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): I giudei alla conquista del mondo, ivi, 5 gennaio 1944.
(139)139 Cfr., ad es. NON FIRMATO: Fasti romani: i negri in via dell'Impero e i pifferi scozzesi al Foro, "Il Regime Fascista", 21 giugno 1944.
(140)140 Ivi , 4 novembre 1944
(141)141 D. ZOLI.: Hannibalas ad portas. E per chi non vuol capire il latino: il nemico minaccia Roma, "Il Regime Fascista", 18 febbraio 1944.
(142)142 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Recensione antimomopolistica, "Il Regime Fascista", 4 maggio 1944.
(143)143 Cfr. R. DE FELICE: Storia degli ebrei, cit.
(144)144 G. DOLFIN: Con Mussolini nella tragedia, Garzanti, Milano, 1949, pag. 61.
(145)145 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Recensione antimonopolistica, cit.
(146)146 Cfr. ad es. ROBERTO FARINACCI : La Chiesa e gli ebrei, Cremona 1938, testo della conferenza tenuta il 7 novembre 1938 all'Istituto di cultura fascista di Milano.
(147)147 U. ALFASSIO GRIMALDI, op. cit.,pag.245.
(148)148 F.W. DEAKIN: Storia della Repubblica di Salò, Einaudi, Milano, 1970, pag. 123; di opinione contraria E. G. LAURA: L'immagine bugiarda, cit., pag.84
(149)149 E. AMICUCCI: op. cit., pag. 139.
(150)150 Sulla socializzazione cfr. ad es. le seguenti pubblicazioni di stampo propagandistico, curate.dal Minculpop: C. CERRITO: Per te lavoratore - La socializzazione delle imprese. Milano 1944; e A. DE GIGLIO: Italia Repubblica Socializzazione, Venezia 1945.
(151)151 Su Nicola Bombacci vedi G. SALOTTI: Nicola Bombacci da Mosca a Salò, Bonacci, Roma, 1986.
(152)152 Cfr. ad es. A. ALMI: Parole ai lavoratori, "Il Regime Fascista", 17 febbraio 1944.
(153)153 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Premessa alla premessa, "Il Regime Fascista", 15 gennaio 1944.
(154)154 E. AMICUCCI: op. cit., pag.103.
(155)155 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Bando agli equivoci, "Il Regime Fascista", 30 agosto 1944, pag.2
(156)156. Così Farinacci si espresse su Guido Miglioli nel colloquio avvenuto il 21 aprile 1944 e riportato nel memoriale di Miglioli in ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.41,f.368, e in C. BELLO', A. ZANIBELLI: Guido Miglioli. Documenti inediti (1940-1945), ed. Cinque lune, Milano, 1980, pag.201
(157)157 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Bando agli equivoci, cit.
(158)158 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Intransigentemente fascisti, "Il Regime Fascista", 2 settembre 1944
(159)159 Ibidem
(160)160 Ibidem
(161)161 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Confusionismo," Il Regime Fascista", 3 novembre 1944
(162)162 Ibidem
(163)163 Lettera a Mussolini di Nicola Bombacci in ACS, RSI, SPD, carteggio ordinario, b.19, f.792.
(164)164 U. ALFASSIO GRIMALDI: op. cit., pag. 68.
(165)165 E. AMICUCCI: op. cit., pag. 150
(166)166 Intendendo riferirsi ai comunisti, ai capitalisti ed ai socialisti.
(167)167 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Noi e le masse, "Il Regime Fascista", 24 marzo 1945.
(168)168 "Il Regime Fascista" usava spesso pubblicare, sotto il titolo "Discussioni di attualità", articoli scritti anche venti anni prima, a dimostrazione della propria coerenza e continuità di pensiero. Si veda ad es., "Il Regime Fascista" del 25 aprile 1944, che riproduce un articolo del 14 gennaio 1928.
(169)169 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Intransigentemente fascisti, cit.
(170)170 Miglioli era stato l'organizzatore delle "leghe bianche", i contadini cattolici del Cremonese. Contro di lui, Farinacci infierì nella maniera più dura, diffamandolo, facendolo arrestare, aggredendolo, facendolo bastonare, incendiandogli lo studio e la casa.
(171)171 NON FIRMATO: Eloquente documento, "Il Regime Fascista", 5 dicembre 1943, pag.2
(172)172 Cfr. Memoriale di Miglioli in data 24 aprile 1944 in ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.41, f.368, "Miglioli Guido", cit.. Cfr. C. BELLO', A. ZANIBELLI: Guido Miglioli, cit., pag.202
(173)173 Su Carlo Silvestri cfr. G. GABRIELLI: Carlo Silvestri, Socialista, antifascista, mussoliniano, Angeli, Milano, 1992.
(174)174 "La Stampa" aveva ripreso con non minore durezza gli argomenti di Farinacci.
(175)175 C. SILVESTRI: La verità sul caso Miglioli, "Repubblica Fascista", 26 luglio 1944.
(176)176 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Frugando fra le immondizie, "Il Regime Fascista", 27 maggio 1944.
(177)177 Miglioli pubblicò nel 1945 un volume, edito da Garzanti, dal tirolo: Con Roma o con Mosca.
(178)178 Ibidem.
(179)179 Ibidem.
(180)180 ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.66, f.640, sf.2, "Relazioni e Rapporti".
(181)181 C. BORSANI: Parole fasciste a Roberto Farinacci. Tutto sia rinnovato nella Patria, "Repubblica Fascista", 28 maggio 1944.
(182)182 Borsani intendeva riferirsi alla propria condizione di mutilato di guerra. Egli, cieco e con la fronte frantumata, continuamente sottoposto a operazioni chirurgiche, era stato insignito della medaglia d'oro.
(183)183 C. BORSANI: Parole fasciste, cit.
(184)184 Vedi: ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.41, f.368, sf.2, e "Rapporto", 3 giugno 1944, in ACS, RSI, MCP, b.185, f.33.
(185)185 Evidentemente quello del giorno 28, contenente il fondo di Borsani.
(186)186 ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.41, cit.
(187)187 Ibidem.
(188)188 Rapporto del Segretario Particolare del Capo della Provincia
di Milano a Mussolini,
30 maggio 1944, in ACS, RSI, SPD, b.41, cit.
(189)189 L'allusione, oltre a Carlo Silvestri, era rivolta a Giuseppe Castelletti, direttore de "L'Arena" di Verona, con il quale Farinacci ebbe un violento scontro che esamineremo più avanti.
(190)190 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Perché cessi la commedia. cit.
(191)191 "Rapporto" in ACS, RSI, MCP, b.185, f.33, sf.4.
(192)192 Cfr. C. MATTEINI: Ordini alla stampa, cit., pag. 347
(193)193 Ibidem
(194)194 La mappa è intitolata: "Panorama della stampa repubblicana" e si trova in ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.66, f.640, "Stampa".
(195)195 ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b. 66, f. 640, sf.4, citato in: G. DE LUNA: I "quarantacinque giorni" e la Repubblica di Salò, contenuto in: G. DE LUNA, N. TORCELLAN, P. MURIALDI: La stampa italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta, vol. V di Storia della stampa italiana, Laterza, Milano, 1980.
(196)196Ibidem
(197)197 U. MANUNTA: La caduta degli angeli, Azienda Editoriale Italiana, Roma, 1947, pag. 78.
(198)198 E. PEZZATO: Fratelli in Mussolini, "Repubblica Fascista", 16 luglio 1944.
(199)199 ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.66, f.640, sf.2, "Relazioni e Rapporti"
(200)200 E. AMICUCCI: op. cit., pag. 108; G. PINI: op. cit., pag. 39.
(201)201 U. ALFASSIO GRIMALDI: op. cit., pag. 33
(202)202ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.1, f.12, "Farinacci Roberto".
(203)203 Cfr. A. TAMARO: Due anni di storia, 1943 - 1945, Ed. Tosi, Roma 1949, vol. III, pag. 394, nota7.
(204)204 La lettera è pubblicata in: "Il Movimento di Liberazione in Italia", marzo 1950, n° 5, assieme ad altri documenti sotto il titolo: "I tedeschi e l'esercito di Salò".
(205)205 Ibidem
(206)206 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Segnalazioni e commenti. Al ministro Mezzasoma, "Il Regime Fascista", 27 gennaio 1945.
(207)207 ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.1, f.12, "Farinacci Roberto".
(208)208 Vedi G. PANSA: Il gladio e l'alloro. L'esercito di Salò, Ed. Mondadori, Milano 1970; A.A,V.V: Storia delle forze armate della RSI, Ed. FPE, Milano, 1967 - 69.
(209)209 Cfr: M. ARMAROLI: La diarchia Nazione - Partito e il problema politico del nuovo esercito della RSI, in "Rassegna del Lazio"(Roma), numero speciale, 1965.
(210)210 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): L'apoliticità nell'esercito. Bando agli equivoci, "Il Regime Fascista", 18 gennaio 1944.
(211)211 NON FIRMATO: Ai soldati fuggiaschi, "Il regime Fascista", 21 ottobre 1943l.
(212)212 F. VISCONTI: Alle donne italiane, ivi, 26 ottobre 1943.
(213)213 ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.66, f.640, riportato in U.ALFASSIO GRIMALDI: op. cit., pag.38, e C. MATTEINI: Ordini di stampa, cit. pag.69
(214)214 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Non ricominciamo, "Il Regime Fascista", 24 novembre 1994.
(215)215 I risultati dell'inchiesta Macrì sono in: ACS,RSI,SPD, carteggio riservato, b.27, f.202.
(216)216 ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.27, f.202, sf.3.
(217)217 ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.27, f.202, allegato 19.
(218)218 Lettera di Graziani a Farinacci, 26 novembre 1943, ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.27, f.202, sf.5.
(219)219 U. BRUZZESE: Partito e Popolo, "Il Regime Fascista", 5 febbraio 1944
(220)220 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Impostazione per il domani , "Il Regime Fascista", 20 luglio 1944.
(221)221 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Fascismo e Partito, "Il Regime Fascista", 25 giugno 1944.
(222)222 Ibidem
(223)223 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Repetita iuvant, "Il Regime Fascista", 26 gennaio 1944.
(224)224 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Tornare sui binari, Ivi, 6 maggio 1944.
(225)225 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Scherziamo?, "Il Regime Fascista", 29 maggio 1944.
(226)226 Ibidem.
(227)227 P. PARINI: Perché non da oggi?, "La Stampa", 29 novembre 1944, riportato in: G. DE LUNA: I "quarantacinque giorni" e la Repubblica di Salò, cit., pag.78.
(228)228 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Contro il meretricio politico, "Il Regime Fascista", 1 dicembre 1944.
(229)229 E. PEZZATO: La giusta via, "Repubblica Fascista", 3 dicembre 1944.
(230)230 Ibidem.
(231)231 Per il testo della nota ed una sua particolare interpretazione cfr. E. CIONE: Storia della Repubblica Sociale Italiana, Ed. Il Cenacolo, Caserta , 1948.
(232)232 Ibidem
(233)233 C PETTINATO: Realtà e polemica, "La Stampa", 19 dicembre 1944.
(234)234 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): In cerca di solidarietà, "Il Regime Fascista", 9 gennaio 1945.
(235)235 La relazione è in ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.60, f.640, sf.2, ed è riportata integralmente in P. CANNISTRARO: La fabbrica del consenso, cit. pag. 464. Questo autore però attribuisce al documento la data del 12 gennaio 1944, nonostante una annotazione manoscritta al margine (14 gennaio) ed espliciti riferimenti contenutistici - valga per tutti l'accenno al discorso di Mussolini del 16 dicembre 1944 a Milano - che lo datano inequivocabilmente al 14 gennaio 1945.
(236)236 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Da Enzo a Concetto, "Il Regime Fascista", 21 febbraio 1945.
(237)237 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Quando la penna scorre, "Il Regime Fascista", 23 gennaio 1945.
(238)238 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Da Enzo a Concetto, cit.
(239)239 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Dello stesso parere, ivi, 22 febbraio 1945
(240)240 L. KLINKHAMMER: L'occupazione tedesca in Italia..., Bollati - Boringhieri, Torino, 1993.
(241)241 Cfr. G. PINI: Itinerario tragico, cit., pag.265.
(242)242 Il telegramma è in ACS, RSI, SPD. carteggio privato, b.22, f.161,
(243)243 G: DE LUNA: I "quarantacinque giorni", cit. pag. 81.
(244)244 Per la vicenda dell'articolo: "Se ci sei, batti un colpo", vedi: C. PETTINATO: Tutto da rifare, Ed. Ceschina, Milano, 1966, cap. XV.
(245)245 Cfr. NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Siamo sinceri, "Il Regime Fascista", 12 giugno 1944.
(246)246 P. ROMUALDI: Il caso Pettinato, "L'Italiano", dicembre 1960.
(247)247 Cfr. G. DE LUNA: op. cit., pag. 82; G. PINI: op. cit., pag.170; E. AMICUCCI: op. cit., pag.135.
(248)248 G. SALOTTI: "Movimenti di critica e di opposizione all'interno della RSI", in "Storia contemporanea" n° 6, dicembre 1987, pag.1453.
(249)249 Cfr. E. CIONE: Storia della Repubblica.... cit., pag. 416.
(250)250 E. G. LAURA: op. cit., pag. 47. Il resoconto diretto del colloquio è in E. CIONE: op. cit., pag. 148, e ID.: Tra Croce e Mussolini, Ed. Il Cenacolo, Napoli, 1946, pag. 12. Cfr. anche S. BERTOLDI: La guerra parallela 8 settembre 1943 - 25 aprile 1945, Sugarco, Milano, 1963, pag. 41.
(251)251 E' stato avanzato il sospetto di un intervento del ministro Mezzasoma per screditare il movimento. Cfr. G. SALOTTI, op. cit., pag. 1456.
(252)252 ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.48, f.535, "Cione Edmondo".
(253)253 La lettera di Mussolini dice:
<< Caro Cione
come avrete già visto dalle comunicazioni "Radio" e "Stefani"
il varo del "Raggruppamento" è avvenuto. Il battello è in
mare.Sono sicuro che lo piloterete tenendo fede alla consegna. Vittorio
vi farà altre commissioni. Accogliete i miei più cordiali
saluti>>
La lettera si trova in: ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.48, f.535,
sf.2
(254)254 Così E. G. LAURA: op. cit., pag. 50. Di parere opposto S. BERTOLDI: Salò, ..., op. cit., pag. 328 e ss.
(255)255 NON FIRMATO: Ieri e domani, "Il Corriere della Sera", 16 febbraio 1945.
(255)256 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Quasi quasi ..., "Il Regime Fascista", 18 febbraio 1945.
(257)257 "Appunto per il Duce" del ministro Mezzasoma in ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.48, f.535. Evidentemente Cione non aveva colto l'ironia di Farinacci.
(258)258 A. T.: Il Raggruppamento Repubblicano Socialista. A colloquio con i capi del movimento, "La Stampa", 28 febbraio 1945.
(259)259 Vedi par. 4.2. Sulla vicenda di Pettinato in relazione all'intervista agli esponenti del RNRS, cfr. un appunto del 6 marzo 1945 al Vice capo della Polizia Guido Leto in ACS, RSI, Min. Interno, Dir. Gen. PS, segr. Capo Polizia, pacco n. 64.
(260)260 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Presa di posizione, "Il Regime Fascista", 2 marzo 1945.
(261)261 Ibidem.
(262)262 NON FIRMATO: Un gaglioffo, L'Unità", 3 aprile 1945, citato in G. SALOTTI: Movimenti di critica, cit., pag. 1473.
(263)263 "Appunto per il Duce" dell'Ambasciatore della RSI a Berlino Filippo Anfuso, 29 marzo 1945 in ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.76, f.647, sf.5.
(264)264 "Appunto" del Ministero Affari Esteri sul colloquio fra Mussolini e l'Ambasciatore Rahn, 31 marzo 1945, in ACS, RSI, SPD, carteggio riservato, b.45, f.437. Cfr. F. W. DEAKIN: op. cit. pag. 1038; E. G. LAURA: op. cit., pag. 64.
(265)265 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Sempre più convinto,
"Il Regime Fascista", 3
aprile 1945.
(266)266 Ibidem.
(267)267 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Oltre la misura, "Il regime Fascista", 7 aprile 1945.
(268)268 Ibidem.
(269)269 Ibidem.
(270)270 Cfr. UTINAM ( G. COPPOLA): 'O Vaccariello, "Il Corriere della Sera", 7 aprile 1945.
(271)271 Cfr. G. MONTANI: Battersi, "Repubblica Fascista", 6 aprile 1945.
(272)272 Il titolo del corsivo di Cione era: "Ed egli avea del cul fatto trombetta". Successivamente Cione ammetterà di aver esagerato e di essersi fatto prendere dall'ira. Vedi E. CIONE: op. cit., pag. 332.
(273)273 Al comunicato dell'Agenzia Stefani venne dato ampio risalto sulla stampa del 10 aprile 1945.
(274)274 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): I diritti a chi spettano, "Il Regime Fascista", 11 aprile 1945.
(275)275 Borsani fu latore a Mussolini di una lettera di Cione in data 10 aprile 1945; in E. CIONE: op. cit.. pag. 333
(276)276 E. CIONE: Invito alla meditazione, ""L'Italia del Popolo, 25 aprile 1945.
(277)277 S. BERTOLDI: La guerra parallela. 8 settembre 1943 - 25 aprile 1945. Sugarco, Milano, 1963, pag. 86.
(278)278 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Dichiarazione solenne, "Il Regime Fascista", 6 aprile 1945.
(279)279 NON FIRMATO: Dio esiste, ivi, 14 aprile 1945.
(280)280 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Com'é finito Roosevelt, ivi, 14 aprile 1945.
(281)281 NON FIRMATO (ma ROBERTO FARINACCI): Ai Cremonesi, "Il Regime Fascista", 25 aprile 1945.
(282)282 G. MIGLIOLI: Con Roma e con Mosca, Garzanti, Roma, 1945,
pag. 86.
FONTI ARCHIVISTICHE
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Repubblica Sociale Italiana (RSI)
Segreteria Particolare del Duce (SPD) 1943 - 1945
Carteggio Riservato e Carteggio Ordinario
Ministero della Cultura Popolare (MCP)
Ministero dell'Interno
Direzione Generale Pubblica Sicurezza (Dir. Gen. PS)
Segreteria del Capo della Polizia
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